Imprese scaricano costi energetici su consumatori: rincari record da 25 anni

C’è la ripresa, ci sono i rincari. Gennaio è partito alla grande per l’economia italiana, come testimoniano le indagini S&P Global Pmi, preziose per capire il trend visto che si basano su interviste – quasi in tempo reale – a 400 direttori acquisti. L’indice manifatturiero ha registrato 50.4, in salita da 48.5 di dicembre ponendo fine a sei mesi consecutivi di risultati inferiori a 50.0, dato spartiacque tra espansione e contrazione, quello relativo ai servizi – che rappresentano quasi il 70% delle attività economiche – si è posizionato a 51.2, in rialzo da 49.9 di dicembre. La migliore lettura da giugno scorso.
Nel caso dell’industria il calo della domanda ha permesso alle aziende di svuotare i magazzini, mentre nel terziario si è assistito anche a un aumento degli ordini. In entrambi i casi, gennaio ha segnato la fine della tregua tra produttori e consumatori: per molti mesi i primi avevano sopportato, non alzando i prezzi, i vertiginosi aumenti delle bollette, ora invece si sta assistendo ad una accelerazione dei prezzi di vendita finale. Lo spiegava pochi giorni fa Carlo Alberto Buttarelli, direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione: “Lo scorso anno le imprese della distribuzione moderna hanno contrastato in maniera rilevante la crescita dell’inflazione, investendo ingenti risorse economiche e riducendo i propri margini per assorbire parte dell’aumento dei listini industriali, con l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto degli italiani. Oggi”, proseguiva Buttarelli, “le aziende della distribuzione non hanno più margini di intervento economico”.

Sul fronte manifatturiero l’indagine S&P Global Pmi di gennaio ha sottolineato “come l’inflazione dei costi si sia ridotta al livello più basso da agosto 2020. L’inflazione riportata però è stata notevolmente maggiore di quella dei prezzi di acquisto, le aziende infatti, dopo un lungo periodo di aumento dei costi, hanno cercato di recuperare i loro margini”. Paul Smith, Economics Director di S&P Market Intelligence , definisce “forti” gli aumenti dei “prezzi di vendita”, i quali sommati alle “condizioni del mercato del lavoro che rimangono difficili”, potrebbero aumentare la “pressione sull’inflazione di fondo” rischiando di “diventare la preoccupazione principale per i mesi futuri”.

Per quanto riguarda il terziario, “l’inflazione dei costi gestionali ha continuato decisamente a diminuire, scendendo ai minimi in 15 mesi. I prezzi, tuttavia, seguitano ad aumentare a ritmi storicamente elevati. Le aziende hanno segnalato il continuo aumento dei prezzi imposti dai fornitori, con le spese salariali che contribuiscono al rialzo dei costi operativi. A tale rialzo dei costi – evidenzia S&P Global PMI – il campione intervistato ha reagito con l’aumento delle tariffe applicate ai clienti, approfittando anche del miglioramento della domanda di inizio anno. I prezzi di vendita sono generalmente aumentati per il sedicesimo mese consecutivo“, segnando il più alto rialzo da 25 anni. Visto “un rafforzamento del potere delle aziende sui prezzi e una persistente pressione salariale al rialzo – ricorda Smith – “c’è il timore che le spinte inflazionistiche resteranno elevate ancora per qualche tempo”.

A soffiare sui rincari c’è infatti anche la Bce, col suo rialzo dei tassi. Una stretta – commenta Confesercenti – che rischia di pesare come un macigno sui conti delle imprese italiane, già provate da pandemia, inflazione e caro energia. Secondo le stime dell’organizzazione, il solo aumento dei tassi rappresenta un aggravio del costo dei finanziamenti di almeno 9 miliardi nel corso del prossimo triennio. Queste cifre, continua Confesercenti, vanno ad aggravare ulteriormente il quadro attuale che vede una decisa frenata della ripresa dei consumi, con gravi conseguenze sulle prospettive di crescita del Paese. Tra caro-energia ed inflazione, infatti, nel 2022 le famiglie italiane sono state costrette a bruciare 41,5 miliardi dei propri risparmi per mantenere il proprio tenore di vita. E alla fine del 2023 il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti risulterà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021, mentre per i lavoratori autonomi la capacità di spesa si ridurrebbe di 2.200 euro.

CHRISTINE LAGARDE BCE

La Bce alza i tassi dello 0,5% e annuncia nuovo aumento a marzo

Dopo il rialzo dei tassi della Fed, ora tocca alla Bce. La Banca Centrale Europea ha deciso di alzare i tassi di interesse per la quinta volta di fila dello 0,5% arrivando al 3%. “Continueremo ad alzare i tassi d’interesse in misura significativa e a un ritmo costante e a mantenerli su livelli restrittivi per assicurare il ritorno dell’inflazione al 2%“, assicura in conferenza stampa la presidente Christine Lagarde, spiegando che “alzeremo i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di marzo, poi valuteremo la successiva evoluzione“.

Mantenere i tassi di interesse su livelli restrittivi farà diminuire nel corso del tempo l’inflazione frenando la domanda e metterà inoltre al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative di inflazione. In ogni caso – precisa la Bce – anche in futuro le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di riferimento saranno guidate dai dati e rifletteranno un approccio in base al quale tali decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione“.

Fra le componenti chiave dell’inflazione alle quali Lagarde spiega di essere particolarmente attenta c’è, ovviamente, l’energia e il suo costo. E anche se oggi “i colli di bottiglia si sono ridotti, la fornitura di gas è più sicura e la fiducia sta migliorando”, “le pressioni sui prezzi rimangono forti, in parte perché gli alti costi dell’energia si stanno diffondendo in tutta l’economia. L’inflazione al 14% è legata all’energia, ma al netto dell’energia e dei generi alimentari è rimasta al 5,2% a gennaio, con l’inflazione dei beni industriali non energetici salita al 6,9% e quella dei servizi scesa al 4,2%“. E’ importante, però, che “man mano che la crisi energetica diventa mento acuta”, vengano tolte “le misure fiscali di sostegno in linea con il calo dei prezzi”, perché “le misure che non dovessero aiutare potrebbero spingere a un rialzo dell’inflazione, che richiederebbe una risposta di politica monetaria più potente“.

A margine dell’annuncio, la Bce spiega inoltre che “nell’ambito degli acquisti di obbligazioni societarie da parte dell’Eurosistema, i restanti reinvestimenti saranno orientati maggiormente verso emittenti con risultati migliori dal punto di vista climatico“. “Fatto salvo l’obiettivo della Bce della stabilità dei prezzi, tale approccio sosterrà la graduale decarbonizzazione delle consistenze di obbligazioni societarie dell’Eurosistema, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi“, conclude.

Fed vola basso: partito processo di disinflazione. Oggi Bce, dubbi su ritmo stretta

La Federal Reserve vola basso. Jerome Powell, governatore della banca centrale più importante del mondo, non è diventato colomba ma è meno falco rispetto al 2022. Il costo del denaro è stato alzato di un altro 0,25% a 4,75% – record dal 2007 -, un forte segnale di rallentamento della politica monetaria dopo una serie ininterrotta di rialzi a botte di 0,75% (4 consecutive più l’ultima da 0,5%) iniziata quasi un anno fa. “More work to do”, c’è ancora tanto lavoro da fare, ha spiegato durante la conferenza stampa Powell, ci saranno “ulteriori” rialzi nei prossimi mesi per arrivare fino al 5,25% finale, tuttavia il tono più accomodante del numero uno della Fed ha dato l’impressione che qualcosa sia cambiato, alla luce della forte riduzione dell’inflazione verso fine 2022, al punto che ora il carovita in America è al 6,5%. L’obiettivo della Federal Reserve ovviamente resta il 2%, però – ha sottolineato Powell – il “processo di disinflazione è iniziato in un quarto dell’economia, come si vede dai beni”.

L’energia, tra carburanti e costi legati al riscaldamento, non sembra più un problema, così come i prezzi dei prodotti agro-alimentari sono in fase di rallentamento da parecchie settimane. “Speriamo di veder iniziare questo processo di disinflazione sui servizi core, soprattutto quelli extra-immobiliare… Il mercato del lavoro è ancora forte, li non vediamo ancora disinflazione”. “Dobbiamo finire il lavoro che abbiamo cominciato anche se non siamo molto lontani dal vedere un’inversione di tendenza. Abbiamo comunque già moderato l’aumento dei tassi di soli 0.25 e durante il meeting del Fomc c’è stata discussione sul percorso che dovremo seguire”, ha precisato mister Fed. “E’ vero – ha poi risposto ad alcune domande dei giornalisti – l’inflazione scende più rapidamente delle nostre aspettative, ma in sette settori che rappresentano il 56% dell’economia i prezzi non sono calati, penso ad esempio al settore finanziario, ma anche ai ristoranti”. Per capire se la stretta è agli sgoccioli toccherà dunque aspettare marzo, quando “rivedremo le stime e decideremo se alzare l’obiettivo di tassi già al 5,25% o rivedere la nostra politica. Non è comunque il momento di fare una pausa sui rialzo dei tassi”, come ha fatto la banca centrale canadese, e “non sarebbe opportuno tagliare i tassi entro fine anno” se l’economia regge.

Wall Street ha preso bene la svolta di Powell, tant’è che il Dow Jones ha chiuso in leggerissimo guadagno dopo una giornata vissuta in negativo, mentre il Nasdaq ha addirittura messo a segno un +2%. Il dollaro è ormai tornato a 1,1 euro. Dopo la Fed, oggi pomeriggio tocca alla Bce. Le aspettative sono di aumento del costo del denaro di uno 0,5%, cui seguirà un altro rialzo di 0,5% al meeting successivo di marzo come annunciato dalla presidente Christine Lagarde a dicembre. Rispetto a un mese e mezzo fa però lo scenario è completamente cambiato. Il prezzo del gas, che ha infiammato i costi aziendali e l’inflazione per gran parte del 2022, è crollato. L’energia elettrica pure. E il petrolio fa meno paura, nonostante l’embargo verso il greggio russo scattato a inizio dicembre e il prossimo embargo nei confronti del diesel di Mosca che inizierà domenica. Anche i prezzi degli alimentari iniziano a raffreddarsi, come emerso dal dato sul carrello della spesa nell’Eurozona sceso all’8,5% a gennaio. Ciò nonostante i tassi saliranno di un altro punto entro un paio di mesi arrivando così al 3,5% a inizio primavera.

Quello che andrà capito oggi durante la conferenza stampa è se l’atteggiamento della Lagarde rimarrà aggressivo, come emerso durante l’incontro con i giornalisti pre-natalizio, un atteggiamento che aveva impaurito governi (in particolare Palazzo Chigi), imprenditori e investitori. All’interno del mondo Bce, la linea ‘falco’ non piace apertamente a Fabio Panetta, membro del Board, e a Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. Gli italiani comunque non sono i soli a chiedere di “ponderare bene la stretta” per evitare danni collaterali, visto che l’inflazione sta già scendendo. La mini-svolta di Powell potrebbe rendere meno spavalda anche la Lagarde.

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Pil della Germania negativo, adesso occhi puntati sulla Bce

La Germania non vuole nuovi piani per la ripresa per contrastare inflazione e aumento dei prezzi dell’energia. “NextGenerationEU è già la nostra risposta all’Inflation reduction act degli Stati Uniti”, scandisce il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, nel corso della conferenza stampa con il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. D’altronde Berlino ha già varato un piano da 200 miliardi per sostenere famiglie e aziende tedesche vittime del caro-energia e dallo stop al flusso di gas russo. Solo a dicembre lo Stato ha pagato la bolletta a tutte le famiglie proprietarie. Inoltre da ottobre è stato aumentato il salario minimo. Ciò nonostante il Pil tedesco, nel quarto trimestre, ha perso lo 0,2%.
Prima contrazione della locomotiva d’Europa dopo il periodo Covid. “Dopo che l’economia tedesca ha resistito bene nei primi tre trimestri nonostante le condizioni difficili – scrive Destatis, l’istituto federale di statistica – la produzione economica è leggermente diminuita nel quarto trimestre del 2022. In particolare, i consumi privati, che avevano sostenuto il Pil nel corso dell’anno fino ad oggi, sono stati inferiori rispetto al trimestre precedente”. Col risultato degli ultimi tre mesi dell’anno, il 2022 si è chiuso per la Germania con un +1,8%, più o meno la metà di quello che domani mattina dovrebbe registrare l’Istat per l’Italia, diffondendo i numeri sullo stato dell’economia tricolore nell’ultimo trimestre dello scorso anno.
Il dato della Germania è stato peggiore delle attese che prevedevano una crescita piatta per il periodo ottobre, novembre e dicembre, aiutato dal crollo delle quotazioni del gas dopo il picco di fine agosto a oltre 400 euro/Mwh. Un dato che tuttavia non dovrebbe far cambiare idea alla Bce, chiamata giovedì a fornire nuove indicazioni sulla sua politica monetaria. Analisti, banche e gestori sono convinti che, scontato il rialzo del costo del denaro di 0,5%, i banchieri centrali rimarranno ‘falchi’, rimanendo aggressivi nella stretta. Anche perché la presidente Christine Lagarde, a dicembre, aveva già avvisato che per fermare la corsa dei prezzi è disposta a ridurre la domanda e quindi a sopportare una “contrazione” non forte dell’economia dell’eurozona.
Quello che però forse non ha considerato la Bce – come ha fatto capire anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – è l’effetto comunicativo della sua aggressività. Come si leggeva nell’ultimo report dell’indice S&P Pmi a gennaio “l’inflazione dei costi del terziario è scivolata ai minimi in 13 mesi”. Nonostante ciò “i prezzi medi di vendita di beni e servizi sono aumentati ad un ritmo lievemente maggiore rispetto a dicembre, con tassi di inflazione in lieve salita sia per il manifatturiero che per il terziario. Se per entrambi i settori i tassi di incremento restano fuori dai picchi recenti, la forte pressione al rialzo dei prezzi di vendita rispecchia in parte il tentativo di recuperare i margini, soprattutto a fronte di costi storicamente alti di energia e altre materie prime, ma anche dei crescenti costi salariali”.
Proprio gli aumenti delle buste paga sono i nemici della Bce, poiché alimenterebbero ulteriori rialzi dei prezzi, tuttavia il trend sembra già partito. “La dinamica retributiva si è lievemente accentuata da ottobre, anche per effetto dell’incremento del salario minimo in alcuni paesi, tra cui la Germania, i Paesi Bassi e, per l’indicizzazione automatica ai prezzi, in Francia, nonché per l’operare di meccanismi di indicizzazione su tutti i salari in altri Paesi, in particolare in Belgio. E in diversi Paesi – aveva evidenziato pochi giorni fa Ignazio Visco all”Ambrosetti club, phygital meeting’ -, sembrano esservi, nell’ambito delle negoziazioni relative ai rinnovi contrattuali, richieste di aumenti particolarmente elevati, anche per recuperare le perdite di potere d’acquisto per gli aumenti dei prezzi connessi con lo shock energetico“.
E dopo il dato sul Pil tedesco prendono ancora più forza altre parole dello stesso governatore della Banca d’Italia. “Non condivido talune dichiarazioni nelle quali si sostiene che nell’area dell’euro solo una recessione, più o meno profonda, consentirà di riportare l’inflazione in linea con il nostro obiettivo di prezzi stabili. Ritengo invece del tutto possibile che, come sta avvenendo in altri Paesi e come è peraltro in linea con le nostre previsioni, la crescita dei prezzi, che già mostra segnali di discesa, possa tornare al 2 per cento senza che le nostre misure arrechino all’attività produttiva e all’occupazione danni particolarmente gravi”.

Rigassificatore

Gas, i consumi Ue tra agosto e novembre scendono del 20,1%. Italia stop a -15%

Da gennaio a oggi le esportazioni di gas di Gazprom verso i Paesi extra Csi (l’ex Unione Sovietica) sono state pari a 97,8 miliardi di metri cubi, in calo del 45,1% (di 80,2 miliardi di metri cubi) rispetto allo stesso periodo del 2021. In particolare, quelle verso l’Europa sono crollate di oltre l’80%: a novembre la Ue ha importato 1,86 miliardi di metri cubi rispetto ai 10,09 miliardi del novembre 2021. E con meno gas sono precipitati i consumi di metano nell’Unione: -20,1% nel periodo agosto-novembre, rispetto al consumo medio negli stessi mesi tra il 2017 e il 2021, come ha certificato Eurostat.

L’utilizzo di gas è diminuito nella maggior parte degli Stati membri. In 18 Paesi è sceso oltre l’obiettivo del 15% – fissato dal regolamento Ue 2022/1369 del Consiglio sul coordinamento le misure di riduzione della domanda di gas, parte del piano REPowerEU per porre fine alla dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi – e in alcuni con un margine superiore al 40%. I consumi sono diminuiti maggiormente in Finlandia (-52,7%), Lettonia (-43,2%) e Lituania (-41,6%). Sei Stati membri invece, pur riducendo la propria domanda di gas, non hanno ancora raggiunto l’obiettivo del 15%. Al contrario, i consumi sono aumentati a Malta (+7,1%) e in Slovacchia (+2,6%). L’Italia si colloca attorno a un -15%, in linea con gli obiettivi del regolamento Ue, compiendo uno sforzo superiore ad altri Stati visto che il metano è necessario per produrre quasi metà dell’energia elettrica nella penisola.

L’uso di gas è stato inferiore alla media degli ultimi anni già da inizio anno. Osservando i dati mensili da gennaio a novembre, rivela Eurostat, i consumi sono stati costantemente al di sotto della media 2017-2021 dei rispettivi mesi di quegli anni. Tra gennaio e luglio 2022, il consumo di gas naturale nella Ue è variato tra 1 938 petajoule (PJ) a gennaio, un mese stagionalmente più freddo con un consumo più elevato, e 785 PJ a luglio, indicando una diminuzione mensile complessiva, anche prima dell’obiettivo europeo del 15%. Questo calo è stato maggiore a maggio (-12,9% rispetto alla media di maggio del periodo 2017-2021 di 956 PJ) quando sono stati consumati 833 PJ, per poi diminuire del 7,1% a giugno (775 PJ vs 833 PJ). La riduzione è balzata al 13,9% in agosto, 14,2% in settembre, 24,2% in ottobre e 23,6% in novembre.

Il riempimento degli stoccaggi per oltre il 95% e la riduzione appunto del 23-24 per cento dei consumi a ottobre e novembre hanno permesso al prezzo del gas di scendere ad Amsterdam fin sotto i 100 euro per megawattora, una soglia psicologica che il Ttf ha testato anche in queste ore, considerando che un clima più mite e ventoso in gran parte d’Europa ha permesso di utilizzare più rinnovabili (oltre che il carbone) per produrre energia elettrica. Il prezzo del metano che ovviamente influisce sulle bollette di aziende e famiglie rimane tuttavia ancora fuori media a confronto con gli ultimi decenni. Per questo, altro risvolto della medaglia dei minori consumi di gas, la produzione industriale europea è in contrazione da vari mesi e i consumi sono in calo. Per questo la Bce ha avvisato di un Pil negativo in questo trimestre e nei primi mesi del 2023. Meno gas, più recessione.

La Bce avverte: “Aiuti per le bollette solo ai vulnerabili”. Ma serve ridurre i consumi

Per limitare il rischio di alimentare l’inflazione, “le misure di bilancio volte a proteggere l’economia dall’impatto degli elevati prezzi energetici dovrebbero essere temporanee e indirizzate alle categorie più vulnerabili”. Lo scrive la Bce nel bollettino economico. I responsabili delle politiche economiche, inoltre “dovrebbero incentivare la riduzione dei consumi energetici e rafforzare l’offerta di energia” e, allo stesso tempo, “i governi dovrebbero perseguire politiche di bilancio che riflettono il loro impegno ad abbassare gradualmente gli elevati rapporti fra debito pubblico e Pil”.

Per la Banca centrale europea, le politiche strutturali dovrebbero essere concepite “per incrementare il potenziale di crescita e la capacità produttiva dell’area dell’euro e per rafforzarne la tenuta, contribuendo alla riduzione delle pressioni sui prezzi a medio termine”. Ecco allora che “la tempestiva attuazione dei piani di investimento e di riforma strutturale nell’ambito del programma Next Generation EU fornirà un contributo importante al conseguimento di questi obiettivi”.

L’inflazione dei beni energetici e alimentari sta avendo pesanti effetti soprattutto sulle famiglie a basso reddito, più vulnerabili alle variazioni dei prezzi “in quanto destinano una quota più elevata della propria spesa totale per consumi a beni essenziali quali i prodotti alimentari, l’elettricità, il gas e il riscaldamento, tendono a risparmiare meno e sono più soggette a vincoli di liquidità”. I governi dell’area dell’euro hanno adottato misure per attutire l’impatto della recente inflazione sulle famiglie, “ma finora tutte le fasce di reddito percepiscono tali misure come insufficienti, soprattutto le famiglie meno benestanti”. Ciò suggerisce, avverte la Bce, “che vi siano margini di miglioramento nel modo in cui le misure di sostegno si rivolgono alle famiglie con redditi contenuti”.

Complessivamente, nel secondo trimestre del 2022 l’attività economica mondiale “ha subito una contrazione e i dati ricavati dalle indagini indicano che la dinamica moderata della crescita si protrarrà nel breve periodo. Sebbene si riscontrino alcune circostanze positive per l’economia mondiale, legate all’ulteriore allentamento delle pressioni sulle catene di approvvigionamento derivante dai miglioramenti osservati nell’offerta e dalla flessione della domanda, persistono i rischi al ribasso”. Rischi che, spiega la Bce, “sono associati al contesto di perdurante incertezza geopolitica, in particolare alle potenziali turbative connesse all’ingiustificata guerra mossa dalla Russia all’Ucraina e a un possibile peggioramento degli andamenti del coronavirus (COVID-19) nel corso dell’autunno e dell’inverno. Nonostante l’attenuazione delle pressioni sulla filiera produttiva, la dinamica dell’interscambio mondiale resta moderata in un contesto caratterizzato da un peggioramento delle prospettive economiche internazionali”.

 

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Bce riduce consumi. Ma non può spegnere macchinette del caffè

Verde e sostenibile, anche più del dovuto. Tra risparmio energetico, riduzione degli sprechi idrici, impianti di riscaldamento e climatizzazione di nuova generazione, la Banca centrale europea porta l’agenda sostenibile dell’Ue in ufficio. L’Eurosistema non vuole certe dare il cattivo esempio quando si parla di transizione green, e gli edifici che ospitano i lavori del board, dei tecnici, degli analisti e dei funzionari si allineano alle nuove ambizioni dell’Ue. A cominciare dall’edificio Sonnemannstrasse 20, quello principale, nel quartiere Ostenda di Francoforte sul Meno, dove avviene la maggior parte dei lavori dell’istituzione comunitaria.

Inaugurato nel novembre 2014, supera del 29% i requisiti della direttiva federale tedesca sul risparmio energetico (“Energiesparverordnung”). Un immobile ancor più virtuoso del minimo richiesto grazie alla facciata del grattacielo che presenta un triplo strato ad alta efficienza energetica. Inoltre le facciate e il tetto della Grossmarkthalle sono isolati in modo efficiente dal punto di vista energetico così da non avere dispersioni né indurre ad aumentare la temperatura interna a seconda delle stagioni. All’interno a ventilazione naturale è assicurata da elementi di facciata azionabili, schermature solari elettriche e illuminazione a basso consumo energetico, fornendo condizioni di lavoro ottimali con la massima luce diurna. Ancora, è presente un sistema di raccolta del l’acqua piovana per l’alimentazione dei servizi sanitari così come l’irrigazione degli spazi verdi interni. Il calore in eccesso generato dal centro di calcolo non viene dissipato, bensì ri utilizzato per riscaldare gli uffici. La Bce ha inoltre provveduto a piantare alberi attorno all’edificio. Questo inverdimento dell’area intorno all’edificio principale si è aggiunto al la rete di parchi cittadini, contribuendo ad accrescere la superficie boschiva di Francoforte.

Prima di Grossmarkthalle tutto si svolgeva tra l’Eurotower e il Japan Center, nel centro della città, e che oggi forniscono quasi la metà dei posti di lavoro totali della Bce, ospitando il personale di supervisione bancaria. Nel 2020 l’Eurotower ha ottenuto la certificazione Gold nell’ambito dell’iniziativa Leadership in Energy and Environmental Design (Leed), grazie ai miglioramenti apportati alla sua infrastruttura tecnica tra il 2015 e il 2016. Tra questi si segnalano l’ installazione di sistemi di schermatura solare ad alta efficienza energetica, l’ isolamento del nucleo in calcestruzzo, l’installazione di nuove centrali termoelettriche combinate, il rinnovo degli impianti di condizionamento per ridurre consumi e migliorare l’efficienza energetica, oltre alla conversione degli impianti elettrici per gli uffici, oggi interamente a Led.

Tutti questi interventi rispondono all’obiettivo che la Bce si è data di ridurre del 20% i consumi energetici entro il 2030. Alla fine del 2021 il taglio registrato è del 16,1%, in linea con le politiche interne. Merito anche della politica per l’area parcheggi, dove si è deciso di mettere lampadine più tenui. Curiosità: tutte le macchinette del caffè presenti negli edifici della Bce non vengono spente mai. “Per ragioni di igiene non si può”, spiegano a Francoforte. Si è dunque provveduto a fare in modo che durante la notte e per tutto il week-end entrino in modalità ‘risparmio energetico’.

(Photo credits: Daniel ROLAND / AFP)

Lagarde

La Bce alza tassi, prezzi energia annunciano la recessione

Gli indicatori di mercato suggeriscono che i prezzi globali dell’energia rimarranno elevati nel breve termine”. “I costi energetici e alimentari potrebbero rimanere costantemente superiori alle attese”. “Siamo attenti a quello che accade sul mercato dell’energia, ed in particolare quello che avviene su quello del gas, perché ha ripercussioni sull’elettricità”. Queste alcune affermazioni di Christine Lagarde, presidente della Bce, durante una conferenza stampa per certi versi storica: la banca centrale europea ha alzato il costo del denaro (+0,5%) dopo un decennio. L’aumento dei tassi d’interesse si è reso necessario, nonostante mesi di rassicurazioni sulla temporaneità dell’inflazione, per tentare di placare la fiammata sui prezzi, soprattutto energetici, iniziata nell’autunno 2021 ed esasperata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Il rialzo del costo del denaro, come ha fatto sapere ‘madame euro’, sarà probabilmente solo l’inizio di una serie di rialzi, sulla scia di quanto operato dalla Federal Reserve americana. Le Borse, eccetto Piazza Affari alle prese con la crisi di governo, non sono rimaste sorprese. Tuttavia c’è l’impressione che l’intervento della Bce sia forse tardivo.

Le materie prime, in particolare gas e petrolio, hanno visto impennate paurose negli ultimi mesi. Ma proprio appena aveva finito di parlare la Lagarde, sui mercati americani è iniziata la discesa del prezzo dell’oro nero. Il Wti texano si sta avvicinando ai 95 dollari e il Brent europeo balla attorno a quota 100 dollari. Valori ancora elevati rispetto un anno fa, certo, comunque lontano dai picchi primaverili. Cosa succede? La recessione si avvicina. Una prova? Precipita più delle attese l’attività del settore manifatturiero nell’area di Philadelphia negli Stati Uniti: a luglio il famoso indice relativo Philly Fed è sceso a -12,3 punti dai -3,3 di giugno, i nuovi ordini sono crollati a -24,8 punti dai meno 12,4 punti di giugno. L’inflazione violenta (quasi +9%) dopo la pandemia ha spinto i banchieri centrali a correre ai ripari, alzando il costo del denaro. Risultato finale: rallentamento del ciclo economico nel mondo occidentale. Gli effetti di questo sboom li vedremo ovviamente in autunno, benchè la Russia abbia ricominciato a pompare gas attraverso il North Stream 1 nel Vecchio Continente.
Il tema cruciale è che le banche centrali, che per oltre un decennio hanno comprato tempo garantendo ai governanti europei o americani di turno di continuare a fare debiti senza pensare a chi dovrà pagare il conto finale, non sono più auto-sufficienti. Servirebbe che la politica entrasse in campo. Ma in questo mese abbiamo assistito alla caduta di Boris Johnson, alle dimissioni di Mario Draghi, alle difficoltà di Emmanuel Macron senza maggioranza in Parlamento, alle critiche del mondo imprenditoriale tedesco verso il cancelliere Scholz per non rinunciare al gas di Putin, ai sondaggi negativi per Joe Biden in vista delle elezioni di Mid-Term negli Usa.

Vista la situazione politica, Madame Lagarde preferisce comunque pensare a salvare l’euro. Così la Bce ha annunciato un piano anti-spread, Transmission Protection Instrument (Tpi), che avrà l’obiettivo di mitigare eventuali speculazioni verso i debiti pubblici di alcuni Paesi dell’Eurozona, come ad esempio l’Italia gravata da un disavanzo abbondantemente oltre i limiti fissati dai trattati europei. Quattro sono le condizioni comunicate dall’Eurotower affinchè l’istituto guidato da Christine Lagarde possa intervenire sui mercati, acquistando titoli di stato e spegnendo le fiammate sui rendimenti del debito pubblico. In particolare nel quarto punto si chiede il “rispetto degli impegni presentati nei piani di ripresa e resilienza per la Recovery and Resilience Facility”. Il Pnrr italiano destina alla transizione ecologica 71,7 miliardi (37,5% del totale), ripartiti in 108 misure di cui 55 considerati “verdi”. Attivare il Tpi eviterà lo spread alle stelle, ma significherà affidarsi mani e piedi (la Bce ha già in cassa circa 500 miliardi di debito pubblico tricolore) a Francoforte e Bruxelles. Chi avrà coraggio di alzare la mano e chiedere aiuto alla Lagarde?

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Come i prezzi energia influenzano quelli dei beni alimentari

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari è sotto gli occhi di tutti e ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, dopo l’invasione russa in Ucraina. Eppure l’inflazione su ciò che mettiamo in tavola era già in aumento prima della guerra in tutta l’area euro. La causa? Sicuramente la pandemia che nel 2020 ha vincolato l’offerta ma, successivamente, dal quarto trimestre del 2021, è cresciuta ancora, raggiungendo il 3,5% a gennaio 2022 e il 7,5% a maggio, il livello più elevato dall’avvio dell’unione monetaria.

L’aumento dei prezzi dell’energia – e in modo particolare del gas – ha influito pesantemente sulla componente alimentare del paniere dei consumi. Ma come sono collegati questi due elementi? Prova a chiarirlo la Bce, che nel bollettino economico, ricorda che l’equazione aumento prezzi energia = aumento beni alimentari è determinata da tre elementi.

Innanzitutto, la produzione agricola e la lavorazione dei prodotti alimentari sono settori ad alta intensità di energia. La coltivazione dei campi, ad esempio, dipende in larga misura dal carburante per i macchinari agricoli, per cui i rincari dell’energia tendono a trasmettersi rapidamente ai costi di produzione, che di conseguenza aumentano.

Inoltre, poiché il gas naturale costituisce uno degli input nella produzione di fertilizzanti, l’aumento dei suoi prezzi fa crescere quelli dei fertilizzanti stessi, incrementando i costi degli input agricoli. Infine, i maggiori costi di trasporto si ripercuotono sui prezzi dei beni alimentari, rendendo così più costosa la sostituzione delle materie prime con quelle provenienti da fonti di approvvigionamento più lontane.

Anche i prezzi delle materie prime alimentari a livello internazionale – ricorda la Bce – hanno registrato un incremento per via delle condizioni meteorologiche avverse in alcune aree“. In aggiunta, i più elevati costi del trasporto marittimo dovuti alle strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali hanno acuito le pressioni sui prezzi.

In questo circolo vizioso si aggiungono, poi, altri elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina ha introdotto un divieto di esportazione per alcuni prodotti alimentari, tra cui segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne. In secondo luogo, il trasporto delle materie prime alimentari dalla Russia è divenuto più dispendioso a causa dei maggiori costi assicurativi e, inoltre, la Russia ha vietato la vendita all’estero di fertilizzanti, di cui è il maggiore esportatore mondiale, fino ad agosto 202210. Infine, l’Unione europea ha adottato ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, imponendo un divieto totale alle importazioni di idrossido di potassio e carburanti, fra gli altri altri prodotti. Queste restrizioni al commercio internazionale di concimi, riferisce la Bce, “determineranno ulteriori aumenti dei prezzi sia a livello mondiale sia nell’area dell’euro, mentre la riduzione dell’offerta potrebbe anche incidere sui rendimenti mondiali dei raccolti nel periodo a venire“.

Lagarde

Lagarde: “Nuova corsa geopolitica per l’accesso a risorse verdi”

La transizione sostenibile dell’Unione europea porta con sé sfide di portata geopolitica, tutta nuova alla luce delle ripercussioni della guerra in corso in Ucraina. Per tradurre in realtà la rivoluzione green che l’Ue si è posta diventa indispensabile procurarsi soprattutto rame, cobalto e nichel, e i Ventisette devono farsi trovare pronti. “La transizione verde sta rendendo alcune materie prime sempre più importanti di altre, ed è quindi probabile una nuova corsa geopolitica per garantire l’accesso alle risorse”, avverte la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. La numero uno dell’Eurotower è ospite d’onore del Peterson Institute for International Economics. Invitata a discutere della ‘resilienza dell’Ue nel mondo che cambia’, affronta in chiave del tutto nuova le incognite che circondano la strategia di trasformazione in senso eco-compatibile del modello produttivo del Vecchio continente.

Bisogna investire in politica estera, in accordi commerciali che permettano all’Ue di tenere fede alle proprie promesse e alla propria volontà di indipendenza strategica. Ma una vera indipendenza, se si guarda all’energia, non sarà mai veramente possibile. Perché “energia e materie prime critiche sono distribuite in modo non uniforme nel mondo e non possono essere sostituite con alternative domestiche”, ricorda Lagarde. L’Ue non ha gas né petrolio, che oggi importano, soprattutto dalla Russia. Numeri alla mano, nel 2020 l’Unione europea ha importato circa il 60% della sua energia, una dipendenza che “è in realtà aumentata dal 2000, nonostante una quota crescente di energie rinnovabili nella produzione di energia”. A tal proposito, la Bce non ignora che nel proprio sottosuolo l’Unione non ha neppure quelle risorse che servono per tecnologie alternative. Allora l’imperativo è consorziarsi. Lagarde pone l’accento sulle regioni. Sono queste che “dovranno sempre più reperire i propri input critici da un pool più ristretto di potenziali fornitori ritenuti affidabili e in linea con i loro interessi strategici condivisi”. La Russia, alla luce delle politiche aggressive e dell’utilizzo della leva energetica, affidabile non lo è più. Ecco che servirà reinventarsi sullo scacchiere internazionale e sui mercati. Le risorse economico-finanziarie “saranno importanti nella gestione delle transizioni in corso”, quelle verde e digitale. Da questo punto di vista “le esigenze di investimento che dobbiamo affrontare sono enormi, soprattutto se vogliamo disaccoppiarci rapidamente dalla Russia”. La corsa alla materie prime necessarie per un’Europa davvero verde e sostenibile e già iniziata, e si tratta di accelerarla, mettendosi al riparo dalla concorrenza extra-europea.