Cop29 ai supplementari. Proposti 250 mld anno da Paesi ricchi. Africa: “Inaccettabile”

All’undicesimo giorno di lavori, alla Cop29 il Nord e il Sud globale continuano a darsi battaglia. La presidenza azera partorisce una bozza di compromesso sbilanciata a favore dei Paesi sviluppati, perché invita a raggiungere l’obiettivo di 1,3 trilioni di dollari entro il 2035, ma decide di stanziare una somma di 250 miliardi all’anno. Il testo comunque non è l’ultimo: dopo la bozza, pubblicata nel primo pomeriggio, iniziano le consultazioni tra facilitatori e delegazioni verso il testo finale.

Dopo il primo documento a opzioni, questo testo fa una sintesi, ma in sostanza riflette un’ambizione minima. Resta il macro goal di raggiungere, per il contrasto ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo, oltre mille miliardi in dieci anni, ma l’obbligo vincolante, che parla di finanza fornita (i fondi pubblici a fondo perduto) e mobilizzata (i fondi privati e prestiti di finanza bilaterale e multilaterale) è di 250 miliardi di dollari all’anno fino al 2035.

Poco, troppo poco per il gruppo africano. Di nuovo, la bozza risulta “totalmente inaccettabile e inadatta all’attuazione dell’accordo di Parigi”, commenta a caldo il negoziatore keniota, Ali Mohamed.

Profondamente delusa anche l’Alleanza dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, i più vulnerabili tra i vulnerabili: “Il testo chiede alle parti ‘Quanto in basso potete andare in materia di ambizione climatic?‘. È inaccettabile”, tuona l’Aosis, ribadendo che il testo “non sarà adeguato a dare piena attuazione all’Accordo di Parigi e a guidare realmente l’azione per mantenere il limite di 1,5°C”.

La presidenza assicura un lavoro per un obiettivo più “giusto e ambizioso”: “Continueremo a discutere con le parti”, dice ai giornalisti il ​​capo negoziatore, Ialtchine Rafiev, promettendo di apportare “gli ultimi aggiustamenti”, mentre la conferenza delle Nazioni Unite è ufficialmente entrata nei tempi supplementari.

Quanto all’Italia, continua a spingere, insieme ai principali paesi europei, perché “venga una riforma per una finanza climatica migliore, più efficiente che coinvolga anche nuovi Paesi, settore privato, enti filantropici e banche multilaterali di sviluppo“, spiega il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in una pausa dei lavori. L’approccio di Roma è “quello di perseguire la decarbonizzazione e la crescita dei più vulnerabili”, riferisce, alla base della strategia e dei progetti del Piano Mattei per l’Africa, attraverso collaborazioni pubblico-privato e “partenariati paritari e non predatori”.

Secondo la bozza, i fondi per il clima dovranno arrivare “da un’ampia varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, comprese le fonti alternative”, con azioni “significative e ambiziose” di mitigazione e adattamento, e di “trasparenza nell’attuazione”, quindi con il monitoraggio degli obiettivi; riconoscendo l’intenzione volontaria delle Parti di “conteggiare tutti i flussi in uscita e i finanziamenti mobilitati dalle banche multilaterali di sviluppo” e invita i Paesi in via di sviluppo ad apportare altri contributi, anche attraverso la cooperazione cooperazione Sud-Sud, per raggiungere l’obiettivo. Si riflette quindi sull’espansione della base dei donatori e sulla richiesta cinese di riconoscerla ma su base volontaria.

Nel testo sulla mitigazione, l’abbassamento delle emissioni, si riprende il linguaggio di Parigi sulla necessità di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C come opzione prioritaria. Manca però un riferimento esplicito all’uscita dalle fonti fossili: si “riaffermano” gli esiti del Global Stocktake, senza però citarli.

I fondi per il clima andrebbero a finanziare i piani nazionali sotto l’Accordo di Parigi (gli Ndc); i Piani Nazionali di Adattamento e le Comunicazioni sull’Adattamento, “inter alia”, quindi oltre a una serie di azioni e piani non esplicitati.

La Cop prende poi “atto” del bisogno di finanza per il clima in forma di concessioni, prestiti altamente agevolati e in forma di finanza pubblica, specialmente a supporto di azioni di adattamento e per compensare perdite e danni e riconosce l’importanza di aumentare entro il 2030 la percentuale di finanza mobilitata da fonti pubbliche, ma senza imporre obiettivi specifici o scadenze.

Cop29, sulla finanza la bozza della discordia. A Baku si cerca il compromesso

Unacceptable”, semplicemente inaccettabile. E’ la parola più ripetuta di oggi nello stadio di Baku, che ospita il decimo giorno di lavori della Cop29: serpeggia tra gli analisti, tuona in plenaria. La prima bozza sulla finanza climatica viene respinta da tutti. Perché non offre nessuna idea di compromesso tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo, si limita a fotografare la situazione attuale. Il documento non indica una cifra precisa da stanziare o mobilitare e offre due scenari, che riflettono le posizioni dei due gruppi di Paesi.

La prima opzione è vicina ai ‘developing’, i paesi in via di sviluppo. Prevede che il nuovo obiettivo di finanza climatica, da stabilire alla conferenza annuale delle Nazioni Unite, si basi esclusivamente sui fondi dei Paesi sviluppati, che sono obbligati a contribuire secondo i testi delle Nazioni Unite, in virtù delle proprie responsabilità storiche sull’inquinamento. Secondo questa prima opzione, almeno mille miliardi di dollari all’anno devono essere forniti da fondi pubblici dei Paesi ricchi – essenzialmente Europa, Stati Uniti e Giappone – e da fondi privati associati, “nel periodo 2025-2035”, essenzialmente sotto forma di sovvenzioni piuttosto che di prestiti. Si tratta di un importo dieci volte superiore ai 100 miliardi che i Paesi ricchi si erano impegnati a fornire nel periodo 2020-2025, in parte solo sotto forma di sovvenzioni.

La seconda opzione è quella che accontenta il blocco dei Paesi sviluppati. Qui l’obiettivo finanziario sarebbe “un aumento dei finanziamenti globali per l’azione a favore del clima” di almeno mille miliardi di dollari all’anno da raggiungere “entro il 2035” a partire da almeno ‘100 milioni+’, cioè una cifra sicuramente superiore ai 100 milioni ma non si sa di quanto. In più, questa opzione includerebbe “tutte le fonti di finanziamento”, compresi i fondi pubblici di ogni Paese del mondo, i fondi privati e le nuove tasse globali, come quelle sull’aviazione o sul trasporto marittimo. Questa opzione evita di indicare una cifra per l’impegno dei Paesi ricchi, che fin dall’inizio del vertice hanno dichiarato di voler stabilire le modalità di erogazione e di monitoraggio dei fondi, prima di proporre una cifra.

Non c’è quindi un incontro a metà strada sulle due posizioni. Ecco perché le prime reazioni sono incandescenti. “Non intendo indorare la pillola. Il testo così com’è ora è chiaramente inaccettabile“, taglia corto il commissario europeo al Clima, Wopke Hoekstra. Lamenta innanzi tutto l’assenza dell’impegno a uscire dai fossili, che era stato preso a Dubai lo scorso anno: “Non possiamo accettare l’idea che, a quanto pare, per alcuni la precedente Cop non si è svolta”, afferma, ricordando che il programma dell’Ue non prevedeva solo di ribadire il consenso dell’unione, ma anche di rafforzarlo e renderlo operativo. E le nuove tasse che incrementerebbero il fondo clima, osserva, “vanno in realtà nella direzione opposta”. Sull’aspetto finanziario, per Hoekstra serve prima “un’infrastruttura migliore”, più chiarezza anche sui finanziamenti del settore pubblico per l’adattamento, sugli elementi da prendere in considerazione per arrivare a una cifra significativa. Quindi, insiste, “c’è molto lavoro da fare per la presidenza e per tutte le parti coinvolte”.

Anche il ministro italiano Gilberto Pichetto denuncia l’assenza di idee di compromesso nel primo documento: “Ci aspettiamo progressi“, scandisce, nella speranza di avere quanto prima una “proposta di mediazione”.

Il testo “non offre alcun progresso, nessun segnale sulle aspettative di piani nazionali ambiziosi, né uno spazio per discutere l’ambizione collettiva dei piani da presentare l’anno prossimo“, commenta Jennifer Morgan, inviata speciale della Germania per il clima, per cui questa “non può e non deve essere la nostra risposta alla sofferenza di milioni di persone nel mondo”. La Germania chiede messaggi chiari sui prossimi impegni climatici, riduzioni assolute delle emissioni a livello economico in linea con 1,5 gradi e il rinnovo dell’impegno a eliminare gradualmente tutti i sussidi ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o la transizione nel più breve tempo possibile. Il gruppo dei Paesi arabi fa sapere che rifiuterà qualsiasi testo che abbia come obiettivo i “combustibili fossili”. Lo mette in chiaro in plenaria il rappresentante, il saudita Albara Tawfiq, alla Conferenza ONU sul clima di Baku, nel penultimo giorno teorico della COP29. Sul piede di guerra i piccoli Paesi insulari, quelli più a rischio di scomparire con le conseguenze del cambiamento climatico. “Il tempo dei giochi politici è finito”, avverte il rappresentante, il samoano Cedric Schuster, a nome dell’alleanza Aosis, ribadendo che il mondo non può permettersi di andare in direzione opposta a quella dell’Accordo di Parigi.

Il rappresentante dei G77 (l’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo in via di sviluppo) ripete come un mantra da giorni ai ministri e alle delegazioni di non lasciare Baku “senza stabilire una cifra chiara” sulla finanza climatica. Spiega che i Paesi in via di sviluppo chiedono ai Paesi ricchi “almeno” 500 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima entro il 2030, per raggiungere mille miliardi con fondi pubblici, senza perdere di vista l’obiettivo di 1,3 trillions.

Molti elementi non sono “né soddisfacenti né accettabili” anche per la Cina. Il rappresentante Xia Yingxian, ribadisce intanto in plenaria il rifiuto di qualsiasi testo che obblighi la Cina a contribuire agli aiuti finanziari internazionali per i Paesi in via di sviluppo (mentre l’Europa e gli altri Paesi ricchi vorrebbero includere ufficialmente il denaro già fornito dalla Cina nel totale). Pechino invita “tutte le parti a incontrarsi a metà strada”, ponendosi come una potenza equilibratrice tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Il delegato suggerisce che il contributo obbligatorio dei Paesi sviluppati “sia ben superiore a 100 miliardi di dollari all’anno”.

Su tutti, l’appello di Antonio Guterres al compromesso: “Il tempo stringe“, esorta. Confessa di percepire “una certa propensione all’accordo“, pur ammettendo l’esistenza di differenze importanti. Chiede una “grande spinta per portare le discussioni oltre il traguardo” per realizzare un “pacchetto ambizioso ed equilibrato” su tutte le questioni in sospeso, con al centro un nuovo obiettivo finanziario. “Il fallimento non è un’opzione“, avverte. Quello che serve è chiaro, per il segretario dell’Onu: “Un accordo su un nuovo ambizioso obiettivo di finanziamento del clima a Baku“, da cui ripartire l’anno prossimo a Belem, in Amazzonia.

Occhi puntati sulla nuova bozza, che dovrebbe contemplare una sola opzione, un compromesso tra le parti. La sfida sarà, per gli analisti, fare in modo che il documento finale non sia un ‘fantadocumento’, che non parli di qualcosa che non esiste e che non passi l’idea che la Conferenza delle Parti possa partorire della carta straccia.

Bozza vertice Ue: Corridoio dinamico gas e acquisti congiunti

Esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale e sviluppare un nuovo benchmark che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas in Europa. Poi ancora, fare acquisti congiunti di gas e negoziare con i partner affidabili dell’Ue forniture a prezzi vantaggiosi per entrambi. E’ quanto proporranno i capi di stato e governo dell’Ue riuniti a Bruxelles giovedì e venerdì (20-21 ottobre), secondo l’ultima bozza di conclusioni del vertice Ue (datata 16 ottobre) di cui GEA ha preso visione.

Il documento è solo una bozza, sarà discussa tra gli ambasciatori dei 27 nel comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue e subirà verosimilmente delle modifiche da qui alla riunione di giovedì dei leader dell’Ue, ma è indicativo di quali saranno i temi al centro della riunione. Per accelerare la risposta dell’Ue contro il caro bollette, il Consiglio europeo propone una serie di misure, tra cui acquistare congiuntamente il gas” e “accelerare i negoziati con partner affidabili per cercare partenariati reciprocamente vantaggiosi”; sviluppare un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto “che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas”, quindi alternativo al mercato olandese Ttf di Amsterdam; “esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale per limitare i prezzi fino all’introduzione del parametro di riferimento”.

Si apre anche all’idea di “esplorare un quadro temporaneo dell’UE per limitare il prezzo del gas nella produzione di elettricità”, ovvero pensare di estendere il modello di price-cap iberico (introdotto da Spagna e Portogallo) a tutta l’Ue (diversi Stati membri, come l’Italia, sono contrari a questa misura perché andrebbe finanziata con risorse nazionali). Nella bozza si legge ancora che l’Ue dovrebbe “aumentare gli investimenti in infrastrutture energetiche pronte per il futuro, comprese le interconnessioni” e “accelerare i lavori sulla riforma strutturale del mercato dell’energia elettrica”, una proposta che la Commissione europea dovrebbe avanzare nel primo trimestre del 2023.

Sulla questione energetica la bozza apre quindi a diverse opzioni, ma lo fa perché i governi sono nei fatti in attesa della presentazione da parte della Commissione europea della nuova proposta legislativa contro il caro energia, che avverrà dopo l’adozione del collegio riunito a Strasburgo. La proposta dell’esecutivo, secondo le indiscrezioni, dovrebbe prevedere un limite di prezzo dinamico e temporaneo a tutte le transazioni nel Dutch Title Transfer Facility (Ttf), il mercato olandese di riferimento per gli scambi del gas in Europa; una misura temporanea fino all’introduzione di un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto (GNL) da rendere operativo entro la fine del 2022 e acquisti congiunti di gas obbligatori per il riempimento di almeno il 15% delle riserve europee. Per ora Bruxelles sembra invece escludere l’idea di estendere il ‘cap’ iberico applicato in Spagna e Portogallo anche al resto dell’Ue.

I leader dovrebbero fissare tra le priorità quella di proteggere famiglie e imprese dai rincari energetici. E farlo “coordinando strettamente le nostre risposte politiche” ma anche rimanendo pronti “a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”. La bozza di conclusioni del Vertice Ue del 20-21 ottobre sembra aprire all’idea di sviluppare soluzioni economiche comuni di fronte alle sfide energetiche che la guerra di Russia in Ucraina ha portato con sé. Il passaggio citato è parte del quarto paragrafo sulle ‘Questioni economiche’, in cui si legge che di fronte alla crisi la priorità immediata dell’Ue deve essere quella di proteggere famiglie e imprese, “in particolare i soggetti più vulnerabili delle nostre società, preservando la competitività globale dell’Unione e mantenendo condizioni di parità e integrità” del mercato unico. Il Consiglio europeo si impegna dunque “a coordinare strettamente le risposte politiche, rimanendo al contempo pronto a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”.

Una questione aperta ormai due settimane fa da una proposta dei commissari per l’Economia, Paolo Gentiloni, e per il mercato interno, Thierry Breton, di introdurre uno strumento simile a Sure (varato durante il Covid-19 per il sostegno temporaneo contro la perdita di posti di lavoro e rischi di disoccupazione) contro il caro bolletta. Nella sostanza, hanno evocato la necessità di emettere nuovo debito comune (come è stato fatto per il Next Generation Eu) per finanziare la risposta alla crisi dei prezzi dell’energia attraverso nuovi prestiti ai governi, dopo il varo da parte della Germania dello scudo da 200 miliardi di euro per famiglie e aziende. Una questione aperta ma al momento divisiva, su cui, stando alla bozza di conclusioni, i leader si confronteranno.