Attivisti per il clima italiani e francesi bloccano accessi al traforo del Monte Bianco

Una nuova azione dimostrativa per denunciare i ritardi nell’azione di contrasto al cambiamento climatico. Gli attivisti del collettivo ambientalista ‘Ultimo rinnovamento’ e del movimento italiano ‘Ultima generazione’, infatti, hanno bloccato per circa un’ora i due ingressi del traforo del Monte Bianco, a Chamonix sul versante francese e Courmayeur su quello italiano. Fino a quando non sono intervenuti gli agenti della Polizia Stradale, che hanno sgomberato i manifestanti, ai quali hanno fornito poi coperte termiche per difendersi dal freddo. “Con una sola voce, i cittadini chiedono che i nostri governi agiscano sul cambiamento climatico. Questo mondo viene condannato davanti ai nostri occhi”, rivendicano i manifestanti, che hanno impedito dalle 12.30 di venerdì 9 dicembre la circolazione nella strada che conduce al tunnel. “L’impatto economico di questo lockdown – lamentano – è nulla in confronto ai miliardi di euro sprecati ogni giorno bruciando combustibili fossili. I nostri governi sono chiusi in un atteggiamento attendista per troppo tempo e non sono nemmeno in grado di far fronte ai propri impegni”, continuano.

Secondo ‘Ultima generazione’ (che mercoledì 7 dicembre aveva imbrattato con della vernice la facciata del Teatro alla Scala in segno di protesta), “il tunnel del Monte Bianco simboleggia il legame che esiste tra i nostri popoli e le nostre nazioni, uniti anche oggi nel dramma del collasso climatico. Rappresenta, però, anche un passaggio simbolico da mettere in atto quanto prima, lasciandosi alle spalle un intero sistema di valori, una società insostenibile fondata su progresso e sfruttamento sconsiderati. Con oltre 600mila camion che lo attraversano ogni anno, il tunnel è un punto di passaggio privilegiato per le compagnie di trasporto. Questo tipo di traffico genera un elevato volume di inquinamento atmosferico e di gas serra. Qui, come altrove, questo modo di vivere non è più sostenibile e mette a rischio l’umanità”.

Per gli attivisti, che sottolineano lo sforzo coordinato messo in campo contro “la minaccia globale del cambiamento climatico”, l’impatto economico causato dal blocco di oggi “non è nulla rispetto ai miliardi di euro che vengono sprecati ogni giorno investendo nei combustibili fossili. I nostri governi si sono accontentati di non fare nulla per molto tempo e sono incapaci di mantenere i loro impegni in materia di cambiamento climatico. Ogni momento che passa – proseguono – questo comportamento suicida e omicida ci avvicina a un disastro globale senza precedenti nella storia. La quantità di denaro, anche pubblico, che ogni anno viene destinata alla distruzione dei nostri ambienti e delle nostre vite deve essere reindirizzata verso il finanziamento di provvedimenti che ci permettano di anticipare, adattare e rallentare il cambiamento climatico. Ne va della sopravvivenza dell’umanità”, concludono gli attivisti.

Ogni campagna che fa parte della rete A22 lavora per un obiettivo chiaro. Come si legge in una nota congiunta, in Italia, Ultima Generazione chiede al governo di tagliare i finanziamenti in combustibili fossili per portare risorse all’incremento di energia rinnovabile. In Francia, Dernière Rénovation chiede un ampio programma politico per isolare gli edifici e che i lavori siano interamente finanziati per le famiglie povere.

Strage di animali selvatici in Kenya, sterminati dalla siccità

“Prima dovevo indossare una maschera per sopportare l’odore degli animali in decomposizione, ma ora ci sono abituato”. In Kenya, una siccità di intensità senza precedenti negli ultimi 40 anni sta decimando elefanti, bufali e zebre nei parchi nazionali. Ad Amboseli, nel sud del Paese, vicino al confine con la Tanzania, la terra è secca e scricchiola sotto i piedi. Non c’è un’erba alta all’orizzonte, le foglie degli alberi spogli sono ingiallite. Lungo la strada giacciono carcasse di animali. “L’ultima pioggia abbondante che abbiamo avuto qui è stata nel dicembre 2021”, lamenta Josphat Wangigi Kagai, 37 anni, ranger del Nature Conservation Service (Kws) che lavora nel parco dal 2016. È stato appena chiamato da Kelembu Ole Nkuren, un mandriano Masai che ha scoperto un elefante morto da quasi un mese mentre pascolava la sua mandria. Il pachiderma, sventrato da rapaci e altri predatori, giace nella vasta pianura dominata dalle cime innevate del Kilimangiaro. Un odore sgradevole avvolge i resti dell’animale, che ha solo sette anni quando l’aspettativa di vita degli elefanti è di circa 60 anni. “Questo elefante è morto a causa della siccità”, dice Josphat Wangigi Kagai. Con un’ascia, procede poi a rimuovere le zanne dell’animale per evitare che vengano recuperate dai bracconieri. “Nelle ultime settimane lo abbiamo fatto quasi ogni giorno, questa è la prima volta che lo vedo, mi rende particolarmente triste”, sospira.

Il Corno d’Africa soffre di precipitazioni insufficienti dalla fine del 2020. In Kenya, la siccità, conseguenza del cambiamento climatico, ha lasciato alla fame almeno 4 milioni di persone (su una popolazione di oltre 50 milioni), ma anche la sua eccezionale fauna selvatica, che lo rende una popolare destinazione turistica. Secondo il ministro del Turismo, Peninah Malonza, tra febbraio e ottobre sono morti a causa della siccità 205 elefanti, 512 gnu, 381 zebre e 12 giraffe. Ad Amboseli, uno dei due parchi simbolo del Paese insieme al Masai Mara, i pozzi si stanno prosciugando, i pascoli si stanno trasformando in polvere. “Qualche tempo fa ho visto un elefante che era allo stremo delle forze, gli ho dato da bere ma era già troppo tardi. Poco dopo è crollato”, afferma Josphat Wangigi Kagai, sostenendo che le zebre e le antilopi sono le più colpite.

“Questa siccità è terribile perché sta scomparendo tutto: zebre, gnu, giraffe ed elefanti. Non ho mai visto così tanti animali selvatici morti”, dice Kelembu Ole Nkuren, il pastore Maasai che ha trascorso 35 anni della sua vita ad Amboseli. “Prima della siccità, si potevano vedere branchi di elefanti aggirarsi in questa parte del parco, ora non si trovano più”, dice. In una zona remota del parco, corpi in decomposizione di zebre, bufali e antilopi giacciono sul terreno asciutto. Si formano sciami di mosche. “La pozza d’acqua più vicina è a circa 30 km di distanza, era troppo lontana per loro”, dice Josphat Wangigi Kagai.

Secondo Norah Njiraini, membro dal 1985 dell’Amboseli Trust for Elephants, un’organizzazione che studia i pachidermi del parco, da giugno sono morti più di 100 elefanti – su un totale di 2.000 – nel parco Amboseli. Il periodo attuale gli ricorda un altro episodio di siccità, nel 2009, particolarmente letale per gli elefanti. A causa di una mancata previsione, quell’episodio è stato “peggiore di oggi” per gli animali, ha detto. “Nel 2009 abbiamo perso le femmine adulte, quest’anno è diverso perché stiamo perdendo i più giovani”, ha detto. Ad Amboseli, i ranger portano il fieno agli animali a giorni alterni. Nel Parco Nazionale dello Tsavo Est, a circa 140 km a nord, il Kws ha scavato dei pozzi per portare l’acqua in superficie e permettere agli animali di abbeverarsi. Cinquantaquattro elefanti sono morti ancora lì tra febbraio e ottobre. “Secondo le previsioni meteorologiche, le precipitazioni per questa stagione delle piogge (da ottobre a dicembre) non dovrebbero essere sufficienti”, afferma Kenneth Ochieng, direttore del parco, nonostante alcune piogge recenti.

piogge al sud/imago

Meteo, arrivano piogge e neve sul Ponte dell’Immacolata

Inverno pieno con gelo oltralpe, clima mite ed oltre la media termica del periodo in Italia. Continua in questi giorni una situazione abbastanza estrema, con il freddo gelido confinato subito oltralpe, dalla Svizzera all’Austria, fino ovviamente alla Scandinavia passando per Germania, Francia ed Isole Britanniche; di contro si registrano massime di 19-22°C sull’Italia centro meridionale. In altre parole si ha una netta linea di confine tra l’Europa che gela e il nostro paese che vive una fase quasi primaverile. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma infatti che in Italia le temperature sono oltre la media del periodo, ad esclusione della fredda Pianura Padana, interessata da nebbie ed inversione termica. Ma in Europa è tutto il contrario: le temperature massime di Parigi e Londra, anche nei prossimi giorni, stenteranno a superare i 2-3°C in pieno giorno, così come Berlino con qualche fiocco bianco e termometro fisso sugli zero. Oslo e Stoccolma toccheranno ancora i -6/-8°C a pranzo, così come la capitale svizzera che faticherà a diventare ‘positiva’ e continuerà a registrare valori negativi, cioè sottozero.

In Italia si sta vivendo una fase relativamente mite, ma siamo appesi ad un filo: siamo al limite tra il gelo e il caldo anomalo; una normale e blanda perturbazione potrebbe far scendere le masse d’aria gelida, presenti oltralpe, verso il nostro Paese, causando le prime vere nevicate in Pianura Padana.
E’ quello che potrebbe accadere già giovedì 8 dicembre in serata, quando un ciclone sul Mar Ligure potrebbe causare nevicate ‘da rovesciamento’ sul Basso Piemonte: in altre parole l’aria fredda in quota si rovescerebbe nei bassi strati, a causa dell’intensità delle precipitazioni, favorendo nevicate localmente anche in pianura o a quote di bassa collina.

Nel dettaglio, per quanto riguarda le previsioni, sono previste ancora delle piogge al Centro, poi da domani anche il Nord-Ovest vivrà un graduale peggioramento delle condizioni meteo dal pomeriggio. Il Ponte dell’Immacolata potrebbe iniziare benino e finire benino, il problema è che sia venerdì sia sabato saranno due giornate perturbate con piogge diffuse, più intense in Liguria, Toscana e Triveneto; e al di là di qualche fiocco in Pianura Padana, la neve tornerà abbondante soprattutto sulle Alpi. Infine, attenzione anche al vento che nel weekend soffierà teso o forte in particolare al Centro-Sud. Insomma un Ponte dell’Immacolata compromesso ma in grado di regalare anche momenti asciutti e a tratti soleggiati specie al Sud ed al Nord-Ovest.

NEL DETTAGLIO
Mercoledì 7. Al nord: nebbie in pianura con clima freddo, sole sui monti. Al centro: qualche pioggia in Toscana ed Umbria. Al sud: tempo stabile e caldo per il periodo.
Giovedì 8. Al nord: piogge sparse dalla sera, neve localmente in pianura sul Basso Piemonte. Al centro: piogge verso le regioni tirreniche. Al sud: bel tempo e clima caldo per il periodo.
Venerdì 9. Al nord: maltempo con neve fino ai 400 metri sulle Alpi. Al centro: piogge diffuse. Al sud: piogge in arrivo in Campania, soleggiato altrove.
Tendenza. Ciclone nel weekend con crollo termico, piogge e venti tesi; migliora domenica, specie al Nord-Ovest.

Cambiamenti climatici e pesca: barriera corallina ‘in pericolo’

L‘Australia deve intensificare i suoi sforzi per sperare di evitare che la Grande Barriera Corallina venga segnalata come sito del Patrimonio Mondiale “in pericolo“. Secondo esperti dell’Unesco e dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), il degrado dell’ecosistema continua sotto gli effetti combinati del riscaldamento globale e di vari inquinamenti legati all’agricoltura e alla pesca.

La Grande Barriera Corallina è una delle principali attrazioni turistiche dell’Australia e la sua classificazione come sito “a rischio” potrebbe offuscare in modo significativo il suo fascino per i visitatori internazionali. La barriera corallina genera 600.000 posti di lavoro e 3,9 miliardi di euro di entrate ogni anno, secondo le stime dell’Australian Marine Conservation Society. Già nel 2021 l’Australia aveva evitato che l’Unesco inserisse la Grande barriera corallina nella sua lista dei siti del patrimonio mondiale in pericolo, nonostante la preoccupazione della comunità scientifica per il degrado di questo ecosistema unico. Il Comitato del Patrimonio Mondiale aveva deciso di rinviare tale decisione, dopo intense pressioni da parte di Canberra. “Nonostante gli sforzi scientifici e gestionali senza precedenti compiuti negli ultimi anni” dall’Australia, “l’eccezionale valore universale dell’area è significativamente influenzato dai fattori del cambiamento climatico“, afferma il nuovo rapporto in cui si precisa che la capacità del sito di resistere a questi impatti è “sostanzialmente compromessa”, in particolare – ma non esclusivamente – a causa del degrado della qualità dell’acqua. E tutte le misure e i progetti per farvi fronte “mancano di obiettivi chiari” e “non sono pienamente attuati”. Secondo gli autori del rapporto, “sebbene siano stati compiuti notevoli sforzi per ridurre il deflusso di nitrati e fosfati (…), è necessario garantire una riduzione maggiore di questi inquinanti nei prossimi tre anni rispetto a quanto è stato fatto realizzato dal 2009“.

L’Unesco ha lanciato l’allarme sul deterioramento della Grande Barriera Corallina per la prima volta nel 2010. Nel 2021, i membri del Comitato, tra cui Cina, Russia e Arabia Saudita, avevano ritenuto che a Canberra doveva essere concesso più tempo per fare il punto sui suoi sforzi di conservazione.
La ministra dell’Ambiente australiana Tanya Plibersek ha ammesso che la barriera corallina è minacciata, ma ha affermato che inserirla nella lista dei siti del patrimonio mondiale “in pericolo” sarebbe un passo troppo precipitoso. “Chiariremo all’Unesco che non è necessario individuare la Grande barriera corallina in questo modo“, ha detto ai giornalisti. “Se questo sito del patrimonio mondiale è in pericolo, allora la maggior parte dei siti del patrimonio mondiale nel mondo è in pericolo a causa dei cambiamenti climatici“, ha affermato.
Dal canto suo, l’Unesco ha fatto sapere che è in corso “un dialogo costruttivo con l’attuale governo” del primo ministro Anthony Albanese.
A maggio, scienziati australiani hanno riferito che il 91% dei coralli sulla barriera corallina era stato danneggiato dallo sbiancamento dopo una prolungata ondata di caldo estivo.
Una prossima riunione del comitato dell’Unesco è prevista per la metà del 2023, dove potranno essere esaminati i primi risultati delle misure che Canberra vuole intraprendere.

 

Photo credit: Afp

Clima, in Svezia +1,9° dal 1800 e -2 settimane di neve all’anno

La temperatura media della Svezia è aumentata di quasi due gradi Celsius dalla fine del XIX secolo e la copertura nevosa è diminuita di due settimane, mentre le precipitazioni sono aumentate.

La foto la scatta un nuovo rapporto sui cambiamenti climatici dell’Istituto meteorologico e idrologico svedese (SMHI). Secondo il dossier, tra il 1991 e il 2020 la temperatura media del Paese è stata superiore di 1,9 gradi rispetto al periodo compreso tra il 1861 e il 1890.

Lo SMHI ha osservato che la variazione è circa il doppio dei quella delle temperature medie globali nello stesso periodo. L’agenzia meteorologica ha dichiarato di non aver mai effettuato prima un’analisi così estesa, prendendo in considerazione così tanti indicatori diversi del cambiamento climatico. I risultati “mostrano chiaramente che il clima della Svezia è cambiato“, osserva Semjon Schimanke, climatologo e responsabile del progetto presso lo SMHI, in un comunicato.

Il clima più caldo con maggiori precipitazioni in Svezia è legato al riscaldamento globale osservato che deriva dall’influenza umana“, ha aggiunto Erik Kjellstrom, professore di climatologia allo SMHI. Non tutte le serie di osservazioni coprono lo stesso periodo, ha precisato l’agenzia meteorologica, notando che le precipitazioni sono aumentate dal 1930, passando da circa 600 millimetri a quasi 700 millimetri dal 2000. Al contrario, la copertura nevosa invernale nel Paese è diminuita in media di 16 giorni tra il 1991 e il 2020 rispetto al periodo 1961-1990.

Lo SMHI sottolinea che queste osservazioni sono medie annuali e che il quadro diventa più complesso se si considerano regioni o stagioni specifiche. “Ad esempio, l’aumento delle precipitazioni è legato principalmente all’aumento delle precipitazioni in autunno e in inverno, mentre non ci sono tendenze evidenti in primavera e in estate“, ha detto lo SMHI, aggiungendo che “i cambiamenti negli estremi sono generalmente più difficili da identificare“.

Il vertice delle Nazioni Unite sul clima (COP27) si è concluso in Egitto questo fine settimana. Se da un lato ha prodotto un accordo storico sulle misure di finanziamento per aiutare i Paesi vulnerabili a far fronte agli effetti del cambiamento climatico, dall’altro è stato criticato per la sua mancanza di ambizione nella riduzione delle emissioni.

Allerta Onu: “Qualità aria minacciata da un contraccolpo climatico”

Le ondate di calore e gli incendi boschivi diventeranno più frequenti, intensi e duraturi a causa dei cambiamenti climatici, con conseguente degrado della qualità dell’aria e della salute umana. È l’avvertimento lanciato dall’Onu attraverso il nuovo rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM). Una dinamica di rafforzamento reciproco tra inquinamento e riscaldamento globale, si legge nel report, porterà a un “contraccolpo climatico” che colpirà centinaia di milioni di persone.

Il Bollettino annuale dell’OMM sulla qualità dell’aria e il clima si concentra in particolare sull’impatto dei fumi degli incendi boschivi nel 2021, quando, come nel 2020, il caldo e la siccità hanno esacerbato la diffusione dei roghi nel Nord America occidentale e in Siberia, portando a un aumento significativo dei livelli di particolato fine (PM 2,5) dannoso per la salute. “Si prevede che il riscaldamento globale provochi un aumento degli incendi boschivi e dell’inquinamento atmosferico che essi causano, anche se le emissioni sono basse“, afferma il segretario generale dell’OMM Petteri Taalas, sottolineando che questo fenomeno avrà un impatto sulla salute umana, ma anche sugli ecosistemi, poiché gli inquinanti atmosferici si depositano sulla superficie terrestre. “Abbiamo osservato questo processo durante le ondate di calore in Europa e in Cina di quest’anno, quando le condizioni atmosferiche stabili, il forte soleggiamento e i venti deboli hanno favorito alti livelli di inquinamento“, spiega. Secondo le osservazioni globali, la superficie totale annua bruciata mostra una tendenza al ribasso negli ultimi due decenni, grazie alla diminuzione del numero di incendi di savane e praterie.

Tuttavia, su scala continentale, alcune regioni mostrano tendenze all’aumento, tra cui aree del Nord America occidentale, dell’Amazzonia e dell’Australia. Intensi incendi boschivi hanno provocato concentrazioni insolitamente elevate di PM 2,5 in Siberia, Canada e Stati Uniti occidentali nei mesi di luglio e agosto 2021. Nella Siberia orientale, queste concentrazioni hanno raggiunto livelli “mai osservati prima“, secondo l’OMM, soprattutto a causa delle temperature particolarmente elevate e dei terreni aridi. Quello che è successo quest’anno è “un’anticipazione di ciò che accadrà, poiché si prevede un ulteriore aumento della frequenza, dell’intensità e della durata delle ondate di calore, secondo Taalas. Questi sviluppi potrebbero degradare ulteriormente la qualità dell’aria attraverso un fenomeno noto come ‘backwash climatico’, un termine che si riferisce all’effetto di amplificazione che il cambiamento climatico ha sulla produzione di ozono troposferico a scapito dell’aria che respiriamo. Le regioni in cui questo fenomeno sarà più evidente – soprattutto in Asia – ospitano circa un quarto della popolazione mondiale, ha dichiarato ai giornalisti Lorenzo Labrador, scienziato capo dell’OMM. Il cambiamento climatico, intensificando gli episodi di inquinamento da ozono in superficie, potrebbe quindi influire sulla salute di centinaia di milioni di persone.

(Photo credits: EVARISTO SA / AFP)

agricoltura

L’Ue verso un quadro normativo sui certificati di cattura di CO2

Riciclare, rimuovere, immagazzinare in maniera “sostenibile” la CO2 che contribuisce ai cambiamenti climatici in maniera sostanziale. Per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (con zero nuove emissioni nette entro la metà del secolo) l’Unione europea lavora da una parte per tagliare le emissioni di carbonio generate dalla propria economia e attività; dall’altra, intende lavorare a strategie per immagazzinare più carbonio in natura (attraverso l’agricoltura del carbonio, la cosiddetta ‘carbon farming’ o dalle foreste, grazie al loro potenziale naturale di assorbimento della CO2) e promuovere soluzioni industriali e tecnologie per rimuovere e riciclare il carbonio in modo sostenibile e verificabile.

Questo perché anche introducendo misure per ridurre la produzione di carbonio, è importante contrastare l’accumulo di CO2 nell’atmosfera, che rappresenta una delle principali cause del riscaldamento globale. A dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sui “cicli sostenibili del carbonio” fissando l’impegno che entro il 2030 le iniziative di stoccaggio del carbonio nei suoli agricoli portino a immagazzinare 42 Mt (Mega tonnellate) di CO2 nei pozzi di assorbimento naturali europei. “Entro il 2050, ogni tonnellata di CO2 equivalente emessa nell’atmosfera dovrà essere neutralizzata da una tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera” in modo da compensare e contribuire alla neutralità, ovvero zero nuove emissioni nette. Ma è necessario capire come fare a calcolare e verificare le emissioni che sono realmente immagazzinate.

La comunicazione ha solo fissato l’impegno dell’Ue a invertire la rotta, promettendo però che entro il 2022 arriverà un quadro normativo, incentrato su una proposta legislativa per introdurre i certificati delle rimozioni di carbonio, in modo che i dati sull’immagazzinamento siano effettivamente verificabili tra Stati membri. L’esecutivo europeo ha in mano la grande sfida di creare uno schema di certificazione in modo che le misure di rimozione del carbonio siano credibili e trasparenti. Ad esempio, uno dei rischi legati all’assorbimento è che il carbonio venga riemesso nell’atmosfera in modo incontrollato (quella che Bruxelles definisce la “non permanenza” degli assorbimenti).

Tra le azioni per contribuire alla rimozione della CO2, un ruolo importante giocherà l’agricoltura e la promozione di pratiche di coltivazione del carbonio nell’ambito della Politica agricola comune (PAC), come la semina di colture di copertura nei terreni vuoti. Bruxelles punta molto sull’agricoltura smart e sequestro di anidride carbonica dai terreni agricoli per la neutralità climatica. In uno studio ne ha riconosciuto il ruolo per “contribuire in modo significativo agli sforzi dell’UE per affrontare il cambiamento climatico”, con benefici in termini di sequestro e stoccaggio del carbonio ma anche per quanto riguarda l’aumento della biodiversità e la conservazione degli ecosistemi.

emissioni industriali

Cmcc-Ca’ Foscari: “Così il taglio emissioni limita i costi dei consumi”

L’energia necessaria per l’adattamento ai cambiamenti climatici comporterà investimenti e costi energetici più elevati delle stime attuali. Ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni climalteranti avrebbe quindi il vantaggio di evitare una gran parte dei consumi e dei costi energetici dovuti all’adattamento. Questo quanto evidenzia un nuovo studio pubblicato su ‘Nature Communications’ da ricercatrici e ricercatori della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e di LSHTM – London School of Hygiene & Tropical Medicine. L’articolo esamina come l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto abbia un impatto rilevante sui sistemi energetici e quindi sul raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e sui loro costi economici: un aspetto ancora poco esplorato dell’analisi delle politiche climatiche necessarie per la transizione energetica. Perchè, è la tesi della ricerca, “le esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici riducono l’efficacia delle misure di mitigazione delle emissioni, rendendo necessaria una loro revisione che tenga conto dei già evidenti cambiamenti del clima“. La stima del fabbisogno energetico per l’adattamento ai cambiamenti climatici ha insomma “importanti implicazioni per la transizione verso la sostenibilità e la decarbonizzazione delle economie“.

Francesco Pietro Colelli, primo autore dello studio, sottolinea che “adattarsi ai cambiamenti climatici modificando i nostri consumi energetici, come abbiamo fatto in passato, aumenterà la domanda globale di elettricità del 7% entro il 2050 e del 18% al 2100. Considerando che la nostra produzione di elettricità deriva ancora essenzialmente da gas, carbone, e petrolio, c’è il rischio che molti degli investimenti energetici delle prossime decadi siano quindi indirizzati ai combustibili fossili, a scapito delle rinnovabili. Secondo le nostre stime, questo significherebbe ricorrere a circa 30-35 nuovi grandi impianti a gas e 10-15 nuovi grandi impianti a carbone e petrolio ogni anno da qui al 2050“.

In Europa, l’aumento della domanda di elettricità per il raffrescamento degli ambienti sarà più che compensato dalla diminuzione della domanda di combustibili per il riscaldamento, portando in sostanza ad un risparmio energetico da qui a fine secolo. Ciononostante, da qui al 2050, e considerando le attuali politiche per il clima, saranno comunque necessari ulteriori 235 miliardi di euro di investimenti e spese operative per la generazione e la trasmissione di elettricità per il raffrescamento degli ambienti.

Secondo Enrica De Cian, coautrice dello studio e leader del progetto europeo ERC ENERGYA, spiega che “adattarsi alle ondate di calore attraverso l’uso di aria condizionata richiederà anche investimenti aggiuntivi nelle reti e nella produzione di energia. I costi globali per la fornitura di elettricità da qui a fine secolo, comprensivi dei costi di generazione, reti, e combustibili, calcolati in termini di valore attuale, aumenteranno del 21%“. I costi aggiuntivi, sottolinea De Cian “saranno trasferiti ai consumatori attraverso l’aumento del prezzo dell’elettricità, che potrà crescere dal 2 al 6% a seconda della regione considerata. Politiche di mitigazione ambiziose possono tuttavia dimezzare l’aumento dei costi del sistema energetico indotti dall’adattamento, a seconda dell’ambizione degli obiettivi climatici. La riduzione delle spese energetiche per l’adattamento compensa i maggiori costi necessari per la decarbonizzazione, tanto da comportare un beneficio economico netto in termini di costi del sistema energetico in scenari ben al di sotto dei 2 gradi di riscaldamento“.

Colelli sottolinea infine che “l’adattamento ai cambiamenti climatici induce variazioni nei mercati energetici che si traducono in una variazione delle emissioni di gas serra cumulative intorno al 7% da oggi al 2100. Come conseguenza della variazione delle emissioni, politiche di mitigazione ambiziose comporteranno un aumento del prezzo globale del carbonio tra il 5% e il 30%“. Un aspetto che può avere importanti implicazioni per i negoziati internazionali sui cambiamenti climatici.

Mario Draghi

Draghi: “Momento complesso. Con rigassificatori liberi da Russia nel 2024”

Una sfida dopo l’altra. Intervenendo al meeting di Rimini, il premier Mario Draghi, traccia il quadro delle numerose emergenze che affliggono il Paese, cominciando, naturalmente, dall’energia. “L’Italia – annuncia – ha raggiunto l’80% dello stoccaggio di gas, in linea con l’obiettivo del 90% entro l’autunno”, un traguardo importante che permetterà al Paese di diminuire ulteriormente le forniture da parte della Russia. I risultati degli “sforzi” del governo per l’indipendenza da Mosca, ricorda “sono già visibili. A differenza di altri Paesi europei, le forniture di gas russo in Italia sono sempre meno significative, e una loro eventuale interruzione avrebbe un impatto minore di quanto avrebbe avuto in passato“.

In pochi mesi, aggiunge, “abbiamo ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà”. Ma c’è di più. Secondo il presidente del Consiglio dei ministri se la costruzione dei due rigassificatori sarà realizzata nei tempi previsti, “l’Italia sarà completamente indipendente dal gas russo nell’autunno del 2024”.

Tuttavia, oggi “il costo del gas è più di 10 volte il suo valore storico”. “In Europa abbiamo spinto molto sul price cap ma alcuni Paesi temono che Mosca possa nuovamente interrompere le forniture e i frequenti blocchi di questi mesi hanno mostrato i limiti di questa posizione. Così ci troviamo con forniture incerte e prezzi esorbitanti“, puntualizza.

Uno scenario che, inevitabilmente, si ripercuote su famiglie e imprese: “Il notevole aumento dell’inflazione, partito dai costi dell’energia, si è trasmesso sul comparto alimentare” aggravando ancora di più la condizione delle categorie più a rischio, ammette il premier. Inoltre, “il rallentamento della crescita globale si ripercuote negativamente sulle esportazioni e le condizioni di accesso al credito cominciano a peggiorare, questo avrà sicuramente effetti sugli investimenti“.

La questione energetica va certamente di pari passo con l’emergenza siccità. E qui entrano in gioco il cambiamento climatico e l’aumento dell’utilizzo di fonti non rinnovabili per sopravvivere alla crisi, che ‘sospende’ quello delle rinnovabili. Come sottolinea Draghi, invece, è solo “accelerando sulla strada delle energie rinnovabili che si potrà combattere il cambiamento climatico“. Proprio quello che ultimamente si è “manifestato in modo minaccioso – riferisce il l’ex Bce – con fenomeni estremi sono sempre più comuni con conseguenze tragiche, penso al dramma della siccità, che ha colpito in particolare il bacino del Po; allo scioglimento dei ghiacciai come quello della Marmolada; ai violenti nubifragi“, aggiunge.

Dal 1931 a oggi dimezzato il volume dei ghiacciai svizzeri

I ghiacciai svizzeri hanno perso metà del loro volume dal 1931 a oggi. È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Federale di Tecnologia di Zurigo (ETH Zurigo) e dell’Istituto Federale per la Ricerca su Foresta, Neve e Paesaggio (WSL), che ha ricostruito la topografia dell’insieme dei ghiacciai svizzeri, che esiste dal 1931. Lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi – che gli esperti attribuiscono al riscaldamento globale – è stato monitorato da vicino dall’inizio degli anni 2000. Ma i ricercatori non sapevano molto della loro evoluzione nei decenni precedenti, perché allora solo pochi ghiacciai erano stati seguiti da vicino. “Sulla base di queste ricostruzioni e del confronto con i dati degli anni 2000, i ricercatori concludono che il volume del ghiacciaio è stato dimezzato tra il 1931 e il 2016“, hanno affermato ETHZ e WSL in una nota.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica La Cryosphère. I glaciologi hanno utilizzato immagini d’archivio (21.700 fotografie scattate tra il 1916 e il 1947) in grano di raffigurare l’86% della superficie glaciale svizzera e la stereofotogrammetria, una tecnica che determina la natura, la forma e la posizione di un oggetto usando le immagini. “Se conosciamo la topografia della superficie di un ghiacciaio in due momenti diversi, possiamo calcolare la differenza nel volume del ghiaccio“, spiega l’autore principale dello studio, Erik Schytt Mannerfelt.

Il ghiacciaio Fiescher, ad esempio, di cui nel 2021 erano rimaste solo alcune minuscole macchie bianche, nel 1928 sembrava un enorme mare di ghiaccio. I ghiacciai, però, non si sono ritirati continuamente nell’ultimo secolo, affermano gli scienziati. Hanno anche sperimentato episodi di crescita di massa negli anni ’20 e ’80 del 1900. Nonostante questa crescita nel breve periodo, “il confronto tra gli anni 1931 e 2016 mostra chiaramente che si è verificato un significativo ritiro glaciale“, dice uno degli autori dello studio, Daniel Farinotti, professore di glaciologia all’ETHZ e WSL. E ora i ghiacciai si stanno sciogliendo a un ritmo sempre più rapido.

Mentre hanno perso il 50% del loro volume tra il 1931 e il 2016, ci sono voluti solo sei anni – tra il 2016 e il 2022 – per perderne il 12%, secondo la rete svizzera di rilevamento dei ghiacciai GLAMOS. Per Farinotti l’evidenza è inconfutabile: “Il ritiro dei ghiacciai sta accelerando“.

(Photo credits: Fabrice COFFRINI / AFP)