Allerta Onu: “Qualità aria minacciata da un contraccolpo climatico”

Le ondate di calore e gli incendi boschivi diventeranno più frequenti, intensi e duraturi a causa dei cambiamenti climatici, con conseguente degrado della qualità dell’aria e della salute umana. È l’avvertimento lanciato dall’Onu attraverso il nuovo rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM). Una dinamica di rafforzamento reciproco tra inquinamento e riscaldamento globale, si legge nel report, porterà a un “contraccolpo climatico” che colpirà centinaia di milioni di persone.

Il Bollettino annuale dell’OMM sulla qualità dell’aria e il clima si concentra in particolare sull’impatto dei fumi degli incendi boschivi nel 2021, quando, come nel 2020, il caldo e la siccità hanno esacerbato la diffusione dei roghi nel Nord America occidentale e in Siberia, portando a un aumento significativo dei livelli di particolato fine (PM 2,5) dannoso per la salute. “Si prevede che il riscaldamento globale provochi un aumento degli incendi boschivi e dell’inquinamento atmosferico che essi causano, anche se le emissioni sono basse“, afferma il segretario generale dell’OMM Petteri Taalas, sottolineando che questo fenomeno avrà un impatto sulla salute umana, ma anche sugli ecosistemi, poiché gli inquinanti atmosferici si depositano sulla superficie terrestre. “Abbiamo osservato questo processo durante le ondate di calore in Europa e in Cina di quest’anno, quando le condizioni atmosferiche stabili, il forte soleggiamento e i venti deboli hanno favorito alti livelli di inquinamento“, spiega. Secondo le osservazioni globali, la superficie totale annua bruciata mostra una tendenza al ribasso negli ultimi due decenni, grazie alla diminuzione del numero di incendi di savane e praterie.

Tuttavia, su scala continentale, alcune regioni mostrano tendenze all’aumento, tra cui aree del Nord America occidentale, dell’Amazzonia e dell’Australia. Intensi incendi boschivi hanno provocato concentrazioni insolitamente elevate di PM 2,5 in Siberia, Canada e Stati Uniti occidentali nei mesi di luglio e agosto 2021. Nella Siberia orientale, queste concentrazioni hanno raggiunto livelli “mai osservati prima“, secondo l’OMM, soprattutto a causa delle temperature particolarmente elevate e dei terreni aridi. Quello che è successo quest’anno è “un’anticipazione di ciò che accadrà, poiché si prevede un ulteriore aumento della frequenza, dell’intensità e della durata delle ondate di calore, secondo Taalas. Questi sviluppi potrebbero degradare ulteriormente la qualità dell’aria attraverso un fenomeno noto come ‘backwash climatico’, un termine che si riferisce all’effetto di amplificazione che il cambiamento climatico ha sulla produzione di ozono troposferico a scapito dell’aria che respiriamo. Le regioni in cui questo fenomeno sarà più evidente – soprattutto in Asia – ospitano circa un quarto della popolazione mondiale, ha dichiarato ai giornalisti Lorenzo Labrador, scienziato capo dell’OMM. Il cambiamento climatico, intensificando gli episodi di inquinamento da ozono in superficie, potrebbe quindi influire sulla salute di centinaia di milioni di persone.

(Photo credits: EVARISTO SA / AFP)

agricoltura

L’Ue verso un quadro normativo sui certificati di cattura di CO2

Riciclare, rimuovere, immagazzinare in maniera “sostenibile” la CO2 che contribuisce ai cambiamenti climatici in maniera sostanziale. Per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (con zero nuove emissioni nette entro la metà del secolo) l’Unione europea lavora da una parte per tagliare le emissioni di carbonio generate dalla propria economia e attività; dall’altra, intende lavorare a strategie per immagazzinare più carbonio in natura (attraverso l’agricoltura del carbonio, la cosiddetta ‘carbon farming’ o dalle foreste, grazie al loro potenziale naturale di assorbimento della CO2) e promuovere soluzioni industriali e tecnologie per rimuovere e riciclare il carbonio in modo sostenibile e verificabile.

Questo perché anche introducendo misure per ridurre la produzione di carbonio, è importante contrastare l’accumulo di CO2 nell’atmosfera, che rappresenta una delle principali cause del riscaldamento globale. A dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sui “cicli sostenibili del carbonio” fissando l’impegno che entro il 2030 le iniziative di stoccaggio del carbonio nei suoli agricoli portino a immagazzinare 42 Mt (Mega tonnellate) di CO2 nei pozzi di assorbimento naturali europei. “Entro il 2050, ogni tonnellata di CO2 equivalente emessa nell’atmosfera dovrà essere neutralizzata da una tonnellata di CO2 rimossa dall’atmosfera” in modo da compensare e contribuire alla neutralità, ovvero zero nuove emissioni nette. Ma è necessario capire come fare a calcolare e verificare le emissioni che sono realmente immagazzinate.

La comunicazione ha solo fissato l’impegno dell’Ue a invertire la rotta, promettendo però che entro il 2022 arriverà un quadro normativo, incentrato su una proposta legislativa per introdurre i certificati delle rimozioni di carbonio, in modo che i dati sull’immagazzinamento siano effettivamente verificabili tra Stati membri. L’esecutivo europeo ha in mano la grande sfida di creare uno schema di certificazione in modo che le misure di rimozione del carbonio siano credibili e trasparenti. Ad esempio, uno dei rischi legati all’assorbimento è che il carbonio venga riemesso nell’atmosfera in modo incontrollato (quella che Bruxelles definisce la “non permanenza” degli assorbimenti).

Tra le azioni per contribuire alla rimozione della CO2, un ruolo importante giocherà l’agricoltura e la promozione di pratiche di coltivazione del carbonio nell’ambito della Politica agricola comune (PAC), come la semina di colture di copertura nei terreni vuoti. Bruxelles punta molto sull’agricoltura smart e sequestro di anidride carbonica dai terreni agricoli per la neutralità climatica. In uno studio ne ha riconosciuto il ruolo per “contribuire in modo significativo agli sforzi dell’UE per affrontare il cambiamento climatico”, con benefici in termini di sequestro e stoccaggio del carbonio ma anche per quanto riguarda l’aumento della biodiversità e la conservazione degli ecosistemi.

emissioni industriali

Cmcc-Ca’ Foscari: “Così il taglio emissioni limita i costi dei consumi”

L’energia necessaria per l’adattamento ai cambiamenti climatici comporterà investimenti e costi energetici più elevati delle stime attuali. Ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni climalteranti avrebbe quindi il vantaggio di evitare una gran parte dei consumi e dei costi energetici dovuti all’adattamento. Questo quanto evidenzia un nuovo studio pubblicato su ‘Nature Communications’ da ricercatrici e ricercatori della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e di LSHTM – London School of Hygiene & Tropical Medicine. L’articolo esamina come l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto abbia un impatto rilevante sui sistemi energetici e quindi sul raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e sui loro costi economici: un aspetto ancora poco esplorato dell’analisi delle politiche climatiche necessarie per la transizione energetica. Perchè, è la tesi della ricerca, “le esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici riducono l’efficacia delle misure di mitigazione delle emissioni, rendendo necessaria una loro revisione che tenga conto dei già evidenti cambiamenti del clima“. La stima del fabbisogno energetico per l’adattamento ai cambiamenti climatici ha insomma “importanti implicazioni per la transizione verso la sostenibilità e la decarbonizzazione delle economie“.

Francesco Pietro Colelli, primo autore dello studio, sottolinea che “adattarsi ai cambiamenti climatici modificando i nostri consumi energetici, come abbiamo fatto in passato, aumenterà la domanda globale di elettricità del 7% entro il 2050 e del 18% al 2100. Considerando che la nostra produzione di elettricità deriva ancora essenzialmente da gas, carbone, e petrolio, c’è il rischio che molti degli investimenti energetici delle prossime decadi siano quindi indirizzati ai combustibili fossili, a scapito delle rinnovabili. Secondo le nostre stime, questo significherebbe ricorrere a circa 30-35 nuovi grandi impianti a gas e 10-15 nuovi grandi impianti a carbone e petrolio ogni anno da qui al 2050“.

In Europa, l’aumento della domanda di elettricità per il raffrescamento degli ambienti sarà più che compensato dalla diminuzione della domanda di combustibili per il riscaldamento, portando in sostanza ad un risparmio energetico da qui a fine secolo. Ciononostante, da qui al 2050, e considerando le attuali politiche per il clima, saranno comunque necessari ulteriori 235 miliardi di euro di investimenti e spese operative per la generazione e la trasmissione di elettricità per il raffrescamento degli ambienti.

Secondo Enrica De Cian, coautrice dello studio e leader del progetto europeo ERC ENERGYA, spiega che “adattarsi alle ondate di calore attraverso l’uso di aria condizionata richiederà anche investimenti aggiuntivi nelle reti e nella produzione di energia. I costi globali per la fornitura di elettricità da qui a fine secolo, comprensivi dei costi di generazione, reti, e combustibili, calcolati in termini di valore attuale, aumenteranno del 21%“. I costi aggiuntivi, sottolinea De Cian “saranno trasferiti ai consumatori attraverso l’aumento del prezzo dell’elettricità, che potrà crescere dal 2 al 6% a seconda della regione considerata. Politiche di mitigazione ambiziose possono tuttavia dimezzare l’aumento dei costi del sistema energetico indotti dall’adattamento, a seconda dell’ambizione degli obiettivi climatici. La riduzione delle spese energetiche per l’adattamento compensa i maggiori costi necessari per la decarbonizzazione, tanto da comportare un beneficio economico netto in termini di costi del sistema energetico in scenari ben al di sotto dei 2 gradi di riscaldamento“.

Colelli sottolinea infine che “l’adattamento ai cambiamenti climatici induce variazioni nei mercati energetici che si traducono in una variazione delle emissioni di gas serra cumulative intorno al 7% da oggi al 2100. Come conseguenza della variazione delle emissioni, politiche di mitigazione ambiziose comporteranno un aumento del prezzo globale del carbonio tra il 5% e il 30%“. Un aspetto che può avere importanti implicazioni per i negoziati internazionali sui cambiamenti climatici.

Mario Draghi

Draghi: “Momento complesso. Con rigassificatori liberi da Russia nel 2024”

Una sfida dopo l’altra. Intervenendo al meeting di Rimini, il premier Mario Draghi, traccia il quadro delle numerose emergenze che affliggono il Paese, cominciando, naturalmente, dall’energia. “L’Italia – annuncia – ha raggiunto l’80% dello stoccaggio di gas, in linea con l’obiettivo del 90% entro l’autunno”, un traguardo importante che permetterà al Paese di diminuire ulteriormente le forniture da parte della Russia. I risultati degli “sforzi” del governo per l’indipendenza da Mosca, ricorda “sono già visibili. A differenza di altri Paesi europei, le forniture di gas russo in Italia sono sempre meno significative, e una loro eventuale interruzione avrebbe un impatto minore di quanto avrebbe avuto in passato“.

In pochi mesi, aggiunge, “abbiamo ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà”. Ma c’è di più. Secondo il presidente del Consiglio dei ministri se la costruzione dei due rigassificatori sarà realizzata nei tempi previsti, “l’Italia sarà completamente indipendente dal gas russo nell’autunno del 2024”.

Tuttavia, oggi “il costo del gas è più di 10 volte il suo valore storico”. “In Europa abbiamo spinto molto sul price cap ma alcuni Paesi temono che Mosca possa nuovamente interrompere le forniture e i frequenti blocchi di questi mesi hanno mostrato i limiti di questa posizione. Così ci troviamo con forniture incerte e prezzi esorbitanti“, puntualizza.

Uno scenario che, inevitabilmente, si ripercuote su famiglie e imprese: “Il notevole aumento dell’inflazione, partito dai costi dell’energia, si è trasmesso sul comparto alimentare” aggravando ancora di più la condizione delle categorie più a rischio, ammette il premier. Inoltre, “il rallentamento della crescita globale si ripercuote negativamente sulle esportazioni e le condizioni di accesso al credito cominciano a peggiorare, questo avrà sicuramente effetti sugli investimenti“.

La questione energetica va certamente di pari passo con l’emergenza siccità. E qui entrano in gioco il cambiamento climatico e l’aumento dell’utilizzo di fonti non rinnovabili per sopravvivere alla crisi, che ‘sospende’ quello delle rinnovabili. Come sottolinea Draghi, invece, è solo “accelerando sulla strada delle energie rinnovabili che si potrà combattere il cambiamento climatico“. Proprio quello che ultimamente si è “manifestato in modo minaccioso – riferisce il l’ex Bce – con fenomeni estremi sono sempre più comuni con conseguenze tragiche, penso al dramma della siccità, che ha colpito in particolare il bacino del Po; allo scioglimento dei ghiacciai come quello della Marmolada; ai violenti nubifragi“, aggiunge.

Dal 1931 a oggi dimezzato il volume dei ghiacciai svizzeri

I ghiacciai svizzeri hanno perso metà del loro volume dal 1931 a oggi. È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Federale di Tecnologia di Zurigo (ETH Zurigo) e dell’Istituto Federale per la Ricerca su Foresta, Neve e Paesaggio (WSL), che ha ricostruito la topografia dell’insieme dei ghiacciai svizzeri, che esiste dal 1931. Lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi – che gli esperti attribuiscono al riscaldamento globale – è stato monitorato da vicino dall’inizio degli anni 2000. Ma i ricercatori non sapevano molto della loro evoluzione nei decenni precedenti, perché allora solo pochi ghiacciai erano stati seguiti da vicino. “Sulla base di queste ricostruzioni e del confronto con i dati degli anni 2000, i ricercatori concludono che il volume del ghiacciaio è stato dimezzato tra il 1931 e il 2016“, hanno affermato ETHZ e WSL in una nota.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica La Cryosphère. I glaciologi hanno utilizzato immagini d’archivio (21.700 fotografie scattate tra il 1916 e il 1947) in grano di raffigurare l’86% della superficie glaciale svizzera e la stereofotogrammetria, una tecnica che determina la natura, la forma e la posizione di un oggetto usando le immagini. “Se conosciamo la topografia della superficie di un ghiacciaio in due momenti diversi, possiamo calcolare la differenza nel volume del ghiaccio“, spiega l’autore principale dello studio, Erik Schytt Mannerfelt.

Il ghiacciaio Fiescher, ad esempio, di cui nel 2021 erano rimaste solo alcune minuscole macchie bianche, nel 1928 sembrava un enorme mare di ghiaccio. I ghiacciai, però, non si sono ritirati continuamente nell’ultimo secolo, affermano gli scienziati. Hanno anche sperimentato episodi di crescita di massa negli anni ’20 e ’80 del 1900. Nonostante questa crescita nel breve periodo, “il confronto tra gli anni 1931 e 2016 mostra chiaramente che si è verificato un significativo ritiro glaciale“, dice uno degli autori dello studio, Daniel Farinotti, professore di glaciologia all’ETHZ e WSL. E ora i ghiacciai si stanno sciogliendo a un ritmo sempre più rapido.

Mentre hanno perso il 50% del loro volume tra il 1931 e il 2016, ci sono voluti solo sei anni – tra il 2016 e il 2022 – per perderne il 12%, secondo la rete svizzera di rilevamento dei ghiacciai GLAMOS. Per Farinotti l’evidenza è inconfutabile: “Il ritiro dei ghiacciai sta accelerando“.

(Photo credits: Fabrice COFFRINI / AFP)

supermercato

Waitrose annuncia lo stop al ‘da consumarsi preferibilmente entro il’

Eliminare la dicitura ‘da consumarsi preferibilmente entro il‘ dai prodotti in modo da evitare gli sprechi alimentari. È, in sintesi, l’annuncio di Waitrose, importante catena di supermercati del Regno Unito, che da settembre rimuoverà la dicitura su quasi 500 prodotti freschi, tra cui ortaggi e frutta. La rimozione della data è stata pensata per ridurre il volume degli sprechi alimentari nelle famiglie del Regno Unito, invitando i clienti ad usare il proprio giudizio. C’è, infatti, una netta differenza tra un prodotto scaduto e quindi rischioso per la saluta (da consumarsi entro il) e uno che invece ha solo perso alcune delle sue qualità specifiche. Il ‘da consumarsi preferibilmente entro il’ è stato concepito per evidenziare la qualità degli alimenti per i clienti, piuttosto che la loro sicurezza, vale a dire che gli alimenti danno il meglio di sé prima di questa data, ma possono ancora essere consumati dopo. I clienti sono quindi invitati ad usare il proprio giudizio per verificare la qualità degli alimenti prima di consumarli. Le date di scadenza saranno invece ancora in vigore per tutti i prodotti a rischio deperibilità. Il consumo di alimenti dopo la data di scadenza (a meno che non siano stati congelati entro la data di scadenza o prima) potrebbe causare un’intossicazione alimentare.

Lo spreco di cibo continua a essere un problema importante e solo nel Regno Unito il 70% di tutto il cibo viene sprecato dalle persone nelle proprie case. Ogni anno le famiglie britanniche buttano via 4,5 milioni di tonnellate di cibo commestibile, il che significa che tutta l’energia e le risorse utilizzate nella produzione vengono sprecate”, commenta Marija Rompani, director of Sustainability & Ethics, John Lewis Partnership. Per questo, aggiunge, “eliminando le date di scadenza dai nostri prodotti, vogliamo che i nostri clienti usino il loro giudizio per decidere se un prodotto è buono da mangiare o meno, il che a sua volta aumenterà le possibilità che venga consumato e non diventi un rifiuto. Utilizzando gli alimenti freschi già presenti nelle nostre case, possiamo anche risparmiare sulla spesa settimanale, che sta diventando una preoccupazione sempre più pressante per molti”.

Una azione in linea con quella del WRAP, programma di azione britannico che si occupa di sprechi e risorse. Catherine David, Direttrice della Collaborazione e del Cambiamento del WRAP, afferma: “Lo spreco di cibo alimenta il cambiamento climatico e costa ai cittadini. Le date di scadenza su frutta e verdura non sono necessarie e creano sprechi alimentari perché impediscono alle persone di valutare quando il cibo è ancora buono da mangiare. Siamo assolutamente soddisfatti di questa iniziativa di Waitrose, che contribuirà a evitare che il cibo buono finisca nella spazzatura. Stimiamo che l’eliminazione delle date su frutta e verdura fresche potrebbe salvare l’equivalente di 7 milioni di cestini di cibo dalla spazzatura, una quantità enorme”.

(Photo credits: HOLLIE ADAMS / AFP)

Piante grasse

In Sudafrica piante grasse minacciate da siccità e traffico illegale

Il riscaldamento globale e i collezionisti stanno decimando le piante grasse in Sudafrica. L’allarme arriva dal South African National Biodiversity Institute (SANBI), ente pubblico di ricerca, secondo il quale le succulente che crescono nelle regioni semi-aride del Paese stanno vivendo un declino senza precedenti a seguito di un rapido aumento della domanda mondiale, spinta dall’Asia. “Negli ultimi tre anni, le piante confiscate ai trafficanti dalle forze dell’ordine sono aumentate ogni anno di oltre il 250%“, ha affermato l’istituto in una nota.

Più di 200 piante grasse sono state aggiunte alla ‘lista rossa’ delle specie minacciate dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), aggiornata la scorsa settimana. Sono particolarmente ricercate alcune specie uniche che crescono nel Karoo, un’ecoregione condivisa tra Sud Africa e Namibia che comprende alcune delle aree desertiche e semi-desertiche più ricche di biodiversità al mondo. “La maggior parte delle persone che li acquista non ha idea di infrangere la legge“, spiega Craig Hilton-Taylor dell’IUCN. “Ignoranti o ingenui, dicono a loro stessi semplicemente che questa pianta starà bene nella loro casa o nel loro giardino“, aggiunge.

Come spiega l’esperto, la raccolta illegale, la siccità a lungo termine legata ai cambiamenti climatici e il continuo degrado del suolo dovuto al pascolo eccessivo del bestiame e all’attività mineraria “creano insieme una tempesta devastante che sta causando una perdita di biodiversità senza precedenti nell’ecosistema del deserto, il più ricco del mondo“.

Il traffico illegale di piante, insieme a quello di animali selvatici e, ovviamente, alla droga, è uno dei più redditizi. Nemmeno due anni fa nelle Marche erano stati sequestrati quasi mille cactus a causa di un trafficante che le aveva importate illegalmente dal Cile e dell’Argentina. Se la propagazione di numerose succulente è relativamente semplice e quindi è possibile trasformarle in un prodotto commerciale, ci sono decine di piante grasse che, invece, possono crescere solo nel deserto del Sudafrica. Ed è proprio qui che i trafficanti agiscono, arginando la legge.

(Photo credits: RIJASOLO / AFP)

Orso polare

Il futuro degli orsi polari dell’Artico dipende da noi

Il cambiamento climatico sta mettendo in serio pericolo gli orsi polari dell’Artico. Negli ultimi 50 anni, infatti, il ghiaccio marino in Artico, ovvero quella parte di mare ghiacciato su cui l’animale abitualmente vive e caccia, “nel periodo estivo è diminuito del 40%. Inoltre è aumentata la frequenza di episodi estremi di aumenti di temperatura come avvenuto questo maggio, in cui si è passati da -20°C a + 13°C in un mese“. A lanciare l’allarme è Marco Casula, tecnico dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) di Venezia e station leader della base artica Dirigibile Italia del Cnr, attualmente a Ny-Alesund, centro internazionale di ricerca nelle Isole Svalbard a circa 1000 km dal Polo Nord.

In quest’area al momento si contano circa 3000 orsi e di questi almeno 800 vivono sulle isole. “L’orso polare – dice Casula – è un animale attivo tutto l’anno, molto intelligente, silenzioso ed astuto, estremamente adattato all’ambiente in cui vive: ad esempio la sua pelliccia è formata da singoli peli trasparenti e vuoti, che nel loro insieme risultano bianchi perché al loro interno disperdono e riflettono la luce visibile“.

Nonostante riesca a cacciare e a nutrirsi di renne, uova e tutto ciò che riesce a trovare, l’orso fa sempre più fatica a reperire le foche, ovvero l’alimento base della sua dieta caratterizzata da una carne grassa, in grado di fornirgli le giuste energie per sopravvivere in salute nelle varie stagioni. “Il timore – spiega Casula – è che questa difficoltà possa mettere a rischio questo animale maestoso, all’apice della rete alimentare, un tempo il padrone indiscusso dell’Artico“.

La causa di questa fragilità, che rende l’orso polare così vulnerabile, è stata nei decenni passati una caccia sconsiderata da parte dell’uomo ma oggi è soprattutto il cambiamento climatico a metterlo in serio pericolo.

Proprio a Ny-Alesund, grazie a diversi strumenti e sensori montati su una torre alta 35 metri, i ricercatori del Cnr hanno registrato un aumento della temperatura media annua in Artico di circa 3 gradi centigradi in soli 10 anni. L’Artico, spiega Casula,è vittima di quello che stiamo facendo a livello globale, e quello che succede in Artico a sua volta ha un impatto anche sul clima di tutto il pianeta“. Già, perché “le correnti atmosferiche e oceaniche connettono questa regione polare con altre zone della terra, con un potenziale effetto sulle stagioni come le abbiamo conosciute finora“.

Per tutti questi motivi, spiega il ricercatore, “dobbiamo impegnarci tutti per ridurre le nostre emissioni di gas climalteranti. Con le nostre scelte possiamo fare molto, perché la transizione verso un sistema più sostenibile sia il più veloce possibile. Ricordarcelo è ancora più importante in questi giorni in cui i giovani dei Fridays for future si stanno riunendo a Torino, è soprattutto da loro, dalle nuove generazioni, che attendiamo l’impegno e l’energia per guardare con fiducia al nostro futuro“.

E proprio di clima di parlerà a Torino il 26 luglio nel corso della conferenza ‘8 anni per fermare la crisi climatica’, che vede coinvolti, tra gli altri, il direttore dell’Istituto di geoscienze e georisorse (Cnr-Igg) Antonello Provenzale ed Elisa Palazzi, ricercatrice associata dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac). L’evento, in programma dalle 17.30 presso l’aula magna del Campus Einaudi, è moderato dal fondatore di Torino Respira Roberto Mezzalama: partecipano attivisti, esperti, e ha lo scopo di aumentare la sensibilizzazione verso l’intera cittadinanza sul fronte del contrasto all’emergenza climatica.

(Photo credits: Ekaterina ANISIMOVA / AFP)

Cop27 e Cop15 vicine. Il Papa: “Esiste ‘debito ecologico’”

Papa Francesco guarda con ansia e speranza ai prossimi due appuntamenti internazionali sul clima: il Cop27 in Egitto a novembre e il Cop15 sulla Biodiversità in Canada a dicembre. Si appella ai leader, ma avverte: gli impegni siano proporzionali.

Esiste un ‘debito ecologico’ impossibile da ignorare, ricorda, delle nazioni economicamente più ricche, che “hanno inquinato di più negli ultimi due secoli. Questo significa, scrive nel messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera della Cura del creato (1 settembre), che i ricchi dovranno compiere “passi più ambiziosi” nei propri confini e sostenere finanziariamente e tecnicamente le i poveri, che “stanno già subendo il peso maggiore della crisi climatica“, puntualizza.

Anche i Paesi meno ricchi hanno responsabilità significative, ma “diversificate”, è la posizione del Pontefice: “I ritardi degli altri non possono mai giustificare la propria inazione“. Esorta ad agire, tutti, “con decisione” prima del “punto di rottura“.

L’obiettivo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C è “impegnativo” da raggiungere, riconosce, ma proprio per questo richiede la collaborazione tra tutte le nazioni a presentare piani climatici, o contributi più ambiziosi, per ridurre a zero le emissioni nette di gas serra “il più urgentemente possibile“. A livello pratico, si tratta di ‘convertire’ i modelli di consumo e di produzione, ma anche gli stili di vita, in una direzione “più rispettosa nei confronti del creato e dello sviluppo umano integrale di tutti i popoli presenti e futuri, uno sviluppo fondato sulla responsabilità, sulla prudenza/precauzione, sulla solidarietà e sull’attenzione ai poveri e alle generazioni future“.

Va ascoltato quindi il coro di grida che si leva dal Pianeta: quello di “sorella madre terra“, che geme in balia dei “nostri eccessi consumistici” e implora di “fermare i nostri abusi e la sua distruzione“; quello dei “nostri figli“, adolescenti “minacciati da miope egoismo” che chiedono aiuto e si appellano continuamente agli adulti; quello dei popoli nativi, i cui territori, a causa di “interessi economici predatori“, vengono “invasi e devastati“. “Dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita“, esorta, perché lo stato di degrado della nostra casa comune “merita la stessa attenzione di altre sfide globali quali le gravi crisi sanitarie e i conflitti bellici“.

Farfalle

Tigri selvatiche in aumento, a rischio farfalla monaca e storioni

Le tigri selvatiche sono il 40% più numerose in tutto il mondo di quanto si pensasse in precedenza e la popolazione di Panthera tigris “sembra stabilizzarsi o addirittura aumentare“, sebbene rimanga una specie minacciata, come ha rivelato l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. Al contrario, la monarca migratrice, una maestosa farfalla in grado di percorrere migliaia di chilometri ogni anno per riprodursi, è entrata a far parte della Lista Rossa dell’Iucn, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici e della distruzione dell’habitat.

L’ultima valutazione della popolazione mondiale di tigri in libertà risale al 2015 e il nuovo conteggio stima il numero di questi eleganti felini dalla pelliccia a strisce arancioni e nere tra i 3.726 e i 5.578 esemplari. Il balzo del 40% “si spiega con i miglioramenti nelle tecniche di monitoraggio, che dimostrano che ci sono più tigri di quanto si pensasse in precedenza e che il numero globale di tigri sembra essere stabile o in aumento“, ha scritto l’Iucn nell’aggiornamento della sua storica Lista Rossa delle Specie Minacciate.

Le tendenze della popolazione indicano che progetti come il Programma Integrato di Conservazione dell’Habitat della Tigre dell’Iucn sono efficaci e che la ripresa è possibile fintanto che gli sforzi di conservazione continuano“, osserva l’Iucn, che conta più di 1.400 organizzazioni associate. Tuttavia, la tigre non è fuori pericolo e rimane una specie minacciata. “Le principali minacce includono il bracconaggio delle tigri, la caccia e il bracconaggio delle loro prede, la frammentazione e la distruzione dell’habitat a causa della crescente pressione esercitata dall’agricoltura e dagli insediamenti umani“, ha dichiarato l’Iucn.

farfalla

Al contrario, la farfalla monarca migratrice, una sottospecie della farfalla monarca (Danaus plexippus), ha visto la sua popolazione in Nord America diminuire “tra il 22% e il 72% nell’ultimo decennio“, osserva la Iucn. “Questo aggiornamento della Lista Rossa evidenzia la fragilità di meraviglie naturali come lo spettacolo unico delle farfalle monarca che migrano per migliaia di chilometri“, ha dichiarato Bruno Oberle, direttore generale dell’Iucn. Il disboscamento, la deforestazione, i pesticidi e gli erbicidi “uccidono le farfalle e l’alga, la pianta ospite di cui si nutrono le larve della farfalla monarca“, ha dichiarato l’Iucn. “È doloroso vedere le farfalle monarca e la loro straordinaria migrazione sull’orlo del collasso“, ha dichiarato Anna Walker della New Mexico BioPark Society, che ha condotto la valutazione della farfalla monarca.

La popolazione occidentale è diminuita di circa il 99,9% dagli anni Ottanta. La popolazione orientale più numerosa è diminuita dell’84% tra il 1996 e il 2014. Anche la situazione degli storioni – anch’essi migratori – è andata di male in peggio, compreso il beluga, noto per le uova e la carne di caviale, secondo l’elenco.