Stop alla carne coltivata, ultimo passaggio alla Camera. Ma è scontro con l’opposizione

L’ultimo step. Dopo il via libera del Senato, ora manca solo il passaggio nell’aula di Montecitorio per approvare in via definitiva il disegno di legge che vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati, nonché il divieto della denominazione di carne per quei prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. In poche parole, quello che due scuole di pensiero chiama, rispettivamente, carne sintetica (i contrari) o carne coltivata (i favorevoli). Il ddl è firmato dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che sin dal primo momento in cui il tema è balzato agli onori delle cronache per la discussione aperta a Bruxelles, si era schierato decisamente dalla parte del no. Soprattutto per difendere la qualità dei prodotti italiani e dei produttori. Da questo assunto prende corpo il provvedimento.

Tesi che non ha mai convinto una parte consistente delle opposizioni. Ad esempio i Cinquestelle, che invece sono molto d’accordo con questa nuova tecnica, al punto che il garante e co-fondatore del Movimento, Beppe Grillo, tramite il suo blog, diffuse nel marzo scorso un post per raccontare l’esperienza della società californiana Good Meat, che ha ricevuto il via libera della Food and drug administration per vendere il suo prodotto a base di pollo coltivato in laboratorio. Da allora la posizione del M5S non è mai cambiata: “Un provvedimento ideologico, che non porta alcun vantaggio all’Italia o agli italiani, se non ad alcune specifiche categorie“, commenta infatti la deputata Carmen Di Lauro, bocciando il ddl del governo e della maggioranza in discussione alla Camera. “Pur di difendere gli interessi di allevatori e produttori di carne, il governo se ne infischia della salute degli esseri umani, dell’ambiente, del benessere animale e del progresso scientifico“, rincara la dose la parlamentare pentastellata. Che è in buona compagnia, perché dal Pd è il capogruppo in commissione Agricoltura di Montecitorio, Stefano Vaccari, intervenendo in aula durante la discussione generale sul ddl, ad accusare l’esecutivo di aver varato “un provvedimento nato per dare fiato alla propaganda piuttosto che per intervenire su un tema complesso che avrebbe richiesto equilibrio, responsabilità e assonanza con le indicazioni dell’Unione europea“. Non è da meno Eleonora Evi, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputata di Avs: “Oscurantista, retrogrado, ideologico, dannoso e potenzialmente un salasso per i cittadini italiani: questa è, a mio avviso, la descrizione di questo ddl che non smentisce l’azione repressiva e punitiva che questo governo ha dimostrato finora“.

La maggioranza, però, non si scompone e tira dritto. “Il governo sta dimostrando grande coraggio nel difendere i prodotti di qualità e questo disegno di legge sulla Carne sintetica lo dimostra. Con questo provvedimento salvaguardiamo il prodotto d’eccellenza italiano e, allo stesso tempo, il valore del lavoro di agricoltori e allevatori“, replica alle accuse la vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Augusta Montaruli. “La carne coltivata è pericolosa“, commenta in aula il vicepresidente di Noi moderati, Pino Bicchielli. Che aggiunge: “Gli esperimenti sulla carne coltivata sono un grande business, e vengono spesso giustificati col tema della sostenibilità ambientale, ma per Coldiretti viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali e, soprattutto, non ci sono garanzie sulle conseguenze dell’assunzione da parte del corpo umano di prodotti sostanzialmente chimici“. L’ultima parola spetta comunque all’aula di Montecitorio. Anche se non sono in vista ‘sorprese’ dell’ultimo secondo.

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Il quadro europeo e internazionale: normative su rigenerazione urbana

Il tema della Rigenerazione urbana tocca non solo il livello nazionale, ma anche, e soprattutto, internazionale ed europeo. Negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi avanti, che lo studio ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti’, condotto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio, ha messo insieme per avere un quadro generale delle normative.

AGENDA 2030 ONU

A livello internazionale, il tema della rigenerazione urbana trova un suo riferimento fondamentale nell’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo Sviluppo Sostenibile, concernente il traguardo di città e comunità urbane sostenibili, più durature, ed efficienti. “Il futuro che vogliamo include città che offrano opportunità per tutti, con accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti e molto altro”, si legge nel documento. L’Agenda 2030 indica, inoltre, l’obiettivo di ancorare consumo di suolo a crescita demografica e definisce obiettivi per la conservazione del suolo, come l’accesso universale a spazi verdi e a spazi pubblici, individuando altresì l’obiettivo di un bilancio non negativo del degrado del territorio entro, appunto, il 2030.

UNIONE EUROPEA

A livello europeo, la gestione sostenibile del suolo e la necessità di politiche che monitorino gli impatti derivanti dall’occupazione del suolo ha condotto alla definizione dell’obiettivo di raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero per il 2050 (Environment Action Program EU, settimo programma quadro – Decisione 1386/2013). La Commissione europea, inoltre, nel mese di febbraio 2021 ha lanciato una consultazione pubblica sullo sviluppo di una nuova Strategia dell’UE per il suolo. L’obiettivo della nuova strategia dell’Ue per il suolo è quello di affrontare le questioni relative al suolo in maniera organica e contribuire così a raggiungere la neutralità del degrado del suolo e del territorio entro il 2030, uno degli obiettivi principali degli
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.

GREEN DEAL E BAUHAUS

Anche l’attuazione del Green deal europeo investe il tema della rigenerazione urbana attraverso l’iniziativa, avviata nel 2020, del Nuovo Bauhaus europeo, che è volta a collegare il Gd agli spazi di vita ed invita tutti gli europei a immaginare e costruire insieme un futuro sostenibile e inclusivo “piacevole per gli occhi, il cuore e la mente”. L’obiettivo indicato dalla Commissione europea è di avvicinare il Green Deal ai cittadini, promuovendo soluzioni innovative e accessibili, che migliorino la sostenibilità e la funzionalità degli spazi pubblici e privati.

AGENDA URBANA UE

Sui temi della rigenerazione urbana una iniziativa centrale a livello europeo è quella dell’Agenda urbana per l’Ue (Urban Agenda for the Eu), stabilita con il Patto di Amsterdam dai ministri responsabili delle questioni urbane il 30 maggio 2016 e che rappresenta un approccio integrato e coordinato per affrontare la dimensione urbana delle politiche e della legislazione europea e nazionali. Concentrandosi su temi prioritari concreti all’interno di partenariati dedicati, l’Agenda urbana ha come obiettivo il miglioramento della qualità della vita nelle aree urbane attraverso la realizzazione di partnership con città, Stati membri, la Commissione europea e stakeholders (organizzazioni non governative, imprese, etc.).

CARTA DI LIPSIA

Una nuova fase attuativa dell’Agenda urbana per l’Eu è stata inaugurata con la Nuova Carta di Lipsia (New Leipzig Charter-The transformative power of cities for the common good) adottata durante le riunioni ministeriali informali organizzate il 30 novembre 2020 sotto la presidenza tedesca del Consiglio. La Nuova Carta di Lipsia, fortemente allineata con la politica di coesione, fornisce un documento quadro politico chiave per lo sviluppo urbano sostenibile in Europa e sottolinea che le città devono stabilire strategie di sviluppo urbano integrato e sostenibile e garantire la loro attuazione per la città nel suo complesso, dalle sue aree funzionali ai suoi quartieri, secondo un triplice livello di azioni che sono aggregate sotto le voci/obiettivo “Giuste, verdi e produttive”.

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I principali programmi per concessione contributi a enti territoriali

Anche se senza un quadro legislativo organico di riferimento, in questi anni non sono mancati gli interventi legislativi statali in materia di rigenerazione urbana. Tra questi, di fondamentale importanza sono stati i programmi di finanziamento di progetti degli enti territoriali. Lo studio su ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti’, condotto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio, ha tracciato un quadro dei principali interventi, in ordine cronologico.

PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA

Sono stati tra i primi interventi a prevedere la partecipazione del privato in operazioni di riqualificazione di ambiti urbani, finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale. In particolare l’articolo 2, comma 2, della legge 179 del 1992 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) aveva destinato la somma di 288 miliardi di vecchie lire per la realizzazione di programmi di riqualificazione urbana (Priu), individuati con accordi di programma finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale.

PIANO NAZIONALE PER LE CITTÀ

Per avviare interventi per la riqualificazione di aree urbane, con particolare riguardo a quelle degradate, è stato introdotto nel 2012 uno strumento operativo denominato ‘Piano nazionale per le città‘, affidato alla gestione di una apposita cabina di regia. Per il completamento degli interventi del Piano, in caso di inerzia realizzativa, sentito il comune interessato, è stata prevista la nomina di commissari straordinari.

PROGRAMMA STRAORDINARIO PERIFERIE

Il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia fu introdotto dalla legge di Stabilità 2016, ed è stato indirizzato a favore di aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza dei servizi, mediante la presentazione di progetti da parte degli enti locali.

PICCOLI COMUNI E CENTRI STORICI

La legge 158 del 2017 ha previsto misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni; per l’utilizzo delle risorse, è prevista la predisposizione di un Piano nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni e un elenco di interventi prioritari assicurati dal Piano nazionale.

MESSA IN SICUREZZA EDIFICI

La legge di bilancio 2019 ha disposto lo stanziamento di risorse per la messa in sicurezza di edifici e del territorio, per il periodo 2021-2033 (esteso successivamente anche all’anno 2034), pari a circa 8,1 miliardi di euro complessivi, assegnati dalle singole Regioni e dal ministero dell’Interno ai comuni (a partire dai comuni con una popolazione inferiore o uguale a 5mila abitanti). L’articolo 49 del decreto legge 124 del 2019, poi, ha esteso l’utilizzo delle risorse attribuite ai comuni dalle singole regioni (3,2 miliardi di euro) anche al settore dei trasporti e della viabilità, con la finalità di ridurre l’inquinamento ambientale e di favorire investimenti finalizzati alla rigenerazione urbana, alla riconversione energetica verso fonti rinnovabili, ad infrastrutture sociali e alle bonifiche ambientali. L’assegnazione delle risorse è stata incrementata e rimodulata con successivi interventi legislativi, che hanno anche ampliato le finalità degli interventi ammissibili a finanziamento.

LOTTA A DEGRADO ED EMARGINAZIONE

La legge di Bilancio 2020 ha assegnato 8,5 miliardi di euro, per il periodo 2021-2034, ai comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti, non capoluogo di provincia, ed ai comuni capoluogo di provincia o sede di città metropolitana, per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale, nel limite complessivo di 150 milioni di euro per l’anno 2021, di 250 milioni di euro per l’anno 2022, di 550 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024 e di 700 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034. Tale intervento è stato poi recepito tra le linee di investimento finanziate con il Pnrr.

PINQUA

Il Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare, istituito con la legge di Bilancio 2020 e poi recepito tra le linee di investimento finanziate con il Pnrr, è finalizzato alla riduzione del disagio abitativo, con particolare riferimento alle periferie, in un’ottica di sostenibilità e densificazione, e senza consumo di nuovo suolo, con la previsione che i relativi interventi devono seguire il modello urbano della città intelligente, inclusiva e sostenibile (smart city).

LEGGE DI BILANCIO 2022

Assegna ai comuni con popolazione inferiore a 15mila abitanti che, in forma associata, presentano una popolazione superiore a 15mila abitanti, contributi per investimenti nel limite complessivo di 300 milioni di euro per l’anno 2022, al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale.

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Da Pnrr e Pnc 11,5 mld: Risorse cruciali per la rigenerazione urbana

Uno dei fattori che sarà decisivo per vincere la sfida della rigenerazione urbana è sicuramente quello di sfruttare appieno tutte le potenzialità delle risorse del Pnrr. Perché “la dimensione urbana ricopre una posizione cruciale per il successo delle azioni messe in campo” dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e “per il superamento dei divari territoriali e di genere che il piano persegue”. A sottolinearlo è lo studio ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti‘ redatto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio.

La conferma di questa visione arriva dalla stima degli investimenti per le costruzioni, che è di circa 70,7 miliardi di euro. Di questi, 9,02 miliardi della Missione 5, Componente 2, sono dedicati proprio agli interventi di rigenerazione urbana. Nel dettaglio: 3,3 miliardi di prestiti assegnati ai comuni ammessi al finanziamento previsto per il periodo 2021-2026 per i progetti volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale; 2,9 miliardi di prestiti prevosti per i Piani urbani integrati, che comprendono l’intervento per il superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura (200 milioni), e il Fondo tematico dedicato al settore della rigenerazione urbana, da costituire nell’ambito del Fondo di fondi gestito dalla Bei (270 milioni); e 2,8 miliardi di euro di prestiti per il periodo 2021-2026 nel Programma innovativo della qualità dell’abitare.

A queste risorse vanno, poi, aggiunti altri 2,5 miliardi di euro del Piano nazionale complementare. Di cui 2 miliardi per il periodo 2021-2026 per il programma ‘Sicuro, verde e sociale’ per la riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica; 210 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2024 a favore del programma Piani urbani integrati; e un investimento finalizzato al risanamento urbano per complessivi 285 milioni di euro per il periodo 2021-2024, in favore dei comuni con popolazione tra 50mila e 250mila abitanti e dei capoluoghi di provincia con meno di 50mila abitanti.

In totale, dunque, le risorse stanziate dal Pnrr e dal Pnc per interventi di rigenerazione urbana ammontano a circa 11,5 miliardi di euro. Oltre agli investimenti in interventi direttamente rivolti ad azioni di rigenerazione urbana, le città – sottolinea l’analisi Camera-Cresme – sono destinatarie di ulteriori interventi del Pnrr all’interno delle azioni settoriali, che “potrebbero avere maggiore impatto qualora definite e sviluppate in modo integrato tra loro”. In sostanza, però, “tutte e sei le missioni del Piano hanno a che fare in quota parte con le città”.

Non a caso lo studio cita il documento Ifel-Anci sui programmi di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che allo scorso 5 gennaio ha stimato in “53,82 miliardi di euro l’ammontare degli investimenti che vedono gli enti locali come soggetti attuatori, 35,25 dei quali sono investimenti attivi (per cui è già stato pubblicato un decreto attuativo e/o bando); 9,62 sono investimenti in corso di attivazione (per cui è disponibile una bozza di decreto o è stato approvato un decreto in attesa di registrazione); e 8,47 sono investimenti non attivi (per cui non sono state attivate procedure attuative note)”. Ma anche secondo Cdp stima che Pnrr “prevede il coinvolgimento diretto dei Comuni nella messa a terra di progetti per almeno 30 miliardi di euro entro il 2026, che potrebbero arrivare fino a 50 miliardi di euro circa a seconda del volume di progetti di titolarità delle amministrazioni centrali che coinvolgeranno gli enti territoriali nella fase di attuazione”. Secondo lo studio di Cassa depositi e prestiti “Questo flusso di risorse potrebbe colmare, almeno in parte, il fabbisogno di investimenti comunali rimasto in parte insoddisfatto negli ultimi anni, tenendo conto che la spesa in conto capitale dei Comuni si è ridotta in media del 3% all’anno negli ultimi 15 anni”.

Osservando il dossier dall’angolatura dei privati, anche un operatore leader nel campo degli investimenti in riqualificazione e sviluppo urbano e nella gestione di patrimoni immobiliari come il gruppo Coima ha analizzato l’impatto del Pnrr sulla rigenerazione urbana, arrivando alla conclusione che “gli interventi con impatto diretto si possono stimare in 54 miliardi di euro, mentre considerando anche gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, il valore degli investimenti in grado di interessare le città italiane si può valutare in 85 miliardi di euro”. Infine, il report Camera-Cresme cita l’ufficio studi dell’Associazione nazionale costruttori, per quel che concerne le attività che interessano la lunga filiera costituita da industrie produttrici di materiali, sistemi e componenti, distributori, progettisti, imprese di costruzioni e imprese specializzate: che stima investimenti del Pnrr destinati al settore delle costruzioni in 108 miliardi di euro.

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Rigenerazione urbana, Camera-Cresme: “Rivedere modello risorse, mix pubblico-privato”

La rigenerazione urbana è un concetto ormai sedimentato nella cultura di ogni comunità. Eppure “ad oggi non trova una compiuta definizione nell’ordinamento nazionale”, pur essendo presenti “numerosi riferimenti nella legislazione statale e definizioni non sempre convergenti in numerose leggi regionali”. A sottolinearlo è un’analisi che porta la firma del Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con il Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), su richiesta della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici di Montecitorio, che si compone di due parti e 8 capitoli tematici. I dati che emergono tracciano un quadro completo della situazione, portando a galla le criticità da risolvere per avere un risultato omogeneo e produttivo, mettendo a disposizione del legislatore gli strumenti utili a capire dove focalizzare gli interventi.

Prima, però, è utile capire la base di partenza. Perché se “in termini generali, in letteratura e nel dibattito pubblico, per rigenerazione urbana si fa riferimento ad un insieme di programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e degli spazi su scala urbana volti a garantire, tra l’altro, la qualità dell’abitare sia dal punto di vista ambientale sia sociale, con particolare riferimento alle aree urbane e alle periferie più degradate”, la nozione di rigenerazione urbana diviene “un paradigma trasversale ad una pluralità di politiche pubbliche aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente e del paesaggio, in particolare attraverso il contenimento del consumo di suolo”, con cui “compone un binomio inscindibile”.

Una delle criticità riscontrate dallo studio è quello della concorrenza tra normative centrali e quelle locali. “Dal complesso panorama normativo in materia sembra emergere una tendenza – più marcata nella legislazione regionale e affermata solo in modo incidentale e incompiuto nella legislazione statale – favorevole a considerare le pratiche della ristrutturazione e della sostituzione edilizia, attraverso la demolizione e ricostruzione di edifici, secondo criteri di maggiore sostenibilità energetica, ambientale e urbanistica, quale asse a partire dal quale innestare più estesi interventi di rigenerazione urbana”, sottolinea il documento. Senza dimenticare che ogni passaggio deve essere in compliance con le decisioni assunte in sede europea: in particolare la bussola è, e resta, l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’Onu, che fissa il traguardo di città e comunità urbane sostenibili, più durature, ed efficienti. In cui “tutti possano avere accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti e molto altro”, oltre ad ancorare il consumo di suolo alla crescita demografica.

Alla rigenerazione urbana è legato anche un altro tema, quello della crescita, ma soprattutto della produttività del sistema economico. Che lo studio condotto da Camera e Cresme individua come “il risultato dell’efficienza delle determinanti settoriali di un’economia nazionale, ma è anche il risultato di quelle che potremmo definire determinanti territoriali, insediative, che lo caratterizzano”. Argomenti trattati a più riprese dall’Ocse, ma anche dalla Banca d’Italia, che in diversi studi ha descritto il legame tra crescita aggregata e città, mettendo in evidenza sia l’importanza sia le criticità delle città italiane: “In tutte le economie avanzate, da alcuni decenni – riporta via Nazionale – le aree urbane mostrano tassi di crescita della popolazione superiori a quelli delle aree non urbane”. Dunque, secondo i dati Ocse, scrive ancora Bankitalia, “la produttività del lavoro è del 10% più elevata rispetto alla media nazionale e questo vantaggio è rimasto sostanzialmente invariato nell’ultimo quindicennio, tuttavia non è cresciuta come nei principali Paesi europei”.

Elementi che inducono a pensare nuove soluzioni, sfruttando anche le best practices delle comunità occidentali. Ad esempio come quella che si è sviluppata in Francia negli ultimi anni, la ‘Città dei 15 minuti’, che ha trovato uno slancio definitivo durante il periodo della pandemia. In poche parole, si tratta di valutare “il tempo di spostamento a piedi” per raggiungere i luoghi utili alla quotidianità “come parametro fondamentale alla base della pianificazione urbana”. In Italia il tema è stato introdotto anche dal neo sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, durante la campagna elettorale dello scorso anno.

La seconda parte dello studio Camera-Cresme, poi, muove dalla constatazione del radicale cambio di paradigma della sfida urbana tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, fino ad arrivare alle riflessioni sulla possibilità di considerare gli incentivi fiscali per il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio o quali elementi di un più integrato sistema di interventi di trasformazione delle aree urbane. Dunque, “la sfida della rigenerazione urbana si qualifica come obiettivo sistemico al cui raggiungimento sono chiamate a concorrere numerose politiche pubbliche settoriali da coordinare in un quadro coerente e strategico di interventi”. Soprattutto sfruttando tutte le risorse messe a disposizione, di cui il Pnrr è una parte consistente ma non l’unica. Secondo l’analisi, nel prossimo lustro “è da tenere in considerazione il complesso quadro degli investimenti in opere pubbliche avviati con la programmazione nazionale ordinaria e, per rimanere nel quadro europeo, i fondi strutturali e i fondi di coesione sociale, oltre agli incentivi fiscali per il recupero edilizio”. Secondo un recente documento redatto dal Cresme, infatti, la stima è di “circa 310 miliardi di euro le risorse disponibili tra il 2021 e il 2027 considerando il Pnrr, il Fondo complementare al Pnrr, React-Eu e i fondi Fsre e Fse”.

Un altro elemento di fondamentale importanza, evidenziato dallo studio Camera-Cresme è l’interazione proattiva di investimenti pubblici e privati. “Se si lavorasse per innescare un virtuoso ciclo di investimenti privati, le potenzialità dell’impatto economico crescerebbero significativamente, così come la possibilità di far fare un salto competitivo al sistema economico del nostro Paese”, sottolinea il documento. Facendo notare che “le esperienze europee di rigenerazione urbana insegnano che nelle città gli investimenti privati in partnership con quelli pubblici possono avere un effetto moltiplicativo di grande rilievo, e con molti meno rischi di quelli dimostrati nei progetti riguardanti le grandi infrastrutture a rete”. Perché “le città sono per loro natura un mix di beni pubblici e beni privati, di infrastrutture pubbliche e private, di investimenti pubblici e privati, di interessi pubblici e privati che possono essere portati a sistema e valorizzati all’interno di nuovi strumenti di intervento”.

Tirando le somme dell’analisi, l’obiettivo è sviluppare una proposta riguardante i temi della rigenerazione urbana che tenga conto delle dinamiche in atto, delle risorse in gioco e degli obiettivi che l’Unione europea e l’Italia si sono date in termini di sviluppo sostenibile”. Il tutto in una prospettiva di “possibile revisione degli incentivi vigenti”, utilizzando la leva fiscale, attualmente adoperata in modo diffuso, “mirandola agli interventi di rigenerazione urbana”, tenendo presente le indicazioni europee e i programmi avviati con il Pnrr per le aree metropolitane, per “ricondurre queste risorse a sistema” con quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli altri fondi Ue, integrandole con possibili investimenti privati, nel quadro di una strategia complessiva.

Dunque, si legge nella parte relativa alle proposte, “se, prudenzialmente, nel periodo 2022-2027, continuassero gli incentivi con le modalità pre-2020 e i livelli rimanessero quelli sperimentati dal 2013 al 2019, sostenuti dagli incentivi del 50% e del 65%, verrebbero destinati al recupero edilizio e alla riqualificazione energetica mediamente 28 miliardi di euro all’anno”. Tutto questo considerando “la stagione del Superbonus 110% come temporanea”. Ecco perché non solo è possibile considerare il quadro generale delle risorse come parte della quota di cofinanziamento che l’Italia deve mettere in gioco per attivare i fondi strutturali e di coesione europei, ma “si dovrebbe sviluppare un nuovo modello di intervento in grado di mettere insieme risorse pubbliche, investimenti privati di dimensione significativa e investimenti privati diffusi che, mantenendo e anzi moltiplicando l’impatto degli interventi in termini economici e occupazionali”, nel solco dei principi dello sviluppo sostenibile, riduzione e resilienza all’impatto climatico, transizione digitale, territorializzazione dei servizi e qualità dell’abitare.

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(Photo credits: STR/AFP)