Ue, Parlamento e Consiglio cercano l’accordo sulle case green. Ma la strada è in salita

Nuova direttiva case green, Parlamento e Consiglio ci riprovano. E’ previsto per oggi un nuovo incontro tra i negoziatori di Parlamento e Consiglio Ue, mediato dalla Commissione europea (in gergo si chiama ‘trilogo’) per raggiungere un accordo politico sulla revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (Energy Performance of Building Directive) proposta dall’Esecutivo comunitario a dicembre 2021 per alzare gli standard energetici del parco immobiliare dell’Ue.

Sarà un incontro in cui i due negoziatori tenteranno di raggiungere un accordo politico, ma a Bruxelles sono in molti a pensare che difficilmente si possa arrivare già adesso a chiudere il compromesso. Ad ogni modo, Commissione europea e entrambi i co-legislatori incalzano a trovare un’intesa politica prima della fine dell’anno.

A dicembre 2021 la Commissione europea ha proposto di introdurre standard minimi obbligatori di prestazione energetica per il parco immobiliare dell’Ue da introdurre gradualmente dal 2027, portando gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa “G” al grado “F” entro il 2027 per gli edifici non residenziali e entro il 2030 per gli edifici residenziali.

L’edilizia è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. La Commissione propone un intervento per arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire. Sulla proposta della Commissione europea, gli Stati membri al Consiglio Ue hanno concordato la loro posizione negoziale a ottobre scorso mentre l’Europarlamento ha concordato il mandato in plenaria a marzo. Entrambe le istituzioni hanno apportato modifiche sostanziali alla proposta della Commissione europea, e ora stanno cercando di trovare un terreno comune.

Il nodo politico resta ancorato all’articolo 9 che riguarda gli standard minimi di rendimento energetico degli edifici, su Parlamento e Consiglio hanno posizioni diverse.

Nella sua posizione l’Europarlamento ha rafforzato i target di efficienza rispetto alla proposta originaria della Commissione, garantendo però più flessibilità agli Stati membri per raggiungerli attraverso i piani nazionali. Le case dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica ‘E’ entro il 2030 e ‘D’ entro il 2033 (la Commissione Ue proponeva di raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033). Gli edifici non residenziali e pubblici dovrebbero raggiungere le stesse classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030 (la Commissione ha proposto ‘F’ ed ‘E’). Il testo adottato prevede che tutti i nuovi edifici siano a emissioni zero dal 2028 (la Commissione proponeva il 2030) e tutti i nuovi edifici dovranno disporre di impianti solari entro il 2028.

Gli Stati membri, come spesso accade, nella loro posizione hanno di fatto annacquato in molte parti la proposta dell’esecutivo comunitario, chiedendo maggiore flessibilità anche nel negoziato con l’Eurocamera. Per gli edifici residenziali esistenti gli Stati membri vogliono fissare norme minime di prestazione energetica “sulla base di una traiettoria nazionale in linea con la progressiva ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni zero entro il 2050”. Fissando solo due ‘tappe’ intermedie: che il consumo medio di energia primaria sia entro il 2033 equivalente alla classe di prestazione energetica D ed entro il 2040, a un valore “determinato a livello nazionale derivato da un graduale calo del consumo medio di energia primaria dal 2033 al 2050”.

Giovedì il negoziato sulle case green per scongiurare una nuova batosta

Giovedì è il giorno in cui Parlamento e Consiglio Ue, con la moderazione della Commissione, si siederanno intorno a un tavolo per stabilire quale sarà il destino del provvedimento ribattezzato ‘case green’. Stando alle voci dovrebbe non essere un negoziato interlocutorio: dal trilogo potrebbe scaturire infatti un accordo definitivo. Sempre stando alle voci, il commiato del vicepresidente Frans Timmermans ha/avrebbe reso meno intransigente la posizione dell’Europa, abituata negli ultimi tempi a piantare paletti e delimitare steccati, innescando una serie di reazioni a catena esiziali per il percorso sacrosanto della transizione ecologica.

Riavvolgendo il nastro: la nuova versione del testo – da approvare o modificare per l’appunto giovedì – prevede come obiettivi la classe energetica ‘E’ entro il 2030 e quella ‘D’ entro il 2033 allo scopo di raggiungere zero emissioni entro il fatidico 2050. Sono esonerati edifici di pregio artistico, di culto e con una superficie inferiore ai 50 mq. Ora: dubitiamo che il cittadino ‘comune’ abbia conoscenza di cosa significa classe ‘E’ o ‘D’; dubitiamo che possa avere contezza di quanto e cosa serva per abbassare le emissioni nocive della sua abitazione; siamo invece certi che quando gli verrà ‘presentato il conto salatissimo‘ non si abbandonerà a urla di giubilo.

Al momento poco si sa. E meno ancora ne sa l’opinione pubblica. Però ci sono alcuni dati che inducono a riflessioni serie e in serie per quanto riguarda l’Italia. Secondo le stime dell’associazione dei costruttori edili (Ance), su 12 milioni di edifici residenziali, oltre 9 milioni non risulterebbero a norma. Secondo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, in Italia ci sono 31 milioni di immobili e di questi tra i 15 e 20 milioni dovrebbe essere adeguato alla direttiva Ue. E ancora: secondo l’Enea, il 74% delle abitazioni italiane apparterebbe a classi inferiori alla ‘D’. Ultimo riscontro, il Codacons: l’impatto sulle tasche degli italiani sarebbe complessivamente di 108 miliardi di euro.

I numeri delle case verdi rischiano di fare sbiancare gli italiani, tenuto conto che un cappotto termico oscilla dai 180 ai 400 euro al metro quadrato, per gli infissi si parla di 10-15 mila euro, per tacere del costo di caldaie a condensazione, dato che quelle tradizionali saranno bandite. La vita, diceva quello là, non è un bancomat e non tutti sono ricchi proprio come nessuno ‘nasce imparato’.
E’ fuori discussione che l’efficienza energetica ci permetterà in futuro di inquinare di meno e di risparmiare di più, su questo non ci sono dubbi, ma per arrivare agli standard che vorrebbe imporre l’Europa ci vogliono (più) tempo e (molta) moderazione. A meno che a Bruxelles vivano in una bolla e non sappiano cosa stia accadendo – di brutto e bruttissimo – intorno a loro. Qui diventa dirimente l’azione del governo di Giorgia Meloni che già sui temi dell’emergenza gas, dei biocarburanti e degli Euro 7 ha saputo farsi ascoltare a brutto muso dalla Ue.

comunità energetiche

Sulla riqualificazione edilizia l’Italia è in ritardo: lo rivela Legambiente

L’Italia “è in forte ritardo” sul fronte della riqualificazione edilizia, intesa come interventi per migliorare un patrimonio edilizio importante, ma troppo vecchio, energivoro, e climalterante: a oggi, secondo le ultime stime disponibili, su oltre 12 milioni di patrimonio abitativo ne è stato riqualificato, attraverso il superbonus, solo il 3,1%. Lo sottolinea Legambiente nel suo ultimo rapporto ‘Civico 5.0: Vivere in Classe A’ in cui indica una road map da mettere in campo per “far decollare la transizione energetica del settore edilizio residenziale, aiutare ambiente e famiglie, far in modo che l’Italia arrivi preparata in vista dei prossimi obiettivi europei, centrando anche quelli di decarbonizzazione al 2030 su cui è in forte ritardo“. Per Legambiente, il 3,1% di edifici riqualificati è “una percentuale bassissima che dovrà crescere anche in vista degli impegni che l’Europa potrebbe chiedere con la Direttiva Case green e che per l’Italia significherebbe intervenire in una prima fase, al 2030, su almeno 6,1 milioni di edifici residenziali. Ovvero perlomeno su 871mila edifici l’anno, il 7,2% del patrimonio residenziale. Più del doppio di quanto ha saputo fare il superbonus“.

Per Legambiente, quello che serve al Paese è una vera e propria riforma in tema di politiche sull’efficienza energetica del settore edilizio stabile e duratura nel tempo – almeno al 2030 e con prospettive al 2035 – che preveda: un nuovo sistema incentivante unico che guardi ai singoli interventi, ma soprattutto alla riqualificazione complessiva degli edifici spingendo soprattutto interventi in classi energetiche elevate; raggiungimento classe D come minima per aver accesso agli incentivi; un nuovo sistema incentivante che guardi alla prestazione energetica ottenuta dall’intervento, al reddito delle famiglie, alla messa in sicurezza sismica, ma anche all’abbattimento delle barriere architettoniche, al recupero delle acque piovane a all’utilizzo di materiali innovativi e sostenibili; l’eliminazione di ogni tecnologia a fonti fossili dal sistema incentivante e introduzione del blocco alle installazioni dal 2025; il ripristino della cessione del credito (che potrebbe essere riservata solo agli interventi di efficientamento energetico e a quelli relativi alla messa in sicurezza sismica) e degli strumenti alternativi.

È evidente che all’Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – serve con urgenza una nuova e lungimirante politica di efficienza energetica per il settore edilizio che sia al tempo stesso anche una grande politica di welfare per imprese e famiglie. Gli ingredienti ci sono tutti: un grande numero di edifici a disposizione, tecnologie e competenze e una grande disponibilità, non economica, delle famiglie agli interventi. I monitoraggi di Legambiente, attraverso gli Sportelli Energia del progetto Life ClimAction sono la dimostrazione della necessaria strada da percorrere su cui non sono ammessi più ritardi ed errori come quelli che commessi dagli ultimi Governi sul superbonus, che abbiamo più volte criticato indicando quello che a nostro avviso doveva essere migliorato a partire da una modulazione in base al reddito“. Con l’ultima decisione del Governo Meloni, ossia lo stop alla cessione del credito e allo sconto fattura, “si è stroncato definitivamente l’unica politica di intervento per la riqualificazione edilizia – continua Ciafani -. Ora il Paese ha bisogno di definire al più presto una strategia e un piano di intervento da qui ai prossimi anni e aprire nuovi cantieri nel segno dell’efficientamento energetico, della riqualificazione antisismica e rigenerazione urbana degli edifici. Al tempo stesso deve continuare a fare quello che ha fatto in questi anni con i vari bonus edilizi, ma rimodulandoli e innalzando il livello dei controlli. Tutte queste azioni permetterebbero di arrivare ad un miglioramento della classe di efficienza, di contrastare la povertà energetica permettendo alle famiglie di vivere meglio e spendere meno risparmiando in bolletta, di dare un volano al settore edile riconvertendolo verso le ristrutturazioni e non verso il consumo di suolo, e fornire infine un contributo importante alla lotta alla crisi climatica”.

Meloni tiene punto sulle auto elettriche e le case green: “Transizione la scegliamo noi”

Alla vigilia del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo, Giorgia Meloni torna a ribadire che i tempi e i modi della transizione verde non può stabilirli l’Europa.

Dopo le sue comunicazioni, l’Aula della Camera approva la risoluzione di maggioranza. Viene approvata anche una parte della risoluzione del Terzo Polo, mentre vengono respinti tutti gli altri testi presentati dalle opposizioni.

Sul fronte energia, l’Italia chiede all’Europa unità, diversificazione delle fonti, lotta contro la speculazione dei mercati, diffusione delle rinnovabili ma anche rapido riempimento degli stoccaggi.
La premier assicura di condividere gli obiettivi green, ma rivendica la neutralità tecnologica: “Quello su cui non siamo d’accordo – scandisce – è che l’Europa debba a monte dirci quali tecnologie siano necessarie per raggiungere gli obiettivi della transizione. Credo che la sfida debba essere stabilire la diversificazione tecnologica che ci consenta di non devastare il sistema produttivo e di lavorare sull’avanguardia che in questa nazione abbiamo“.

Il processo verso un’economia verde, dunque, deve essere sostenibile anche dal punto di vista sociale ed economico. Per questo il governo di Roma si oppone a proposte come il regolamento sulle emissioni di anidride carbonica delle auto o la revisione della direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici. “Il rischio è di passare dalla dipendenza da gas russo alla dipendenza dell’elettrico cinese. Non mi sembra intelligente. Questo è il tema che pongo“, spiega all’Aula della Camera. L’obiettivo, sul fronte automotive, è puntare sui biocarburanti, di cui l’Italia è all’avanguardia. “L’elettrico non è la panacea tutti mali. Non mi sfugge come i componenti vengano estratti con tecniche che devastano l’ambiente e vengano prodotti in Cina con le centrali a carbone“, afferma.

Quanto alla direttiva sulle Case green, l’assenza di contributi e risorse, avverte la leader di Fdi, rischia di risolvere anche questa fattispecie “in un ulteriore onere complesso in un momento particolarmente difficile“. In altre parole, “se da una parte ci sono gli obiettivi, dall’altra non vengono garantite le risorse necessarie. Mentre i primi target di efficientamento sono posti al 2027, la Commissione risponde che i primi contributi arriveranno dal 2028. Il tema non è se l’onere se lo debbano caricare la famiglie o lo Stato italiano. E’ uguale – insiste -, sono sempre soldi degli italiani“.

Intanto, Meloni continua il confronto con gli altri Leader europei. Dopo aver sentito il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, in serata la premier italiana sente anche il Primo Ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki, sulla priorità del sostegno all’Ucraina, sull’urgenza di attuare le decisioni del Consiglio Europeo di febbraio per una risposta europea nella gestione della migrazione e sull’importanza di adottare soluzioni per la competitività delle economie europee attraverso il pieno utilizzo di tutti gli strumenti Ue.

Meloni a Ue: “Transizione green sia socialmente ed economicamente sostenibile”

Il governo italiano continua a opporsi alle proposte europee come il regolamento sulle emissioni di anidride carbonica delle auto o la revisione della direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici. Perché “il processo verso un’economia verde deve essere un processo sostenibile dal punto di vista sociale ed economico”. Lo ha ribadito la premier Giorgia Meloni in Senato durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 23-24 marzo. Le direttive europee “così come concepite – spiega Meloni – si traducono in una penalizzazione di cittadini e imprese e rischiano di tradursi in nuove dipendenze energetiche proprio quando stanno andando in porto gli sforzi per liberarci dalla dipendenza da gas russo“. In particolare, la cosiddetta direttiva ‘case green’ “rischia di diventare una tassa patrimoniale per gli italiani”. “Alla nostra domanda se ci sono fondi europei per questo tema, ci hanno risposto ‘forse dal 2028’ – continua la presidente del Consiglio -. Peccato che i primi adempimenti debbano essere portati a termine entro il 2027, quindi gli italiani non potranno efficientare le proprie case ‘gratuitamente’, ma dovranno pagarsele da soli, in una situazione già difficile“. Meloni, però, specifica: “Determinati obiettivi sono condivisi dal governo, ma lo scopo va perseguito con una sostenibilità di fondo, sia sociale che economica”.

Sulla transizione green, “il governo italiano è pronto a fare la sua parte”, ma “anche in questo caso un piano ambizioso necessita di un quadro economico e politico coerenti”. Sul piano finanziario, aggiunge “è necessario comprendere come finanziare queste misure, con strumenti che dovranno non limitarsi a garantire una maggiore flessibilità agli aiuti di Stato”. Sul piano politico, “questa ambizione chiama in causa tempi e modi della transizione. Quanto più questa si accelera, con target di difficile raggiungimento, tanto più si aumenta la nostra dipendenza verso fornitori che oggi detengono quasi un monopolio sulle risorse necessarie ad alimentare questa transizione”

L’Italia, ribadisce Meloni, condivide gli obiettivi di transizione verde, “ma rivendichiamo la neutralità tecnologica. Non è l’Europa che deve dirmi come raggiungere quegli obiettivi”. E sulle auto elettriche non cambia idea. “E’ possibile raggiungere gli stessi risultati impiegando energie su cui l’Italia è all’avanguardia, penso ai biocarburanti. Sono materie pragmatiche e con pragmatismo le vogliamo affrontare“.

Musazzi (Anima): “Stop alla vendita caldaie a gas? Tempi stretti e rebus fondi”

Nella direttiva Case Green, approvata pochi giorni fa dall’Europarlamento, ci sono due novità per le caldaie. Dal 2024 non saranno più incentivate quelle a gas a condensazione e dal 2029 non potranno più essere commercializzate. L’Unione Europa, per raggiungere gli obiettivi climatici, vuole puntare sulle pompe di calore elettriche. Una rivoluzione, paragonabile all’elettrificazione dell’automotive. Secondo il Codacons “per una nuova caldaia a condensazione, considerata una abitazione da 100 mq, la spesa va dai 3mila agli 8mila euro, il doppio se la caldaia è ibrida e con pompa di calore”. Federico Musazzi è segretario generale di Assoclima e Assotermica, due associazioni aderenti ad Anima Confindustria e ne ha parlato con GEA.

Segretario, sarete i protagonisti di questo cambiamento epocale, vi convince questa direttiva?

“La direttiva non è ancora legge, ha un iter che prevede il coinvolgimento degli Stati membri e del Consiglio d’Europa. Altri step potranno cambiare alcune cose. La strada però è tracciata, l’obiettivo primario è partire dalla consapevolezza che bisogna intervenire sugli edifici per centrare i target di decarbonizzazione, visto che oltre un terzo delle emissioni di gas serra e di circa il 40% dei consumi di energia viene proprio dagli edifici. Come quello dei trasporti è un settore prioritario su cui agire… Si punta dunque ad arrivare ad avere tutti immobili in classe energetica D dal 2033, ci sono però due considerazioni da fare e mi riferisco agli strumenti per raggiungere l’obiettivo”.

Ce le spieghi…

“Intanto i fondi che saranno messi in campo, considerando che siamo in una fase in cui si sta rivedendo la cessione del credito e lo sconto in fattura per ecobonus, parlo di quelli minori non del Superbonus, incentivi che negli anni hanno dato i maggiori risultati sulla riqualificazione del parco edilizio. Se andiamo a vedere consumi abitazione, circa 80% derivano da come ci si riscalda, ci si raffresca e da come si produce acqua sanitaria… Molto spesso è sufficiente cambiare l’impianto senza stravolgimenti sull’involucro per raggiungere il salto di classe. I numeri della direttiva europea sono però imponenti, serve una strutturalità delle misure”.

Ma è corretto l’approccio della direttiva?

“Cerchiamo intanto di abbattere la similitudine tra vettore energetico e apparecchio, sono due cose diverse. Il fatto di dire ‘eliminiamo i fossili e quindi eliminiamo le caldaie’ nasce da questa falsa convinzione. Come Assotermica portiamo avanti l’idea che una caldaia è una caldaia, che può consumare gas fossile ma potrà essere alimentata da gas rinnovabili, biometano e più in là da idrogeno. Bandire una tecnologia non tiene conto che il mercato di chi fa caldaie si sta evolvendo verso caldaie green gas ready, alimentate da rinnovabili”.

E’ sbagliato dunque demonizzare le caldaie a gas?

“Stiamo facendo sinergia con la filiera del gas, un approccio multitecnologico per usare tutte le soluzioni sul campo ha più senso dal punto di vista ambientale e industriale, dato che abbiamo un mondo produttivo forte che può operare su più tecnologie. Non voglio però che si creai una contrapposizione tra caldaie e gas e pompe di calore, che vanno spinte assolutamente. Il problema dunque è tutto questo dibattito su vietare o meno la caldaia, questo è un atteggiamento semplicistico che rischia di svilire il percorso di crescita che dovranno avere invece le pompe di calore e gli apparecchi ibridi”.

In Europa hanno capito questo?

“E’ cambiata la formulazione della direttiva, prima si parlava di vietare le caldaie fossili, adesso avendo distinto tra vettore e apparecchio, si vieta le caldaie alimentate a combustibili fossili, quindi c’è una apertura verso le caldaie alimentate da gas rinnovabili o apparecchi ibridi”.

Resta il fatto che l’industria dovrà cambiare completamente prodotto…

“Nel 2022 sono state vendute a 1.130.000 caldaie a gas a condensazione su 1.450.000 apparecchi totali che vengono utilizzati come fonte di riscaldamento primaria. E già questi numeri parlano da soli… Poi comunque le caldaie green gas ready dovranno avere una certificazione, per la quale si sta lavorando molto assiduamente per creare la corretta base normativa”.

Parliamo delle famiglie. Nei prossimi anni andranno cambiate tutte le caldaie a gas?

“Il divieto scatterà per le nuove abitazioni dal 2029; non ci sarà un obbligo per le famiglie di cambiare le caldaie già installata, ma se dovesse essere approvata come tale la direttiva interverrà solamente sui nuovi apparecchi che verranno immessi sul mercato”.

Quante sono attualmente le caldaie installate?

“Il parco esistente è di 19,7 milioni”.

Un numero impressionante. Al di là dei costi, che citava il Codacons, l’industria è pronta ad avere una offerta adeguata?

Le scadenze sono molto ravvicinate e soprattutto non è chiaro quali siano le misure a supporto; l’industria ha ovviamente tutto l’interesse ad accelerare il rinnovo del parco impiantistico ma è evidente che stiamo parlando di un settore complesso e che è forse troppo semplicistico pensare di raggiungere determinati risultati di decarbonizzazione fissando solamente degli obiettivi sempre più severi. Non è solo una questione di produzione perché le tecnologie ci sono, ma di sostenibilità per i tanti attori in gioco, incluso ovviamente l’utente finale”.

Servirà un cambio di passo anche dal punto di vista professionale, sia qualitativo che quantitativo, no?

“Lo ripeto, ben venga una maggiore elettrificazione dei consumi e con essa una crescita delle pompe di calore e degli apparecchi ibridi. Per questo ci sarà bisogno di sempre maggiori professionalità. Servono competenze nuove tecnologicamente parlando, servono operatori lungo tutta la filiera del riscaldamento che devono conoscere i nuovi strumenti, serve anche un numero maggiore di lavoratori. Stiamo in questo senso iniziando a parlare nelle scuole, dobbiamo creare queste nuove figure”.

C’è un rischio invasione con prodotti extra-Ue?

“Il mondo del gas e delle caldaie è tradizionalmente è forte in Europa, dove l’Italia è leader, ma anche per le pompe di calore ci sono aziende importanti che stanno investendo in Europa e in Italia. Il piano sviluppo prevede che vengano individuate misure per stimolare ancor di più la componente produttiva in Europa, proprio per mantenere la centralità del nostro continente. E’ comunque un aspetto da tenere in considerazione quello della concorrenza straniera, ma non lo ritengo centrale. Le criticità sono altre”.

Pannelli solari

Rovetti (UniTo): “Direttiva Case green farà impennare prezzi come con Pnrr”

“La direttiva Ue sulle Case green rischia di trasformarsi in una maxi-stangata a carico dei cittadini italiani, con la spesa per le ristrutturazioni degli edifici privati che potrebbe raggiungere quota 108 miliardi di euro”. E’ l’allarme lanciato dal Codacons che, dopo la decisione del Parlamento Europeo, ha simulato le spese cui dovranno andare incontro i proprietari di abitazioni. Gli interventi di riqualificazione energetica previsti dall’Ue riguarderanno il cappotto termico, la sostituzione degli infissi, le nuove caldaie a condensazione e i pannelli solari, spiegava l’associazione. Il cappotto termico, ad esempio, ha un costo medio compreso tra i 180 e i 400 euro al metro quadrato, mentre per gli infissi la spesa varia in media da 10 a 15mila euro. Per una nuova caldaia a condensazione, considerata una abitazione da 100 mq, la spesa va dai 3mila agli 8mila euro, il doppio se la caldaia è ibrida e con pompa di calore, analizza il Codacons . Per un impianto fotovoltaico da 3 kW la spesa da sostenere è di circa 7.500-10.500 euro, a seconda del tipo di pannelli fotovoltaici utilizzati. “Gli interventi di riqualificazione energetica previsti dall’Ue determinerebbero quindi un costo medio tra i 35mila e i 60mila euro ad abitazione, con una spesa per la collettività, considerando 1,8 milioni di edifici interessati dalla misura”, conclude l’associazione. Mario Rovetti, docente di diritto tributario all’università di Torino, da tempo mette in guardia contro il rischio speculazioni, com’è già accaduto col Superbonus, e ne ha parlato con GEA.

Professore, assisteremo a una raffica di rincari com’è successo con i materiali legati a cantieri e lavori in casa durante il 110%?
“La direttiva case green, al di là della sua bontà, dovrebbe essere governata da una nuova authority o almeno da un’autorità di controllo già esistente. In Italia abbiamo una grande risorsa come la Guardia di Finanza, formata da personale iper-specializzato, capace di controllare ed eventualmente punire chi specula. Il rischio è quello di vedere salire i prezzi in maniera ingiustificata”.

Lei dice così per l’esperienza del Superbonus?
“Certo. Le future regole non dovranno replicare il Superbonus, dove non c’era contrapposizione di interessi tra proprietario e impresa esecutrice dei lavori. Sarebbe sufficiente che eventuali bonus,
nazionali o europei che siano, vengano riconosciuti in misura inferiore al 100%, così quella parte di spesa che resta a carico del proprietario lo indurrà a cercare la migliore trattativa possibile. E i prezzi soggiaceranno alla regola della concorrenza, senza schizzare pazzamente verso l’alto.

E col Pnrr a che punto siamo?
“Stesso ritornello. I fondi che i comuni hanno per l’informatizzazione dei loro siti hanno già fatto rincarare i costi dei servizi… Sono stato assessore tempo fa in un piccolo Comune, e gli 8000 euro spesi in allora per un determinato servizio ora sono diventati 30mila. Occorrono controlli serrati”.

Tutti questi fondi fanno aumentare l’inflazione?
“Sì, certamente. Pur non essendo possibile calcolare con esattezza la spesa che i proprietari dovranno affrontare, si parla di cifre del tutto incompatibili con il bilancio nazionale, ma anche con quello europeo. Sarebbe uno tsunami sui prezzi”.

Si rischia il mix inflazione-speculazione?
“Il nostro patrimonio immobiliare è vecchissimo; si stima che il 60% degli immobili esistenti sia in classe F o G, e questi saranno i primi a dover rientrare in classe E. Bisogna fare in modo che ogni progetto sull’efficientamento degli edifici sia pilotato e gestito da un’autorità con poteri di polizia e non affidato al libero mercato”.

Lei ha ipotizzato la creazione di una Agenzia delle uscite, potrebbe avere un ruolo?
“Forse non direttamente nell’affaire Case green, dove serve piuttosto un’Autorità ad hoc che tenga sotto controllo prezzi e speculazioni. Ma nel sistema, un’Agenzia delle uscite, costituita dalla rete dei comuni, servirebbe eccome. Con 2800 miliardi di debito pubblico, con la spesa per interessi che costa più della spesa per istruzione, non si può scherzare col fuoco”.

Case Green, Meloni affila le armi: “Scelta irragionevole, ci batteremo”

La battaglia in Europa sulle Case Green si farà. Lo giura Giorgia Meloni, che affila le armi alla Camera. Durante i negoziati in Consiglio, l’Italia era riuscita a ottenere una revisione delle tempistiche per l’adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici, per rendere la transizione più graduale e garantire possibilità di esenzione per alcune categorie. L’Europarlamento però “ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta che consideriamo irragionevole, mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione”, assicura la premier, rispondendo al Question Time. Gli obiettivi temporali della direttiva europea “non sono raggiungibili dall’Italia“, rileva la leader di Fdi. Il patrimonio immobilitare del nostro Paese, osserva, è inserito in un contesto molto diverso dagli altri Stati membri per ragioni storiche, di conformazione geografica, “oltre che per una praticata visione della casa come bene-rifugio delle famiglie“.

Ammantarsi di ideali è bello, commenta il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che fa notare come in Italia ci siano 31 milioni di case cui quasi la metà, 15 milioni, sono oggetto di classificazione: “Anche se molte sono escluse perché sotto i 100 metri quadrati, vincolate o per altri motivi, le abitazioni da portare in classe F al 2030 sarebbero comunque circa 5,1 milioni e quelle da portare in classe D al 2033 ammonterebbero a 11,1 milioni“. Per questo chiede di procedere per gradi e questo percorso va valutato a suo avviso dagli Stati nazionali: “Se con il Superbonus, spendendo 110 miliardi, siamo riusciti a intervenire su 360 mila immobili, quanto servirebbe per intervenire entro il 2030 su quasi 15 milioni di unità immobiliari? Si tratterebbe di cifre astronomiche che non possono permettersi né lo Stato né le famiglie italiane“. Questi costi, spiega infatti, sarebbero “caricati sullo Stato o sulle famiglie, in questo caso peserebbero sulle famiglie meno abbienti, quelle in difficoltà”. Ecco perché il responsabile del Mase sottolinea: “E’ una valutazione di razionalità”. A livello europeo “c’è un plenum aperto e c’è una posizione al Consiglio energia di fine ottobre, in cui avevo detto che si potevano prevedere step di controllo al 2033 e al 2040. La posizione di Parlamento e Commissione Ue, invece, non è quella di consentire step ma di un obbligo, addirittura un obbligo individuale. Lo faremo presente a livello europeo, poi essendo la direttiva valuteremo come comportarci”, fa sapere.

Il rischio, per il capogruppo di FI alla Camera, Alessandro Cattaneo, è che crolli l’intero mercato immobiliare:Non possiamo costringere otto milioni di famiglie a sostenere interventi costosi in tempi brevissimi, inapplicabili e irragionevoli“, insiste. La destra è troppo allarmista per il Pd e “continua a negare l’urgenza di affrontare la crisi climatica”: “La direttiva europea per le ‘Case green’ non è un inutile e costoso orpello a danno di inquilini e proprietari, ma il contributo necessario e doveroso di tutti i cittadini per difendere l’ambiente, ridurre le bollette e gli sprechi energetici”, scandisce Chiara Braga, deputata Dem e Segretaria di Presidenza della Camera dei Deputati.Un obiettivo sacrosanto, tanto più in un Paese come il nostro – rileva – che conta 6 milioni di poveri energetici e che ha il patrimonio edilizio più energivoro d’Europa“. Meloni “dimostra ancora una volta di non sapere di cosa parla” per il vicecapogruppo M5s a Montecitorio, Agostino Santillo. Richiama il Superbonus, quella misura che, rivendica, “è l’unica vera soluzione per avviare il percorso della direttiva: lo capirebbe anche un bambino, e l’Italia la aveva già. Anzi, con il 110% si può dire che l’Italia ha tracciato la strada in Europa. Però quella stessa misura ha pagato un peccato originale: è stata ideata dal M5s. Pertanto la Meloni, guidata da ignavia e sete di consenso, l’ha voluta demolire insieme al sodale Giorgetti, che da mesi farnetica su buchi di bilancio inesistenti“. Meloni però non incassa e parla di emergenze e priorità: “La norma ha generato oneri finanziari privi di copertura per decine di miliardi di euro, è state pagata anche da chi non ha ristrutturato casa e perfino da chi una casa non ce l’ha, per efficientare forse il 4% del patrimonio italiano“, denuncia la premier. Poi affonda: “Il Superbonus ha consentito la proliferazione di un mercato opaco e non governato di circolazione dei crediti fiscali a tutto vantaggio non delle imprese che quegli interventi avevano realizzato e per le quali oggi reclamano il pagamento, ma dei vari intermediari anche finanziari intervenuti a raccogliere questi crediti con un prezzo a sconto sul valore nominale, lucrando sul differenziale poi portato all’incasso con l’erario”.

Da Europarlamento via libera a direttiva case green. Pichetto: “Continuiamo a lottare”

Il governo Meloni si prepara a sfoderare (ancora) le armi a Bruxelles. L’Europarlamento dà il via libera alla direttiva sulle case green, che ora dovrà essere negoziata attraverso il trilogo (le trattative tra il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo). Al netto di possibili modifiche, la misura prevede che tutti gli edifici residenziali dei Paesi membri debbano essere classificati in classe energetica da A ad E entro il 2030, da A a D entro il 2033, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Un’iniziativa che porterebbe il patrimonio immobiliare italiano a una forte svalutazione, secondo il governo. “Continueremo a lottare a difesa dell’interesse nazionale”, giura il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che giudica il testo “insoddisfacente” per il nostro Paese. Gli obiettivi ambientali di decarbonizzazione e di riqualificazione del patrimonio edilizio, assicura, non si mettono in discussione. Quello che manca è “una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugio’ delle famiglie”. Gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, “sono ad oggi non raggiungibili per il nostro Paese“, taglia corto Pichetto. Nessun trattamento di favore. Il ministro chiede realismo: “Con l’attuale testo si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della Direttiva, facendo venire meno l’obiettivo ‘green’ e creando anche distorsioni sul mercato“.

Forte della mozione approvata in Parlamento, che impegna il governo a contrastare la direttiva della commissione, “agiremo per un risultato negoziale che riconosca le ragioni italiane”, giura. Il voto è “irricevibile e dannoso“, gli fa eco la sua vice ministra, Vannia Gava. Così come concepita, spiega, “è sbagliata nel merito e nel metodo“.

La transizione ecologica “non diventi una strage economica“, tuona il vicepremier Matteo Salvini. “A colpi di tasse e obblighi si impone agli italiani di spendere decine di miliardi di euro per mettere a norma la casa e le auto“, denuncia. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ricorda che in Italia abbiamo 8 milioni di abitazioni in classe F e G: “Imporre” la direttiva con poco preavviso rischia di “imballare il settore dell’edilizia e mettere in difficoltà milioni di famiglie“, afferma.

Gridare all’eco-patrimoniale è un “capolavoro ‘tafazziano’, l’ennesimo di questo Governo che parla del voto di Strasburgo sulle Case green come di una mega tassa europea che andrà a colpire tutti i cittadini italiani“, commenta il senatore M5S, Stefano Patuanelli, bollando le dichiarazioni dell’esecutivo come “falsità volte a coprire una verità scomoda: la totale assenza di politica industriale“. Il governo, accusa, ha “smantellato pezzo dopo pezzo la più importante misura di efficientamento energetico presente in Italia, il Superbonus 110%. Oltre alla follia dell’aver cancellato una norma espansiva elogiata dalla stessa Commissione Ue, la direttiva presenta in realtà ampi margini di discrezionalità agli stessi Stati membri, che potranno anche chiedere alla Commissione di adattare i target europei per particolari categorie di edifici residenziali, per ragioni di fattibilità tecnica ed economica“.

Il via libera di Strasburgo è un’ottima notizia anche per i Verdi. L’Europarlamento dà “la risposta migliore a un governo, quello italiano, che ha intrapreso una politica del terrore sul clima e sul risparmio energetico“, festeggia Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde. La destra, sostiene, è “nemica dell’ambiente e della modernizzazione. Se fosse per loro, saremmo ancora con i carri trainati da cavalli“. L’esponente di Avs considera la direttiva una “grande opportunità per accelerare sulla strada della transizione energetica“. Utilizzando i finanziamenti del Fondo sociale per il clima, propone Bonelli, “l’Italia elabori un piano strutturale ultra-decennale che preveda incentivi e detrazioni per le abitazioni a bassa classe energetica, con dotazioni più elevate per i redditi bassi“.

Salvini: “Transizione ecologica non diventi strage economica. Necessario più tempo”

Bene la transizione ecologica, ma non sia imposta dall’Ue. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, è tornato ad ‘attaccare” la linea europea verso le norme e delle direttive che puntano, in particolare, alle case e auto green. Parlando a Radio24, il vicepremier ha detto che “non c’è il partito di quelli che amano l’ambiente e il partito di quelli che amano l’inquinamento. Io vivo in una delle zone più inquinate del mondo che è la Pianura Padana e vorrei che i miei figli crescessero con i polmoni sani, però vorrei che gli italiani continuassero a lavorare”. “Ci sono tecnologie – ha aggiunto – che emettono ormai quasi zero, dire solo elettrico o niente è un’impuntatura ideologica dietro la quale non vorrei ci fossero anche spinte o finanziamenti cinesi, perché altrimenti una scelta così sciocca non si spiega”.

Ieri Salvini ha incontrato a Strasburgo i suoi omologhi di una dozzina di Paesi per fare il punto sull’Euro7 e sullo stop alle auto con motori a combustione dal 2035.E’ stata una giornata positiva. Con i ministri tedesco, polacco, portoghese, slovacco, rumeno e tanti altri – circa una dozzina – contiamo di essere in maggioranza per dire che la transizione ecologica è fondamentale” così come lo è “portare il parco bus e auto a emettere di meno, ma non può essere fatto con imposizioni, obblighi e divieti”. Anche perché, ha ricordato Salvini, “l’elettrico in questo momento costa di più e nel suo ciclo di vita completo forse inquina anche di più”. Insomma, “costringere tutto il continente a passare nel giro di poco tempo solo all’elettrico – senza altre soluzioni ugualmente meno inquinanti – significa consegnarsi mani e piedi alla Cina”. “Stiamo lavorando come matti per cercare il gas nel mondo ed essere indipendenti dalle forniture russe”, ha spiegato Salvini, quindi “non possiamo passare dal gas russo all’elettrico cinese tout court”.

E’ necessario, ha ribadito, che la transizione ecologica non diventi “una strage economica”. E il rischio, ha ricordato, c’è. Ad, esempio, sulle case green. “Ci sono 8 milioni di abitazioni in classe F e G – ha detto – e se uno ce l’ha così è evidente che non ha i quattrini per metterla a norma. Quindi imporre” la direttiva sulle case green “con così poco tempo, rischia di imballare il settore dell’edilizia e mettere in difficoltà milioni di famiglie”. “Chiediamo più tempo – ha aggiunto – più buon senso, incentivi, non multe. Il problema sia sull’auto sia sulla casa ci sono imposizioni, divieti, multe o tasse: la transizione ecologica va accompagnata, spiegata e cofinanziata”.

Più volte il ministro ha ribadito che si sta “correndo come matti”. “Quanti italiani hanno preso un’auto elettrica e l’hanno ridata indietro perché mancano le stazioni di ricarica? Al ministero ho in mano questo dossier. Stiamo cercando di mettere colonnine di ricarica ovunque – ha detto – ma pensate alle grandi città o ai Paesi” di montagna…”è complicato e non lo puoi fare per imposizione di Bruxelles, in poco tempo e spendendo miliardi che non ci sono”.