La Cop30 in Amazzonia si chiude al ribasso, ma i Paesi trovano l’accordo

La Cop30 di Belém si chiude ai supplementari, il giorno dopo e per di più con un accordo molto al ribasso. Non c’è un piano di uscita dalle energie fossili, risultato che delude molti (Europa in testa) ma che non sorprende, dato il momento storico.

Il multilateralismo ha vinto”, festeggia Lula, a Johannesburg per il G20. Il presidente brasiliano cerca di rivendicare un successo che la Conferenza effettivamente non ha avuto, considerando anche il rischio che si chiudesse senza nessun accordo.

Nella dichiarazione finale si celebra l’accordo di Parigi e la cooperazione climatica. Ma l’invito ad accelerare l’azione è soltanto “volontario” e fa sull’uscita dai fossili il riferimento è solo indiretto, con un richiamo alla Cop28 di Dubai.

Dobbiamo sostenerlo perché, almeno, ci porta nella giusta direzione”, si giustifica il commissario europeo per il clima Wopke Hoesktra, inizialmente molto contrario al testo, dopo una notte di negoziati e una riunione di coordinamento con i Ventisette. “Non nascondiamo che avremmo preferito di più, e più ambizione su tutto”.

Abbiamo raggiunto un punto di equilibrio tra i 195 paesi presenti”, spiega Gilberto Pichetto Fratin, parlando di una “mediazione tra le tante posizioni“. Per il ministro italiano dell’Ambiente, “è importante che si sia raggiunto questo obiettivo che che mantiene il percorso definito Cop28 di Dubai per quanto riguarda l’obiettivo climatico, mantiene l’obiettivo di Cop29 a Baku per quanto riguarda l’impegno all’adattamento nei vari territori al cambiamento climatico”.

La francese Monique Barbut sottolinea che gli europei hanno preferito accettare questo testo a causa del “processo che è stato fatto agli europei, secondo cui ci si opponeva a questo testo era perché non si voleva pagare per i paesi più poveri”.

Il capo della delegazione cinese, Li Gao, saluta un “successo in una situazione molto difficile”.

Nel 2023, i paesi si erano impegnati a ‘operare una transizione giusta, ordinata ed equa verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici’, per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite. Da allora però, i paesi che producono o dipendono dalle energie fossili respingono tutti i tentativi di ripetere questo segnale in un contesto multilaterale. Paesi come la Russia, l’Arabia Saudita o l’India vengono indicati dalla Francia come capofila del fronte del rifiuto, ma non sono gli unici. Una parte del mondo in via di sviluppo non aveva come priorità la lotta contro i combustibili fossili. Per loro, i finanziamenti sono più urgenti e la Cop30 offre loro un vantaggio: si prevede un triplicamento degli aiuti per l’adattamento dei paesi in via di sviluppo entro il 2035, rispetto all’attuale obiettivo di 40 miliardi all’anno.

Molte economie, povere o emergenti, non hanno infatti i mezzi per passare alle energie rinnovabili  in breve tempo e chiedono ai paesi più ricchi nuovi impegni finanziari per aiutare le nazioni meno ricche.

Nel testo, c’è anche l’istituzione di un “dialogo” sul commercio mondiale, un risultato che si può considerare un successo della Cina, che guida la rivolta dei paesi emergenti contro le tasse sul carbonio alle frontiere.

Per gli analisti di Ecco, il think tank italiano del clima, non si tratta di una debacle. Il risultato, osservano, pur non risolvendo tutte le divergenze, “dimostra che la cooperazione multilaterale sul clima prosegue nonostante le tensioni geopolitiche”. Ampie e nuove coalizioni di Paesi, “segno di una riorganizzazione degli schemi globali”, hanno chiesto il massimo livello possibile di ambizione, inclusa una chiara tabella di marcia per l’uscita dalle fonti fossili, e un passaggio dalla stagione delle promesse a quella dell’implementazione. Sebbene la Mutirão Decision, il testo finale della COP30, non citi esplicitamente i combustibili fossili e non accolga l’appello del Presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione, proseguono gli esperti, “mantiene viva la traiettoria tracciata a Dubai su questo tema”.

La Cop30 corre: c’è la prima bozza di compromesso, domani Lula a Belém. Ue fa muro sul Cbam

A Belém si corre più forte che mai. A quattro giorni dalla fine dei lavori della Cop30, la presidenza brasiliana pubblica una prima bozza di compromesso, nonostante le distanze ancora molto evidenti tra i Paesi. E, per imprimere un’accelerazione, Luiz Inácio Lula da Silva arriverà già domani, con i negoziati in corso.

Il piatto dell’intesa non è ricco, per evitare il fallimento della conferenza basterà accordarsi su una roadmap climatica prima di venerdì. Basterà, in un momento di tensioni geopolitiche fortissime, dimostrare che il multilateralismo è vivo.

Papa Leone XIV, in un videomessaggio, chiede però anche “azioni concrete” per affrontare i cambiamenti climatici, deplorando la mancanza di “volontà politica da parte di alcuni” e descrive l’Accordo di Parigi come “lo strumento più potente per proteggere le persone e il pianeta”. Il Papa missionario parla della regione amazzonica come “un simbolo vivente del Creato che ha urgente bisogno di protezione”. “Il creato grida attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo incessante”, denuncia il Pontefice, ricordando che “una persona su tre vive in una situazione di grande vulnerabilità ai cambiamenti climatici”. Per loro, osserva, “i cambiamenti climatici non sono una minaccia lontana, e ignorarli significa negare la nostra comune umanità”.

Nella seconda settimana di lavori, tutti i ministri dell’Ambiente dei 197 Paesi arrivano in Amazzonia. Oggi gli europei fanno un punto sui negoziati con Wopke Hoekstra. “Il bilancio è contrastante”, confida il commissario per il Clima dopo la riunione di coordinamento, avvertendo che non si tratta di “riaprire i compromessi raggiunti con difficoltà” lo scorso anno in termini di finanziamenti dei paesi ricchi a favore dei paesi in via di sviluppo. Tra i punti controversi, c’è l’inclusione nella bozza di opzioni che alludono a misure “commerciali unilaterali”. Implicitamente, il riferimento è al Cbam, la tassa sul carbonio alle frontiere che l’Ue introdurrà a gennaio e che è stata criticata come protezionistica dalla Cina e da altri paesi esportatori.

Per Gilberto Pichetto Fratin il punto non è negoziabile: “Il Cbam difende i prodotti che entrano nel nostro mercato, per l’Europa è fondamentale”, spiega parlando con i cronisti tra i padiglioni dell’Onu. L’Europa, assicura, “procede compatta”, con “sfumature che dividono”. L’Italia appoggia la proposta brasiliana di una roadmap, spiega, ma “dipende cosa c’è dentro – precisa il ministro -: se la roadmap prevede la chiusura del carbone per tutti al 2035, la sottoscrivo”.

Il testo di compromesso si intitola ‘Mutirão mondiale’, parola indigena che indica una comunità che si riunisce per lavorare insieme su un compito comune. Come a voler dimostrare che la cooperazione internazionale sul clima non si ferma.

Le opzioni sono ancora tante in bozza, il testo dovrà essere perfezionato prima di poter raggiungere un accordo. Per tagliare sui tempi, la presidenza brasiliana ha annunciato che i negoziatori lavoreranno giorno e notte per portare l’accordo in plenaria entro la metà della settimana.

“L’accelerazione del Brasile per una decisione politica è positiva, soprattutto ora che i ministri sono atterrati a Belém”, commenta Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore di Ecco, il think tank italiano per il clima. La voce dell’Europa e dei suoi Stati membri, Italia inclusa, deve però “farsi attiva sulle questioni centrali del negoziato ovvero la pianificazione dell’uscita dai fossili e programmare l’aumento della finanza per l’adattamento”, sottolinea l’esperto. Non c’è nulla di impossibile, confida, e ribadisce: “sarebbe coerente con gli impegni presi finora dall’Italia, incluso il Governo Meloni. Ma c’è bisogno di far sentire il proprio peso e la propria voce se no si rischia lo stallo”.

La bozza di compromesso della presidenza fa riferimento all’accordo di Parigi del 2015 e, per quanto riguarda l’ambizione climatica, propone anche che il rapporto sugli impegni climatici dei paesi possa essere pubblicato ogni anno, anziché ogni cinque. Diverse opzioni fanno anche riferimento alla transizione dalle energie fossili, un punto che spacca i paesi produttori e quelli che vorrebbero una roadmap per uscirne. Il testo, su richiesta dei Paesi del Sud globale, suggerisce di triplicare i finanziamenti dei paesi ricchi a quelli più poveri per il loro adattamento ai cambiamenti climatici, entro il 2030 o il 2035.

Cop30, Papa Leone XIV: “Servono azioni concrete per il clima, ma manca la volontà politica”

Papa Leone XIV ha chiesto “azioni concrete” per affrontare i cambiamenti climatici, deplorando la mancanza di “volontà politica da parte di alcuni” in un videomessaggio ai leader religiosi a margine della Cop30. Descrivendo l’Accordo di Parigi come “lo strumento più potente per proteggere le persone e il pianeta”, ha aggiunto: “Ciò che manca è la volontà politica di alcuni”.

Il messaggio del Pontefice alle Chiese dell’emisfero australe è stato diffuso dal Vaticano mentre si riunivano a margine dei negoziati Onu sul clima a Belém, in Brasile. Nel suo messaggio, il Papa ha descritto la regione amazzonica come “un simbolo vivente del Creato che ha urgente bisogno di protezione”. “Il creato grida attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo incessante”, ha dichiarato il Papa. “Una persona su tre vive in una situazione di grande vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Per loro, i cambiamenti climatici non sono una minaccia lontana, e ignorarli significa negare la nostra comune umanità”.

I negoziati delle Nazioni Unite sul clima entrano nella loro fase finale questa settimana, con i Paesi ancora divisi su questioni chiave. “C’è ancora tempo per limitare il riscaldamento globale a meno di 1,5°C, ma la finestra di opportunità si sta chiudendo”, ha avvertito Leone XIV, chiedendo “azioni concrete” e difendendo l’Accordo di Parigi. L’Accordo di Parigi, ha sostenuto il Papa, è “lo strumento più efficace per proteggere le persone e il pianeta”, pur deplorando la mancanza di impegno da parte di alcuni leader, che non ha nominato. “Ciò che manca è la volontà politica di alcuni. Una vera leadership implica impegno e sostegno su una scala che faccia davvero la differenza”, ha sottolineato, sottolineando la necessità di un’azione più incisiva per il clima per stabilire “sistemi economici più solidi ed equi”. “Inviamo insieme un segnale chiaro al mondo: nazioni unite e incrollabili a sostegno dell’Accordo di Parigi e della cooperazione sul clima”, ha dichiarato.

Atteso picco di emissioni CO2 nel 2025: target Accordo Parigi più lontano

Le emissioni di anidride carbonica derivanti dai combustibili fossili dovrebbero raggiungere un nuovo record nel 2025, secondo uno studio scientifico di riferimento che ha confermato che sarà quasi “impossibile” limitare il riscaldamento globale a meno di 1,5 °C. Secondo il Global Carbon Project, condotto da 130 scienziati internazionali e pubblicato come ogni anno mentre le nazioni sono riunite per la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop30), le emissioni di CO2 prodotte dal carbone, dal petrolio e dal gas fossile saranno superiori dell’1,1% rispetto a quelle dell’anno precedente, raggiungendo i 38,1 miliardi di tonnellate (GtCO2).

“Si tratta di un aumento superiore alla media annuale degli ultimi dieci anni, che era dello 0,8%”, osserva lo studio, indicando che queste emissioni sono ora superiori del 10% rispetto al 2015, anno dell’accordo di Parigi, che mirava a limitare il riscaldamento a 2°C o addirittura a 1,5°C rispetto al periodo preindustriale.

Anche se le emissioni sono diminuite in diversi paesi, in particolare grazie allo sviluppo delle energie rinnovabili, all’elettrificazione dei veicoli o alla riduzione della deforestazione, “collettivamente, il mondo non è all’altezza”, ha sottolineato all’AFP Glen Peters del Centro per la ricerca internazionale sul clima. “Ognuno deve fare la propria parte e tutti devono fare di più”.

Lo studio, atteso come nelle precedenti Cop per una prima stima dello scostamento climatico globale per l’anno in corso, stima che la quantità di CO2 rimanente per mantenere il limite di 1,5 °C sia di 170 miliardi di tonnellate (GtCO2). “Ciò equivale a quattro anni di emissioni al ritmo attuale prima che il budget stanziato per limitare il riscaldamento a 1,5 °C sia esaurito. È quindi, in pratica, impossibile”, conclude Pierre Friedlingstein, dell’Università di Exeter, che ha diretto lo studio.

Questa constatazione di fallimento si è imposta nel corso del 2025 ed è ora riconosciuta dall’Onu, dai climatologi, dal presidente dell’Ipcc e dai partecipanti a questa Cop. L’obiettivo è ora quello di fare in modo che il superamento sia temporaneo, ma ciò potrebbe richiedere decenni.

Sulla base dell’attuale traiettoria, il mondo si riscalderebbe di 2,3-2,5 °C entro la fine del secolo se i paesi mantenessero i loro impegni, ha stimato l’Onu poco prima dell’incontro di Belém. L’ordine di grandezza è simile (2,6 °C entro il 2100) nei calcoli pubblicati giovedì anche dal Climate Action Tracker. Gli ultimi annunci dei paesi “non cambiano nulla”, conclude il gruppo.

Nel 2025, le emissioni legate specificamente alla combustione del carbone raggiungeranno un nuovo record, aumentando dello 0,8% a livello mondiale, trainate in particolare dagli aumenti registrati negli Stati Uniti e in India. Anche le emissioni legate al petrolio e al gas aumentano, rispettivamente dell’1% e dell’1,3%. Per quanto riguarda il gas, le emissioni “sembrano tornare alla tendenza di crescita persistente che prevaleva prima dell’invasione russa dell’Ucraina”, segnala lo studio.

A livello regionale, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno invertito la tendenza al ribasso osservata negli ultimi anni, registrando un aumento delle emissioni rispettivamente dell’1,9% e dello 0,4%, in parte legato agli inverni più freddi che hanno stimolato la domanda di riscaldamento. Le emissioni della Cina, il paese più inquinante, sembrano stabilizzarsi (+0,4%), ma secondo Peters l’incertezza sulle politiche condotte dal paese rende prematura l’affermazione che sia stato raggiunto un picco.

Cop30, si profila ‘battaglia’ tra Paesi: fossili, finanze e CO2 animano la conferenza

Niente di nuovo sotto il cielo del Brasile, o quasi. La 30esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è aperta a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, ha messo sul tavolo una battaglia già in vista tra i paesi sull’urgenza e i mezzi per contenere il riscaldamento globale. “È ora di infliggere una nuova sconfitta ai negazionisti”, ha dichiarato Luiz Inacio Lula da Silva all’inizio delle due settimane di conferenza – a cui non partecipano gli Usa – sottolineando l’importanza dell’azione multilaterale.

Il presidente brasiliano ha ribadito che investire per il clima – punto di eterna disputa in questa sede – costa “molto meno” delle guerre. Con la volontà di evitare il fatalismo: “Stiamo andando nella direzione giusta, ma alla velocità sbagliata”.

Gli Stati Uniti, primo produttore mondiale di petrolio e secondo emettitore di gas serra, sono assenti per la prima volta nella storia di questi incontri. “È meglio che mandare gente a bloccare tutto, no?”, ha detto all’AFP la responsabile di Greenpeace in Brasile, Carolina Pasquali.

Questa Cop, la prima in Amazzonia, riunisce meno partecipanti rispetto alle edizioni precedenti, con 42.000 accreditati. Il primo giorno, i delegati presenti hanno potuto sentire la pioggia tropicale battere violentemente sul tetto del centro congressi e persino sentire le gocce infiltrarsi all’interno della struttura.

“Lamentarsi non è una strategia, abbiamo bisogno di soluzioni”, ha affermato Simon Stiell, capo dell’Onu Clima, che organizza la Cop30 insieme al paese ospitante. Ha accolto con favore un piccolo passo avanti: includendo le ultime roadmap climatiche presentate da alcuni paesi, la riduzione delle emissioni entro il 2035 sarà del 12%. Ancora lontano dall’obiettivo, ma leggermente migliore del 10% annunciato di recente su una base più limitata. “Ogni frazione di grado di riscaldamento evitato salverà milioni di vite e eviterà miliardi di dollari di danni climatici”, ha sottolineato Stiell.

La richiesta dell’Onu, però, è che i negoziati producano risultati più concreti: maggiori impegni per abbandonare le energie fossili, sviluppo delle energie rinnovabili e invio dei fondi promessi ai paesi poveri per aiutarli ad affrontare un clima più violento.

Il tempo stringe, ricordano gli scienziati. Jim Skea, presidente dell’Ipcc, il gruppo di ricercatori che lavora sul clima sotto l’egida dell’Onu, ha giudicato “quasi inevitabile” superare a breve termine la soglia di 1,5 °C di riscaldamento, l’obiettivo più ambizioso fissato dall’accordo di Parigi nel 2015.

Un gruppo di piccole isole sta lottando per inserire nell’ordine del giorno la necessità di formulare una risposta a questo fallimento, ma il gruppo dei paesi arabi e altri si oppongono, temendo un nuovo attacco al petrolio. La posizione dell’Arabia Saudita è “tossica”, deplora un diplomatico occidentale. Il fallimento nel mantenere il limite di 1,5 °C “sigilla la nostra perdita”, ha detto all’AFP Maina Vakafua Talia, ministro di Tuvalu, un piccolo arcipelago del Pacifico minacciato dall’innalzamento del livello del mare. “Mantengo la speranza. Dobbiamo avere un certo ottimismo”, ha tuttavia affermato.

“1,5 °C non è solo un numero o un obiettivo, è una questione di sopravvivenza”, ha concordato con l’AFP Manjeet Dhakal, consigliere del gruppo dei paesi meno sviluppati alla Cop. “Non potremo avallare alcuna decisione che non includa una discussione sul nostro fallimento nell’evitare 1,5 °C”.

Ma non ci sarà un braccio di ferro fin dall’inizio sull’ordine del giorno ufficiale della conferenza: le discussioni più accese su questo tema, così come sulla tassa europea sul carbonio e sulle misure commerciali unilaterali, sono state rinviate a mercoledì. Nel frattempo, la presidenza brasiliana sta organizzando consultazioni tra i paesi, dopo i primi scambi “piuttosto tesi”, secondo un partecipante. “Nessuno vuole cambiare posizione”, si rammarica un rappresentante di un paese latinoamericano.

Uno dei misteri di queste due settimane di negoziati riguarda la “tabella di marcia” sulle energie fossili presentata da Lula durante il vertice dei capi di Stato, la scorsa settimana a Belem. L’abbandono del petrolio, del gas e del carbone sarà oggetto di una nuova decisione negoziata e vincolante – dopo una prima tappa due anni fa a Dubai – o, più probabilmente, di impegni volontari da parte di alcuni paesi? “Sappiamo che si tratta di un argomento delicato per alcuni dei nostri partner e che per alcuni è più semplice discuterne non in un contesto negoziale, ma in un contesto di coalizione”, ammette la delegazione francese.

Si apre la Cop30 a Belem. Combustibili fossili e risorse finanziarie i nodi cruciali

A differenza degli ultimi anni, nessun tema emblematico dominerà la Cop30 di Belém, che si apre oggi 10 novembre a Belém, in Brasile, ma alcune questioni decisamente controverse sono sul piatto, tra cui la debolezza delle ambizioni climatiche, la grave carenza di finanziamenti per i paesi poveri e la protezione delle foreste.

COMBUSTIBILI FOSSILI. Uno dei nodi più importanti da sciogliere resta quello dei combustibili fossili. Ciò che serve davvero è un abbandono “giusto” e “ordinato” delle energie fossili, ha detto il presidente brasiliano Lula, durante il vertice dei leader mondiali che precede la COP30. A due anni dall’adozione senza precedenti alla COP28 di Dubai di un impegno generale ad abbandonare gradualmente le energie fossili, il tema non figura come tale nell’agenda della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si aprirà lunedì per due settimane in questa città dell’Amazzonia brasiliana. Ma alcuni paesi come il Brasile – pur essendo l’ottavo produttore mondiale di petrolio – vogliono riportare l’argomento al centro del dibattito, in assenza dei grandi paesi produttori di petrolio, a cominciare dagli Stati Uniti di Donald Trump. “La Terra non può più sopportare il modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili che ha prevalso negli ultimi 200 anni”, ha affermato Luiz Inacio Lula da Silva.

ROADMAP CLIMATICA. Gli impegni climatici dei paesi di tutto il mondo saranno all’ordine del giorno della Cop30 di quest’anno, con una constatazione: non sono sufficienti. Questi piani puntano a ridurre le emissioni di gas serra solo “di circa il 10% entro il 2035” rispetto al 2019, secondo un calcolo delle Nazioni Unite pubblicato la scorsa settimana, ma che rimane molto parziale a causa del ritardo di un centinaio di paesi nella pubblicazione delle loro roadmap. Molti paesi chiederanno a quelli che emettono più gas serra di aumentare i loro impegni. Dal 2015, anno dell’accordo di Parigi, i paesi devono aggiornare ogni cinque anni i loro piani, che descrivono in dettaglio come intendono ridurre le emissioni di gas serra, ad esempio sviluppando le energie rinnovabili. Queste tabelle di marcia “rappresentano la visione del nostro futuro comune”, sottolinea la presidenza brasiliana, che ha riconosciuto che la Cop dovrebbe rispondere politicamente, anche se la questione non è all’ordine del giorno dei negoziati.

FOCUS SULLA FINANZA. L’anno scorso, la Cop29 ha fissato con difficoltà un nuovo obiettivo di aiuti dei paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo pari a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, il triplo dell’obiettivo precedente ma quattro volte meno di quanto previsto dai paesi poveri. Questi fondi devono servire loro per adattarsi alle inondazioni, alle ondate di calore e alla siccità. Ma anche per investire in energie a basse emissioni di carbonio invece di sviluppare le loro economie bruciando carbone e petrolio. I paesi si sono anche prefissati un obiettivo più vago: mobilitare, da fonti pubbliche diverse ma anche private, un importo totale di 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Le modalità di questo obiettivo, legato a una riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, devono essere precisate in un documento (la “roadmap da Baku a Belém”) che sarà discusso alla Cop30.

FORESTE DA PROTEGGERE. Il Brasile ha voluto organizzare la COP in Amazzonia per attirare l’attenzione sulla questione delle foreste, pozzi di carbonio e serbatoi di biodiversità minacciati, mentre la distruzione delle foreste vergini tropicali ha raggiunto lo scorso anno un livello record da almeno 20 anni. La presidenza vuole formalizzare un fondo di nuovo tipo, il TFFF o “Fondo per il finanziamento delle foreste tropicali”. Questo TFFF intende raccogliere 125 miliardi di dollari, che saranno investiti sui mercati finanziari; i profitti saranno destinati ai paesi con un’elevata copertura forestale e un basso tasso di deforestazione per i loro sforzi di conservazione. Ad esempio Colombia, Ghana, Repubblica Democratica del Congo o Indonesia.

Allarme di The Lancet: “Inazione climatica e combustibili fossili causano milioni di morti”

Una minaccia “senza precedenti” per la salute. Il riscaldamento globale e la combustione di energie fossili non solo danneggiano l’ambiente, ma sono anche sempre più pericolosi – e mortali – per gli esseri umani, come dettagliato nel rapporto annuale di riferimento pubblicato da The Lancet. È la grande novità dell’edizione 2025 del Lancet Countdown, un rapporto pubblicato ogni anno dalla rivista medica sui rischi del cambiamento climatico per la salute. Per la prima volta, gli autori quantificano il numero di morti direttamente causate dal calore negli ultimi anni.

Secondo gli esperti, tra il 2012 e il 2021 il caldo ha causato in media 546.000 decessi all’anno, principalmente in Africa, Medio Oriente e Asia meridionale, mentre gli episodi di ondate di calore si stanno intensificando a causa del riscaldamento globale. Questa cifra supera di oltre la metà (63%) il livello registrato negli anni ’90. Un aumento in gran parte legato alla crescita della popolazione mondiale.

Tuttavia, anche tenendo conto di questo fattore, la mortalità legata al calore è aumentata di quasi un quarto (+23%). “I bambini di età inferiore a un anno e gli anziani oltre i 65 anni, le fasce d’età più vulnerabili, hanno subito nel 2024 un numero senza precedenti di giorni di ondate di calore”, sottolineano i ricercatori. Per queste due categorie, la durata media dell’esposizione è più che triplicata in vent’anni.

Il calore eccessivo può causare disturbi renali, malattie cardiovascolari e respiratorie, insufficienza organica e, in alcuni casi, la morte. Le sue conseguenze possono essere più insidiose, osserva il rapporto. Il calore scoraggia l’attività fisica e compromette il sonno, due componenti essenziali per una buona salute fisica e mentale.

Un’altra importante conclusione del rapporto è il peso sempre considerevole per la salute dell’inquinamento atmosferico, accentuato dal riscaldamento globale e causato, come quest’ultimo, dalla combustione di energie fossili (carbone, gas…) che ha raggiunto un nuovo record nel 2024. Gli autori stimano che l’inquinamento atmosferico legato alle energie fossili abbia causato oltre 2,5 milioni di decessi nel 2022. La tendenza è tuttavia in calo, grazie alla diminuzione dell’uso del carbone nei paesi sviluppati.

Novità di questa edizione, gli autori hanno quantificato il numero di morti causate specificamente dall’inquinamento legato agli incendi boschivi, un fenomeno sempre più frequente a causa degli episodi di caldo e siccità. “Il 2024 ha registrato un record di 154.000 morti legate all’inquinamento da particolato fine derivante dal fumo degli incendi boschivi”, conclude il rapporto.

Il riscaldamento globale accentua i fenomeni meteorologici estremi: siccità, tempeste, inondazioni… Secondo il rapporto, nel 2024 hanno causato almeno 16.000 morti. Tuttavia, questa cifra da sola è ben lungi dal testimoniare i profondi effetti di questi fenomeni sulla salute umana. Possono essere disastrosi per la produzione agricola, mettendo a rischio il corretto approvvigionamento alimentare di molte persone.

Secondo il rapporto, l’accelerazione degli episodi di siccità e ondate di calore ha minacciato la sicurezza alimentare di 123,4 milioni di persone nel 2023. E questa cifra non è esaustiva, poiché si basa sull’analisi di 124 paesi, quando il mondo ne conta quasi 200.

Infine, il riscaldamento globale facilita anche la diffusione di malattie trasmesse dagli animali, in particolare dagli insetti che riescono a insediarsi in regioni fino ad allora inospitali per loro. Un esempio calzante: la dengue, trasmessa dalla zanzara tigre. Questo insetto, un tempo limitato alle regioni tropicali ma ormai presente anche in Europa, trova condizioni climatiche sempre più favorevoli. A causa dell’aumento delle temperature, il potenziale globale di trasmissione del virus della dengue è aumentato di oltre la metà rispetto agli anni ’50, contribuendo agli oltre sette milioni di casi registrati nel mondo nel 2024. Il rapporto cita anche altri insetti la cui area di diffusione continua ad ampliarsi, mentre diffondono malattie molto letali o invalidanti: la zecca sanguinaria, che trasmette la febbre emorragica di Crimea-Congo, o il minuscolo flebotomo, che trasmette la leishmaniosi, una malattia parassitaria.

Ue, Meloni: “Italia non appoggerà revisione legge clima senza un cambio di approccio”

Ucraina, Medio Oriente, Nato, competitività, clima. I temi sul tavolo del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre sono tanti e su tutti Giorgia Meloni promette una posizione chiara dell’Italia.
A partire dalla proposta di revisione della Legge sul Clima europea, che vorrebbe inserire un taglio del 90% delle emissioni per il 2040. Senza un “cambio di approccio”, Roma non la sosterrà: la premier lo dice apertamente nelle comunicazioni in Parlamento.

Il cambio di rotta chiesto dall’Italia passa da tre ambiti principali, in cui le rinnovabili “hanno un ruolo nello sviluppo ma devono essere integrate in un sistema equilibrato, tecnologicamente attrezzato per contenere al massimo le emissioni”, precisa la presidente del Consiglio. Il primo è una modifica che preveda un nuovo obiettivo intermedio al 2040, accompagnato da “condizioni abilitanti”, ovvero strumenti che consentano di raggiungere gli obiettivi senza “compromettere l’economia europea”. La seconda condizione è che questo cambio di approccio preveda una piena applicazione del principio della neutralità tecnologica a tutta la legislazione climatica Ue, a partire da quella relativa al settore automobilistico e a quello dell’industria pesante. Terzo punto è quello delle risorse. “Perché nessuna transizione è davvero possibile senza stanziare le risorse adeguate”, ricorda la premier. Il nuovo Quadro finanziario pluriennale sarà un “fondamentale banco di prova” insieme all’avanzamento verso l’Unione dei mercati dei capitali Ue, fondamentale per favorire “gli indispensabili investimenti privati necessari a complemento di quelli pubblici”.

Per sostenere la competitività, insieme ad altri 18 Paesi europei l’Italia ha indirizzato una lettera alla Presidente del Consiglio Ursula von der Leyen per accelerare ulteriormente la semplificazione normativa.

Sulla Difesa, Roma ha già iniziato un percorso di rafforzamento, ricorda Meloni facendo riferimento ai finanziamenti agevolati previsti da Safe (Security Action for Europe), con l’assegnazione di 14,9 miliardi di euro. Il che consente, ribadisce, di “rafforzarla senza distogliere un solo euro dalle altre priorità che il Governo si è dato”. Rispetto all’Unione la premier chiede di rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita per il settore e mette in chiaro: tutti i confini sono rilevanti. Non soltanto il fianco Est, quindi la ‘prontezza europea’ nella difesa deve essere sviluppata a 360°: “Non possiamo consentire che si perda di vista il fianco meridionale, la sicurezza dei confini esterni dell’Alleanza è indivisibile. Dobbiamo essere pronti anche di fronte alle minacce alla nostra sicurezza portate dai conflitti e dall’instabilità nel Medio Oriente, in Libia, nel Sahel, nel Corno d’Africa“, scandisce.

Non cambia la posizione di Roma sull’Ucraina: “Non può cambiare – spiega Meloni – , davanti alle vittime civili, alle immagini delle città, delle case, delle stazioni elettriche e di stoccaggio del gas sistematicamente bombardate dai russi, con il solo e preciso intento di rendere impossibile la vita alla popolazione civile, che resiste eroicamente da quasi quattro anni a un conflitto su larga scala“. Nessun disimpegno quindi, risponde alle polemiche dopo la ricondivisione di un video Maga da parte di Donald Trump, ma un sostegno al popolo ucraino “fermo, determinato, nell’unico intento di arrivare alla pace“, precisa. Si continuerà a lavorare con Stati Uniti per, aggiunge, “definire garanzie di sicurezza robuste, credibili, efficaci nella loro capacità di deterrenza, per Kiev e per tutti noi”. Deterrenza che per la premier deve basarsi sulla forza dell’esercito ucraino, su una componente politica (con un meccanismo di assistenza modellato sull’articolo 5 del Patto Atlantico) e una di rassicurazione prevista dalla coalizione dei volenterosi.

Ma gli Usa non si possono escludere dal processo e Mosca va contenuta, ripete la prima ministra, anche perché “quando Putin provoca con i droni sui cieli europei non è l’Europa sotto attacco, è l’Alleanza Atlantica sotto attacco, è l’Occidente che è sotto attacco“. La premier parla di una “saldatura” tra Russia, Cina, Corea del Nord che cercherebbero di rafforzare l’influenza nel Sud Globale. Quindi, “non è l’Europa che si cerca di isolare, è l’Occidente che si cerca di isolare”. Il legame Bruxelles-Washington va “rafforzato” e insiste: “Tutti coloro che provano dicono ‘decidi se stare con l’Europa o gli Stati Uniti’ stanno facendo un errore, perché io voglio stare con l’Occidente rafforzando il ruolo dell’Europa e dell’Italia all’interno dell’Occidente“.

Schwarzenegger in Vaticano per conferenza sul clima: “Cattolici crociati dell’ambiente”

Repubblicano sì, ma sul fronte della lotta al cambiamento climatico Arnold Schwarzenegger è lontanissimo dalle posizioni di Donald Trump. Tanto che si dice “felicissimo” di partecipare, domani, al convegno con Papa Leone XIV a Castel Gandolfo dedicato ai dieci anni dalla Laudato Sì.

‘Raising Hope for Climate Justice‘ è il titolo del vertice convocato nelle ville pontificie dall’1 al 3 ottobre, “un momento importantissimo”, lo definisce l’ex governatore della California. Per raggiungere gli obiettivi climatici, Schwarzenegger fa un rapido conto dei cattolici nel mondo, 1,4 miliardi di persone, e li chiama “alle armi”: “Immaginate il potere comunicativo che si può sprigionare coinvolgendoli, ogni singola persona può essere un crociato dell’ambiente per ‘terminare’, uso questo termine, l’inquinamento“. Utilizza più volte il termine “terminate”, per giocare con il titolo della sua saga più celebre, Terminator. E chiede di mettere da parte una narrazione troppo scientifica del global warming: “L’inquinamento uccide 7 milioni di persone ogni anno, parliamo di questo, non delle calotte che si sciolgono. Stiamo uccidendo i bambini, gli esseri umani”, spiega durante la conferenza di presentazione del convegno, in Vaticano.

La chiave del contrasto al cambiamento climatico, per la stella di Hollywood, è l’azione, nonostante tutto. Anche contro un contesto ostile: “Ci dicevano che si poteva proteggere o l’economia o l’ambiente, in California abbiamo dimostrato il contrario”, rivendica. Quando era governatore, alla Casa Bianca c’era l’amministrazione Bush. “Il governo federale non aveva interesse ad aiutare lo Stato con le sue leggi a favore dell’ambiente – ricorda -. Avevamo bisogno di un permesso federale, ma siamo andati avanti comunque, abbiamo creato una legge dopo l’altra, quando il governo federale ci fermava adivamo alle vie legali, finché non li abbiamo battuti“. “Hasta la vista, baby”, scherza, riferendosi ancora Terminator. E a chi gli chiede un commento sulla posizione di Trump: “Mai arrendersi – insiste -, non usiamo il governo federale come scusa, non ci si ferma. Chiediamoci ‘io cosa posso fare?'”.

L’appello ai leader mondiali arriva da Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre e presidente della Conferenza Episcopale del Brasile e del Celam, che chiede alla Cop30 “decisioni coraggiose”, decisioni che gli statisti devono essere chiamati a costruire, “poiché la scienza mostra che il tempo stringe”, avverte. Decisioni necessarie, osserva, “affinché le future generazioni possano avere giorni migliori”. “Quando trattiamo dei cambiamenti climatici e della urgente e necessaria transizione energetica, non si può agire in maniera ‘romantica’. La crisi ecologica e il conseguente riscaldamento globale non possono essere trattati come una questione da discutere più avanti! Siamo al limite del possibile! Ancora un po’ e non avremo capacità di ritorno”, esorta.

Questa collaborazione senza precedenti tra organizzazioni cattoliche, in partnership con le principali voci di molte fedi e della società civile, arriva a un mese dalla Cop brasiliana. “Sappiamo che i leader non stanno compiendo progressi adeguati per salvaguardare il nostro clima per le generazioni future”, gli fa eco Lorna Gold, direttrice esecutiva del Movimento Laudato Si’, che si dice “scioccata” dalla mancanza di progressi significativi per abbandonare senza indugio i combustibili fossili. “Chiediamo a tutti i governi di pubblicare NDC ambiziosi e di impegnare le risorse finanziarie necessarie per invertire questa tendenza”, scandisce.

Mentre l’appello più drammatico arriva dal ministro dell’Ambiente di Tuvalu, in Oceania, una delle nazioni più vulnerabili al mondo rispetto al cambiamento climatico. “Ogni volta che c’è l’alta marea la nostra terra viene erosa, ogni ciclone rischia di farci scomparire”, racconta Maina Talia, ministro degli Affari Interni, dei Cambiamenti Climatici e dell’Ambiente, che parla di “una minaccia esistenziale attuale”. “I mari che innalzano il loro livello ci stanno inghiottendo”. Un grado e mezzo in più sui livelli pre-industriali, “non è un numero astratto, è la differenza tra la vita e la morte”, sostiene. “Stiamo annegando e la nostra sopravvivenza dipende dalla solidarietà globale. Chi ha responsabilità della crisi deve onorare il debito ecologico”, tuona il ministro che alla Cop30 domanda cronoprogrammi vincolanti per la fine dei combustibili fossili e un impegno per la deforestazione zero. E sulla migrazione climatica che il diritto internazionale garantisca la dignità dei migranti, “non solo il nostro spostamento fisico”.

L’inquinamento atmosferico danneggia la vista dei bambini

Un nuovo studio rivela che l’inquinamento atmosferico potrebbe danneggiare la vista dei bambini, mentre l’aria più pulita aiuta a proteggere e persino a migliorare le capacità di visive soprattutto nei più piccoli. I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione a livelli più bassi di inquinanti atmosferici, in particolare biossido di azoto (NO₂) e particolato fine (PM2.5), è associata alla capacità dei bambini di vedere bene senza occhiali. I loro risultati suggeriscono che ridurre l’esposizione a questi inquinanti potrebbe contribuire a rallentare la progressione della miopia, ovvero la visione sfocata degli oggetti distanti. Questa condizione sta diventando sempre più comune nei bambini, soprattutto nell’Asia orientale.

Pubblicando i loro risultati su Pnas Nexus, gli esperti sottolineano che, mentre la genetica e i fattori legati allo stile di vita, come il tempo trascorso davanti a dispositivi elettronici, giocano un ruolo importante nel determinare se i bambini saranno miopi, anche i fattori ambientali, come l’inquinamento atmosferico, sono importanti. Utilizzando tecniche avanzate di apprendimento automatico, il team ha esaminato come fattori ambientali, genetici e legati allo stile di vita interagiscono per influenzare lo sviluppo della vista nei bambini.

I ricercatori hanno scoperto che i bambini che vivevano in aree con aria più pulita avevano una vista migliore, dopo aver tenuto conto di altri fattori. Inoltre, è emerso che gli studenti delle scuole primarie sono particolarmente sensibili all’inquinamento atmosferico e hanno mostrato i maggiori miglioramenti nell’acuità visiva non corretta quando esposti ad aria più pulita. Al contrario, gli studenti più grandi e quelli con miopia elevata sono stati meno influenzati dai cambiamenti ambientali e la loro vista è stata maggiormente influenzata da fattori genetici, il che suggerisce che un intervento tempestivo, prima che i problemi di vista diventino gravi, può fare davvero la differenza.

Il professor Zongbo Shi, dell’Università di Birmingham, che ha co-supervisionato questo studio, spiega che “sebbene la genetica e il tempo trascorso davanti allo schermo siano da tempo riconosciuti come fattori che contribuiscono alla miopia infantile, questo studio è tra i primi a isolare l’inquinamento atmosferico come un fattore di rischio significativo e modificabile”. L’aria pulita, infatti, “non riguarda solo la salute respiratoria, ma anche quella visiva. I nostri risultati dimostrano che migliorare la qualità dell’aria potrebbe essere un prezioso intervento strategico per proteggere la vista dei bambini, soprattutto durante gli anni di sviluppo più vulnerabili”.

L’aria inquinata può causare infiammazione e stress agli occhi, ridurre l’esposizione alla luce solare, importante per uno sviluppo sano degli occhi, e innescare cambiamenti chimici nell’occhio che ne modificano la forma, causando la miopia. Questo studio suggerisce che l’installazione di purificatori d’aria nelle aule, la creazione di “zone ad aria pulita” attorno alle scuole per ridurre l’inquinamento del traffico e la chiusura delle strade alle auto durante gli orari di entrata e uscita dei bambini possono migliorare la salute degli occhi, perché i bambini trascorrono molto tempo a scuola. Come spiega il coautore, Yuqing Dai dell’Università di Birmingham, “la miopia è in aumento a livello globale e può portare a gravi problemi alla vista in età adulta. Sebbene non possiamo modificare i geni di un bambino, possiamo migliorare il suo ambiente. Se interveniamo tempestivamente, prima che si manifesti una miopia grave, possiamo fare davvero la differenza”.