El Nino contribuirà a temperature superiori alla norma tra marzo e maggio

Il fenomeno meteorologico El Nino ha raggiunto il suo picco a dicembre ed è uno dei cinque più potenti mai registrati, ha dichiarato martedì l’Organizzazione meteorologica mondiale, prevedendo temperature superiori alla norma tra marzo e maggio sulle aree terrestri. “Si prevedono temperature superiori alla norma su quasi tutte le aree terrestri tra marzo e maggio“, ha dichiarato. El Nino “si sta gradualmente indebolendo ma continuerà ad avere un impatto sul clima globale nei prossimi mesi, alimentando il calore intrappolato dai gas serra prodotti dalle attività umane“, aggiunge l’organizzazione.

El Nino è un fenomeno meteorologico naturale che riscalda gran parte del Pacifico tropicale e si verifica ogni due-sette anni, con una durata compresa tra i nove e i dodici mesi. Modifica la circolazione dell’atmosfera su scala planetaria, riscaldando aree lontane e, come sottolinea l’Omm, si verifica nel contesto di un clima modificato dalle attività umane. “C’è circa il 60% di possibilità che El Nino persista tra marzo e maggio e l’80% che si osservino condizioni neutre (né El Nino né La Nina) da aprile a giugno“, ha dichiarato l’Omm.

Ogni mese dal giugno 2023 ha stabilito un nuovo record di temperatura mensile e il 2023 è stato di gran lunga l’anno più caldo mai registrato“, ha spiegato Celeste Saulo, nuovo segretario generale dell’Omm. “El Niño ha contribuito a queste temperature record, ma i gas serra che intrappolano il calore sono inequivocabilmente i principali responsabili“, ha affermato. “Le temperature della superficie oceanica nel Pacifico equatoriale riflettono chiaramente El Nino. Ma le temperature della superficie del mare in altre parti del globo sono state persistenti e insolitamente alte negli ultimi 10 mesi“, ha detto la meteorologa argentina, che da gennaio è a capo dell’organizzazione. “La temperatura superficiale del mare nel gennaio 2024 è stata di gran lunga la più alta mai registrata per il mese di gennaio. Questo è preoccupante e non può essere spiegato solo da El Nino“, ha avvertito.

L’attuale episodio di El Nino, iniziato nel giugno 2023, ha raggiunto il suo picco tra novembre e gennaio. Ha registrato un valore massimo di circa 2,0°C al di sopra della temperatura media della superficie del mare nel periodo 1991-2020 per l’Oceano Pacifico tropicale orientale e centrale. L’O,, afferma che esiste la possibilità che La Nina – che, a differenza di El Nino, abbassa le temperature – si sviluppi “più avanti nel corso dell’anno” dopo le condizioni neutre (né l’una né l’altra) tra aprile e giugno. Ma l’Omm ritiene che le probabilità siano troppo incerte per il momento.

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Clima, emissioni e sostenibilità: la Commissione europea rivendica i 10 “risultati chiave”

La prima legge europea sul clima, il fondo europeo per una transizione giusta, il dispiegamento di colonnine elettriche su strade e autostrade d’Europa. E, ancora, la revisione dell’Ets, il sistema di certificati di emissioni, affiancato dal nuovo sistema di carbon tax transfrontaliero. Con la legislatura europea agli sgoccioli la Commissione prova a fare un bilancio dell’attività svolta e i successi ottenuti nel corso del mandato. Per quanto riguarda la parte ‘green’ dell’azione dell’esecutivo comunitario, il rapporto stilato a Bruxelles, si concentra su 10 risultati considerati chiave.

Al primo posto viene menzionata la prima legge europea sul clima, approvata nel 2021, che fissa obiettivi chiari per fare dell’Ue una regione climaticamente neutrale entro il 2050, oltre a fissare l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, rispetto al 1990. Obiettivi rivisti a febbraio 2024, con la raccomandazione della Commissione per un ulteriore obiettivo intermedio di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040.

Secondo obiettivo chiave raggiunto: il Just Transition Fund. “Con il sostegno di 19,7 miliardi di euro di finanziamenti – rivendica la Commissione – l’Ue ha aiutato le regioni vulnerabili a diversificare le attività economiche e ad affrontare l’impatto socioeconomico della transizione pulita”.

Terzo risultato della lista: sostegno a gli agricoltori di 22 Stati membri con 330 milioni di euro per far fronte agli impatti degli eventi climatici e ai maggiori costi dei fattori di produzione. A questo si aggiunge la concessione di flessibilità ai governi nazionali per integrare il sostegno dell’U e fino al 200% con fondi nazionali e di fornire anticipi più elevati sui fondi della politica agricola comune per migliorare il flusso di cassa degli agricoltori.

Risultato numero quattro: “Dal 2019 abbiamo approvato sette importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI) che coinvolgono 22 Stati membri”. Questi progetti ambiziosi riguardano, ad esempio, le batterie, la microelettronica, l’idrogeno e il cloud computing. Con aiuti di Stato pari a 32,9 miliardi di euro, si sbloccheranno almeno 50,3 miliardi di euro di investimenti privati aggiuntivi.

Il punto numero 5 della lista dei principali obiettivi ‘green’ raggiunti nella legislatura riguarda lazione per utilizzare meglio le risorse scarse e ridurre i rifiuti. Qui, sottolinea la Commissione, “abbiamo adottato misure per rendere i prodotti più sostenibili, riducendo i 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti che l’Ue produce ogni anno”.

In termini di efficienza e sostenibilità, il grande successo numero sei per la Commissione è “la nostra forte attenzione all’uso più intelligente dei materiali” dimostrata con il Nuovo Bauhaus europeo. “Con oltre 600 organizzazioni partner ufficiali che vanno dalle reti a livello europeo alle iniziative locali, il Bauhaus raggiunge ora milioni di cittadini”.

Ancora, durante questo mandato la Commissione ha aggiornato il sistema di scambio di quote di emissioni dell’Ue (ETS) per coprire più attività, motivando più settori economici ad attuare riforme verso la transizione pulita. Ciò genera maggiori entrate che verranno reinvestite in innovazione, azione per il clima e sostegno sociale, ad esempio attraverso il Fondo per l’innovazione, il Fondo per la modernizzazione e il Fondo sociale per il clima.

Risultato ‘green’ numero otto: la trasformazione sostenibile del settore trasporti. “Abbiamo sostenuto la produzione di batterie nell’Ue e lo sviluppo dell’idrogeno pulito”, sottolinea la Commissione. “Abbiamo inoltre stabilito requisiti per garantire che le stazioni di ricarica per veicoli elettrici siano disponibili ogni 60 km nella rete transeuropea dei trasporti”.

Nove: il meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio (Cbam). Con questo meccanismo “abbiamo affrontato la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, assicurandoci che le emissioni siano ridotte ovunque vengano prodotte, e non semplicemente all’estero”.

Infine, il Piano d’azione ‘Inquinamento zero’ (Zero Pollution) della Commissione, che ha portato a proposte per standard modernizzati sulla qualità dell’acqua, della qualità dell’aria, delle emissioni industriali e delle sostanze chimiche.

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Clima, allarme scienziati: +60% parti pretermine con surriscaldamento globale

L’aumento del numero di nascite pretermine, l’incremento dell’incidenza di malattie respiratorie e di decessi e l’aumento del numero di bambini ricoverati in ospedale sono alcuni degli esiti negativi che il mondo sta affrontando a causa degli impatti dei cambiamenti climatici estremi. Gli scienziati hanno passato decenni a mettere in guardia il mondo sui rischi delle temperature estreme, delle inondazioni e degli incendi, ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment è il primo a raccogliere tutte le prove scientifiche disponibili sugli effetti del cambiamento climatico sulla salute dei bambini.

La ricerca, guidata da Lewis Weeda, ricercatore della University of Western Australia e del Wal-yan Respiratory Research Centre del Telethon Kids Institute, e dal professore di ecologia globale Matthew Flinders, Corey Bradshaw, della Flinders University, mostra che il rischio di parto pretermine aumenterà in media del 60% in seguito all’esposizione a temperature estreme. Gli scienziati hanno esaminato i risultati di 163 studi sulla salute provenienti da tutto il mondo per condurre la loro ricerca e hanno scoperto, ad esempio, che le malattie respiratorie, la mortalità e la morbilità dei più piccoli sono state peggiorate dal cambiamento climatico. Non solo: a ciascun estremo climatico corrisponde un problema di salute specifico: il freddo estremo dà origine a malattie respiratorie, mentre la siccità e le precipitazioni estreme possono causare una crescita stentata per una popolazione.

Gli effetti di questo meccanismo saranno anche economici. “Dato che il clima influenza le malattie infantili – spiega Bradshaw – i costi sociali e finanziari continueranno ad aumentare con il progredire dei cambiamenti climatici, esercitando una pressione crescente sulle famiglie e sui servizi sanitari”.

“La nostra ricerca – dice Weeda – riconosce alcune aree in cui i bambini sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Lo sviluppo di politiche di salute pubblica per contrastare queste malattie legate al clima, insieme agli sforzi per ridurre i cambiamenti climatici antropogenici, deve essere affrontato se vogliamo proteggere i bambini attuali e futuri”.

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‘Turismo migliore grazie a scioglimento ghiacci’: ecco come la Russia distorce il cambiamento climatico

Nessuna agenda politica per il clima, scarsa pianificazione all’adattamento, distruzione dell’atmosfera a causa delle operazioni militari – che aggiungono sostanze tossiche e rifiuti pericolosi al suolo, all’aria e all’acqua – ma anzi, investimenti sui combustibili fossili e una narrazione autoreferenziale che porta a raccontare, ad esempio, quanto sia ‘bello’ lo scioglimento dei ghiacci artici perché consente di viaggiare senza troppi disagi. Debra Javeline, professoressa associata di Scienze politiche all’Università di Notre Dame, è l’autrice principale di uno studio dedicato al rapporto tra la Russia e il cambiamento climatico, dal quale emerge un quadro decisamente preoccupante. La ricerca è stata condotta insieme a un gruppo di esperti del Ponars (Program on New Approaches to Research and Security in Eurasia), che hanno analizzato l’agricoltura, gli affari internazionali, il cambiamento dell’Artico, la salute pubblica, la società civile e la governance.

I ricercatori hanno scoperto che la Russia sta già soffrendo per una serie di impatti del cambiamento climatico – nonostante le dichiarazioni del governo – ed è mal preparata a mitigare o ad adattarsi alla nuova situazione. Inoltre, mentre il resto del mondo si sta convertendo alle fonti di energia rinnovabili, il governo russo, dipendente dai combustibili fossili, non è disposto o pronto a fare piani alternativi per il Paese. E mentre Mosca continua a condurre una guerra ad alta intensità di carbonio in Ucraina, rimane “sempre più isolata dalla comunità internazionale e dai suoi sforzi per ridurre le emissioni di gas serra”, scrivono gli esperti.

Il motivo di preoccupazione sta nel fatto che la Russia non solo è considerata il Paese più grande del mondo, occupando più della metà delle coste dell’Oceano Artico, ma si sta anche riscaldando quattro volte più velocemente della Terra ed è uno dei principali emettitori di gas serra. Gli impatti ambientali già in atto includono inondazioni, ondate di calore, siccità e incendi che colpiscono non solo le comunità, ma anche l’agricoltura, la silvicoltura e le risorse idriche.

Il riscaldamento globale, poi, ha avuto un’enorme influenza sul permafrost russo, che ora si sta scongelando a ritmi allarmanti. Quello che una volta era considerato un terreno stabile ora si sta spostando causando danni enormi. Lo studio ha evidenziato un aumento delle inondazioni, delle frane, dello sprofondamento del terreno che sostiene le infrastrutture esistenti, con conseguenti crepe nelle fondamenta e compromissione dei rifugi.

Secondo gli studiosi del Ponars, tuttavia, la leadership russa interpreta questi impatti climatici in modo autoreferenziale e incoraggia i cittadini ad accettarli come benefici. Ad esempio, mentre gli scienziati mettono in guardia dalle temperature estreme e dalla diminuzione del ghiaccio marino, il governo pubblicizza una rotta artica per tutto l’anno e un clima complessivamente più vivibile. Inoltre, le politiche per ridurre la vulnerabilità di alcune regioni agli impatti climatici sono limitate, e in generale la pianificazione dell’adattamento è scarsa e l’attuazione degli adattamenti effettivi ancora di più. Inoltre, “nessun leader politico di primo piano si fa promotore di un’agenda per il clima”, dicono gli esperti, e “chi occupa le più alte posizioni di potere o sta in silenzio o è negazionista”.

Infine, l’invasione dell’Ucraina ha aggravato l’emergenza climatica. “Il disastro umanitario è della massima importanza, ma il danno collaterale è l’intensa distruzione dell’atmosfera”, osservano i ricercatori. La guerra ha portato danni irreparabili al clima globale a causa dell’aumento delle emissioni militari, che, dicono i ricercatori, hanno assunto la forma di “diversi milioni di tonnellate extra di anidride carbonica equivalente”.

‘Climate change doesn’t exist’: provocazione alla Fashion Week

Una vecchia automobile rossa con la scritta ‘Climate change doesn’t exist‘ è distrutta da blocchi di grandine grandi come macigni. Una bicicletta nera sulla fiancata, un cartello pubblicitario accanto recita: ‘It’s time to change‘, è arrivato il momento di cambiare rotta. E’ un piccolo scenario apocalittico parcheggiato tra i civici 19 e 21 di via Paolo Sarpi a Milano, un’installazione che resterà lì da oggi, 20 febbraio, al 25 febbraio per lanciare un allarme sull’emergenza climatica durante la Fashion Week.

Il progetto, ideato e prodotto da Fondazione CESVI e Factanza Media, insieme a Mirror, nasce con l’obiettivo di trasformare un concetto astratto in un’esperienza visiva, per stimolare riflessioni sulla responsabilità individuale e collettiva. Gli eventi climatici estremi sono sempre più presenti, anche in Italia. Proprio Milano, che in questi giorni porta l’impietoso record di città tra le più inquinate al mondo, è ancora ferita dalle violente piogge che l’hanno recentemente colpita, come le devastanti alluvioni hanno messo in ginocchio l’Emilia-Romagna. Non si può più parlare di fenomeni passeggeri o imprevedibili. Questi sono gli effetti del riscaldamento globale: il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, con una temperatura media di 0,60° superiore al periodo 1991-2000 e di 1,48° rispetto al livello preindustriale. Tra 1970 e 2021 i fenomeni meteorologici estremi nel mondo sono stati 11.778, con 4.300 miliardi di dollari di danni economici e la morte di 2 milioni di persone, per il 90% nei Paesi in Via di Sviluppo. Cesvi e Factanza invitano a ricordare che un’automobile distrutta non è nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che capita regolarmente in altri Paesi del mondo, dove gli eventi meteorologici estremi spazzano via ogni cosa. Come avvenuto in Pakistan tra il 2022 e il 2023.

Per questo, poco distante dall’installazione, un totem multimediale mostra l’impatto dei cambiamenti climatici in tutto il mondo con un approfondimento sul Pakistan, Paese simbolo dell’ingiustizia climatica: tra i più colpiti al mondo dagli eventi naturali estremi, sebbene sia tra i minori produttori di gas serra. Le alluvioni del 2022 hanno sommerso un terzo del Paese, tanto che oltre 33 milioni di persone sono state colpite e più di 8,2 milioni costrette ad abbandonare le proprie case. Ma l’emergenza si è estesa nel 2023 anche nel Punjab dove più di 750.000 persone sono state colpite da piogge estreme con oltre 630mila persone sfollate e quasi mezzo milione di acri di coltivazioni danneggiati.

Il messaggio è chiaro, per Gloria Zavatta, Presidente di Cesvi: “Se pensiamo che quel che accade in Europa e Italia sia drammatico, è necessario guardare più lontano, spesso ai Paesi già colpiti dalla crisi climatica e martoriati da povertà, fame, malattie, guerre, ingabbiati in un circolo vizioso che non lascia scampo ai loro abitanti”, scandisce, ricordando che il cambiamento climatico “esacerba le diseguaglianze e le ingiustizie sia a livello internazionale che locale“. Da un lato i Paesi che soffrono maggiormente gli impatti del cambiamento climatico non sono quelli che hanno contribuito di più alla genesi del fenomeno. Dall’altro, in ogni singolo Paese sono le comunità più povere e marginalizzate ad essere le più colpite. “La scelta di ribadire l’allarme sull’emergenza climatica in concomitanza della Fashion Week ci permette di attenzionare un tema di rilevanza assoluta in un momento di grande visibilità per Milano, città della moda, ma sempre più attenta alle tematiche legate alla sostenibilità“, spiega.

L’installazione è “simbolo e monito a riconoscere la realtà del cambiamento climatico e le sue conseguenze devastanti“, le fa eco Bianca Arrighini, Ceo e co-founder di Factanza, uno dei leader tra le piattaforme digitali. “Non si tratta solo di una manifestazione di solidarietà – garantisce-, ma di un impegno tangibile verso la causa. Portare avanti questo progetto significa mettere in luce le storie e gli impatti umani legati alle crisi climatiche, promuovendo azioni concrete che ricordino l’importanza di un’immediata azione globale“.

Alta pressione e smog alle stelle, ma da giovedì cambia tutto con il ciclone polare

Ultimi giorni di caldo eccezionale con valori 10-11 gradi superiori alle medie del periodo. Da giovedì, lentamente, il termometro si riporterà verso la climatologia del periodo, ma non farà freddo. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma che “temperature massime fino a 20 gradi a febbraio non sono la normalità, specie al Nord: anzi, rappresentano un campanello d’allarme del Riscaldamento Globale essendo le temperature che normalmente dovremmo avere ad aprile”.

A Milano, Torino, Bologna, Venezia e Bolzano, ad esempio, la media delle massime di febbraio è circa 8-9°C; nelle ultime settimane e negli ultimi giorni sono stati raggiunti spesso i 17-19°C. Qualcosa però cambierà da giovedì: dalle zone polari, dopo la notte invernale del gelido buio assoluto, potrebbe scendere un ciclone con aria fredda verso il Mediterraneo.

Sulle zone polari infatti, senza la luce del sole, l’aria si raffredda e raggiunge le temperature più basse in questo periodo: dal Circolo Polare Artico durante il weekend una massa d’aria proverà a raggiungere il nostro Paese. Il termometro scenderà di 10 gradi riportandosi intorno alla media.

Questa massa d’aria dal nord Atlantico, con caratteristiche polari marittime, invaderà il nostro Paese da giovedì portando dapprima nevicate deboli sulle Alpi; in seguito, lo scontro con l’aria calda preesistente e l’arrivo di intense correnti meridionali molto umide genererà nevicate molto abbondanti sulle Alpi centro-orientali, soprattutto venerdì.

Intanto, nelle prossime ore, un primo fronte porterà piogge e locali temporali al Sud e localmente al Centro, specie versante adriatico; dal pomeriggio l’aria instabile formerà un piccolo vortice sullo Ionio in moto verso la Grecia. Questa bassa pressione porterà piogge più diffuse ed intense sulla Sicilia, terra colpita da un’estrema siccità.

Mercoledì, poi, vivremo la classica giornata di tregua meteorologica con ampi sprazzi di sole quasi ovunque e temperature ancora decisamente miti.
Per venerdì 23 febbraio si stima che possa cadere oltre mezzo metro di neve fresca sopra i 1000-1500 metri sulle Alpi centro-orientali. Inoltre le precipitazioni, attese da giovedì in poi, abbatteranno lo smog che negli ultimi giorni è salito alle stelle soprattutto sulla Pianura Padana.

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Addio ai ghiacci, la Groenlandia è sempre più verde (e non è un bene)

La calotta glaciale della Groenlandia si sta sciogliendo sempre di più e viene gradualmente sostituita dalla vegetazione. Negli ultimi tre decenni si sono sciolti circa 28.707 chilometri quadrati, pari alle dimensioni dell’Albania. Una quantità che rappresenta circa l’1,6% della copertura totale di ghiaccio e ghiacciai della Groenlandia. Dove un tempo c’erano ghiaccio e neve, ora ci sono rocce brulle, zone umide e aree di arbusti.

Un team di scienziati dell’Università di Leeds, che ha seguito i cambiamenti in questa zona dagli anni ’80 al 2010, sostiene che le temperature più calde dell’aria stanno causando il ritiro dei ghiacci. Il permafrost – uno strato permanentemente ghiacciato sotto la superficie terrestre – viene “degradato” dal riscaldamento e in alcune aree, avvertono gli scienziati, potrebbe avere un impatto sulle infrastrutture, gli edifici e le comunità che vi si trovano sopra. Le loro scoperte sono riportate sulla rivista Scientific Reports.

La Groenlandia fa parte della regione artica. È l’isola più grande del mondo, con una superficie di circa 836.330 miglia quadrate (2,1 milioni di km²). La maggior parte del territorio è coperta da ghiacci e ghiacciai e ospita quasi 57.000 persone. Dagli anni ’70 si è riscaldata a un tasso doppio rispetto alla media globale. Qui le temperature medie annuali dell’aria tra il 2007 e il 2012 sono state più calde di 3 gradi centigradi, rispetto alla media del periodo 1979-2000. E i ricercatori avvertono che in futuro è probabile che si verifichino temperature più estreme.

La perdita di ghiaccio si è concentrata intorno ai bordi degli attuali ghiacciai, ma anche nel nord e nel sud-ovest della Groenlandia. Si sono registrati alti livelli di perdita di ghiaccio anche in aree localizzate a ovest, nel centro-nord-ovest e nel sud-est. Nel corso dei tre decenni, la quantità di terra su cui cresce la vegetazione è aumentata di 33.774 miglia quadrate (87.475 km quadrati), più che raddoppiando nel periodo di studio.

La perdita di ghiaccio, dicono i ricercatori, sta innescando altre reazioni che porteranno a un’ulteriore perdita di ghiaccio e a un ulteriore ‘rinverdimento’ della Groenlandia, dove la riduzione del ghiaccio espone la roccia nuda che viene poi colonizzata dalla tundra e infine dagli arbusti. Ma allo stesso tempo, l’acqua rilasciata dallo scioglimento dei ghiacci sposta sedimenti e limo, che finiscono per formare zone umide e paludi. La neve e il ghiaccio riflettono bene l’energia solare che colpisce la superficie terrestre e questo contribuisce a mantenere la Terra più fredda. Quando il ghiaccio si ritira, espone il basamento che assorbe più energia solare, aumentando la temperatura della superficie terrestre. Allo stesso modo, lo scioglimento dei ghiacci aumenta la quantità di acqua nei laghi. L’acqua assorbe più energia solare della neve e anche questo aumenta la temperatura della superficie terrestre.

L’analisi, poi, mostra una quasi quadruplicazione delle zone umide in tutta la Groenlandia, in particolare nella parte orientale e nord-orientale, che sono una fonte di emissioni di metano.

“Questi cambiamenti – dicono i ricercatori – sono critici, in particolare per le popolazioni indigene, le cui tradizionali pratiche di caccia di sussistenza si basano sulla stabilità di questi delicati ecosistemi”.

Sempre meno ghiaccio nell’Artico. E gli orsi polari rischiano di morire di fame

(Photo credit: Anthony Pagano)

Gli orsi polari potrebbero morire di fame durante i periodi di assenza di ghiaccio marino nell’Artico, quando sono costretti a trovare cibo sulla terraferma, nonostante la loro capacità di adattare la dieta e i comportamenti di caccia e foraggiamento. E’ quanto rivela un articolo pubblicato su Nature Communications. La scoperta, basata sui dati relativi a 20 orsi polari, fornisce nuovi spunti di riflessione su come questi predatori apicali possano lottare per far fronte a stagioni senza ghiaccio più lunghe a causa dei cambiamenti climatici.

L’Artico sta subendo una rapida riduzione del ghiaccio marino proprio a causa del surriscaldamento del pianeta. Tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate, gli orsi polari usano il ghiaccio marino come piattaforma per cacciare principalmente le foche durante la nascita e lo svezzamento dei cuccioli. Quando il ghiaccio è assente, si pensa che gli orsi riducano al minimo la loro attività per conservare l’energia, digiunando o consumando vegetazione a basso contenuto energetico sulla terraferma, anche se è stato documentato che alcuni individui si nutrono di animali terrestri. Nella Baia di Hudson occidentale, a Manitoba, in Canada, il periodo di assenza di ghiaccio è aumentato di 3 settimane dal 1979 al 2015, mantenendo gli orsi sulla terraferma per circa 130 giorni nell’ultimo decennio.

Anthony Pagano e colleghi dell’U.S. Geological Survey hanno utilizzato dei localizzatori Gps per seguire 20 orsi polari durante il periodo di assenza di ghiaccio marino artico (da agosto a settembre) tra il 2019-2022 nella Baia di Hudson occidentale. Gli autori hanno monitorato il loro dispendio energetico giornaliero, le variazioni della massa corporea, la dieta, il comportamento e gli spostamenti. Hanno scoperto che gli orsi polari hanno scelto diverse strategie per ridurre la perdita di energia, tra cui il digiuno, la riduzione dei movimenti e il consumo di bacche e uccelli. Queste strategie erano indipendenti dall’età, dal sesso, dalla fase riproduttiva (sono state incluse le femmine gravide) o dai livelli di grasso iniziali. Gli autori suggeriscono che il foraggiamento sulla terraferma non ha portato grandi benefici nel prolungare il tempo previsto per la morte per fame, dato che 19 dei 20 orsi hanno perso massa.

Poiché il ghiaccio marino continua a ritirarsi, la comprensione di questi comportamenti adattivi per i ricercatori “è fondamentale per gli sforzi di conservazione volti a sostenere gli orsi polari in un ecosistema in rapido cambiamento, suggeriscono gli autori”.
 

 

 

La calotta glaciale Antartica si è assottigliata di 450 metri in 200 anni

Ricercatori dell’Università di Cambridge e del British Antarctic Survey hanno scoperto la prima prova diretta che la calotta glaciale dell’Antartide occidentale si è ridotta improvvisamente e drammaticamente alla fine dell’ultima era glaciale, circa ottomila anni fa. Le prove, contenute in una carota di ghiaccio, dimostrano che in un punto la calotta glaciale si è assottigliata di 450 metri – più dell’altezza dell’Empire State Building – in poco meno di 200 anni. Le carote sono costituite da strati di ghiaccio che si sono formati con la caduta della neve e sono stati poi sepolti e compattati in cristalli nel corso di migliaia di anni. All’interno di ogni strato sono intrappolate bolle di aria antica e contaminanti che si sono mescolate con le nevicate di ogni anno, fornendo indizi sul cambiamento del clima e sull’estensione del ghiaccio.

Ora gli scienziati temono che l’aumento costante delle temperature possa in futuro destabilizzare parti della calotta glaciale dell’Antartide occidentale, superando potenzialmente il punto di rottura e provocando un crollo improvviso. Il nuovo studio, pubblicato su Nature Geoscience, fa luce sulla velocità con cui i ghiacci antartici potrebbero sciogliersi se le temperature continuassero a salire. Le calotte antartiche, da ovest a est, contengono abbastanza acqua dolce da innalzare il livello globale del mare di circa 57 metri. Quella dell’Antartide occidentale è considerata particolarmente vulnerabile perché gran parte di essa poggia su un basamento che si trova sotto il livello del mare.

Le previsioni dei modelli suggeriscono che gran parte della calotta potrebbe scomparire nei prossimi secoli, causando l’innalzamento del livello del mare. Tuttavia, non si sa con esattezza quando e quanto velocemente il ghiaccio potrebbe scomparire.

Ora abbiamo la prova diretta che questa calotta glaciale ha subito una rapida perdita di ghiaccio in passato“, spiega Eric Wolff, autore senior del nuovo studio del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge. “Questo scenario – aggiunge – non esiste solo nelle previsioni dei nostri modelli e potrebbe ripetersi se alcune parti di questa calotta glaciale diventassero instabili“.

Caldo record

Clima, allerta rossa: superato per la prima volta limite di 1,5° per un anno consecutivo

Dopo ondate di caldo record nel 2023, il 2024 è iniziato male dal punto di vista climatico: gennaio non è mai stato così caldo e per la prima volta il pianeta ha superato la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale per 12 mesi consecutivi rispetto all’era preindustriale.

Tra febbraio 2023 e gennaio 2024, la temperatura superficiale globale dell’aria è stata di 1,52°C superiore a quella del periodo 1850-1900, secondo i dati dell’osservatorio europeo Copernicus.

“Questo non significa che abbiamo superato il limite di 1,5°C fissato a Parigi nel 2015 per cercare di fermare il riscaldamento globale e le sue conseguenze”, sottolinea Richard Betts, direttore degli studi sull’impatto climatico presso il National Met Office del Regno Unito. Perché ciò accada, il limite dovrebbe essere superato in modo stabile per diversi decenni. “Tuttavia, questo è un ulteriore promemoria dei profondi cambiamenti che abbiamo già apportato al nostro clima globale e ai quali dobbiamo ora adattarci”, spiega l’esperto.

Il clima attuale si è già riscaldato di circa 1,2°C rispetto al 1850-1900. E al ritmo attuale delle emissioni, l’IPCC prevede che la soglia di 1,5°C abbia il 50% di possibilità di essere raggiunta in media già nel 2030-2035.

GENNAIO DA RECORD. E anche gennaio è stato un mese da record: con una temperatura media di 13,14°C, è stato il più caldo mai registrato dall’inizio delle misurazioni, dopo l’anno record del 2023. Si tratta di 0,12°C in più rispetto al precedente record stabilito nel gennaio 2020 e di 0,70°C in più rispetto alla norma per il periodo 1991-2020. Rispetto all’era preindustriale, il riscaldamento è di 1,660°C. Secondo Copernicus, gennaio è l’ottavo mese consecutivo in cui è stato superato il record mensile di calore.

Il mese è stato caratterizzato da un’ondata di calore in Sud America, che ha visto temperature record e incendi devastanti in Colombia e Cile, con decine di morti nella regione di Valparaiso. Nonostante alcune ondate di freddo e forti precipitazioni in alcune parti del mondo, si è registrato anche un clima eccezionalmente mite in Spagna e nel sud della Francia, oltre che in alcune parti degli Stati Uniti, del Canada, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia centrale.

OCEANI MAI COSI’ CALDI. Anche la superficie degli oceani si sta surriscaldando, con un nuovo record di temperatura media di 20,97°C a gennaio. Si tratta del secondo mese più caldo mai registrato, meno di 0,01°C al di sotto del precedente record stabilito nell’agosto 2023 (20,98°C).

Questo calore è continuato oltre il 31 gennaio, raggiungendo nuovi record assoluti e superando i valori più alti del 23 e 24 agosto 2023, secondo Copernicus. E tutto questo in un momento in cui il fenomeno climatico El Niño sta rallentando nel Pacifico equatoriale, che normalmente dovrebbe contribuire a far scendere un po’ il mercurio.

L’anno 2024 “inizia con un altro mese record”, lamenta Samantha Burgess, vicedirettrice del Climate Change Service (C3S) di Copernicus. “Una rapida riduzione delle emissioni di gas serra è l’unico modo per arrestare l’aumento delle temperature globali”.

A metà gennaio, l’Organizzazione meteorologica mondiale e l’Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica degli Stati Uniti (NOAA) avevano già avvertito che il 2024 avrebbe potuto superare il record di calore stabilito l’anno scorso. Secondo la NOAA, c’è una possibilità su tre che il 2024 sia più caldo del 2023 e una probabilità del 99% che si collochi tra i cinque anni più caldi della storia.