I dieci eventi climatici più costosi del 2024: guidano gli Stati Uniti

Il 2024 è stato un anno di eventi climatici estremi: da uragani da record a inondazioni devastanti, i disastri più costosi hanno causato danni per oltre 4 miliardi di dollari ciascuno. Il nuovo rapporto della ong Christian Aid, ‘Counting the Cost 2024: A year of climate breakdown’, evidenzia i disastri climatici più costosi dell’anno, illustrando come la crisi climatica stia rimodellando il nostro mondo. I costi finanziari si basano solo sulle perdite assicurate, il che significa che i costi finanziari reali sono probabilmente ancora più elevati, mentre i costi umani spesso non vengono conteggiati.

Tra gli eventi che hanno causato il danno finanziario maggiore quest’anno, gli Stati Uniti hanno subito il peso maggiore. L’uragano Milton di ottobre è stato l’evento singolo più costoso, causando 60 miliardi di dollari di danni e causando 25 vittime. L’uragano Helene, che ha colpito gli Stati Uniti, Cuba e il Messico a settembre, segue da vicino con 55 miliardi di dollari e 232 vittime. Anche escludendo gli uragani più grandi, gli Stati Uniti hanno subito perdite significative: le tempeste più piccole sono costate complessivamente 60 miliardi di dollari e hanno ucciso 88 persone.

A livello globale, nessuna regione è stata risparmiata dagli effetti paralizzanti dei disastri climatici. Le inondazioni in Cina sono costate 15,6 miliardi di dollari e hanno ucciso 315 persone. Il tifone Yagi ha devastato l’Asia sudoccidentale, mietendo oltre 800 vittime e causando una distruzione diffusa dalle Filippine alla Thailandia. Anche l’Europa ha dovuto affrontare le sue difficoltà, con tre dei dieci disastri più costosi, tra cui le inondazioni in Spagna e Germania e la tempesta Boris, che hanno causato complessivamente 13,87 miliardi di dollari di danni e causato 258 vittime.  Di seguito i 10 disastri climatici più costosi del 2024.

TEMPESTE NEGLI USA, USA: OLTRE 60 MILIARDI DI DOLLARI. Nel corso dell’anno, gli Stati Uniti sono stati colpiti da molte tempeste gravi che hanno causato danni ingenti. Queste tempeste si caratterizzano per essere associate a tuoni, fulmini, pioggia intensa, grandine, venti forti e improvvisi cambiamenti di temperatura. Negli Stati Uniti, tra gennaio e settembre, 46 di esse hanno causato 88 morti e un costo accumulato superiore ai 60 miliardi di dollari. Le tempeste hanno colpito la maggior parte del Paese, con eventi degni di nota, tra cui i tornado a maggio nelle zone centrali e meridionali del Paese e una tempesta invernale molto intensa nel Nord-Est, all’inizio del 2024. Questi due eventi hanno causato da soli quasi 13 miliardi di dollari di danni con interruzioni di corrente, incidenti automobilistici, voli cancellati e molti altri impatti.

URAGANO MILTON, USA: 60 MILIARDI DI DOLLARI. A ottobre, solo due settimane dopo l’uragano Helene, si è formato l’uragano Milton. Sebbene abbia raggiunto la categoria 5, è arrivato nella penisola della Florida come tempesta di categoria 3, scatenando tornado e gravi inondazioni non solo negli Stati Uniti, ma anche nella penisola dello Yucatan e nei Caraibi. L’uragano ha scaricato una quantità d’acqua pari a un evento pluviometrico di 1 anno su 1.0008. L’uragano Milton è ora considerato una delle tempeste più costose della storia degli Stati Uniti con un costo di 60 miliardi di dollari. La Florida è stata la principale regione colpita dall’uragano, con 25 morti.

URAGANO HELENE, USA-MESSICO-CUBA: 55 MILIARDI DI DOLLARI. Nel settembre 2024, l’uragano Helene è atterrato in Florida come una potente tempesta di categoria 4, portando piogge torrenziali, venti distruttivi e forti ondate di maltempo. Spostandosi verso nord-nord-est, ha causato piogge da record in Georgia, Carolina del Nord e del Sud, Tennessee e Virginia, oltre a distruzioni in Messico e a Cuba. L’uragano ha innescato inondazioni improvvise che hanno devastato la regione, creando un percorso di distruzione lungo oltre 600 miglia dalla Florida al Tennessee. La pioggia ha saturato i terreni e trasformato i corsi d’acqua tranquilli in fiumi distruttivi, intere città, quartieri e strade sono stati spazzati via. L’uragano ha causato almeno 232 morti – il più alto numero di vittime di uragani negli Stati Uniti continentali dall’uragano Katrina del 2005. All’indomani dell’uragano, oltre 4,7 milioni di persone sono rimaste senza corrente e migliaia non hanno avuto accesso all’acqua 23 per settimane. Il Governo federale ha fornito oltre 860 milioni di dollari di assistenza ai sopravvissuti e ha speso 137 milioni di dollari per i soccorsi. I danni stimati dell’uragano, basati sulle valutazioni assicurative, ammontano a 55 miliardi di dollari.

INONDAZIONI IN CINA, CINA: 15,6 MILIARDI DI DOLLARI. Durante i mesi di giugno e luglio, le regioni meridionali e centrali della Cina hanno subito l’impatto di piogge estreme. A giugno, nelle province di Guangdong, Guangxi e Fujian si sono verificati acquazzoni record che hanno causato inondazioni e frane. Decine di migliaia di persone hanno dovuto essere evacuate e almeno 5 sono morte. L’evento si è verificato solo due mesi dopo che il Guangdong era stato colpito in precedenza da piogge estreme simili che avevano causato quattro morti. Complessivamente, sono morte più di 300 persone in tutto il Paese. Nel 2024 in Cina sono esondati più fiumi che in qualsiasi altro anno. A luglio, anche Henan, Hunan, Hubei, Sichuan, Shaanxi, Gansu e altre province sono state colpite da precipitazioni record. Le autorità locali hanno dichiarato un “periodo di guerra” a causa delle gravi inondazioni, con il governo centrale che ha stanziato oltre 100 milioni di dollari in aiuti immediati per i disastri.

TIFONE YAGI, ASIA SUD OCCIDENTALE: 12,6 MILIARDI DI DOLLARI. Il più grande tifone asiatico del 2024, il super tifone Yagi (noto anche come Enteng), ha colpito diversi Paesi del Sud-Est asiatico all’inizio di settembre. Ha provocato frane distruttive, gravi inondazioni e danni infrastrutturali diffusi, in particolare nelle Filippine, nel Laos, nel Vietnam, nel Myanmar e in Tailandia. Equivalente ad un uragano di categoria 5, il tifone ha raggiunto velocità di vento di picco superiori a 200 km/h. In Vietnam, il tifone Yagi ha colpito 26 province, distruggendo migliaia di case e centri di produzione chiave. In Myanmar, è stata considerata una delle peggiori tempeste della storia recente, devastando interi villaggi e distruggendo oltre 2,3 milioni di ettari di terreno agricolo. In Laos, la tempesta ha danneggiato gravemente 77 scuole e 11 strutture sanitarie. In Thailandia, le inondazioni improvvise e lo straripamento dei fiumi principali hanno minacciato diverse regioni. Nel frattempo, nelle Filippine, ci sono state 228 segnalazioni di inondazioni che hanno colpito oltre mezzo milione di persone. In tutti i Paesi colpiti, il bilancio delle vittime ha superato gli 800, con molti dispersi. Il tifone è diventato l’evento più costoso mai registrato in Vietnam, causando più di 3,3 miliardi di dollari di danni e lasciando migliaia di famiglie gravate da debiti. Le perdite totali in tutto il Sud-Est asiatico hanno raggiunto i 12,6 miliardi di dollari.

URAGANO BERYL, USA-MESSICO-ISOLE CARAIBICHE: 6,7 MILIARDI DI DOLLARI. Settimane prima che l’uragano Beryl arrivasse, le nazioni delle isole caraibiche si stavano già preparando per i suoi impatti. Quando l’uragano ha colpito, è stato classificato come la più precoce tempesta di categoria 5 mai registrata, con venti abbastanza potenti da spazzare via interi edifici e linee elettriche. L’uragano Beryl ha lasciato un percorso di distruzione attraverso i Caraibi prima di raggiungere gli Stati Uniti, dove ha portato ulteriori ondate di tempesta e inondazioni improvvise. In totale, 70 vite sono state perse a causa della tempesta. L’uragano ha causato danni estesi, colpendo gravemente almeno il 70% degli edifici sulle isole di Carriacou e Petit Martinique. In Giamaica, l’uragano ha danneggiato in modo significativo 82 strutture sanitarie e ha colpito 160.000 persone, con 1.876 evacuate in rifugi. Il 60% della popolazione è rimasto senza elettricità per un massimo di 8 settimane. Negli Stati Uniti, circa 1,5 milioni di persone sono rimaste senza elettricità due giorni dopo l’arrivo, poiché le linee elettriche e le infrastrutture sono state pesantemente danneggiate.

TEMPESTA BORIS, EUROPA CENTRALE: 5,2 MILIARDI DI DOLLARI. Tra il 12 e il 16 settembre, la tempesta Boris ha colpito diversi Paesi dell’Europa centrale e orientale. Durante quei giorni, sono cadute enormi quantità di pioggia in Austria, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Italia, Polonia, Romania e Slovacchia. Molte località hanno visto in pochi giorni la stessa quantità di pioggia che di solito vedono per tutto il mese di settembre. Le inondazioni sono state descritte come le “peggiori degli ultimi due decenni”. La tempesta ha distrutto ferrovie e strade. I vigili del fuoco hanno effettuato oltre 500 operazioni di salvataggio solo in Italia. Le inondazioni hanno ucciso almeno 26 persone.

ALLUVIONI DEL RIO GRANDE DO SUL, BRASILE: 5 MILIARDI DI DOLLARI. Tra la fine di aprile e la metà di maggio, lo Stato di Rio Grande do Sul in Brasile ha registrato precipitazioni record, tre volte superiori alla media di questo periodo dell’anno. Quasi la metà di tutti i quartieri della capitale dello Stato sono stati allagati. Il governatore dello Stato, Eduardo Leite, ha definito l’evento meteorologico estremo il “peggior disastro” nella storia dello Stato. Almeno 440 dei 496 comuni hanno riportato problemi legati alle inondazioni, colpendo più di 2 milioni di persone e sfollando circa 422.000 individui. Un totale di 183 persone sono morte a causa delle inondazioni e altre 806 sono rimaste ferite. I servizi essenziali sono stati interrotti, le infrastrutture sono state danneggiate e oltre 100.000 case sono state distrutte dalle inondazioni. Gli economisti hanno paragonato gli impatti del disastro a quelli dell’uragano Katrina del 2005. Le stime indicano che le inondazioni hanno causato danni per oltre 2 miliardi di dollari a case, aziende e infrastrutture. Il settore agricolo, una componente centrale dell’economia di Rio Grande do Sul, ha subito perdite significative, con la distruzione del bestiame e delle colture che ha provocato circa 600 milioni di dollari. Recuperare la fertilità persa del suolo costerà circa 3 miliardi di dollari. Altri sforzi di recupero e ricostruzione dovrebbero costare oltre 550 milioni di dollari, con un pesante onere finanziario per i governi locali e federali.

ALLUVIONI BAVIERA E BADEN-WURTTEMBERG, GERMANIA: 4,5 MILIARDI DI DOLLARI. Le piogge eccezionali hanno provocato inondazioni diffuse nella Germania meridionale all’inizio di giugno. Il livello dell’acqua ha superato i massimi storici, provocando uno stato di emergenza in 18 distretti bavaresi. I meteorologi hanno stimato che alcune regioni hanno ricevuto più precipitazioni in 24 ore rispetto alla loro normale media mensile. Diversi fiumi hanno rotto gli argini in Baviera e nel Baden-Wurttemberg, provocando evacuazioni a causa dei cedimenti delle dighe e dei danni alle reti di trasporto. Le inondazioni hanno causato 6 vittime. Le compagnie assicurative hanno registrato una delle perdite più significative del settore dal 2002, notando che “si sono verificati i tre mesi di maggio più piovosi mai registrati in Germania” in questo secolo. I danni totali sono stati stimati in 4,45 miliardi di dollari.

ALLUVIONI A VALENCIA, SPAGNA: 4,22 MILIARDI DI DOLLARI. Il 29 ottobre, un evento meteorologico noto come ‘cut-off low’ ha portato grandi quantità di pioggia nel sud-est della Spagna. Questo tipo di eventi, che si verificano stagionalmente nella regione, sono guidati da venti orientali che trasportano aria umida dal Mar Mediterraneo. I forti acquazzoni, che in alcune località hanno portato l’equivalente di un anno di pioggia in poche ore, hanno causato estese inondazioni. La provincia di Valencia è stata la più colpita, con città devastate e un bilancio di 218 morti. Altri 8 morti sono stati segnalati nelle province di Castilla La Mancha e Andalusia.

Nel 2024 in Italia 351 eventi meteo estremi: pesa la siccità prolungata

L’Italia è sempre più sotto scacco della crisi climatica. Nel 2024, e per il terzo anno consecutivo, sono stati oltre 300 gli eventi meteo estremi che hanno colpito la Penisola, arrivando quest’anno a quota 351. Un numero in costante crescita negli ultimi dieci anni: nel 2024 ha visto un aumento degli eventi meteo estremi di quasi 6 volte, +485% rispetto al 2015 (quando ne furono registrati 60). A fare la parte da leone in questo 2024 l’aumento dei danni da siccità prolungata (+54,5% rispetto al 2023), da esondazioni fluviali (+ 24%) e da allagamenti dovuti alle piogge intense (+12%), con un’Italia divisa in due tra poca e troppa acqua. A scattare questa fotografia di fine anno è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato in collaborazione con il Gruppo Unipol, che mette in fila i numeri della crisi climatica in Italia nel 2024, sottolineando come la Penisola ancora una volta si sia fatta trovare impreparata anche in questi ultimi giorni di fine anno contrassegnati da piogge, mareggiate e venti forti. Male il Governo Meloni per l’inerzia dimostrata. In particolare, l’Esecutivo non ha messo in campo strategie di prevenzione e non ha stanziato le risorse economiche necessarie per attuare le azioni prioritarie del PNACC, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che ad oggi risulta essere una scatola purtroppo vuota. Inoltre, non è stato ancora emanato il decreto per l’insediamento dell’Osservatorio Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici.

Il 2024 è stato segnato da 134 casi di allagamenti da piogge intense, 62 casi di danni da vento, 46 esondazioni fluviali che hanno causato danni, 34 eventi con danni da siccità prolungata, 30 danni da grandinate, 19 casi di frane causate da piogge intense, 9 danni alle infrastrutture, 8 da mareggiate, 2 al patrimonio storico e 1 caso di temperature record. Il Nord Italia risulta il più colpito con 198 eventi meteo estremi, seguito dal Sud 92 e dal Centro 61.  A livello regionale, quest’anno l’Emilia-Romagna con 52 eventi, è la regione più martoriata dalla crisi climatica, seguita da Lombardia (49), Sicilia (43), Veneto (41) e Piemonte (22). Tra le province svetta al primo posto Bologna con 17 eventi meteo estremi, seguita da Ravenna e Roma entrambe a quota 13, Torino con 12 e Palermo con 11. Tra le grandi città, la Capitale è quella più colpita con 8 eventi meteo estremi, seguita da Genova (7) e Milano (6). Preoccupano anche i danni che gli eventi meteo estremi stanno causando in generale sui trasporti: 22 quelli che nel 2024 hanno provocato danni e ritardi a treni e trasporto pubblico locale nella Penisola. In quota, gli effetti del riscaldamento globale sono sempre più tangibili, con impatti sui ghiacciai, sempre più sottili e in arretramento, ecosistemi e biodiversità. Nel 2024, in Piemonte, lo zero termico in quota è arrivato a 5.206 metri, sfiorando il record di 9 anni fa, quando era salito fino a 5.296 metri.

Nel 2024 l’Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è stata travolta da una nuova ondata di eventi meteo estremi e ancora una volta si è fatta trovare impreparata. Il Governo Meloni, in oltre due anni di attività, non ha messo in campo nessuna strategia di prevenzione con interventi mirati, che permetterebbero di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni post emergenza, e non ha stanziato i finanziamenti necessari per le azioni prioritarie del PNACC, fondi non previsti neanche nella legge di bilancio appena approvata. Auspichiamo che nel 2025 da parte dell’Esecutivo ci sia un’assunzione di responsabilità diversa nella lotta alla crisi climatica: servono più risorse economiche e interventi su prevenzione, mitigazione e adattamento. È urgente approvare anche una legge per fermare il consumo di suolo, problema affrontato in modo ideologico col DL Agricoltura vietando il fotovoltaico a terra, e il DPR per facilitare il riutilizzo delle acque reflue depurate sui terreni agricoli. Le vere minacce per l’agricoltura italiana sono, infatti, la crisi climatica e la cementificazione, non il Green Deal europeo”.

Tra gli eventi meteo estremi in crescita – aggiunge Andrea Minutolo responsabile scientifico di Legambiente – preoccupa il fenomeno della siccità che a più riprese ha colpito in questi anni l’Italia. Simbolo di quest’estate il lago Pergusa, in provincia di Enna, ridotto più o meno ad una pozza. L’emergenza in Sicilia è figlia della siccità del Po del 2022 e di un trend collegato alla crisi climatica in continua evoluzione che rappresenta un monito severo. Per questo è importante che il Paese definisca una strategia nazionale della gestione idrica, più attenta e circolare, con interventi concreti che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti climatici e permettano di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi”.

Per quanto riguarda la siccità, le regioni più colpite sono state Sicilia (16 eventi), Sardegna (9), Basilicata (3). Sul fronte allagamenti spicca la Lombardia (con 25 eventi meteo estremi), seguita da Emilia-Romagna (22), Sicilia (15). In tema di esondazioni fluviali l’Emilia-Romagna è al primo posto (con 14 eventi), a seguire Lombardia (8), Veneto (5).

Il 2024 è stato segnato anche da eventi meteo estremi che hanno avuto sempre più impatti sul trasporto nelle aree urbane. Interruzioni e sospensioni causate non solo da piogge intense, allagamenti e frane dovute a intense precipitazioni, ma anche dalle temperature record e dalle forti raffiche di vento. Tra i casi più recenti gli episodi dello scorso 24 ottobre a Roma, dove è stata chiusa per allagamento, causato dalla pioggia intensa, la stazione Cipro della Metro A; pochi giorni prima era stata sospesa la circolazione ferroviaria sulla linea Rimini–Ravenna, per il forte maltempo che ha provocato l’allagamento dei binari nella stazione di Cesenatico. Il 5 settembre scorso una nuova esondazione del Seveso a Milano ha portato a ritardi fino a 120 minuti per i treni tra le stazioni di Rogoredo e Porta Vittoria, mentre il servizio tranviario è risultato compromesso, in particolare per le linee 3, 19, 31 e la linea M2 è stata chiusa tra le fermate di Famagosta e Assago/Piazza Abbiategrasso.

Spicca poi l’ennesimo record di temperature globali registrato dal programma europeo Copernicus che indica il 2024 come l’anno più caldo da inizio registrazioni con, per la prima volta, il superamento della soglia di 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali. Il mese di novembre 2024 è stato il secondo più caldo a livello globale, dopo il novembre 2023, con una temperatura media dell’aria superficiale di 14,1°C, +0,7°C al di sopra della media di quel mese del periodo compreso tra il 1991 e il 2020. Il novembre 2024 è stato di 1,6°C al di sopra del livello pre-industriale ed è stato il 16° mese in un periodo di 17 mesi in cui la temperatura superficiale media globale dell’aria ha superato di 1,5°C i livelli pre-industriali. Anche la temperatura superficiale media marina per il mese di novembre 2024 ha registrato livelli record, con 20,6°C, il secondo valore più alto registrato per il mese, e solo 0,13°C al di sotto del novembre 2023.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Clima, il numero di eventi estremi in Italia dal 2015 al 2024

L’Italia è sempre più sotto scacco della crisi climatica. Nel 2024, e per il terzo anno consecutivo, sono stati oltre 300 gli eventi meteo estremi che hanno colpito la Penisola, arrivando quest’anno a quota 351. Un numero in costante crescita negli ultimi dieci anni: nel 2024 ha visto un aumento degli eventi meteo estremi di quasi 6 volte, +485% rispetto al 2015 (quando ne furono registrati 60). Nell’infografica interattiva di GEA gli eventi estremi in Italia dal 2015 ad oggi secondo quanto riferito da Legambiente.

L’Ue punta sul Natale green: albero in vaso o a nolo, cibo locale e confezioni in tessuto

Un Natale eco-compatibile è possibile. Lo afferma l’Unione europea che, nel suo sito esplicativo del Fit for 55 (Pronti al 55%), evidenzia come le festività siano “un momento di gioia e unione”, ma possano anche avere “un impatto ambientale notevole” e “negativo sul pianeta”: dalle luci ad alta intensità energetica alle pile di carta da regalo. Per questo, Bruxelles avanza delle proposte per “rendere le festività più ecologiche senza perdere nulla della magia”.

Il primo punto è quello delle decorazioni. “Scegli materiali naturali o riutilizzabili: opta per decorazioni realizzate in legno, tessuto o materiali riciclati anziché in plastica. Prendi in considerazione di crearne una tua con elementi naturali come pigne, fette di arancia essiccate e spago”, scrive il sito Fit for 55. In secondo luogo, ripensare al simbolo del Natale: l’albero. “Se ne utilizzi uno artificiale, tienilo per quanti più anni possibile per compensare il suo costo ambientale. In alternativa, un albero vivo in vaso che puoi ripiantare è una fantastica opzione sostenibile”, precisa. Terzo, l’illuminazione. “Utilizza luci natalizie a Led, che consumano fino all’80% di energia in meno rispetto alle tradizionali lampadine a incandescenza. Imposta i timer per assicurarti che siano accese solo nelle ore di punta”.

Tra i tre punti, quello sull’albero è uno dei più cari dato che, nella stessa Bruxelles, sono largamente utilizzati quelli veri a cui vengono recise le radici che, a gennaio, vengono ammassati sui marciapiedi della capitale Ue per essere raccolti e buttati. “Il dibattito sugli alberi di Natale veri e artificiali è comune, ma le prove suggeriscono che gli alberi veri possono essere una scelta più ecologica se di provenienza sostenibile”, scrive il sito Ue. “Le fattorie di alberi di Natale piantano nuovi alberi per ogni albero raccolto, contribuendo al sequestro del carbonio e sostenendo la biodiversità locale. Dopo le feste, gli alberi veri possono essere compostati o trasformati in pacciame, chiudendo il ciclo ambientale”, osserva.

Ma “per un’opzione a spreco zero, prendi in considerazione un albero di Natale in vaso, che puoi conservare e ripiantare nel tuo giardino dopo le festività”, suggerisce il sito Ue. Inoltre, “molte aziende offrono servizi di noleggio di alberi, che ti consentono di prendere in prestito un albero vivo in un vaso. Dopo Natale, l’albero viene restituito al coltivatore per continuare la sua vita”, sottolinea ancora.

Per le confezioni riciclabili e riutilizzabili, “evita la tradizionale carta da regalo con glitter o stagnola (che non possono essere riciclati)”, ma “utilizza carta kraft marrone, involucri di tessuto (ispirati ai furoshiki giapponesi) o vecchi giornali per un tocco creativo”. E poi “elimina gli sprechi: borse regalo, sciarpe o cestini riutilizzabili possono essere parte integrante del regalo” ed “incoraggiate i destinatari a passare i materiali riutilizzabili”.

Infine, rispetto ai pasti, “evitate di fare acquisti eccessivi, pianificando attentamente i vostri pasti” e “attenetevi a ricette che utilizzano ingredienti locali e di stagione per ridurre al minimo i chilometri percorsi dagli alimenti”. E, ancora, “compostate gli scarti alimentari: create un sistema di compostaggio per gli scarti alimentari” e “incoraggiate gli ospiti a portare a casa gli avanzi in contenitori riutilizzabili per ridurre i rifiuti”. Questi sono i consigli Ue per un periodo festivo “gioioso ed ecologico”.

Clima, Mattarella: Non distogliere attenzione, per alcuni rischio esistenziale

I conflitti in atto nel mondo si moltiplicano. Il 2024 ne ha registrati 56, “il più alto numero dal tempo della Seconda Guerra mondiale”, per di più in un contesto di “generalizzato deterioramento delle condizioni di sicurezza“. L’esasperazione delle tensioni tra Stati, però, “non può farci distogliere lo sguardo dalla nostra casa comune, la Terra, dal suo stato di salute“: l’allarme lo lancia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando al Quirinale il corpo diplomatico, per lo scambio degli auguri.

Il Capo dello Stato ricorda che il periodo 2015-2024 è stato il decennio più caldo mai registrato, con effetti come lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento delle acque e fenomeni meteorologici estremi che “sempre più frequentemente colpiscono in maniera drammatica comunità ed economie, come accaduto recentemente nella drammatica alluvione a Valencia”.
A pagare il prezzo delle conseguenze del riscaldamento globale sono i più vulnerabili, denuncia Mattarella, citando il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla COP 29 di Baku. “Per alcuni Paesi addirittura, penso a quelli insulari, un innalzamento, anche minimo, del livello degli oceani comporta un rischio esistenziale“, ricorda.

Il presidente chiede sforzi “comuni e rapidi” che permettano di superare al più presto il divario tra ambizioni in termini di decarbonizzazione e capacità di attuazione e di “imprimere l’indispensabile accelerazione alla transizione energetica globale“.

In termini di cooperazione internazionale e commercio, Mattarella punta i riflettori sulla “pretesa dell’ autosufficienza” che “contrasta con la evidenza della realtà dei fatti“. Non si può, esorta, invocare la sicurezza nazionale per giustificare nuovi protezionismi. Lo insegna anche la storia: “Il protezionismo non ha mai portato vantaggi di lungo periodo, a volte è stato persino causa di conflitti armati, mentre il libero commercio – è l’esperienza sviluppata dall’Unione europea – è un fattore di crescita formidabile“.
Bene quindi accordi con quello tra l’Unione europea e il Mercosur, che fonde il futuro di interi continenti, osserva, “proponendosi di tutelare ‘beni comuni’ come la biodiversità, la sicurezza alimentare, lo stato di salute complessivo del nostro Pianeta“.

Tra le sfide future, grande attenzione deve essere posta allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale: “Occorre sapere che non basta a sé stessa e non è neutrale“, avverte il Presidente, auspicando uno sviluppo “inclusivo“, di cui possano beneficiare tutti e scongiurando monopoli privati: “La governance non può essere affidata soltanto al mercato o al potere di pochi. E’ necessario che le istituzioni sappiano farne un ‘bene comune’ – scandisce -, incanalandone le potenzialità in modo coerente con i progetti di vita collettiva e di relazione“.

Allarme World Economic Forum: “Dai rischi climatici -7% guadagni annuali delle aziende”

Le imprese devono agire subito per affrontare i crescenti rischi climatici o incorrere in forti perdite finanziarie. Le aziende che ritardano potrebbero veder vanificato fino al 7% degli utili annuali entro il 2035, un impatto simile a quello di interruzioni di livello Covid-19 ogni due anni. E’ l’avvertimento lanciato da due nuovi rapporti pubblicati dal World Economic Forum. I rapporti – Business on the Edge: Building Industry Resilience to Climate Hazards, realizzato con il supporto di Accenture, e The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk, realizzato con il supporto del Boston Consulting Group (BCG) – forniscono una tabella di marcia per le aziende che vogliono affrontare i rischi climatici e sbloccare il valore a lungo termine attraverso la decarbonizzazione, la salvaguardia della natura, l’adattamento e la costruzione della resilienza.

Si prevede che entro il 2035 il caldo estremo e altri rischi climatici causeranno 560-610 miliardi di dollari di perdite annuali di capitale fisso per le società quotate in borsa, con le aziende di telecomunicazioni, servizi pubblici ed energia più vulnerabili. Le aziende dei settori ad alta intensità energetica che non riescono a decarbonizzarsi affrontano rischi di transizione crescenti con l’inasprimento delle normative climatiche globali, con il solo prezzo del carbonio che potrebbe ridurre fino al 50% degli utili entro il 2030. Questi rischi, uniti agli impatti a cascata sulle catene di approvvigionamento e sulle comunità, sottolineano la necessità cruciale di strategie di resilienza.

Per contro, le imprese che investono in adattamento, resilienza e decarbonizzazione stanno già ottenendo ritorni tangibili. Una ricerca dell’Alliance of CEO Climate Leaders, che comprende 131 amministratori delegati a livello mondiale in rappresentanza di 12 milioni di dipendenti, mostra che ogni dollaro investito nell’adattamento al clima e nella resilienza può generare fino a 19 dollari di perdite evitate, in base ai dati del CDP, che aiuta le aziende e le autorità pubbliche a divulgare il proprio impatto ambientale. Nonostante i rischi, il panorama climatico in evoluzione presenta notevoli opportunità di crescita. I mercati verdi sono destinati a crescere da 5.000 miliardi di dollari nel 2024 a 14.000 miliardi di dollari entro il 2030, con i primi a guadagnare vantaggi competitivi nelle soluzioni sostenibili e nelle offerte di adattamento. Questi mercati abbracciano settori e catene del valore, con i segmenti più grandi che sono l’energia alternativa (49%), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo sostenibili (13%). Tutti crescono ben oltre il PIL.

“I pionieri della transizione a zero emissioni e delle soluzioni positive per la natura stanno dimostrando come le imprese possano creare valore migliorando l’ambiente e sostenendo le comunità”, ha dichiarato Gim Huay Neo, direttore generale del World Economic Forum. “Affrontando in modo olistico e sistematico i rischi e le opportunità legate al clima, le imprese possono costruire operazioni più forti e sostenibili, salvaguardando e ripristinando gli ecosistemi e promuovendo la resilienza economica e sociale a lungo termine in un mondo sempre più complesso e incerto”.

Importanti scienziati, tra cui Johan Rockström dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, avvertono che cinque sistemi terrestri si stanno avvicinando a punti di svolta irreversibili. I sistemi terrestri, come le calotte glaciali, le correnti oceaniche e il permafrost, sono processi naturali interconnessi che regolano il clima del pianeta, sostengono gli ecosistemi e forniscono servizi vitali come l’immagazzinamento del carbonio, il filtraggio dell’acqua e la stabilizzazione della temperatura che consentono alle società e alle economie di prosperare. Tra questi, il potenziale collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, che potrebbero provocare un innalzamento del livello del mare fino a 10 metri e peggiorare l’insicurezza alimentare di almeno mezzo miliardo di persone.

Sebbene la scienza alla base di questi punti critici e dei rischi climatici sia allarmante, può essere difficile tradurla in rischi aziendali concreti. Questi rapporti mirano a colmare questa lacuna, fornendo ai leader aziendali una base per salvaguardare il valore degli stakeholder e contribuire al contempo a società sostenibili e resilienti. Entrambi i rapporti forniscono inoltre dettagli completi sulle metodologie, le fonti e i set di dati alla base dei risultati.

Ong promuovono Generali: fra assicuratori al primo posto in politiche climatiche

L’assicuratore italiano Generali è al primo posto nella classifica annuale della coalizione di Ong Insure our Future, che valuta le politiche climatiche dei 30 principali riassicuratori del mondo, davanti alla tedesca Allianz e alle francesi Axa e Scor. Ogni anno, negli ultimi otto anni, Insure our Future ha assegnato ad assicuratori e riassicuratori punti positivi e negativi per le loro politiche sui combustibili fossili. Ad esempio, gli assicuratori che decidono di non assicurare più nuovi giacimenti di petrolio e di gas si classificano più in alto. Anche se gli europei si comportano complessivamente meglio dei loro concorrenti in Nord America e Giappone, i risultati sono comunque severi per il settore nel suo complesso.

Nonostante una bolletta climatica in continuo aumento e il crescente rischio di un mondo non assicurabile, i principali (ri)assicuratori continuano ad aggravare il dissesto climatico sostenendo l’espansione dei combustibili fossili”, ha dichiarato giovedì Reclaim Finance, una Ong che fa parte della coalizione, che conta più di 20 membri tra cui Greenpeace ed Ekō, in un comunicato.

Generali ha adottato restrizioni nel settore petrolifero e nella catena del valore del gas, anche per i nuovi terminali gnl”, il che le ha permesso di conquistare il primo posto nella classifica davanti ad Allianz nel 2024. Segue Zurich, “il primo assicuratore impegnato a non coprire più nuovi progetti di carbone metallurgico”.

Da parte loro, gli assicuratori francesi Axa (6° posto) e Scor (11°)rimangono fermi” nella lotta contro il riscaldamento globale e “continuano a perdere posizioni” nella classifica, come sottolinea Reclaim. “Mentre Axa e Scor avevano dato l’esempio con il carbone, questo è ben lungi dall’essere il caso del petrolio e del gas, e ancor meno del gnl. Oggi scelgono di approfittare della crisi climatica per aumentare i prezzi o addirittura abbandonare alcuni assicurati, continuando ad alimentare il problema assicurando l’espansione del petrolio e del gas”, afferma Ariel Le Bourdonnec, attivista assicurativo dell’Ong Reclaim Finance, membro del consorzio, in un comunicato stampa separato. Insure our Future sottolinea che un terzo delle perdite assicurate a livello mondiale legate ai fenomeni meteorologici sono attribuibili agli sconvolgimenti climatici, per un ammontare di 600 miliardi di dollari in quasi vent’anni, secondo i suoi calcoli.

Caldo record

Clima, Copernicus conferma: il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre

Ancora più caldo del record stabilito nel 2023: è ormai certo che il 2024 sarà il primo anno al di sopra della soglia di 1,5°C di riscaldamento rispetto al periodo preindustriale, il limite a lungo termine fissato dall’Accordo di Parigi. Dopo il secondo novembre più caldo mai registrato, “è di fatto certo che il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato e supererà il livello pre-industriale di oltre 1,5°C”, ha annunciato il Climate Change Service (C3S) dell’osservatorio europeo Copernicus.
Il mese di novembre, segnato da una serie di devastanti tifoni in Asia e dal perdurare di storiche siccità nell’Africa meridionale e in Amazzonia, è stato più caldo di 1,62°C rispetto al periodo in cui l’umanità non bruciava petrolio, gas o carbone su scala industriale.

Novembre scorso è il 16° degli ultimi 17 mesi a registrare un’anomalia di 1,5°C rispetto al periodo 1850-1900, secondo il database Copernicus ERA5. Questo sbarramento simbolico corrisponde al limite più ambizioso dell’Accordo di Parigi del 2015, che mira a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e a proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Tuttavia, questo accordo si riferisce alle tendenze a lungo termine: il riscaldamento medio di 1,5°C dovrà essere osservato per almeno 20 anni perché il limite possa essere considerato superato.

In base a questo criterio, attualmente il clima si sta riscaldando di circa 1,3°C; l’IPCC stima che il limite di 1,5°C sarà probabilmente raggiunto tra il 2030 e il 2035. E questo indipendentemente dall’andamento delle emissioni umane di gas serra, che sono vicine al loro picco ma non ancora in declino.

Secondo gli ultimi calcoli delle Nazioni Unite, il mondo non è affatto sulla buona strada per ridurre l’inquinamento da carbonio, al fine di evitare un forte peggioramento delle siccità, delle ondate di calore e delle piogge torrenziali già osservate, che hanno un costo in termini di vite umane e di impatto economico. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente spiega che il mondo si sta dirigendo verso un riscaldamento globale “catastrofico” di 3,1°C in questo secolo, o addirittura di 2,6°C se le promesse di fare meglio saranno mantenute. I Paesi hanno tempo fino a febbraio per presentare alle Nazioni Unite i loro obiettivi climatici rivisti per il 2035, noti come “contributi nazionali determinati” (NDC).

Ma l’accordo minimo raggiunto alla COP29 alla fine di novembre potrebbe essere usato per giustificare le basse ambizioni. Ai Paesi in via di sviluppo le nazioni ricche hanno promesso 300 miliardi di dollari di aiuti annuali da qui al 2035, meno della metà di quanto chiedono per finanziare la loro transizione energetica e l’adattamento ai danni climatici. Il vertice di Baku si è inoltre concluso senza alcun impegno esplicito ad accelerare la “transizione” dai combustibili fossili, approvata alla COP28 di Dubai.
Secondo le stime di Swiss Re, il gruppo svizzero che funge da assicuratore per gli assicuratori, nel 2024 i disastri naturali causati dal riscaldamento globale causeranno perdite economiche per 310 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Obiettivi decarbonizzazione Italia più lontani: emissioni CO2 calano al rallentatore

Nonostante la crescita delle rinnovabili, l’Italia si trova ancora ad affrontare sfide significative per quanto riguarda la decarbonizzazione e la sicurezza energetica, con obiettivi a lungo termine che sembrano sempre più difficili da raggiungere. E’ quanto emerge dall’analisi di ENEA sull’energia italiana.

Nel terzo trimestre di quest’anno, esordisce il report, il sistema energetico nazionale ha registrato un aumento dell’8% nella produzione da fonti rinnovabili, segnando un incremento significativo ma inferiore rispetto al +25% della prima metà dell’anno. Questo dato si inserisce in un quadro complessivo caratterizzato da una ripresa dei consumi energetici, che sono aumentati del 2%, e da una frenata nel calo delle emissioni di Co2, che hanno registrato una riduzione limitata del 1%, a fronte di un -7% nei primi sei mesi del 2024. ENEA poi sottolinea il peggioramento dell’indice ISPRED – che monitora sicurezza energetica, prezzi e decarbonizzazione – arrivato ai minimi storici.

La crescita dei consumi è stata principalmente guidata dal settore dei trasporti (+2%) e dal settore civile (+3,5%), quest’ultimo influenzato dall’uso intensivo dei climatizzatori durante l’estate particolarmente calda. D’altro canto, il consumo energetico nell’industria continua a diminuire, registrando un -2,5% rispetto allo stesso periodo del 2023, segnando il decimo calo trimestrale consecutivo. Un dato che, secondo Francesco Gracceva, ricercatore ENEA, è legato alla crisi economica tedesca e ai prezzi dell’energia, che restano elevati e in crescita.

Sul fonte produttivo energetico invece, ebbene la crescita delle rinnovabili rimanga positiva con un incremento dell’8% nel terzo trimestre, si nota un rallentamento significativo rispetto ai risultati della prima metà dell’anno. Il settore elettrico ha visto una riduzione delle emissioni di CO2 grazie al calo della generazione da fonti fossili, scesa al 46%, un dato che segna un nuovo minimo storico. Tuttavia, nel complesso, le emissioni continuano a crescere (+2%) nei settori non-ETS, che comprendono terziario, residenziale, trasporti e industria non energivora, con l’aumento nei trasporti che compensa in parte il calo negli altri settori.

Il rallentamento delle emissioni ha avuto un impatto negativo dunque sull’indice ISPRED, che misura l’efficacia delle politiche energetiche. “Il componente legato alla decarbonizzazione ha toccato i minimi storici, con la traiettoria delle emissioni nei settori non-ETS distante dagli obiettivi di riduzione al 2030”, ha spiegato Gracceva. Per centrare i target di decarbonizzazione, le emissioni nei settori non-ETS dovrebbero ridursi di almeno il 5% annuale nei prossimi sei anni.

In generale, nel terzo trimestre, si è continuato a registrare un drastico calo dei consumi di carbone (-40%), ma aumenti sono stati registrati per altre fonti fossili: il petrolio è cresciuto del 2,5%, principalmente per la crescita della mobilità, mentre il gas ha visto un incremento del 3%, soprattutto nella generazione elettrica. In Europa, i consumi di carbone sono scesi del 20%, mentre il gas ha visto una riduzione del 5%, con un aumento significativo della produzione di elettricità da fonti rinnovabili (+15%) e un incremento del nucleare (+6%).

Cina, il consumo di carbone raggiungerà il picco nel 2025

Il consumo di carbone in Cina, il più grande emettitore di gas serra al mondo, dovrebbe raggiungere un picco nel 2025 prima di diminuire grazie agli sforzi di Pechino per sviluppare fonti energetiche più pulite. Più della metà (52%) degli esperti interpellati in un rapporto pubblicato dai think tank Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) e International Society for Energy Transition Studies (ISETS) prevede che il consumo di carbone in Cina raggiungerà il picco il prossimo anno.

“Raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio in un’economia in rapida crescita come quella cinese non è un’impresa da poco, ma i notevoli sforzi del Paese stanno iniziando a dare i loro frutti”, spiega Xunpeng Shi, presidente dell’ISETS. I permessi di costruzione per le centrali elettriche a carbone sono diminuiti dell’83% nella prima metà del 2024 e nello stesso periodo non sono stati approvati nuovi progetti di acciaio a base di carbone.

Negli ultimi anni, gli esperti sono diventati sempre più ottimisti sulla capacità della Cina di ridurre le emissioni di gas serra, con Pechino che ha raggiunto gli obiettivi di energia eolica e solare con sei anni di anticipo rispetto al previsto. Nonostante questo, c’è ancora “poca chiarezza sulla traiettoria delle emissioni cinesi”, dice Lauri Myllyvirta, analista senior del CREA. Questo lascia aperta la porta a un aumento delle emissioni fino al 2030 e a una riduzione “molto lenta” in seguito, aggiunge.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, quest’anno la produzione di energia elettrica a carbone dovrebbe aumentare nuovamente in Cina, anche se al ritmo più basso da quasi un decennio, e la crescita del consumo energetico continua a superare quella del Pil. “La Cina dovrà accelerare ulteriormente la diffusione delle energie rinnovabili o orientare lo sviluppo economico verso una direzione meno energivora”, dichiara Myllyvirta.

La Cina si è impegnata a raggiungere il picco delle sue emissioni di carbonio entro il 2030 e a diventare neutrale entro il 2060. L’Accordo di Parigi del 2015, che la Cina ha firmato, prevede che tutte le parti presentino ogni cinque anni un piano d’azione sul clima per ridurre le emissioni a livello nazionale, noto come contributo nazionale determinato (NDC) e Pechino dovrà presentare il suo aggiornato entro febbraio del prossimo anno.