G7, si lavora alla bozza: alla Cina si chiederà lo stop degli aiuti a Russia. Appello dell’Onu per il clima

La Cina smetta di sostenere la guerra della Russia in Ucraina e Hamas accetti l’accordo per il cessate il fuoco proposto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Sono due punti su cui lavorano gli sherpa del G7 per il documento finale che dovrà essere adottato dai leader a Borgo Egnazia, in Puglia (13-15 giugno).

In giornata, si solleva la polemica su un punto saltato, in cui i Grandi della Terra sottolineavano l’importanza di garantire “un accesso effettivo e sicuro all’aborto, inserito nel corso del G7 di Hiroshima. Il punto sarebbe stato eliminato su iniziativa del governo Meloni, creando tensioni tra le delegazioni. Fonti della presidenza italiana fanno però sapere che “nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza” e che “tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7”.

Sulla Cina, “Il continuo sostegno di Pechino alla base industriale della difesa russa ha implicazioni significative e di ampia portata sulla sicurezza”, si legge nella bozza che Bloolmerg ha lasciato trapelare.

Gli alleati di Kiev accuserebbero Pechino di fornire alla Russia tecnologie e componenti – sia presenti nelle armi sia necessari per costruirle – aiutando gli sforzi di Mosca per aggirare i pacchetti di restrizioni commerciali del G7 su molti di questi beni. I materiali vietati infatti spesso arrivano in Russia attraverso paesi terzi come Cina e Turchia o attraverso reti di intermediari. Le misure in discussione includono la quotazione di più società, il targeting delle banche di paesi terzi che facilitano gli scambi, la richiesta che le aziende intensifichino i controlli sulle loro filiali e subappaltatori all’estero e l’espansione delle restrizioni sui prodotti di marca occidentale che continuano a finire in Russia.

Il G7 chiederà anche a Pechino di spingere la Russia a ritirarsi dall’Ucraina e a sostenere una pace giusta. Si prevede che i leader affermino che le politiche della Cina “stanno creando ricadute globali, distorsioni del mercato e dannosa sovraccapacità in una serie di settori”. E ancora, i leader del G7 metteranno in guardia la Russia da minacce nucleari “irresponsabili”.

Quanto al Medioriente, ci sarà la sollecitazione ad Hamas ad accettare l’accordo di cessate il fuoco a Gaza presentato dal presidente Usa Joe Biden. Israele dovrebbe essere direttamente sollecitata ad allentare l’escalation di una “offensiva militare su vasta scala” a Rafah: la bozza potrebbe includere un linguaggio che chieda con decisione un passo in questo senso, in linea con le misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia. “Esortiamo i paesi che hanno influenza su Hamas” a contribuire a garantire che accetti un cessate il fuoco, si legge.

Non c’è invece per il momento accordo unanime sul riconoscimento dello Stato palestinese come parte di un processo di pace a due Stati. “Notiamo che il riconoscimento di uno Stato palestinese, al momento opportuno, sarebbe una componente cruciale”, si legge nel testo provvisorio.

Arriva dal segretario dell’Onu Antonio Guterres, in un punto con la stampa a Ginevra, l’invito ai leader per un impegno alla fine all’uso del carbone entro il 2030. “I Paesi più grandi – ha aggiunto – hanno la responsabilità di andare più lontano, più velocemente” e per questo è necessario “creare sistemi energetici privi di combustibili fossili e ridurre la domanda e l’offerta di petrolio e gas del 60% entro il 2035”. “I leader del G7 hanno una responsabilità particolare, in primo luogo, sul clima”, sottolinea Guterres che denuncia il “vortice dell’inazione climatica, con alluvioni, incendi, siccità e caldo devastanti”.

C’è attesa intanto per il bilaterale più importante che Meloni potrà avere in questo senso: quello con il presidente americano Joe Biden, che questa sera arriva all’aeroporto di Brindisi. Il faccia a faccia dovrebbe avvenire, secondo quanto riferisce la Casa Bianca, venerdì 14 giugno, a margine, del summit. Cruciale sarà anche il bilaterale di Biden con Papa Francesco e la conferenza stampa, attesa per domani, giovedì 13 giugno, con il presidente ucraino Volodomir Zelensky.

In Messico la crisi climatica irrompe nella campagna elettorale per le presidenziali

Cambiamento climatico, riscaldamento globale e innalzamento del livello del mare entrano di prepotenza nella campagna presidenziale del Messico. Nello stato di Tabasco, nel sud del Paese e roccaforte del presidente uscente Andres Manuel Lopez Obrador, il caso di El Bosque è stato segnalato da Greenpeace come esempio dei danni del riscaldamento globale in Messico, dove il prossimo presidente è atteso con ansia alla prova dell’ambiente. Gran parte della scuola locale è stata sepolta nella sabbia. In un’aula si possono ancora vedere un tabellone con le lettere dell’alfabeto e le quattro stagioni dell’anno. Il caso di El Bosque, che contava 700 abitanti, è stato analizzato a febbraio durante un’udienza sugli sfollati climatici organizzata dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo. “Più di 60 famiglie sono state sfollate e l’intera comunità rischia di scomparire”, secondo Greenpeace.

Con temperature di 40 gradi, Tabasco è stato particolarmente esposto all’ondata di caldo che attualmente colpisce il Messico e che ha causato almeno 48 morti da marzo. Otto vittime sono state registrate in questa regione, dove decine di scimmie sono morte a causa dell’ondata di caldo che sta interessando oltre l’80% del territorio. Sabato, la capitale Città del Messico ha registrato un record di calore, con 34,7 gradi Celsius. Questo record che dura da settimane, combinata con venti deboli, ha anche peggiorato l’inquinamento atmosferico nella megalopoli, nonostante l’alternanza dei piani di traffico per limitare le emissioni inquinanti dei veicoli messa in atto dall’amministrazione locale. La siccità ha causato problemi di approvvigionamento idrico. In Messico, secondo un’analisi del Mexican Competitiveness Institute, la disponibilità media di acqua pro capite è diminuita del 68% dal 1960.

Il presidente della sinistra nazionalista ha puntato sugli idrocarburi, responsabili del cambiamento climatico, in nome di quella che lui chiama “autosufficienza energetica”. A circa 80 chilometri da El Bosque, il suo governo ha investito 16,8 miliardi di dollari nella costruzione della raffineria di Dos Bocas con una capacità di 340.000 barili di greggio al giorno. Il governo ha anche acquistato una raffineria in Texas e costruito il treno Maya, lungo 1.500 chilometri attraverso gli stati della penisola dello Yucatan, compreso Tabasco. Nello specifico, il treno Maya è stato criticato dagli ambientalisti per le sue conseguenze sul territorio. Per mitigarne l’impatto, il governo ha affermato di aver lanciato il più grande piano di riforestazione del mondo, piantando alberi su un milione di ettari.

La candidata della sinistra, Claudia Sheinbaum, grande favorita alle elezioni presidenziali, è una scienziata in ingegneria energetica. Fedele al suo mentore Lopez Obrador, la 61enne ha promesso di portare avanti il ​​”salvataggio” della compagnia petrolifera (pubblica) Pemex, che porta con sé un debito di circa 100 miliardi di dollari. E si è impegnata a investire 13,6 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili entro il 2030. “Daremo impulso alla transizione energetica”, ha dichiarato l’ex membro del panel del Gruppo internazionale di esperti climatici (IPCC), vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2007. “Si distinguerà da Lopez Obrador“, afferma Pamela Starr, professoressa di scienze politiche e specialista in Messico presso l’Università della California del Sud. “Incoraggerà molti più investimenti nell’energia pulita”. L’avversario di centrodestra, Xochitl Galvez, propone di chiudere due raffinerie nel nord del Paese e che Pemex produca energia pulita. “Dobbiamo porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili”, afferma.

Secondo Boris Graizbord, ricercatore del Colegio de Mexico, è necessario “chiudere gradualmente alcune raffinerie obsolete o iperinquinanti, oppure devono essere migliorate”. “Non esiste una politica pubblica per affrontare il grave impatto del cambiamento climatico, che è destinato a peggiorare”, si rammarica Pablo Ramirez, coordinatore del programma Clima ed Energia di Greenpeace in Messico.

Panetta: “Fronte comune Ue su transizioni e materie critiche. Puntare sul capitale umano”

Fronte comune in Europa per portare avanti le transizioni (verde e digitale), aumentare l’indipendenza energetica rafforzando le rinnovabili ma allo stesso tempo stringere rapporti “solidi e reciprocamente vantaggiosi” con i Paesi ricchi di materie critiche.

Nelle sue prime considerazioni finali da Governatore della Banca d’Italia e a pochi giorni dalle elezioni europee, Fabio Panetta guarda a Roma, ma soprattutto a Bruxelles, invitando a puntare molto sulla dimensione comune per non restare indietro rispetto ai grandi competitor internazionali. Innovazione e capitale umano sono le parole chiave di una relazione di ampio respiro, che non tralascia i rischi dell’Intelligenza artificiale. L’Ia, è il monito, potrebbe creare rapporti di costi-vantaggi disomogenei e avere effetti, in Italia, su due lavoratori su tre.

La visione del governatore è ottimista: nell’Unione, Roma ha tutte le carte in regola per tornare a crescere e “contare, scandisce. Cruciale è rilanciare la produttività, aprire alla concorrenza, ridurre il debito, soprattutto. Un “fardello“, lo definisce, da cui però potersi liberare. Come? “Coniugando prudenza fiscale e crescita“, suggerisce.

Politiche comuni, precisa Panetta, “sono necessarie nel campo ambientale, della difesa, dell’immigrazione, della formazione e in altri ancora”, osserva il governatore, “poiché molti progetti riguardano beni pubblici comuni quali l’ambiente e la sicurezza esterna, un ammontare di investimenti insufficiente danneggerebbe tutti i paesi e tutti i cittadini dell’Unione. È pertanto necessario, nell’interesse collettivo, realizzare iniziative a livello europeo“.

Per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2 per cento del Pil, la Commissione europea stima infatti un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2030: “Perseguire un piano così vasto a livello nazionale comporterebbe duplicazioni di spesa e la rinuncia alle economie di scala“, mette in guardia Panetta.

Sugli investimenti in capitale umano, parla di “un’esigenza pressante, data la minore disponibilità, rispetto al resto dell’area dell’euro, di lavoratori con livelli di competenza elevati nel campo dell’innovazione.

Poi l’invito alla piena attuazione degli investimenti e delle riforme previste dal Pnrr che, oltre a innalzare il prodotto di oltre di 2 punti percentuali nel breve termine, “avrebbe effetti duraturi sulla crescita dovuti a incrementi di produttività stimabili tra 3 e 6 punti percentuali in un decennio”, ricorda Panetta.
E’ comunque sul fronte della tecnologia che “si giocherà la partita del futuro, per l’Italia e per il resto d’Europa. Servirà, scandisce, “valorizzare la ricerca, accompagnare il sistema produttivo nella sua trasformazione proteggendo i più svantaggiati, creare un ambiente normativo, economico e finanziario che favorisca l’assunzione di rischi imprenditoriali nei settori innovativi e che limiti il potere monopolistico di pochi grandi attori”.

Lanciato il satellite EarthCARE: studierà gli effetti delle nuvole sul clima terrestre

Photo credit: ©ESA

Il satellite EarthCARE dell’Agenzia spaziale europea è decollato la scorsa notte dalla California per esplorare in dettaglio gli effetti delle nuvole sul clima, ancora poco conosciuti nonostante il loro ruolo chiave. Il lancio è avvenuto dalla base aerea di Vandenberg, negli Stati Uniti occidentali, alle 15.20 ora locale, le 00.20 italiane, a bordo di un razzo Falcon 9 di SpaceX. “Abbiamo iniziato il volo”, ha scritto l’Agenzia spaziale europea (Esa) sul suo sito web.

Il satellite da 2,2 tonnellate, progettato da Airbus, opererà a 400 chilometri sopra la Terra. Secondo l’Esa, dovrebbe “rivoluzionare” la nostra comprensione degli effetti delle nuvole sul clima. “Il decollo di questa sera ci ricorda che lo spazio non serve solo per esplorare galassie e pianeti lontani, ma anche per capire la nostra bella e fragile Terra”, ha dichiarato il direttore dell’Esa Josef Aschbacher in un video pubblicato sui social network.

Cumuli, cirri, cumulonembi… le nuvole sono oggetti complessi che influenzano il clima in modo diverso a seconda della loro altitudine nella troposfera, lo strato più basso dell’atmosfera. Sono “uno dei principali fattori che contribuiscono al cambiamento climatico e uno dei meno conosciuti”, ha dichiarato all’Afp Dominique Gilliéron, capo del Dipartimento progetti di osservazione della Terra dell’Esa. Alcune, come le nubi cumuliformi, costituite da vapore acqueo e situate piuttosto in basso, funzionano come un ombrello: molto bianche e molto luminose, riflettono i raggi del Sole verso lo spazio – un effetto noto come albedo – e raffreddano l’atmosfera. Altre, come i cirri d’alta quota, formati da ghiaccio – nubi sottilissime il cui velo è visibile da un aereo – lasciano passare la radiazione solare, riscaldando la Terra. Quest’ultima riemette radiazioni termiche che “i cirri catturano, trattenendo il calore, come una coperta di sopravvivenza”, ha spiegato Dominique Gilliéron in conferenza stampa. Da qui l’importanza di valutare la natura delle nubi a diverse altitudini sezionando la loro struttura verticale, cosa che nessun satellite ha fatto finora, ha sottolineato Simonetta Cheli, direttore dei programmi di osservazione della Terra all’Esa.

La missione “pionieristica” dell’Esa, in collaborazione con l’agenzia giapponese Jaxa, studierà anche gli aerosol, minuscole particelle in sospensione (polvere, pollini, inquinanti umani come le ceneri di combustione, ecc.) su cui si condensa l’acqua e che sono precursori delle nuvole. I due strumenti “attivi” di EarthCARE invieranno la loro luce verso le nuvole e calcoleranno il tempo di ritorno. Il Lidar (Laser Imaging Detection and Ranging) emetterà luce ultravioletta per studiare le nubi sottili e gli aerosol. Il radar sarà in grado di “vedere attraverso” gli strati opachi delle nuvole per determinarne la composizione in termini di acqua solida (sotto forma di goccioline). EarthCARE è inoltre dotato di un imager multispettrale, che fornirà informazioni sulla forma delle nubi, e di un radiometro per sondarne la temperatura. Tutti i parametri fisici delle nuvole saranno quindi misurati simultaneamente sotto il satellite – una novità assoluta.

Secondo l’Esa, queste informazioni sono “attese con impazienza” dalla comunità scientifica, che sta cercando di perfezionare i propri modelli climatici per valutare il bilancio radiativo della Terra, ossia l’equilibrio tra le radiazioni che il nostro pianeta riceve dal Sole e quelle che emette. L’idea è quella di prevedere “se l’attuale effetto delle nuvole, che al momento si sta raffreddando, (…) si rafforzerà o si indebolirà”, ha spiegato Dominique Gilliéron. Per il momento, “l’effetto ombrello supera l’effetto coperta”, ha confrontato. Ma il futuro è incerto, perché il riscaldamento globale sta cambiando la distribuzione delle nuvole. La missione europea, della durata prevista di tre anni, subentra ai satelliti CloudSat e Calipso della Nasa, le cui spedizioni sono ormai terminate.

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L’estate non arriva: ancora forte maltempo da nord a sud

La settimana appena iniziata si aprirà ancora con tanti temporali, localmente pure molto intensi con rischio di grandine e nubifragi, su molte delle nostre regioni. Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, spiega che oggi i temporali bagneranno ancora una volta il nordovest; nel corso della notte e nelle prime ore di martedì 28 il maltempo si estenderà poi al resto del settentrione e ai settori adriatici con piogge battenti e un calo generalizzato delle temperature. Mercoledì 29 sarà una giornata più tranquilla grazie a un timido aumento pressorio, ma che non sarà in grado di evitare comunque lo sviluppo di qualche nota di instabilità sui rilievi alpini e su molti tratti della dorsale appenninica.

Tra giovedì 30 e venerdì 31 maggio poi è attesa una nuova ondata di maltempo: alle alte latitudini infatti, tra Isole Britanniche e Scandinavia, sono presenti vaste aree di bassa pressione pronte ad inviare correnti di aria fresca e instabile fin verso l’Italia.

A causa della tanta energia in gioco (umidità e calore nei bassi strati dell’atmosfera) e dei forti contrasti tra masse d’aria completamente diverse, si verranno a creare le condizioni ideali per lo sviluppo di imponenti celle temporalesche in grado di scatenare, localmente, forti colpi di vento e grandinate.

In questo frangente le regioni più a rischio saranno ancora una volta quelle settentrionali, specie orientali: attenzione, in particolare, a Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Lazio.

Nei giorni successivi poi lo scenario meteo pare ancora ben lontano da un definitivo ritorno a condizioni di maggiore stabilità atmosferica: in concomitanza con l’avvio dell’estate meteorologica (sabato 1 giugno) dovremo ancora fare i conti con tanti temporali e piogge, quantomeno sulle regioni centro-settentrionali.

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Giornata api, il cambiamento climatico è la principale minaccia per gli impollinatori

Il 20 dicembre 2017, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione con la quale ha dichiarato il 20 maggio di ogni anno (a partire dal 2018) la Giornata mondiale delle api. A proporre la sua istituzione era stata la Slovenia, dove il 20 maggio 1734 nacque Anton Janša, noto soprattutto per essere stato uno dei precursori dell’apicoltura razionale. Lo scopo della risoluzione è portare all’attenzione dei cittadini, dei media e dei decisori politici l’importanza delle api e in generale di tutti gli impollinatori per la sicurezza alimentare, la sussistenza di centinaia di milioni di persone e per il funzionamento degli ecosistemi e la conservazione degli habitat.

‘Bee engaged with youth’ è il tema scelto per la Giornata del 2024. “Questo tema – spiega Ispra – sottolinea l’importanza di coinvolgere i giovani negli sforzi di conservazione dell’apicoltura e degli impollinatori, riconoscendoli come futuri custodi del nostro ambiente”

Sul fronte della ricerca, intanto, gli scienziati stanno lavorando da tempo per combattere il declino degli impollinatori. Uno studio intitolato ‘Quali sono le ragioni principali del declino mondiale delle popolazioni di impollinatori?’, pubblicato sulla rivista CABI Reviews conferma che il cambiamento climatico è la minaccia più importante per gli impollinatori – come bombi, vespe e farfalle – che sono essenziali per la conservazione della biodiversità, la resa dei raccolti e la sicurezza alimentare.

Le popolazioni di impollinatori sono in calo in tutto il mondo e l’85% delle specie di piante da fiore e 87 delle principali colture globali si affidano a questi insetti per la produzione di semi. Il declino degli impollinatori ha un grave impatto sulla conservazione della biodiversità, riduce la resa dei raccolti e minaccia la sicurezza alimentare.

Secondo la Piattaforma intergovernativa di scienza e politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES), circa il 16% degli impollinatori vertebrati, come uccelli e pipistrelli, e il 40% di quelli invertebrati, come api e farfalle, sono a rischio di estinzione. Johanne Brunet e Fabiana Fragoso, autrici della revisione, sostengono che gli sforzi per controllare i vari fattori che hanno un impatto negativo sugli impollinatori devono continuare, viste le terribili conseguenze. La comprensione delle cause del declino degli impollinatori, spiegano, può guidare lo sviluppo di strategie e piani d’azione per proteggere e conservare questi insetti e i servizi ecosistemici essenziali che forniscono.

I ricercatori ritengono che le variazioni di acqua e temperatura associate ai cambiamenti climatici possano ridurre la quantità e la qualità delle risorse disponibili per gli impollinatori, diminuire la sopravvivenza di larve e adulti e modificare gli habitat adatti.

Nel frattempo, gli insetti, sostengono, subiscono l’impatto negativo delle azioni umane, tra cui la perdita e il degrado degli habitat, l’applicazione di prodotti agrochimici, il cambiamento climatico e l’inquinamento.

In assenza di impollinatori, la dieta umana si sposterà verso una preponderanza di grano, riso, avena e mais, poiché si tratta di colture impollinate dal vento. Le colture che si riproducono vegetativamente, come le banane, saranno mantenute.

Per Fragoso, “l’uso diffuso di pratiche sostenibili in agricoltura e l’ulteriore sviluppo di strategie di gestione integrata degli impollinatori, strategie ecologiche che includono la riduzione dell’uso di pesticidi, contribuiranno a preservarli”.

I ricercatori concludono consigliando che l’adozione di un approccio più olistico alla conservazione degli impollinatori, con strategie di gestione che integrino gli habitat naturali e i sistemi agricoli, insieme alle api gestite e a quelle selvatiche, dovrebbe diventare una priorità a livello mondiale.

Caldo record

Clima, 153mila morti per ondate di calore tra 1999 e 2019

Oltre 150.000 persone sono morte in tre decenni – dal 1999 al 2019 – di cui la metà in Asia, a causa delle ondate di calore. E’ quanto rivela il primo studio al mondo che ha mappato a livello globale la mortalità legata ai picchi di caldo. La ricerca, pubblicata su PLOS Medicine, è stata guidata dal professor Yuming Guo della Monash University e ha esaminato i dati relativi ai decessi giornalieri e alla temperatura di 750 località in 43 Paesi o regioni.

Rispetto al periodo 1850-1990, la temperatura superficiale globale è aumentata di 1,14℃ tra il 2013 e il 2022 e si prevede un ulteriore aumento di 0,41-3,41℃ entro il 2081-2100. Con la crescita dell’impatto dei cambiamenti climatici, le ondate di calore stanno aumentando non solo in termini di frequenza, ma anche di gravità e forza.

Lo studio – condotto in collaborazione con l’Università di Shandong in Cina, la London School of Hygiene & Tropical Medicine nel Regno Unito e università/istituti di ricerca di altri Paesi – ha rilevato che, nel periodo 1990-2019, le ondate di calore hanno portato a un aumento di 236 decessi per dieci milioni di residenti per ogni stagione calda di un anno. Le regioni con il maggior numero di decessi legati alle ondate di calore sono state l’Europa meridionale e orientale, le aree con climi polari e alpini e quelle in cui i residenti hanno un reddito elevato. Nelle località con clima tropicale o con basso reddito è stato osservato il maggior calo del carico di mortalità legato alle ondate di calore dal 1990 al 2019.

“I nostri risultati – spiega Guo – secondo cui le ondate di calore sono associate a un sostanziale carico di mortalità che varia spazialmente nel mondo negli ultimi 30 anni, suggeriscono la necessità di una pianificazione dell’adattamento e di una gestione del rischio a livello locale e a tutti i livelli di governo”.

Secondo gli autori dello studio, le ondate di calore causano un aumento del rischio di morte a causa di uno stress termico eccessivo sul corpo umano, innescando disfunzioni di diversi organi e provocando esaurimento, crampi e colpi di calore. Lo stress termico può anche aggravare condizioni croniche preesistenti, portando a morte prematura, disturbi psichiatrici e altri esiti.

costa rica - batterie -

Clima, l’Aie avverte: “Fare di più o rischio tensioni su forniture globali di materie prime”

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie) teme “tensioni” sulle forniture globali di minerali e metalli critici, essenziali per la transizione energetica, e incoraggia un aumento degli investimenti minerari se si vuole che il pianeta riesca a limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi entro la fine del secolo.

“Il calo dei prezzi di minerali critici come il rame, il litio e il nichel, utilizzati per condurre l’elettricità o nelle batterie per i veicoli elettrici, le turbine eoliche e i pannelli solari, ‘maschera il rischio di future tensioni sull’offerta’” afferma l’Aie nel suo secondo rapporto annuale sui metalli, ‘Global Critical Minerals Outlook 2024’. L’Agenzia stima che saranno necessari “800 miliardi di dollari” in investimenti minerari in tutto il mondo da qui al 2040 se il pianeta vuole raggiungere l’obiettivo fissato dall’accordo internazionale sul clima firmato a Parigi nel 2015 di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale.

Lo scorso anno, il crollo del 75% del prezzo del litio e il calo dal 30% al 45% dei prezzi di cobalto, nichel e grafite hanno portato a una diminuzione media del 14% dei prezzi delle batterie, ma anche al rischio di un rallentamento degli investimenti nel settore minerario rispetto agli anni precedenti. In termini di volume, i due metalli più a rischio di “tensione” dell’offerta sono il litio e il rame, che mostrano un “divario significativo” tra produzione e prospettive di consumo, secondo il rapporto. Questo perché la domanda è in crescita. Nel 2023, le vendite delle sole auto elettriche sono aumentate del 35% e la diffusione dei pannelli solari e dell’energia eolica è cresciuta del 75%. Gli elettrolizzatori che producono l’idrogeno verde necessario per decarbonizzare l’industria pesante e i trasporti richiedono metalli come il nichel, il platino e lo zircone. Eppure le loro installazioni stanno crescendo in modo esponenziale: +360% entro il 2023, secondo il rapporto.

L’Aie richiama inoltre l’attenzione sulla necessità di diversificare le forniture per contrastare l’egemonia della Cina, in particolare nella produzione di due componenti chiave per le batterie per auto: gli anodi (il 98% della produzione proviene dalla Cina) e i catodi (90%). “Più della metà del processo di produzione del litio e del cobalto avviene in Cina. E il Paese domina l’intera catena di produzione della grafite”, utilizzata sia nelle batterie che nell’industria nucleare, secondo il rapporto.

“Non sarei sorpreso di vedere un interesse sempre maggiore per l’estrazione del litio” tra le major petrolifere, ha sottolineato Tim Gould, capo economista dell’Aie. L’americana Exxon Mobil, la più grande compagnia petrolifera del mondo, ha già annunciato investimenti in questo settore. Tuttavia, lo sviluppo di queste miniere comporta molti rischi sociali e ambientali per le comunità locali vicine, come hanno avvertito le Ong pochi giorni fa in vista di una riunione dell’Ocse sul tema a Parigi. La corsa ai minerali critici sta infliggendo “gravi costi” alle popolazioni indigene e alle loro terre tradizionali, spiega Galina Angarova, della tribù Buryat in Siberia, a capo di una coalizione di associazioni che difendono i diritti delle popolazioni indigene.

“Se continuiamo di questo passo, corriamo il rischio di distruggere la natura, la biodiversità e i diritti umani” in un’economia a basse emissioni di carbonio che si è allontanata da petrolio, gas e carbone, dice. “Siamo sulla soglia della prossima rivoluzione industriale… e dobbiamo fare le cose per bene”, aggiunge Angarova. Adam Anthony, dell’Ong Publish what you pay, sottolinea che i minatori si stanno precipitando in Africa senza che il continente benefici del valore aggiunto dell’estrazione di minerali e metalli. “Quando parliamo di minerali critici, dobbiamo chiederci per chi sono critici”, dice. “Non riceviamo alcun beneficio da questa estrazione”.

La Tanzania, ad esempio, estrae manganese e grafite, ma non produce nessuna delle apparecchiature – auto elettriche o batterie – che li utilizzano.

Valle d’Aosta sul podio italiano: è la prima regione per case green

La Valle d’Aosta è la prima regione d’Italia per case green, grazie a un punteggio di 8,4 su 10: è prima per l’elevato numero di attestati di prestazione energetica Ape (22,1%) – superiore alla media italiana di 14,3% di attestati – e per l’indice di consumo medio di energia rinnovabile (40,8 kWh/m2 anno). E’ quanto emerge da un’indagine realizzata da Acea per fotografare la situazione regione per regione.

La classifica nazionale prende in considerazione variabili come gli Ape green, che, come ricorda la guida di Acea Energia, deve contenere la classificazione energetica degli immobili, le emissioni di CO2 e gli indici di consumo medio di energia rinnovabile e non rinnovabile .

Il tema è caldo, lo scorso 12 aprile si è tenuta la votazione dell’Ecofin: il Consiglio dei ministri europei di Economia e Finanze ha dato il via libera alla direttiva sulla prestazione energetica degli immobili. L’obiettivo è ridurre in maniera netta il consumo energetico e le emissioni di gas inquinanti riconducibili a case e palazzi entro il 2035, con il fine ultimo di realizzare immobili a zero emissioni entro il 2050.

Secondo i dati raccolti dal sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica la medaglia d’argento, invece, va al Trentino-Alto Adige con uno score di 7,9. Al terzo posto c’è la Lombardia – seconda per numero di attestati di prestazione energetica (20,7%) – e Basilicata – quarta per Ape (18,6%) e per l’impiego medio di energia rinnovabile (25,9 kWh/m2 anno) –, che totalizzano entrambe un 7,6 su 10.

Fuori dal podio Marche (6,4) e Friuli Venezia-Giulia (6), seguite a pari merito da Abruzzo (5,8) – caratterizzato da basse emissioni di CO2 e da un uso ridotto di energie non rinnovabili – e Veneto (5,8) – penalizzato da un basso utilizzo di energia rinnovabile.

La classifica prosegue poi con Piemonte (5,4) e Toscana (5). Al nono posto, entrambe con un punteggio di 4,9, Puglia e Umbria: la prima, grazie al rilascio di basse quantità di CO2; la seconda, per l’alto valore di consumo medio di energia rinnovabile. Chiude la top 10 la Sicilia (4,7), prima per emissioni ridotte di anidride carbonica.
Tra le regioni meno virtuose, con margini di miglioramento, la Calabria (4,4), l’Emilia-Romagna (4,1) – prima per utilizzo di energia non rinnovabile con 240,7 kWh/m2 anno, superiore alla media annuale italiana di 203,7 kWh/m2 –, Molise (3,8) e Lazio (3,1), sulle quali pesa un numero estremamente ridotto di Ape green rilasciati.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Smog, Eurostat: A fine 2023 emissioni gas serra Ue -4% annuale

Secondo Eurostat nel IV trimestre del 2023, le emissioni di gas serra dell’economia dell’Ue sono state stimate a 897 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (CO2 -eq), una diminuzione del 4% rispetto allo stesso trimestre del 2022 (935 milioni di tonnellate di CO2 -eq). Il prodotto interno lordo (PIL) dell’UE è rimasto stabile, registrando solo un lieve aumento (0,2% nel IV trimestre del 2023, rispetto allo stesso trimestre del 2022). Nell’infografica INTERATTIVA di GEA è possibile confrontare la crescita economica e la variazione delle emissioni emesse a fine 2023 Paese per Paese.