INFOGRAFICA INTERATTIVA Clima, il numero di eventi estremi in Italia dal 2015 al 2024

L’Italia è sempre più sotto scacco della crisi climatica. Nel 2024, e per il terzo anno consecutivo, sono stati oltre 300 gli eventi meteo estremi che hanno colpito la Penisola, arrivando quest’anno a quota 351. Un numero in costante crescita negli ultimi dieci anni: nel 2024 ha visto un aumento degli eventi meteo estremi di quasi 6 volte, +485% rispetto al 2015 (quando ne furono registrati 60). Nell’infografica interattiva di GEA gli eventi estremi in Italia dal 2015 ad oggi secondo quanto riferito da Legambiente.

L’Ue punta sul Natale green: albero in vaso o a nolo, cibo locale e confezioni in tessuto

Un Natale eco-compatibile è possibile. Lo afferma l’Unione europea che, nel suo sito esplicativo del Fit for 55 (Pronti al 55%), evidenzia come le festività siano “un momento di gioia e unione”, ma possano anche avere “un impatto ambientale notevole” e “negativo sul pianeta”: dalle luci ad alta intensità energetica alle pile di carta da regalo. Per questo, Bruxelles avanza delle proposte per “rendere le festività più ecologiche senza perdere nulla della magia”.

Il primo punto è quello delle decorazioni. “Scegli materiali naturali o riutilizzabili: opta per decorazioni realizzate in legno, tessuto o materiali riciclati anziché in plastica. Prendi in considerazione di crearne una tua con elementi naturali come pigne, fette di arancia essiccate e spago”, scrive il sito Fit for 55. In secondo luogo, ripensare al simbolo del Natale: l’albero. “Se ne utilizzi uno artificiale, tienilo per quanti più anni possibile per compensare il suo costo ambientale. In alternativa, un albero vivo in vaso che puoi ripiantare è una fantastica opzione sostenibile”, precisa. Terzo, l’illuminazione. “Utilizza luci natalizie a Led, che consumano fino all’80% di energia in meno rispetto alle tradizionali lampadine a incandescenza. Imposta i timer per assicurarti che siano accese solo nelle ore di punta”.

Tra i tre punti, quello sull’albero è uno dei più cari dato che, nella stessa Bruxelles, sono largamente utilizzati quelli veri a cui vengono recise le radici che, a gennaio, vengono ammassati sui marciapiedi della capitale Ue per essere raccolti e buttati. “Il dibattito sugli alberi di Natale veri e artificiali è comune, ma le prove suggeriscono che gli alberi veri possono essere una scelta più ecologica se di provenienza sostenibile”, scrive il sito Ue. “Le fattorie di alberi di Natale piantano nuovi alberi per ogni albero raccolto, contribuendo al sequestro del carbonio e sostenendo la biodiversità locale. Dopo le feste, gli alberi veri possono essere compostati o trasformati in pacciame, chiudendo il ciclo ambientale”, osserva.

Ma “per un’opzione a spreco zero, prendi in considerazione un albero di Natale in vaso, che puoi conservare e ripiantare nel tuo giardino dopo le festività”, suggerisce il sito Ue. Inoltre, “molte aziende offrono servizi di noleggio di alberi, che ti consentono di prendere in prestito un albero vivo in un vaso. Dopo Natale, l’albero viene restituito al coltivatore per continuare la sua vita”, sottolinea ancora.

Per le confezioni riciclabili e riutilizzabili, “evita la tradizionale carta da regalo con glitter o stagnola (che non possono essere riciclati)”, ma “utilizza carta kraft marrone, involucri di tessuto (ispirati ai furoshiki giapponesi) o vecchi giornali per un tocco creativo”. E poi “elimina gli sprechi: borse regalo, sciarpe o cestini riutilizzabili possono essere parte integrante del regalo” ed “incoraggiate i destinatari a passare i materiali riutilizzabili”.

Infine, rispetto ai pasti, “evitate di fare acquisti eccessivi, pianificando attentamente i vostri pasti” e “attenetevi a ricette che utilizzano ingredienti locali e di stagione per ridurre al minimo i chilometri percorsi dagli alimenti”. E, ancora, “compostate gli scarti alimentari: create un sistema di compostaggio per gli scarti alimentari” e “incoraggiate gli ospiti a portare a casa gli avanzi in contenitori riutilizzabili per ridurre i rifiuti”. Questi sono i consigli Ue per un periodo festivo “gioioso ed ecologico”.

Clima, Mattarella: Non distogliere attenzione, per alcuni rischio esistenziale

I conflitti in atto nel mondo si moltiplicano. Il 2024 ne ha registrati 56, “il più alto numero dal tempo della Seconda Guerra mondiale”, per di più in un contesto di “generalizzato deterioramento delle condizioni di sicurezza“. L’esasperazione delle tensioni tra Stati, però, “non può farci distogliere lo sguardo dalla nostra casa comune, la Terra, dal suo stato di salute“: l’allarme lo lancia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando al Quirinale il corpo diplomatico, per lo scambio degli auguri.

Il Capo dello Stato ricorda che il periodo 2015-2024 è stato il decennio più caldo mai registrato, con effetti come lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento delle acque e fenomeni meteorologici estremi che “sempre più frequentemente colpiscono in maniera drammatica comunità ed economie, come accaduto recentemente nella drammatica alluvione a Valencia”.
A pagare il prezzo delle conseguenze del riscaldamento globale sono i più vulnerabili, denuncia Mattarella, citando il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla COP 29 di Baku. “Per alcuni Paesi addirittura, penso a quelli insulari, un innalzamento, anche minimo, del livello degli oceani comporta un rischio esistenziale“, ricorda.

Il presidente chiede sforzi “comuni e rapidi” che permettano di superare al più presto il divario tra ambizioni in termini di decarbonizzazione e capacità di attuazione e di “imprimere l’indispensabile accelerazione alla transizione energetica globale“.

In termini di cooperazione internazionale e commercio, Mattarella punta i riflettori sulla “pretesa dell’ autosufficienza” che “contrasta con la evidenza della realtà dei fatti“. Non si può, esorta, invocare la sicurezza nazionale per giustificare nuovi protezionismi. Lo insegna anche la storia: “Il protezionismo non ha mai portato vantaggi di lungo periodo, a volte è stato persino causa di conflitti armati, mentre il libero commercio – è l’esperienza sviluppata dall’Unione europea – è un fattore di crescita formidabile“.
Bene quindi accordi con quello tra l’Unione europea e il Mercosur, che fonde il futuro di interi continenti, osserva, “proponendosi di tutelare ‘beni comuni’ come la biodiversità, la sicurezza alimentare, lo stato di salute complessivo del nostro Pianeta“.

Tra le sfide future, grande attenzione deve essere posta allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale: “Occorre sapere che non basta a sé stessa e non è neutrale“, avverte il Presidente, auspicando uno sviluppo “inclusivo“, di cui possano beneficiare tutti e scongiurando monopoli privati: “La governance non può essere affidata soltanto al mercato o al potere di pochi. E’ necessario che le istituzioni sappiano farne un ‘bene comune’ – scandisce -, incanalandone le potenzialità in modo coerente con i progetti di vita collettiva e di relazione“.

Allarme World Economic Forum: “Dai rischi climatici -7% guadagni annuali delle aziende”

Le imprese devono agire subito per affrontare i crescenti rischi climatici o incorrere in forti perdite finanziarie. Le aziende che ritardano potrebbero veder vanificato fino al 7% degli utili annuali entro il 2035, un impatto simile a quello di interruzioni di livello Covid-19 ogni due anni. E’ l’avvertimento lanciato da due nuovi rapporti pubblicati dal World Economic Forum. I rapporti – Business on the Edge: Building Industry Resilience to Climate Hazards, realizzato con il supporto di Accenture, e The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk, realizzato con il supporto del Boston Consulting Group (BCG) – forniscono una tabella di marcia per le aziende che vogliono affrontare i rischi climatici e sbloccare il valore a lungo termine attraverso la decarbonizzazione, la salvaguardia della natura, l’adattamento e la costruzione della resilienza.

Si prevede che entro il 2035 il caldo estremo e altri rischi climatici causeranno 560-610 miliardi di dollari di perdite annuali di capitale fisso per le società quotate in borsa, con le aziende di telecomunicazioni, servizi pubblici ed energia più vulnerabili. Le aziende dei settori ad alta intensità energetica che non riescono a decarbonizzarsi affrontano rischi di transizione crescenti con l’inasprimento delle normative climatiche globali, con il solo prezzo del carbonio che potrebbe ridurre fino al 50% degli utili entro il 2030. Questi rischi, uniti agli impatti a cascata sulle catene di approvvigionamento e sulle comunità, sottolineano la necessità cruciale di strategie di resilienza.

Per contro, le imprese che investono in adattamento, resilienza e decarbonizzazione stanno già ottenendo ritorni tangibili. Una ricerca dell’Alliance of CEO Climate Leaders, che comprende 131 amministratori delegati a livello mondiale in rappresentanza di 12 milioni di dipendenti, mostra che ogni dollaro investito nell’adattamento al clima e nella resilienza può generare fino a 19 dollari di perdite evitate, in base ai dati del CDP, che aiuta le aziende e le autorità pubbliche a divulgare il proprio impatto ambientale. Nonostante i rischi, il panorama climatico in evoluzione presenta notevoli opportunità di crescita. I mercati verdi sono destinati a crescere da 5.000 miliardi di dollari nel 2024 a 14.000 miliardi di dollari entro il 2030, con i primi a guadagnare vantaggi competitivi nelle soluzioni sostenibili e nelle offerte di adattamento. Questi mercati abbracciano settori e catene del valore, con i segmenti più grandi che sono l’energia alternativa (49%), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo sostenibili (13%). Tutti crescono ben oltre il PIL.

“I pionieri della transizione a zero emissioni e delle soluzioni positive per la natura stanno dimostrando come le imprese possano creare valore migliorando l’ambiente e sostenendo le comunità”, ha dichiarato Gim Huay Neo, direttore generale del World Economic Forum. “Affrontando in modo olistico e sistematico i rischi e le opportunità legate al clima, le imprese possono costruire operazioni più forti e sostenibili, salvaguardando e ripristinando gli ecosistemi e promuovendo la resilienza economica e sociale a lungo termine in un mondo sempre più complesso e incerto”.

Importanti scienziati, tra cui Johan Rockström dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, avvertono che cinque sistemi terrestri si stanno avvicinando a punti di svolta irreversibili. I sistemi terrestri, come le calotte glaciali, le correnti oceaniche e il permafrost, sono processi naturali interconnessi che regolano il clima del pianeta, sostengono gli ecosistemi e forniscono servizi vitali come l’immagazzinamento del carbonio, il filtraggio dell’acqua e la stabilizzazione della temperatura che consentono alle società e alle economie di prosperare. Tra questi, il potenziale collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, che potrebbero provocare un innalzamento del livello del mare fino a 10 metri e peggiorare l’insicurezza alimentare di almeno mezzo miliardo di persone.

Sebbene la scienza alla base di questi punti critici e dei rischi climatici sia allarmante, può essere difficile tradurla in rischi aziendali concreti. Questi rapporti mirano a colmare questa lacuna, fornendo ai leader aziendali una base per salvaguardare il valore degli stakeholder e contribuire al contempo a società sostenibili e resilienti. Entrambi i rapporti forniscono inoltre dettagli completi sulle metodologie, le fonti e i set di dati alla base dei risultati.

Ong promuovono Generali: fra assicuratori al primo posto in politiche climatiche

L’assicuratore italiano Generali è al primo posto nella classifica annuale della coalizione di Ong Insure our Future, che valuta le politiche climatiche dei 30 principali riassicuratori del mondo, davanti alla tedesca Allianz e alle francesi Axa e Scor. Ogni anno, negli ultimi otto anni, Insure our Future ha assegnato ad assicuratori e riassicuratori punti positivi e negativi per le loro politiche sui combustibili fossili. Ad esempio, gli assicuratori che decidono di non assicurare più nuovi giacimenti di petrolio e di gas si classificano più in alto. Anche se gli europei si comportano complessivamente meglio dei loro concorrenti in Nord America e Giappone, i risultati sono comunque severi per il settore nel suo complesso.

Nonostante una bolletta climatica in continuo aumento e il crescente rischio di un mondo non assicurabile, i principali (ri)assicuratori continuano ad aggravare il dissesto climatico sostenendo l’espansione dei combustibili fossili”, ha dichiarato giovedì Reclaim Finance, una Ong che fa parte della coalizione, che conta più di 20 membri tra cui Greenpeace ed Ekō, in un comunicato.

Generali ha adottato restrizioni nel settore petrolifero e nella catena del valore del gas, anche per i nuovi terminali gnl”, il che le ha permesso di conquistare il primo posto nella classifica davanti ad Allianz nel 2024. Segue Zurich, “il primo assicuratore impegnato a non coprire più nuovi progetti di carbone metallurgico”.

Da parte loro, gli assicuratori francesi Axa (6° posto) e Scor (11°)rimangono fermi” nella lotta contro il riscaldamento globale e “continuano a perdere posizioni” nella classifica, come sottolinea Reclaim. “Mentre Axa e Scor avevano dato l’esempio con il carbone, questo è ben lungi dall’essere il caso del petrolio e del gas, e ancor meno del gnl. Oggi scelgono di approfittare della crisi climatica per aumentare i prezzi o addirittura abbandonare alcuni assicurati, continuando ad alimentare il problema assicurando l’espansione del petrolio e del gas”, afferma Ariel Le Bourdonnec, attivista assicurativo dell’Ong Reclaim Finance, membro del consorzio, in un comunicato stampa separato. Insure our Future sottolinea che un terzo delle perdite assicurate a livello mondiale legate ai fenomeni meteorologici sono attribuibili agli sconvolgimenti climatici, per un ammontare di 600 miliardi di dollari in quasi vent’anni, secondo i suoi calcoli.

Caldo record

Clima, Copernicus conferma: il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre

Ancora più caldo del record stabilito nel 2023: è ormai certo che il 2024 sarà il primo anno al di sopra della soglia di 1,5°C di riscaldamento rispetto al periodo preindustriale, il limite a lungo termine fissato dall’Accordo di Parigi. Dopo il secondo novembre più caldo mai registrato, “è di fatto certo che il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato e supererà il livello pre-industriale di oltre 1,5°C”, ha annunciato il Climate Change Service (C3S) dell’osservatorio europeo Copernicus.
Il mese di novembre, segnato da una serie di devastanti tifoni in Asia e dal perdurare di storiche siccità nell’Africa meridionale e in Amazzonia, è stato più caldo di 1,62°C rispetto al periodo in cui l’umanità non bruciava petrolio, gas o carbone su scala industriale.

Novembre scorso è il 16° degli ultimi 17 mesi a registrare un’anomalia di 1,5°C rispetto al periodo 1850-1900, secondo il database Copernicus ERA5. Questo sbarramento simbolico corrisponde al limite più ambizioso dell’Accordo di Parigi del 2015, che mira a mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e a proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. Tuttavia, questo accordo si riferisce alle tendenze a lungo termine: il riscaldamento medio di 1,5°C dovrà essere osservato per almeno 20 anni perché il limite possa essere considerato superato.

In base a questo criterio, attualmente il clima si sta riscaldando di circa 1,3°C; l’IPCC stima che il limite di 1,5°C sarà probabilmente raggiunto tra il 2030 e il 2035. E questo indipendentemente dall’andamento delle emissioni umane di gas serra, che sono vicine al loro picco ma non ancora in declino.

Secondo gli ultimi calcoli delle Nazioni Unite, il mondo non è affatto sulla buona strada per ridurre l’inquinamento da carbonio, al fine di evitare un forte peggioramento delle siccità, delle ondate di calore e delle piogge torrenziali già osservate, che hanno un costo in termini di vite umane e di impatto economico. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente spiega che il mondo si sta dirigendo verso un riscaldamento globale “catastrofico” di 3,1°C in questo secolo, o addirittura di 2,6°C se le promesse di fare meglio saranno mantenute. I Paesi hanno tempo fino a febbraio per presentare alle Nazioni Unite i loro obiettivi climatici rivisti per il 2035, noti come “contributi nazionali determinati” (NDC).

Ma l’accordo minimo raggiunto alla COP29 alla fine di novembre potrebbe essere usato per giustificare le basse ambizioni. Ai Paesi in via di sviluppo le nazioni ricche hanno promesso 300 miliardi di dollari di aiuti annuali da qui al 2035, meno della metà di quanto chiedono per finanziare la loro transizione energetica e l’adattamento ai danni climatici. Il vertice di Baku si è inoltre concluso senza alcun impegno esplicito ad accelerare la “transizione” dai combustibili fossili, approvata alla COP28 di Dubai.
Secondo le stime di Swiss Re, il gruppo svizzero che funge da assicuratore per gli assicuratori, nel 2024 i disastri naturali causati dal riscaldamento globale causeranno perdite economiche per 310 miliardi di dollari in tutto il mondo.

Obiettivi decarbonizzazione Italia più lontani: emissioni CO2 calano al rallentatore

Nonostante la crescita delle rinnovabili, l’Italia si trova ancora ad affrontare sfide significative per quanto riguarda la decarbonizzazione e la sicurezza energetica, con obiettivi a lungo termine che sembrano sempre più difficili da raggiungere. E’ quanto emerge dall’analisi di ENEA sull’energia italiana.

Nel terzo trimestre di quest’anno, esordisce il report, il sistema energetico nazionale ha registrato un aumento dell’8% nella produzione da fonti rinnovabili, segnando un incremento significativo ma inferiore rispetto al +25% della prima metà dell’anno. Questo dato si inserisce in un quadro complessivo caratterizzato da una ripresa dei consumi energetici, che sono aumentati del 2%, e da una frenata nel calo delle emissioni di Co2, che hanno registrato una riduzione limitata del 1%, a fronte di un -7% nei primi sei mesi del 2024. ENEA poi sottolinea il peggioramento dell’indice ISPRED – che monitora sicurezza energetica, prezzi e decarbonizzazione – arrivato ai minimi storici.

La crescita dei consumi è stata principalmente guidata dal settore dei trasporti (+2%) e dal settore civile (+3,5%), quest’ultimo influenzato dall’uso intensivo dei climatizzatori durante l’estate particolarmente calda. D’altro canto, il consumo energetico nell’industria continua a diminuire, registrando un -2,5% rispetto allo stesso periodo del 2023, segnando il decimo calo trimestrale consecutivo. Un dato che, secondo Francesco Gracceva, ricercatore ENEA, è legato alla crisi economica tedesca e ai prezzi dell’energia, che restano elevati e in crescita.

Sul fonte produttivo energetico invece, ebbene la crescita delle rinnovabili rimanga positiva con un incremento dell’8% nel terzo trimestre, si nota un rallentamento significativo rispetto ai risultati della prima metà dell’anno. Il settore elettrico ha visto una riduzione delle emissioni di CO2 grazie al calo della generazione da fonti fossili, scesa al 46%, un dato che segna un nuovo minimo storico. Tuttavia, nel complesso, le emissioni continuano a crescere (+2%) nei settori non-ETS, che comprendono terziario, residenziale, trasporti e industria non energivora, con l’aumento nei trasporti che compensa in parte il calo negli altri settori.

Il rallentamento delle emissioni ha avuto un impatto negativo dunque sull’indice ISPRED, che misura l’efficacia delle politiche energetiche. “Il componente legato alla decarbonizzazione ha toccato i minimi storici, con la traiettoria delle emissioni nei settori non-ETS distante dagli obiettivi di riduzione al 2030”, ha spiegato Gracceva. Per centrare i target di decarbonizzazione, le emissioni nei settori non-ETS dovrebbero ridursi di almeno il 5% annuale nei prossimi sei anni.

In generale, nel terzo trimestre, si è continuato a registrare un drastico calo dei consumi di carbone (-40%), ma aumenti sono stati registrati per altre fonti fossili: il petrolio è cresciuto del 2,5%, principalmente per la crescita della mobilità, mentre il gas ha visto un incremento del 3%, soprattutto nella generazione elettrica. In Europa, i consumi di carbone sono scesi del 20%, mentre il gas ha visto una riduzione del 5%, con un aumento significativo della produzione di elettricità da fonti rinnovabili (+15%) e un incremento del nucleare (+6%).

Cina, il consumo di carbone raggiungerà il picco nel 2025

Il consumo di carbone in Cina, il più grande emettitore di gas serra al mondo, dovrebbe raggiungere un picco nel 2025 prima di diminuire grazie agli sforzi di Pechino per sviluppare fonti energetiche più pulite. Più della metà (52%) degli esperti interpellati in un rapporto pubblicato dai think tank Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) e International Society for Energy Transition Studies (ISETS) prevede che il consumo di carbone in Cina raggiungerà il picco il prossimo anno.

“Raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio in un’economia in rapida crescita come quella cinese non è un’impresa da poco, ma i notevoli sforzi del Paese stanno iniziando a dare i loro frutti”, spiega Xunpeng Shi, presidente dell’ISETS. I permessi di costruzione per le centrali elettriche a carbone sono diminuiti dell’83% nella prima metà del 2024 e nello stesso periodo non sono stati approvati nuovi progetti di acciaio a base di carbone.

Negli ultimi anni, gli esperti sono diventati sempre più ottimisti sulla capacità della Cina di ridurre le emissioni di gas serra, con Pechino che ha raggiunto gli obiettivi di energia eolica e solare con sei anni di anticipo rispetto al previsto. Nonostante questo, c’è ancora “poca chiarezza sulla traiettoria delle emissioni cinesi”, dice Lauri Myllyvirta, analista senior del CREA. Questo lascia aperta la porta a un aumento delle emissioni fino al 2030 e a una riduzione “molto lenta” in seguito, aggiunge.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, quest’anno la produzione di energia elettrica a carbone dovrebbe aumentare nuovamente in Cina, anche se al ritmo più basso da quasi un decennio, e la crescita del consumo energetico continua a superare quella del Pil. “La Cina dovrà accelerare ulteriormente la diffusione delle energie rinnovabili o orientare lo sviluppo economico verso una direzione meno energivora”, dichiara Myllyvirta.

La Cina si è impegnata a raggiungere il picco delle sue emissioni di carbonio entro il 2030 e a diventare neutrale entro il 2060. L’Accordo di Parigi del 2015, che la Cina ha firmato, prevede che tutte le parti presentino ogni cinque anni un piano d’azione sul clima per ridurre le emissioni a livello nazionale, noto come contributo nazionale determinato (NDC) e Pechino dovrà presentare il suo aggiornato entro febbraio del prossimo anno.

Anche Babbo Natale paga il prezzo del riscaldamento globale: in Lapponia manca la neve

Nella Lapponia finlandese, Babbo Natale e i suoi elfi sono impegnati a scattare foto con i turisti e a rispondere alle lettere provenienti da tutto il mondo, ma c’è qualcosa che rischia di rompere la magia: la neve è poca e il classico paesaggio da fiaba rischia di essere spazzato via dal riscaldamento globale. Rovaniemi, il villaggio artico che il marketing turistico finlandese ‘vende’ dagli anni ’80 come la “vera casa” di Babbo Natale, dovrebbe essere tutto bianco alla fine di novembre. Invece, il termometro segna +2°C e la pioggia cade forte dal cielo grigio.

“Le mie renne possono volare, quindi non c’è problema”, ride uno dei Babbi Natale della città, che poi ammette: “possiamo vedere che il cambiamento climatico è reale. Sta influenzando la vita qui nell’Artico, in particolare quella delle renne”. Inverni più miti e imprevedibili significano che la neve si scioglie e poi si ricongela, così che si accumulano strati di ghiaccio e questi animali faticano a scavare per trovare i licheni, il loro cibo principale.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature nel 2022, l’Artico si è riscaldato quasi quattro volte più velocemente di altre regioni del mondo. Gli ultimi mesi sono stati quelli storicamente più caldi nella Lapponia finlandese. A novembre è stato stabilito un nuovo record, con 11,1°C nella città di Utsjoki. Il precedente record, 11°C, risaliva al 1975.

Eppure i turisti di tutto il mondo sono qui, molti dei quali sperano di vedere l’aurora boreale illuminare il cielo. L’anno scorso, Rovaniemi ha registrato oltre un milione di pernottamenti, un record. I visitatori che desiderano incontrare Babbo Natale possono recarsi nell’omonimo villaggio o nel vicino parco di divertimenti sotterraneo Santa Park. L’ingresso al villaggio di Babbo Natale è gratuito, ma una foto con lui costa almeno 40 euro. Rovaniemi offre anche escursioni in motoslitta e su slitte trainate da renne.

Nonostante il cielo cupo, l’ufficio postale di Babbo Natale è in piena attività, con gli elfi dai capelli rossi impegnati a timbrare cartoline e a smistare pile di lettere. “A dicembre possono arrivare circa 30.000 lettere al giorno”, spiega una delle addette dell’ufficio postale, Heidi Mustonen, che lavora qui da 20 anni. Più di mezzo milione di lettere arrivano a Babbo Natale ogni anno, secondo Heidi, che assicura che ciascuna viene letta attentamente. La maggior parte sono liste di desideri per i regali, ma adulti e bambini scrivono anche per esprimere le loro preoccupazioni. “Quest’anno molte persone desiderano la pace”, spiega Heidi.

La maggior parte delle lettere provenienti dall’Asia è stata scritta da giovani adulti, molti dei quali chiedono forza per completare gli studi, mentre quelle che arrivano dall’Europa sono firmate dai bambini.

siccità

Il cambiamento climatico fa abbandonare le terre: in Africa sono 6,3 milioni i migranti interni

Negli ultimi 15 anni è triplicato il numero di migranti interni all’Africa, a causa di conflitti, violenze e catastrofi naturali. Alla fine del 2023 erano 35 milioni gli sfollati. Lo rivela l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) in un rapporto pubblicato oggi, nel quale si sottolinea che lo sfollamento altera i mezzi di sussistenza, l’identità culturale e i legami sociali di intere comunità, rendendole più vulnerabili. “Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito a una triplicazione del numero di sfollati interni nel continente africano”, sottolinea Alexandra Bilak, direttrice IDMC, aggiungendo che “la maggior parte di questi spostamenti interni sono causati da conflitti e violenze, ma sono anche sempre più spesso provocati da disastri naturali”.

Lo sfollamento può anche interrompere i programmi di sviluppo di un Paese, impedendo agli sfollati di generare reddito o di pagare affitti o tasse, mentre allo stesso tempo le autorità locali o nazionali devono fornire ulteriori alloggi, assistenza sanitaria, istruzione e protezione. Tutte cose che generano costi aggiuntivi.

Il documento evidenzia che i crescenti livelli di conflitto e violenza sono responsabili dello sfollamento interno di 32,5 milioni di persone in Africa. L’80% è fuggito da Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Nigeria, Somalia e Sudan.

Anche i migranti interni a causa di disastri naturali, in particolare le inondazioni, sono in aumento in Africa, poiché il cambiamento climatico si fa sentire sempre di più. Secondo l’IDMC, tra il 2009 e il 2023 il numero di persone costrette a fuggire dai disastri è sestuplicato, passando da 1,1 milioni di sfollati all’anno a 6,3 milioni. Secondo il rapporto, le inondazioni hanno provocato più di tre quarti di questi spostamenti, mentre la siccità ha rappresentato un ulteriore 11%.

Inoltre, conflitti, violenze e disastri naturali spesso si sovrappongono, causando crisi complesse in cui un gran numero di persone è sfollato ripetutamente o per periodi prolungati. L’organizzazione sottolinea che la Convenzione di Kampala dell’Unione africana sulla protezione e l’assistenza agli sfollati interni è uno strumento importante per risolvere il problema. Adottata nel 2009 ed entrata in vigore nel dicembre 2012, ha stabilito uno standard internazionale in quanto primo, e tuttora unico, accordo regionale giuridicamente vincolante che si occupa di sfollamento interno.

Da allora, 34 Paesi africani hanno ratificato il trattato e molti hanno messo in atto quadri giuridici e fatto investimenti significativi per affrontare il problema. Ma i governi stanno lottando per far fronte al problema. Per Bilak, “la chiave del problema” è “fare molto di più in termini di costruzione della pace, diplomazia e trasformazione dei conflitti”.