Mediterraneo bollente, clima impazzito: allarme rosso sui rischi per l’intero ecosistema

Il mare Mediterraneo è sempre più caldo: uno dei principali hotspot climatici a livello globale è anche un ecosistema complesso e fragile che rappresenta una sorta di laboratorio naturale per lo studio degli impatti del cambiamento climatico. A fare il punto su una situazione sempre più allarmante è Fondazione Marevivo, che da 40 anni si occupa di tutela del mare. Secondo l’ultima analisi, il mare Mediterraneo si sta scaldando a un ritmo che va dal 20% al 50% più veloce rispetto alla media globale ed è un trend in continua crescita, se si considera che la velocità di riscaldamento dell’acqua nell’ultimo decennio è addirittura raddoppiata rispetto al precedente. Si prevede che entro il 2100 la temperatura della superficie dell’acqua aumenterà dai 3.5° C ai 4.5° C in più rispetto ad oggi (dati IPCC AR6). “L’estate 2025 è iniziata con temperature ben più calde delle peggiori previsioni che eserciteranno un’ulteriore pressione sugli ecosistemi già compromessi e sulle economie e società vulnerabili – spiega Rosalba Giugni, presidente di Marevivo. – Il Mediterraneo sta perdendo la capacità di rimescolamento delle acque e di raffreddamento e questo incide sulla sua funzione fondamentale di termoregolare il clima”.

Fondazione Marevivo insiste su un punto cruciale: “La vita nel mare profondo è possibile grazie al freddo e se il Mediterraneo, uno dei principali hotspot climatici a livello globale, continuerà a scaldarsi sempre di più contribuendo a modificare l’equilibrio termico, non solo le specie marine ne subiranno le conseguenze, ma l’intera vita sulla Terra“. Dall’inizio degli anni ‘80, le temperature medie della superficie del Mediterraneo sono aumentate in tutto il bacino, ma con forti differenze subregionali che vanno da +0,29 a +0,44°C per decennio. Per 2°C di riscaldamento globale sopra il valore preindustriale, le temperature diurne massime nel Mediterraneo aumenteranno probabilmente di 3,3 °C; con 4 °C di riscaldamento globale, quasi tutte le notti saranno tropicali con diminuzione dell’escursione termica tra giorno e notte. Tutto ciò avrà ricadute su vari aspetti.

CICLO DELL’ACQUA DOLCE. La massa dei ghiacciai nella regione mediterranea dovrebbe continuare a diminuire fino alla completa scomparsa della maggior parte dei ghiacciai di montagna entro la fine del secolo. Inoltre, c’è stata una diminuzione delle precipitazioni invernali sulle parti centrali e meridionali del bacino dalla seconda metà del XX secolo.

CORRENTI MARINE. Le alterazioni di temperatura e salinità stanno cambiando le correnti termoaline, fondamentali per l’equilibrio climatico del Mediterraneo. Le acque più calde in superficie impediscono il rimescolamento con gli strati profondi ricchi di nutrienti.

INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE. Secondo la Fondazione Marevivo, il Mediterraneo è aumentato di 1,4 mm all’anno nel corso del 21esimo secolo e l’aumento ha subito un’accelerazione fino a 2,8 mm all’anno negli ultimi anni. Verso il 2100, secondo lo scenario, il livello medio del mare nel bacino sarà probabilmente da 40 a 100 cm più alto che alla fine del XX secolo, questo causerà un aumento della frequenza e dell’intensità delle inondazioni costiere e dell’erosione.

TROPICALIZZAZIONE, SPECIE ALIENE INVASIVE E MIGRAZIONI. Quasi 1000 specie sono migrate nel Mediterraneo. L’aumento della temperatura del mare significa che i nuovi arrivati possono sopravvivere in aree sempre più vaste del Mediterraneo, dove pochi decenni fa le acque sarebbero state troppo fredde per loro. E molte specie stanno prosperando a scapito delle specie native. Inoltre triglie, sardine, acciughe e naselli, stanno migrando verso nord o verso acque più profonde in cerca di temperature più adatte. Questo modifica i cicli riproduttivi e mina la sostenibilità della pesca tradizionale, con conseguenze economiche e culturali.

ECONOMIA E SALUTE. Negli ultimi 20 anni, la quota del prodotto interno lordo riferibile al turismo è aumentata del 60% nei paesi mediterranei. Il cambiamento climatico avrà probabilmente un impatto sul comfort termico dei turisti durante l’alta stagione con il susseguirsi di ondate di calore ed eventi meteorologici violenti. L’innalzamento del livello del mare avrà probabilmente effetti sulle spiagge e sui siti storici localizzati in prossimità delle coste. L’effetto dell’innalzamento del livello del mare, con un cambiamento nelle caratteristiche delle tempeste, influenzerà probabilmente in modo significativo le operazioni portuali, rallentando le operazioni commerciali e la produttività. Entro il 2100, il rischio di alluvione potrebbe aumentare del 50% e il rischio di erosione del 13% in tutta la regione mediterranea.

Fridays for future FFf

Crisi climatica assente da dibattito politico: FFF lancia sciopero

Dopo continue marce e incontri con i rappresentanti politici, il Fridays For Future si mobilita in vista delle elezioni politiche e lancia lo Sciopero Globale per il Clima per il 23 settembre, a due giorni dall’appuntamento alle urne.

Dopo quattro, le persone si stanno svegliando, ma i responsabili politici sono ancora fermi”, lamenta Alice Quattrocchi, attivista catanese. “La crisi climatica è assente dal dibattito – spiega -. Più noi parliamo di clima, più i principali partiti sembrano fare a gara per prenderci in giro con belle parole a favore dell’ambiente, senza nessun piano completo, ma anzi chiedendo nuovi rigassificatori o altre misure che accelerano la catastrofe climatica”.

Le persone più colpite dalle conseguenze della crisi climatica vengono ancora “messe a tacere“, denunciano gli attivisti. Parlano delle persone migranti, “strumentalizzate o trattate come feccia“, dei lavoratori, “premiati prima e subito dopo sacrificati sull’altare della crisi infinita, come se accettare salari più bassi e lavoro precario fosse un loro dovere“.

Nel frattempo, tuonano, “chi è al potere sembra ancora dedicare tutto il proprio tempo a distrarre, ritardare e negare i cambiamenti necessari che ci attendono“. Le emissioni di CO2 non si riducono, ma continuano ad aumentare. Il mondo continua a espandere le infrastrutture per i combustibili fossili e a versare denaro “solo a favore di poche aziende e nel nome dei loro extraprofitti“.

Abbiamo un estremo bisogno di un piano di giustizia climatica e sociale che metta prima le persone e dopo il profitto: appunto, #PeopleNotProfit, continua Agnese Casadei. “Stiamo ancora correndo nella direzione sbagliata. La strada da percorrere è davvero lunga, ma siamo qui e non abbiamo intenzione di fare alcun passo indietro“.

Per le elezioni politiche, Fridays For Future Italia ha raccolto nell’Agenda climatica un insieme di proposte che dovrebbero essere incluse in ogni programma e considerate da ogni candidato per affrontare l’emergenza: “In questi giorni stiamo incontrando candidate e candidati e chiediamo loro che la crisi climatica venga affrontata a partire dall’energia e dai trasporti, che si parli di edilizia, lavoro, povertà energetica e acqua“. Cinque proposte e dieci richieste: “Sappiamo che il solo voto non è sufficiente per vedere questo cambiamento realizzato: serve alzare la voce e battersi per il cambiamento”.

Allo sciopero ha aderito Flc Cgil, invitata, insieme a tutte le associazioni, i sindacati e i movimenti a partecipare attivamente in ogni città: “Vogliamo dare un consiglio per i prossimi dibattiti: parlate con noi, non litigate tra voi – è l’appello di Fff ai leader politici -. Il punto sono i cittadini“.

rifiuti

L’ambiente preoccupa gli italiani: clima, rifiuti e smog in cima alla lista

Climate change, qualità dell’aria e rifiuti. Così è composto il podio delle preoccupazioni degli italiani in tema ambientale. In particolare, le prime due categorie sono state segnalate in oltre il 50% dei casi come ‘principali’, quota che si abbassa al 45% considerando la terza. Nella sua indagine ‘Preoccupazioni ambientali e comportamenti ecocompatibili’, l’Istat tenta ancora una volta di fotografare il mutamento delle consapevolezze e costumi degli italiani su argomenti specifici. Già a partire dal 1998 e con continuità tra il 2012 e il 2021, l’indagine rileva la percezione dei cittadini rispetto alle tematiche ambientali. Sta di fatto che nel 2021, i cambiamenti climatici si confermano al primo posto tra le preoccupazioni per l’ambiente (52,5% della popolazione di 14 anni e più), seguito a stretto giro dai problemi legati all’inquinamento dell’aria (51,5%) e dallo smaltimento e la produzione di rifiuti (44,1%). Ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale vengono percepiti nell’inquinamento delle acque (40,1%) e nell’effetto serra e buco nell’ozono (34,9%). Gli altri problemi ambientali preoccupano meno di 3 persone su 10. In fondo alla graduatoria speciale compaiono temi come l’inquinamento elettromagnetico (che preoccupa ‘solo’ l’11,1% del campione di cittadini), e, risalendo, l’inquinamento acustico (12,3%), la rovina del paesaggio (12,4%), l’esaurimento delle risorse (19%) e ancora la distruzione delle foreste (22,3%), il dissesto idrogeologico (22,4%), l’inquinamento del suolo (22,9%), le catastrofi provocate dall’uomo (23,3%) e l’estinzione di alcune specie (25,7%).

La percezione dei principali problemi legati all’ambiente varia tuttavia in relazione alla posizione geografica. Ad esempio secondo l’Istat i cambiamenti climatici preoccupano il 54,3% degli abitanti del Nord-est rispetto al 46,5% di quelli del Sud. L’inquinamento delle acque è particolarmente sentito dagli abitanti di entrambe le ripartizioni settentrionali, molto meno nel Mezzogiorno, soprattutto nelle isole. Viceversa, i residenti del Centro e del Mezzogiorno sono più sensibili alle tematiche legate alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (47,7% al Centro, 46,6% al Sud e 40,0% del Nord-est) e all’inquinamento del suolo (25,5% al Sud e 20,1% al Nord-ovest). In particolare, l’argomento rifiuti è più sentito dai cittadini del Lazio (52,2%) e della Campania (51,9%) rispetto alle altre aree del Paese (media nazionale del 44,1%). E se vivere in centri metropolitani densamente popolati rafforza la preoccupazione su inquinamento dell’aria, inquinamento acustico e sui rifiuti, i residenti dei piccoli comuni risultano maggiormente sensibili rispetto all’inquinamento del suolo e al dissesto idrogeologico. Anche l’età fa mutare priorità e consapevolezze. Nell’indagine Istat si chiarisce infatti che i giovani fino a 34 anni sono più sensibili sulla perdita della biodiversità (32,1% tra i 14 e i 34 anni contro 20,9% degli over55), sulla distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e sull’esaurimento delle risorse naturali (24,7% contro 15,9%). Gli over55 si dichiarano invece più preoccupati per il dissesto idrogeologico (26,3% contro 17% degli under35) e l’inquinamento del suolo (23,7% contro 20,8%).

Non solo: l’Istat spiega che “l’analisi dei comportamenti ambientali e, degli stili di vita e di consumo sono di grande interesse per costruire un quadro complessivo dell’approccio dei cittadini rispetto all’ambiente”. E allora ecco che nel 2021 il 67,6% degli intervistati dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 65,9% a non sprecare l’acqua e il 49,6% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di diminuire l’inquinamento acustico. Inoltre, il 37,1% della popolazione legge le etichette degli ingredienti e il 24,4% acquista prodotti a chilometro zero.

Dall’indagine emerge anche uno spunto sui cambiamenti delle preoccupazioni nel corso del tempo. “L’analisi dei dati in serie storica– spiega l’Istituto di statistica – fa presupporre che le preoccupazioni più legate al clima abbiano un andamento fortemente legato alle policy e all’influenza mediatica”. Emblematico il fatto che nel 1998 la preoccupazione per l’effetto serra coinvolgeva quasi 6 persone su 10 mentre nel 2021 interessa soltanto il 34,9% degli intervistati. È aumentato però il timore per i cambiamenti climatici, dal 36% nel ’98 al 52,5% del 2021 (ovvero +16%). Tale variazione si spiega anche per l’aumento delle manifestazioni globali a favore della tutela ambientale (dal movimento legato alla decarbonizzazione a quello promosso dall’attivista Greta Thunberg e i Fridays for future). L’Istat rileva infatti “che l’attenzione aumenta in misura decisa a partire dal 2019 in concomitanza ai movimenti di protesta che hanno preso avvio a livello globale”.