Sultan Al Jaber: “Cautamente ottimista sul successo della Cop28, tutte le industrie contribuiscano”

Sultan Al Jaber, presidente emiratino della Cop28, si dice “cautamente ottimista” sul successo della conferenza delle Nazioni Unite sul clima: “La Cop più importante” dopo quella dell’Accordo di Parigi, ha detto l’uomo che dirige anche la compagnia petrolifera Adnoc in un’intervista rilasciata sabato all’Afp, e dovrebbe portare “buone notizie a un mondo” minacciato dalla crisi climatica e dalle ripercussioni del conflitto Israele-Hamas.

A pochi giorni dall’apertura della Cop28 a Dubai (30 novembre-12 dicembre), quanto siamo vicini a un consenso finale?

“Sono molto motivato, molto entusiasta e cautamente ottimista. Tutti possono vedere il grande slancio che abbiamo: il comitato di transizione (24 Paesi incaricati di definire i contorni del fondo per le ‘perdite e i danni’ climatici nei Paesi vulnerabili, ndr) ha raggiunto un risultato molto positivo, e ho guidato una visita di successo all’Unione Europea, che si è impegnata a dare un contributo sostanziale alle ‘perdite e ai danni’. Avete visto anche la dichiarazione congiunta di Stati Uniti e Cina e la loro cooperazione in vista della Cop28, o il rapporto dell’Ocse sui 100 miliardi di dollari (obiettivo quasi raggiunto per gli aiuti finanziari al clima da parte dei Paesi ricchi, ndr). Sono stato incoraggiato dai segnali che sono arrivati dal vertice Usa-Cina (a metà novembre a San Francisco): hanno concordato di tenere un vertice sul metano (il secondo gas serra dopo la CO2) durante la Cop e di lavorare insieme per garantire il successo e i risultati più ambiziosi della Cop28. Voglio risultati molto ambiziosi alla Cop28. E conto sul fatto che saremo in grado di concordare collettivamente un piano d’azione concreto per il clima. Stiamo facendo grandi progressi su energia, finanza, salute e natura”.

In che modo la guerra tra Israele e Hamas e le altre crisi internazionali stanno influenzando i negoziati?

“Spero che la Cop28 sia la piattaforma multilaterale che porta buone notizie al mondo. Il mondo soffre già abbastanza per la polarizzazione e la divisione”.

Come confronta la Cop28 con la Cop21, che ha portato all’Accordo di Parigi?

Siamo a metà strada tra Parigi e il 2030 (…), quindi questo è un punto di svolta. Questa è la Cop più importante dopo Parigi. Ed è nostra responsabilità assicurarci di massimizzare l’ambizione della Cop28“.

Lei ripete che i negoziati sono “un processo guidato dalle parti”, ma il suo predecessore a Parigi, Laurent Fabius, sottolinea che un presidente della Cop può avere un impatto importante nel rompere lo stallo dei negoziati…

“Sono stato molto chiaro fin dal primo giorno: anche se questo è un processo guidato dalle parti e io sono qui per garantire che tutte le parti cooperino (…), ho detto che avrei ritenuto tutti, e tutte le industrie, responsabili e tenuti a rispondere per mantenere l’obiettivo di 1,5°C a portata di mano. Quest’anno ho imparato che devo dare tempo al processo, aiutare a ricostruire la fiducia e ispirare l’azione attraverso la cooperazione e l’inclusione (…) Mi vedrete ogni giorno durante la Cop, lo prometto”.

I negoziati sui combustibili fossili saranno i più difficili?

“Per i combustibili fossili, ho rivolto un invito aperto a tutte le parti a incontrarsi, parlare, cooperare e fare raccomandazioni alla Presidenza basate su un terreno comune e sul consenso”.

Molti sono preoccupati per la massiccia presenza del settore privato e dell’industria alla Cop28 e per la sua influenza sui negoziati…

“Tutti devono partecipare al processo, tutti devono assumersi la responsabilità e rendere conto. Questo include tutte le industrie, specialmente quelle ad alte emissioni come l’aviazione, i trasporti, l’alluminio, il cemento, l’acciaio e l’industria del petrolio e del gas. Tutti devono essere consultati, tutti devono avere l’opportunità di contribuire e tutti devono essere ritenuti responsabili e chiamati a rispondere”.

Quali progressi spera di vedere sui finanziamenti per il clima, una questione chiave nei negoziati tra Nord e Sud?

“La sfida dei finanziamenti per il clima è una priorità assoluta nella mia agenda presidenziale alla Cop28. Dobbiamo ancora fare progressi sul finanziamento della transizione. Sto ricevendo risposte positive alle mie richieste da molti Paesi: ci saranno altri impegni, continuerà lo slancio per il rifinanziamento del Fondo verde per il clima e per l’obiettivo globale di adattamento. Alla Cop28 stiamo seguendo percorsi finanziari paralleli per ripristinare la fiducia e sviluppare un nuovo quadro per la finanza climatica. Dobbiamo incoraggiare i finanziamenti del settore privato”.

Il 4 novembre ad Abu Dhabi è stato approvato un fragile compromesso sul funzionamento del nuovo fondo “perdite e danni”, che deve ancora essere approvato dai Paesi alla Cop28. Spera che questo compromesso venga approvato dai Paesi all’inizio della Conferenza?

“È il mio obiettivo? Assolutamente sì. Ma questo è un processo guidato dalle parti. Farò del mio meglio per ottenere questo impulso positivo (per la Cop nel suo complesso, ndr) il prima possibile”.

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COP28, da Lula proposta fondo internazionale per foreste tropicali

Durante la COP28, che si terrà la prossima settimana a Dubai (30 novembre-12 dicembre), il Presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva proporrà la creazione di un fondo per preservare le foreste tropicali di circa 80 Paesi.

L’iniziativa consiste in “un meccanismo di pagamento per foresta, per ettaro, per aiutare a proteggere le foreste tropicali degli 80 Paesi” che le hanno sul loro territorio, ha spiegato la ministra dell’Ambiente, Marina Silva, durante un seminario sulla valutazione e il miglioramento della spesa pubblica a Brasilia.

Questa settimana, il governo brasiliano ha presentato l’idea agli altri membri dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (ACTO), un blocco socio-ambientale che condivide con altri sette Paesi dove si estende la più grande foresta tropicale del mondo. Il fondo ha “un’architettura semplice, che è innovativa ed efficace“, ha commentato Silva, riservando i dettagli dell’annuncio a Lula in occasione della 28a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Il leader della sinistra ha ribadito che i Paesi industrializzati devono assumersi la responsabilità dell’inquinamento e della deforestazione contribuendo finanziariamente alla conservazione di foreste e giungle. Il meccanismo si differenzia dal Fondo per l’Amazzonia già esistente, che è amministrato dalla Banca pubblica di sviluppo (BNDES). Il nuovo fondo internazionale sarà gestito da “un’istituzione finanziaria multilaterale“, ha dichiarato Silva ai media locali.

Roberto Perosa, Segretario per il Commercio e le Relazioni Internazionali del Ministero dell’Agricoltura, ha annunciato poi, in un’altra conferenza stampa, che il Brasile presenterà un piano alla COP28 per aumentare la superficie agricola del Paese senza deforestazione, convertendo i terreni da pascolo.

Abbiamo condotto uno studio e contato quasi 160 milioni di ettari di pascoli. Di questi, circa 40 milioni di ettari sono pascoli degradati, ma molto adatti alle colture. Quindi, con un certo investimento nel suolo, questi terreni possono essere convertiti in terreni coltivabili“, ha precisato Perosa con i media internazionali.

In dieci anni, il governo prevede di investire 120 miliardi di dollari e di espandere le aree coltivate del Brasile da 65 a 105 milioni di ettari, senza deforestazione. “Ci espanderemo senza abbattere alcun albero”, ha detto il funzionario, facendo riferimento a una “grande rivoluzione“. L’iniziativa privata sta attualmente consentendo di convertire quasi un milione e mezzo di ettari ogni anno.

Il presidente di sinistra Lula, tornato al potere a gennaio, ha fatto della difesa dell’ambiente, e dell’Amazzonia in particolare, uno dei cavalli di battaglia della sua politica, soprattutto sulla scena internazionale. Ma vuole anche consentire lo sviluppo del potente settore agroalimentare, in un momento in cui il Brasile è diventato un gigante agricolo. La deforestazione in Amazzonia è aumentata notevolmente sotto il suo predecessore di estrema destra Jair Bolsonaro, che aveva incoraggiato l’espansione delle attività minerarie e agricole nella regione. Lula aveva promesso di sradicare la deforestazione illegale entro il 2030.

Allarme Unicef in vista della COP28: Un bimbo su tre è esposto alla scarsità di acqua

Un bambino su 3 – ovvero 739 milioni nel mondo – vive in aree già esposte a livelli alti o molto alti di scarsità d’acqua, con i cambiamenti climatici che minacciano di rendere questa situazione peggiore. Lo rivela il nuovo rapporto The Climate Changed Child dell’Unicef. Inoltre, il doppio impatto della diminuzione della disponibilità di acqua e dell’inadeguatezza dell’acqua potabile e dei servizi igienici sta aggravando le difficoltà, esponendo i bambini a un rischio ancora maggiore. The Climate Changed Child – lanciato in vista del Summit sul cambiamento climatico della COP28 – mette in luce la minaccia per i bambini dovuta alla vulnerabilità idrica, uno dei modi in cui gli impatti del cambiamento climatico si fanno sentire. Fornisce un’analisi degli impatti dei tre livelli di sicurezza idrica a livello globale –scarsità d’acqua, vulnerabilità idrica e stress idrico.

Il rapporto, un supplemento all’Indice di rischio climatico per l’infanzia dell’Unicef (2021), delinea anche la miriade di altri modi in cui i bambini subiscono l’impatto della crisi climatica – fra cui malattie, inquinamento atmosferico, ed eventi meteorologici estremi come inondazioni e siccità. Dal momento del concepimento, fino all’età adulta, la salute e lo sviluppo del cervello, dei polmoni e del sistema immunitario, e di altre funzioni vitali dei bambini sono influenzati dall’ambiente in cui crescono. Per esempio, i bambini sono più esposti all’inquinamento atmosferico rispetto agli adulti. In generale, respirano più velocemente rispetto agli adulti e il loro cervello, polmoni e altri organi si stanno ancora sviluppando.

Le conseguenze del cambiamento climatico sono devastanti per i bambini”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice Generale dell’Unicef. “I loro corpi e le loro menti sono particolarmente vulnerabili all’aria inquinata, alla scarsa nutrizione e al caldo estremo. Non solo il loro mondo sta cambiando – con fonti d’acqua che si prosciugano ed eventi atmosferici terrificanti che diventano più forti e più frequenti – ma anche il loro benessere, visto che il cambiamento climatico influenza la loro salute mentale e fisica. I bambini stanno chiedendo un cambiamento, ma i loro bisogni sono fin troppo spesso messi in secondo piano”.

Secondo quanto emerge dal rapporto, la maggior parte dei bambini esposti si trova nelle regioni del Medio Oriente e Nord Africa e dell’Asia meridionale – questo significa che vivono in luoghi con risorse idriche limitate e alti livelli di variabilità tra un anno e l’altro e stagionale, abbassamento della falda freatica o rischio di siccità. Fin troppi bambini – 436 milioni – stanno affrontando il doppio svantaggio di una scarsità d’acqua elevata o molto elevata e livelli bassi o molto bassi di servizi per l’acqua potabile – noti come vulnerabilità idrica estrema – mettendo a rischio la loro vita, la loro salute e il loro benessere. Si tratta di una delle principali cause di morte tra i bambini sotto i 5 anni per malattie prevenibili. Il rapporto mostra che quelli maggiormente colpiti vivono in paesi a basso e medio reddito in Africa Subsahariana, in Asia Meridionale e Centrale e in Asia Orientale e Sudorientale. Nel 2022, 436 milioni di bambini vivevano in aree con vulnerabilità idrica estrema. Fra i paesi più colpiti: Niger, Giordania, Burkina Faso, Yemen, Ciad e Namibia, in cui sono esposti 8 bambini su 10.

In queste circostanze, gli investimenti in acqua potabile e servizi igienici sono una prima linea di difesa essenziale per proteggere i bambini dagli impatti del cambiamento climatico. Secondo il rapporto, il cambiamento climatico sta portando anche a un aumento dello stress idrico – il rapporto tra la domanda di acqua e le scorte rinnovabili disponibili. Entro il 2050, si prevede che 35 milioni di bambini in più saranno esposti a livelli elevati o molto elevati di stress idrico, con il Medio Oriente e il Nord Africa e l’Asia Meridionale che attualmente affrontano i maggiori cambiamenti. In Italia il rapporto stima che nel 2022 fossero circa 298 mila i bambini esposti a livelli elevati o molto elevati di stress idrico e anche il nostro Paese, all’interno del cosiddetto hotspot mediterraneo, rischia un peggioramento della situazione in assenza di misure efficaci per combattere il cambiamento climatico. Nonostante la loro particolare vulnerabilità, i bambini sono stati ignorati o ampiamente trascurati nelle decisioni sui cambiamenti climatici. Ad esempio, solo il 2,4% dei finanziamenti per il clima provenienti dai principali fondi multilaterali per il clima sostiene progetti che includono attività che rispondono alle esigenze dei bambini.

In occasione della COP28, l’Unicef chiede ai leader mondiali e alla comunità internazionale di compiere passi fondamentali con e per i bambini per garantire un pianeta vivibile, tra cui: prendere in considerazione i diritti dei bambini all’interno della decisione finale della COP28 e convocare un dialogo tra esperti su bambini e cambiamenti climatici; inserire riferimenti ai bambini e l’equità intergenerazionale nel Global Stocktake (GST); includere misure per rendere i servizi essenziali per i bambini resilienti al clima nella decisione finale sull’Obiettivo globale per l’adattamento (GGA); garantire che il Fondo per le perdite e i danni e gli accordi di finanziamento rispondano alle esigenze dei bambini e che i diritti dei bambini siano integrati nella governance e nel processo decisionale del Fondo. Al di là della COP28, l’Unicef chiede alle parti di agire per proteggere la vita, la salute e il benessere dei bambini, anche adattando i servizi sociali essenziali, di mettere ogni bambino in condizione di essere un difensore dell’ambiente e di rispettare gli accordi internazionali sulla sostenibilità e sul cambiamento climatico, compresi quelli per la rapida riduzione delle emissioni.

I bambini e i giovani hanno sempre chiesto con insistenza di far sentire la loro voce sulla crisi climatica, ma non hanno quasi nessun ruolo sostanziale nelle politiche climatiche e nel processo decisionale. Raramente vengono presi in considerazione nei piani e nelle azioni di adattamento, mitigazione e finanziamento del clima“, ha dichiarato Russell. “È nostra responsabilità collettiva mettere ogni bambino al centro di un’azione globale urgente per il clima“.

 

Perdite e danni climatici: un passo decisivo prima della COP28

Sabato i Paesi del Nord e del Sud del mondo hanno raggiunto un fragile compromesso sui contorni di un futuro fondo per coprire le ‘perdite e i danni’ climatici nei Paesi vulnerabili, aprendo la strada a un accordo su questo tema alla Cop28 di Dubai, fondamentale per il successo del vertice. L’adozione di principio di questo fondo è stata considerata il principale risultato della Cop27 in Egitto lo scorso anno, e le discussioni sulla sua attuazione (funzionamento, donatori, beneficiari, ecc.) sono state affidate a un comitato di transizione.

Sabato sera, la quinta e ultima riunione di questo comitato si è conclusa con l’adozione di un testo di raccomandazioni, nonostante le riserve degli Stati Uniti e di diversi Paesi in via di sviluppo, durante una sessione plenaria trasmessa online. Il testo propone di istituire il fondo provvisoriamente, per quattro anni, all’interno della Banca Mondiale, cosa che inizialmente era stata respinta con forza dai Paesi in via di sviluppo, che accusano l’istituzione di essere nelle mani dell’Occidente e inadatta alle loro esigenze. “È ora imperativo attivare e capitalizzare rapidamente il fondo“, perché “il mondo non ha bisogno di un conto bancario vuoto” ma di “un fondo operativo che possa davvero fare la differenza“, ha dichiarato il presidente emiratino della Cop28, Sultan Al Jaber, in un messaggio letto ai delegati al termine della riunione. Il testo delle raccomandazioni deve ancora essere finalizzato e approvato dai Paesi del mondo alla 28ª Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Dubai (30 novembre-12 dicembre).

E i dibattiti alla Cop28 si preannunciano ancora burrascosi: “Anche se abbiamo accettato il testo, esso non soddisfa molte delle richieste dei Paesi in via di sviluppo, a cominciare dalle dimensioni del fondo, dalle fonti di finanziamento, ecc“, ha dichiarato il delegato egiziano Mohamed Nasr durante la riunione. “Le raccomandazioni sono deboli perché non menzionano le dimensioni del fondo o un chiaro piano di capitalizzazione“, ha dichiarato all’AFP Harjeet Singh dell’Ong Climate Action Network, deplorando “un giorno buio per la giustizia climatica“. “Inoltre, gli Stati Uniti stanno spingendo affinché i Paesi sviluppati aderiscano su base volontaria“, ha aggiunto, mentre i delegati dei Paesi del Sud del mondo difendono un contributo obbligatorio, in virtù della schiacciante responsabilità storica dei Paesi ricchi per le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale.

In virtù di questa responsabilità storica, stabilita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, i Paesi sviluppati hanno promesso 100 miliardi di dollari di aiuti annuali ai Paesi in via di sviluppo. Ma il fatto che finora non abbiano rispettato questa promessa è diventato una delle principali fonti di tensione nei negoziati sul clima, facendo temere che i Paesi ricchi daranno solo un contributo limitato al nuovo fondo.

È essenziale che questo fondo sia in grado di ricevere contributi finanziari dalla più ampia gamma possibile di fonti, comprese quelle innovative come i mercati del carbonio, i meccanismi di tassazione internazionale e altre“, ha dichiarato all’AFP un portavoce del Dipartimento di Stato. Questa argomentazione degli Stati Uniti, condivisa dall’Unione Europea, si inserisce in un dibattito sempre più acceso sulla necessità di ampliare le fonti di finanziamento per l’adattamento ai cambiamenti climatici e la transizione energetica nei Paesi del Sud, il cui fabbisogno stimato ammonta a trilioni di dollari, 100 volte superiore agli aiuti pubblici forniti dai Paesi del Nord.

Pichetto alla Pre-Cop28: “Politiche climatiche e scelte energetiche sono facce della stessa medaglia”

La parola d’ordine è realismo. Alla pre-Cop28 di Abu Dhabi il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, porta la posizione italiana. Ribadendo che è un “dovere di tutti noi contribuire all’attuazione dell’Accordo di Parigi con la massima ambizione possibile, agendo con risolutezza entro il 2030 per ridurre le emissioni globali e procedere verso una traiettoria chiara di neutralità climatica”. Ma, allo stesso tempo, “un’azione ambiziosa per il clima è una azione equa, poiché riduce i rischi associati al riscaldamento globale, proteggendo i più vulnerabili dagli impatti peggiori”. Dunque, portare avanti la sostenibilità ambientale, ma anche quella economica e sociale. Sebbene, puntualizza Pichetto, “Tutti dobbiamo contribuire, e certamente in particolare quelli che attualmente emettono quote elevate di emissioni globali”.

Il responsabile del Mase esorta a sfruttare le occasioni che la scienza mette a disposizione dei governi e degli Stati, fornendo “soluzioni realizzabili per affrontare questa sfida globale”, anche se “la finestra di opportunità per agire per limitare gli effetti del cambiamento climatico – avverte – è molto stretta e non possiamo perdere altro tempo”.

Serve pragmatismo nelle scelte, quindi una delle basi di discussioni da cui l’Italia suggerisce di partire è quella di considerare politiche climatiche e scelte energetiche sul medesimo binario: “Sono facce di una stessa medaglia, non si può parlare delle prime senza affrontare il tema della riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili e al contempo assicurare la sicurezza energetica”, sottolinea Pichetto. Che poi aggiunge: “In questo contesto, riteniamo che la Cop28, attraverso il Global stocktake, possa e debba dare indicazioni chiare verso percorsi realistici che portino ad obbiettivi tangibili”.

Tra questi cita “triplicare la capacità di energia rinnovabile globale e raddoppiare il tasso di efficienza energetica attuale, ridurre drasticamente le emissioni di metano, eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili e adottare misure di mitigazione ambiziose in tutti i settori economici”. Obiettivi che definisce “tutti alla nostra portata”. Per questo “è evidente che il successo della Cop28 sarà misurato anche se saremo in grado di definire e contestualizzare l’obbiettivo globale per l’adattamento”.

Ma Pichetto avvisa i partner internazionali anche su altri fattori da tenere bene a mente: “Il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi richiede una trasformazione fondamentale di tutte le economie e un grande cambiamento nella struttura dell’economia globale, dei mercati finanziari e degli investimenti”. Ragion per cui, ammonisce, “dobbiamo lavorare insieme per rimuovere le barriere che ostacolano l’accessibilità e la sostenibilità dei Paesi vulnerabili e indebitati nell’attrarre finanziamenti per la transizione energetica e rafforzare la resilienza”.

Infine, altra parola d’ordine è sostenibilità. “La mitigazione e l’adattamento devono essere integrati in ogni decisione economica e finanziaria a livello nazionale e globale, oltre che nei bilanci nazionali”, ribadisce ancora Pichetto. Che conclude: “Solo in questo modo possiamo realmente coniugare la lotta al cambiamento climatico con le esigenze di sviluppo che i nostri cittadini ci richiedono”.

 

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L’Africa punta alle rinnovabili: a Nairobi al via il Vertice africano sul clima

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“Offrire prosperità e benessere alle popolazioni africane in crescita senza far precipitare il mondo in un disastro climatico più profondo non è una proposta astratta o un pio desiderio. È una possibilità reale, dimostrata dalla scienza”. Lo ha detto il presidente del Kenya, William Ruto nel suo discorso di apertura dello storico vertice africano sul clima, che ha preso il via oggi a Nairobi. “La questione principale – ha aggiunto – è l’opportunità senza precedenti che l’azione per il clima rappresenta per l’Africa. Per molto tempo abbiamo solo guardato a questo problema, è ora di fare il grande passo”.

Per Ruto è necessario “considerare la crescita verde non solo come un imperativo climatico, ma anche come una fonte di opportunità economiche del valore di miliardi di dollari che l’Africa e il mondo sono pronti a capitalizzare”. Secondo il presidente, l’Africa ha il potenziale per essere completamente autosufficiente dal punto di vista energetico grazie alle risorse rinnovabili. Il Kenya, ha sottolineato, “punta al 100% di energia rinnovabile entro il 2030“.

L’Africa ha un “potenziale unico” nella lotta al cambiamento climatico grazie alle possibilità legate all’energia rinnovabile, alla giovane forza lavoro e alle risorse naturali della regione, tra cui il 40% delle riserve mondiali di cobalto, manganese e platino, essenziali per le batterie e l’idrogeno. E’ questo il cuore della bozza della ‘Dichiarazione di Nairobi’, il documento che sarà discusso questa settimana al vertice. Questo primo vertice africano dà il via ai quattro mesi più intensi dell’anno per i negoziati internazionali sul clima, che culmineranno nella battaglia per la fine dei combustibili fossili alla COP28 di Dubai a dicembre. Per tre giorni, una ventina di leader e funzionari africani e non, tra cui il capo delle Nazioni Unite António Guterres, saranno accolti nella capitale keniota dal presidente William Ruto, che spera che questo vertice permetta al continente di trovare un linguaggio comune su sviluppo e clima per “proporre soluzioni africane“ alla prossima conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima.

Ma le sfide sono enormi per un continente in cui circa 500 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. E i leader africani sottolineano costantemente i notevoli ostacoli finanziari. L’Africa, che ospita il 60% del miglior potenziale mondiale di energia solare al mondo, ha una capacità installata simile a quella del Belgio, come hanno recentemente sottolineato il presidente Ruto e l’Agenzia internazionale dell’energia. La ragione principale è che solo il 3% degli investimenti globali nella transizione energetica raggiunge l’Africa.

Un risultato positivo a Nairobi su una visione condivisa per lo sviluppo verde dell’Africa darebbe impulso a diversi incontri internazionali chiave prima della COP28, a partire dal vertice del G20 in India e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, seguiti dalla riunione annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a Marrakech in ottobre. Secondo Joseph Nganga, nominato da William Ruto a presiedere il vertice, la conferenza dovrebbe dimostrare che “l’Africa non è solo una vittima, ma un continente dinamico con soluzioni per il mondo”.

La sicurezza è stata rafforzata a Nairobi e le strade intorno alla sede del vertice sono state chiuse. Secondo il governo, 30.000 persone si sono registrate per l’evento.

Verso la Cop28 tra rinnovabili ed efficienza: l’Ue spinge su obiettivi globali

(Photocredit: AFP)

Triplicare il tasso globale di diffusione di energie rinnovabili e raddoppiare il tasso globale di efficienza energetica entro il 2030. Prende forma la strategia per la transizione energetica, con impegni comuni, che l’Unione europea punterà a concretizzare alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva annunciato nei mesi scorsi che l’Ue avrebbe sostenuto obiettivi globali per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. Nei giorni scorsi sono stati i commissari per l’energia, Kadri Simson, e il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, a chiarire in cosa consisterà l’iniziativa che Bruxelles promuoverà. Simson ha spiegato che l’idea è quella di proporre sul fronte delle energie pulite un impegno volontario e non vincolante a triplicare il tasso globale di diffusione delle energie rinnovabili entro il 2030. Sul fronte del taglio ai consumi di energia Bruxelles proporrà di “raddoppiare il tasso globale di miglioramenti dell’efficienza energetica in questo decennio rispetto al decennio precedente”.

Impegni globali, anche se non vincolanti, che dovrebbero rispecchiare a pieno gli obiettivi energetici dell’Ue al 2030, tanto sul fronte dell’efficienza che delle rinnovabili. Di recente, nel quadro del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’ l’Unione europea ha rivisto al rialzo i target per entrambi gli obiettivi attraverso la revisione della direttiva sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili (entrambe del 2018): un aumento della quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia dell’Ue al 42,5 per cento entro il 2030, con l’idea di ‘impegnarsi’ a raggiungere il 45 per cento (con un ulteriore aumento indicativo del 2,5 per cento che però non è vincolante); fissando l’obiettivo di ridurre collettivamente il consumo finale di energia dell’11,7 per cento nel 2030, rispetto alle previsioni formulate nel 2020.

Giovedì si è aperto a Bruxelles il 7 ° incontro ministeriale sull’azione per il clima (MoCA) ospitato dall’Ue, dal Canada e dalla Cina, con la partecipazione dei ministri degli Stati del G20 e altre parti chiave dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite. Ed è in questa occasione che il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, ha fatto sapere di voler “contare sul sostegno di tutti per raggiungere questi obiettivi” e per renderli parte dei principali risultati della COP28. La ministeriale si è tenuta alla presenza del presidente designato della Cop28, Sultano Al Jaber, controverso per la sua posizione non solo da ministro dell’Industria e delle Tecnologie negli Emirati Arabi Uniti, ma soprattutto di amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato, la Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc). Al-Jaber ha presentato un piano d’azione basato su quattro pilastri concentrandosi sulla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e sull’aumento della capacità delle energie rinnovabili e dell’idrogeno.

Oltre alla transizione, il grande tema al centro della prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite sarà l’importanza di risolvere la questione del finanziamento della lotta ai cambiamenti climatici e la trasformazione dell’attuale architettura finanziaria e soluzioni per mobilitare capitali privati ​​su larga scala verso azione per il clima.

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Si chiude a Bonn la conferenza sul cambiamento climatico: braccio di ferro su combustibili fossili

La necessità di accelerare la riduzione delle fonti fossili è stata il punto focale e della discordia della conferenza di Bonn sul cambiamento climatico, che si è chiusa giovedì sera e che ha chiamato in Germania i rappresentanti di 200 Paesi. Dieci giorni di dialogo e confronto su transizione energetica equa, sostegno all’adattamento climatico e attuazione di un fondo per finanziare le “perdite e danni” dei Paesi più poveri. Discussioni cruciali in vista della Cop28, che si terrà a Dubai a dicembre, con l’obiettivo di riportare l’umanità sulla traiettoria più ambiziosa dell’accordo di Parigi: limitare il riscaldamento globale a 1,5°C dall’era preindustriale, perché l’attuale tasso di emissioni porterà la Terra a +2,8°C entro il 2100.

“Il cambiamento climatico non è una questione ‘Nord contro Sud’, è un maremoto che non fa distinzioni” e “l’unico modo per evitare di essere travolti è investire nell’azione per il clima”, ha avvertito il segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il clima, Simon Stiell, durante la chiusura della conferenza.

Nel mirino del suo discorso, il lungo braccio di ferro che ha opposto Unione Europea e gruppo Lmdc (una ventina di Paesi emergenti, tra cui Cina, India e Arabia Saudita). L’Ue ha voluto intensificare le discussioni sulla riduzione dei gas serra. Ma, in cambio, si è addentrata in ulteriori trattative sugli aiuti finanziari che i Paesi ricchi, cioè i principali responsabili del riscaldamento globale, devono ai Paesi poveri. Anche perché finora le promesse non sono state mantenute. “La riluttanza dei Paesi sviluppati a prendere un vero impegno” sui finanziamenti è stata denunciata dall’ambasciatore cubano, che ha parlato a nome del gruppo G77+Cina (si tratta infatti di 134 Paesi in via di sviluppo, oltre l’80% della popolazione mondiale). “Ogni Paese ha il diritto di seguire i propri percorsi di sviluppo e di transizione”, ha detto ancora nella sua dichiarazione finale, sostenuta dalla maggior parte dei Paesi del Sud, che hanno perso la fiducia nei Paesi sviluppati. “Stiamo rispettando i nostri impegni finanziari per il clima”, ha affermato l’Unione Europea, ricordando la necessità di diversificare le fonti di denaro poiché la maggior parte dei finanziamenti privati ​​per il clima sfugge ai Paesi in via di sviluppo.

La questione sarà, il 22 e 23 giugno, al centro del vertice di Parigi per un nuovo patto finanziario globale. E ancora in agenda a settembre, al vertice sull’azione per il clima organizzato a New York dal segretario generale Onu Antonio Guterres, che giovedì ha definito i combustibili fossili “incompatibili” con la sopravvivenza dell’umanità.

Gli occhi sono puntati soprattutto sul presidente della Cop28, il sultano al-Jaber, capo della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti, che ha partecipato alla conferenza di Bonn l’8 e 9 giugno. Sotto pressione da parte degli ambientalisti, si è accontentato di incontrare le delegazioni, senza tenere una conferenza stampa. “È giunto il momento per lui di passare dalla modalità di ascolto alla modalità di azione”, ha dichiarato Alden Meyer, veterano della Cop presso il think tank E3G, rammaricandosi di “un’occasione persa” per farlo a Bonn. In un cambio di narrazione simbolica, però, il sultano ha riconosciuto durante un ricevimento che la riduzione dei combustibili fossili è “inevitabile”.

Gli osservatori attendono ancora una roadmap concreta per la Cop28, che si terrà sulla scia della prima valutazione globale, a settembre, dei progressi compiuti dalle nazioni per ridurre le proprie emissioni dal 2015. “Il divario tra i risultati politici di Bonn e la dura realtà climatica sembra già enorme”, sottolinea Li Shuo, esperto di Greenpeace, che in questo gap vede il “preludio alle turbolenze politiche della Cop”. A Dubai, per la prima volta, i partecipanti dovranno dichiarare i loro possibili legami (“affiliazioni”) con le aziende, una vittoria della società civile che ha chiesto questa misura contro l’influenza mascherata delle industrie fossili.

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