Ex Ilva, salta tavolo governo-Mittal: No aumento capitale e Stato al 66%

Il tavolo tra governo e Arcelor Mittal sul futuro ex Ilva di Taranto salta. La delegazione dell’esecutivo (i ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, del Lavoro, Elvira Calderone, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano) propone ai vertici dell’azienda un aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro e un aumento della partecipazione pubblica al 66%. ArcelorMittal, però, alza il muro e si dichiara indisponibile a qualunque impegno finanziario e di investimento, anche come socio di minoranza. Palazzo Chigi incarica Invitalia di “assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale” e convoca i sindacati il pomeriggio di giovedì 11 gennaio.

Un esito che “conferma quello che Fim, Fiom e Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori“, rivendicano le parti sociali, che ribadiscono la “necessità” di un controllo pubblico, data la “mancanza di volontà” del socio privato di voler investire risorse. I sindacati giudicano l’indisponibilità di Mittal “gravissima“, soprattutto di fronte alla situazione in cui versano i lavoratori e gli stabilimenti. Un atteggiamento che, denunciano, “conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese“. L’attesa, dall’incontro di giovedì, avvertono i segretari Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, è che si arrivi a una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e si garantisca il “controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale“.

Se per il senatore di FdI, Matteo Gelmetti, il governo fa “finalmente politica industriale” e per il presidente dei senatori Dem Francesco Boccia mette in atto oggi “quello che il Pd chiedeva da tempo“, il risultato, per Angelo Bonelli di AVS, è lo “schiaffo di una multinazionale in faccia allo Stato italiano“. Nulla di imprevisto, ricorda: “Il suo modo di agire era noto nel mondo ancor prima che fosse scelta per rilevare lo stabilimento ex Ilva“. Lo Stato, è il timore, va incontro a una “esposizione economica di centinaia e centinaia di milioni di euro” che rischierà di dover versare ad Arcerol-Mittal, ed é a suo avviso “quello che la multinazionale ha sempre avuto in testa in questo contenzioso legale, che si sta delineando in tutta la sua drammaticità“.

Ex Ilva, sindacati sulle barricate: Governo assuma controllo o non staremo fermi

Il tempo delle riflessioni è scaduto. Fiom, Fim e Uilm organizzano una conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi sulla vertenza ex Ilva, ma sono convocati dal governo il 20 dicembre. Oltre quella data, assicurano, non saranno disposti a tollerare risposte ambigue: il socio pubblico in Arcelor Mittal, quindi in Acciaierie d’Italia, deve crescere e il governo prendere il controllo, altrimenti “non staremo fermi” e “non andremo via”, tuonano. Tradotto: la protesta prosegue a oltranza.

Al momento, Adi è al 38% di Invitalia e al 62% di Arcelor Mittal. In ballo c’è il futuro di 20mila lavoratori, tutti ancora in Cig, e della produzione dell’acciaio in Italia. L’incontro del 20 tra Palazzo Chigi e le parti sociali sarà propedeutico all’Assemblea degli azionisti, prevista per il 22 ma già rinviata diverse volte. La crisi finanziaria in cui sostiene di versare l’azienda richiede una ricapitalizzazione di emergenza di oltre 300 milioni di euro.

“Voglio essere esplicito: il 20 o c’è una risposta che dà garanzie rispetto alla salita del socio pubblico dentro Arcelor Mittal, quindi dentro Acciaierie, quindi prende in mano il governo la gestione dell’azienda, con un elemento di garanzia per i lavoratori e le produzioni, o noi non andremo via“, spiega Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil. Lamenta un disinteresse dell’azienda non solo per il futuro, ma anche per le attuali situazioni di sicurezza e salute dei lavoratori: “Ogni giorno c’è un incidente dentro gli impianti”, ricorda. De Palma denuncia anche un comportamento dell’azienda “oggettivamente anti-sindacale”: “Non rispetta il dialogo con i delegati, con i lavoratori, con le organizzazioni sindacali. Sappiamo che nel governo c’è un dibattito: il punto è uno, alla luce di quello che sta succedendo, cosa stanno aspettando? Siamo venuti per liberare il governo dalla condizione di ostaggio in cui la multinazionale indiana tiene gli impianti, i lavoratori e la dignità del Paese“, chiosa.

Si assumano la responsabilità o la pagheranno, il giudizio dei lavoratori e delle comunità è negativo, verso una crisi gestita con i piedi“, avverte il segretario della Uilm, Rocco Palombella. “Noi il 20 dicembre verremo qui e il governo e i ministri devono sapere che ci devono dire qual è la proposta che hanno messo in piedi per salvaguardare 20mila posti di lavoro, l’ambiente e la produzione di acciaio. Ce lo devono dire, non possono continuare a prendere tempo, come hanno fatto in questi anni, aspettando di passare il cerino al governo successivo. Ma siccome i lavoratori non sono cerini, ma persone con una grande dignità, chi fa politica deve assumersi i problemi e deve fare le proposte”, aggiunge. Da 4 anni dura l’affidamento a Mittal e “il bilancio è sotto gli occhi di tutti: è stata fallimentare fin dal primo momento, non c’è stato un anno senza l’utilizzo della cig o con un livello produttivo minimo. Non hanno speso un euro e ora chiedono il conto”, denuncia. E conclude: “Noi solleciteremo chiarezza e decisione. Se questo non sarà possibile, si apre un altro scenario, se il 20 ci saranno notizie negative, noi non staremo fermi”.

Dal Piemonte arriva la proposta del governatore Alberto Cirio di un’azione coordinata con Puglia e Liguria per “far sentire la voce delle Regioni in difesa degli stabilimenti produttivi”. Questa mattina, il presidente della Regione ha incontrato amministratori e organizzazioni sindacali sul futuro degli stabilimenti a Novi Ligure, Racconigi e Gattinara. La Regione, ha annunciato, parteciperà all’incontro convocato del 20 dicembre a Roma.

Auto, tavolo permanente al Mimit, da Stellantis 1 mln veicoli. Urso: Punto di svolta

Un milione e mezzo di veicoli prodotti in Italia, un milione da Stellantis e cinquecentomila da altre case automobilistiche che si affacceranno nel panorama della Penisola. L’obiettivo del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per rilanciare il settore dell’Automotive è ambizioso e per i sindacati del comparto assomiglia più a un sogno che a un progetto.

A Palazzo Piacentini, sede del Mimit, si insedia il primo incontro del Tavolo permanente con tutti gli attori coinvolti Stellantis, Anfia, le parti sociali, le Regioni che ospitano stabilimenti della multinazionale. Si punta a chiudere un accordo di sviluppo per, appunto, aumentare i livelli produttivi nazionali, consolidare i centri di ingegneria e ricerca, investire sui modelli innovativi, riqualificare le competenze dei lavoratori e sostenere la riconversione della componentistica.”Un punto di svolta per il sistema paese per raggiungere un obiettivo ambizioso, ma concreto: invertire il declino produttivo registrato negli ultimi anni in Italia“, commenta Urso al tavolo.

Con lui, siedono la sottosegretaria Fausta Bergamotto, una delegazione di Stellantis guidata da Davide Mele, Responsabile Corporate Affairs Italia e Amministratore Delegato MOPAR, i presidenti del Piemonte e dell’Abruzzo, Alberto Cirio e Marco Marsilio, il vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angelilli, gli assessori regionali della Basilicata, Michele Casino, della Campania, Antonio Marchiello, e dell’Emilia Romagna, Vincenzo Colla, e i tecnici della Regione Molise. Poi i segretari generali di Fiom-CGIL, Michele De Palma, Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, UILM, Rocco Palombella, UGL-Metalmeccanici, Giovanni Antonio Spera, e FISMIC, Roberto Di Maulo. Per ANFIA il presidente Roberto Vavassori e il direttore generale Gianmarco Giorda.

La prima mossa per il rilancio del settore, per il ministro, è invertire la progressiva contrazione dei volumi produttivi in Italia, dove l’anno scorso sono state prodotte 450mila autovetture a fronte di un milione e 400mila immatricolazioni. Per il settore, c’è un fondo a disposizione da sei miliardi da qui al 2030, parte di questi possono andare agli incentivi che però, avverte Urso, dovranno stimolare l’acquisto di auto effettivamente prodotte in Italia, potranno essere ripensati per accompagnare nella transizione verde la filiera della componentistica e tutto l’indotto, o comunque promuovendo l’insediamento di altre case produttive nel Paese.

Un piano che stride con la cig dei lavoratori e la prospettiva degli stabilimenti, per il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: “È positivo che il tavolo si sia insediato, ora bisogna verificare le posizioni di Stellantis sulle auto e soprattutto sulla transizione, come incide sulla componentistica e sulle aziende terze“. La domanda però nasce spontanea: “Con quale acciaio faremo auto? Con quello italiano o straniero? Spero che il governo assuma una posizione radicale: Mittal non può più dirigere la siderurgia italiana”, tuona. “Tutti i lavoratori di tutti gli stabilimenti continuano a essere in cassa integrazione“, conferma Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, che chiede all’azienda se dall’anno prossimo usciranno dalla cassa. “Siamo favorevoli a fare un accordo – fa sapere -, ma a condizione che Stellantis metta delle proprie risorse, visto che fa utili pazzeschi, e che dall’altro lato garantisca la ricerca, lo sviluppo e la produzione del nostro Paese“. Le parti sociali chiedono un piano di sviluppo e occupazione da almeno due anni, ricorda Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim: “Per noi è determinante, stiamo affondando negli annunci, speriamo che questo non sia l’ennesimo”.

Nessun annuncio, ma impegno, assicura Stellantis, che ribadisce la centralità dell’Italia nella strategia globale del Gruppo e la volontà di creare un futuro sostenibile per le attività che hanno già contribuito alla bilancia commerciale italiana con un surplus di 11 miliardi di euro dalla creazione del gruppo nel 2021 al giugno di quest’anno. Per raggiungere gli obiettivi finali, però, sottolinea l’azienda, “al di là del livello di performance di ogni impianto, sono cruciali una serie di fattori abilitanti specifici, come la cancellazione dell’impatto della normativa Euro 7 per la continuazione della produzione di modelli accessibili in Italia, gli incentivi adeguati per i clienti di veicoli elettrici per sostenere il mercato e lo sviluppo della rete di ricarica, e il miglioramento della competitività industriale di Stellantis e dei fornitori italiani, incluso il costo dell’energia“.

Il Tavolo permanente proseguirà articolandosi in cinque gruppi di lavoro: sul Mercato (incentivi, future evoluzioni) a guida MIMIT, sulla Competitività (efficientamento, energia) a guida Regioni, sulla Componentistica a guida ANFIA, su Lavoro e competenze a guida delle organizzazioni sindacali e, infine, su R&S e centri di ingegneria a guida MIMIT. Il prossimo incontro del Tavolo è previsto entro gennaio 2024.