Deforestazione

Trovato l’accordo Ue: stretta sui prodotti importati derivanti da deforestazione

Legno, soia, carni bovine, caffè, cacao e olio di palma e altri prodotti derivati come mobili, cioccolata e cuoio. La stretta dell’Unione europea su alcuni prodotti importati sul mercato interno per frenare la deforestazione e il degrado forestale diventerà presto legge europea. I negoziatori di Europarlamento e Consiglio hanno raggiunto nella notte tra lunedì e martedì un accordo politico sulla proposta di regolamento sui prodotti senza deforestazione, avanzata dalla Commissione europea a novembre 2021. Un’intesa ambientale importante che arriva alla vigilia dell’inizio della Conferenza sulla Biodiversità, la Cop15 in programma dal 7 al 19 dicembre a Montreal, in Canada.

La stretta interessa tra gli altri l’olio di palma, il legno, la carne bovina e la gomma, oltre a diversi materiali associati (pelle, cioccolato, mobili, carta stampata, carbone…) e la loro importazione sarà vietata se questi prodotti provengono da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020. Per la prima volta, le aziende importatrici saranno responsabili della loro catena di approvvigionamento e dovranno raccogliere informazioni geografiche precise sui terreni agricoli in cui sono state coltivate le merci di cui si riforniscono, in modo che si possa tracciarne la conformità anche attraverso immagini satellitari. Saranno gli Stati membri a dover garantire che le aziende che non rispettano le regole vadano incontro a sanzioni.

L’elenco dei prodotti coperti dal regolamento sarà regolarmente rivisto e aggiornato dall’Ue, tenendo conto di nuovi dati come il cambiamento dei modelli di deforestazione. Dopo la Cina, Bruxelles è il secondo maggiore importatore al mondo di queste materie prime legate alla deforestazione e tra le cause principali della tendenza alla pressione sulle foreste è l’espansione agricola legata alle materie prime come la soia, carne bovina, olio di palma, legno, cacao e caffè e ad alcuni loro derivati.

Secondo un rapporto del Wwf, nel 2017 i Paesi europei rappresentavano il 16% di queste importazioni nel mondo associate al commercio internazionale per un totale di 203mila ettari e 116 milioni di tonnellate di CO₂, meno della Cina (24%) e più dell’India (9%), degli Stati Uniti (7%) e del Giappone (5%). L’Italia, in base ai dati del 2017, è al secondo posto in Europa: con 35.800 ettari importati, la Penisola è seconda seconda solo alla Germania, e seguita da Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia tra gli otto Paesi europei responsabili dell’80% della deforestazione incorporata ai prodotti, di provenienza tropicale, che vengono poi lavorati e consumati nell’Ue.

Tra le materie prime più importate, si menzionano i semi di soia, l’olio di palma, a sua volta molto più avanti di manzo, legname e cacao. Tra il 2005 e il 2017, sottolinea il rapporto, soia, olio di palma e carne bovina sono state le materie prime con la più grande deforestazione tropicale incorporata importata nell’Ue, seguita da prodotti in legno, cacao e caffè. L’espansione dell’agricoltura nelle regioni tropicali rimane la più grande minaccia per le foreste e altri ecosistemi naturali, mettono in guardia gli autori del rapporto, “portando alla conversione di circa 5 milioni di ettari di foreste in terreno agricolo all’anno tra il 2005 e il 2017”.

E’ la prima volta al mondo! È il caffè che beviamo a colazione, il cioccolato che mangiamo, il carbone dei nostri barbecue, la carta dei nostri libri. E’ una decisione radicale“, ha commentato l’europarlamentare e presidente della commissione Ambiente, Pascal Canfin (Renew, Liberali). Per il vicepresidente Frans Timmermans l’accordo politico “segna un’importante svolta nella lotta globale contro la deforestazione. Mentre effettuiamo la transizione verde nell’Unione europea, vogliamo anche garantire che anche le nostre catene del valore diventino più sostenibili. La lotta alla deforestazione è un compito urgente per questa generazione e una grande eredità da lasciare per la prossima“. Ora che si è trovato un accordo politico, Parlamento e Consiglio dovranno ora formalmente adottare il nuovo regolamento prima che possa entrare in vigore. Una volta entrato in vigore il regolamento, operatori e commercianti avranno 18 mesi di tempo per recepire le nuove regole.

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Amazzonia, record deforestazione a ottobre. Ong contro Bolsonaro

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana ha raggiunto i 904 km2 ad ottobre, un record per questo mese dell’anno, secondo i dati ufficiali diffusi venerdì 11 novembre, a meno di due mesi dalla fine del mandato del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Il sistema di osservazione satellitare Deter, in uso dal 2015, ha rilevato un aumento del 3% dell’area deforestata nella più grande foresta pluviale del pianeta rispetto a ottobre 2021. I dati sono stati raccolti dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe).

In soli dieci mesi, il 2022 è già l’anno peggiore di questa serie statistica per la deforestazione in Amazzonia, con 9.494 km2 di vegetazione cancellati dalla mappa, battendo il record di 9.178 km2 per tutto il 2021. La sezione brasiliana del Wwf ha spiegato che la deforestazione e gli incendi sono “esplosi” in Amazzonia dal risultato delle elezioni presidenziali, che hanno portato alla vittoria Luiz Inacio Lula da Silvia, da sempre impegnato nella lotta contro la deforestazione.

Ma perché sta accadendo proprio ora? “Ci si aspettava un aumento della deforestazione (a ottobre), ma i dati preliminari dei primi giorni di novembre fanno paura, è una vera corsa frenetica alla devastazione” prima del cambio di governo, accusa il Wwf.

Sotto la presidenza di Jair Bolsonaro, la deforestazione media annua è aumentata del 75% rispetto al decennio precedente. Il presidente eletto Lula, che inizierà il suo terzo mandato il 1° gennaio, ha confermato che parteciperà alla Cop27 in Egitto all’inizio della prossima settimana, dove dovrebbe annunciare le sue prime linee guida per la politica ambientale. “Il nuovo governo avrà molto lavoro da fare per rimettere in sesto il Paese, per porre fine alla percezione che l’Amazzonia sia una terra senza legge“, afferma Raul do Valle del Wwf.

La politica ambientale del governo Bolsonaro “farà ancora danni per un po’. Sarà una grande sfida cambiare la situazione, ma è inevitabile che il Brasile torni ad essere protagonista nel dibattito sul clima“, aggiunge André Freitas di Greenpeace.

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Record incendi Amazzonia: 3mila in un giorno, numero più alto in 15 anni

Lunedì 22 agosto l’Amazzonia brasiliana ha vissuto il più alto numero di incendi degli ultimi 15 anni, un ennesimo segnale della distruzione in atto della più grande foresta tropicale del mondo.

Le immagini satellitari hanno rilevato 3.358 incendi, record giornaliero dal settembre 2007. La cifra è tre volte superiore a quella del 10 agosto 2019, il cosiddetto “giorno di fuoco“, quando i contadini brasiliani lanciarono una massiccia operazione di inneschi nel nord-est del Paese che si estese a San Paolo, a circa 2.500 chilometri di distanza, scatenando la condanna internazionale.

Alberto Setzer, responsabile del programma di monitoraggio degli incendi dell’INPE, dichiara che non ci sono prove che gli incendi di lunedì siano stati coordinati. Piuttosto, sostiene, fanno parte di un modello generale di aumento della deforestazione. Gli esperti attribuiscono gli incendi in Amazzonia all’azione di agricoltori, allevatori e speculatori, che bonificano illegalmente i terreni bruciando gli alberi. “Le aree in cui si verificano più incendi si stanno spostando sempre più a nord“, seguendo un “arco crescente di deforestazione“, ha dichiarato Setzer all’AFP.

La stagione degli incendi in Amazzonia inizia solitamente ad agosto, con l’arrivo della siccità. Quest’anno, a luglio, l’INPE ha rilevato 5.373 incendi, l’8% in più rispetto allo stesso mese del 2021. Dall’inizio del mese in corso sono stati registrati 24.124 incendi, il peggior mese di agosto dall’inizio della presidenza di Jair Bolsonaro, anche se è ancora lontano dall’agosto 2005 (63.764 incendi rilevati, un record dal 1998).

Jair Bolsonaro è stato criticato per il suo sostegno alla distruzione dell’Amazzonia, a vantaggio dell’agricoltura. Da quando è salito al potere nel gennaio 2019, la deforestazione media annua dell’Amazzonia brasiliana è aumentata del 75% rispetto al decennio precedente. “Se volevano che una bella foresta appartenesse a loro, avrebbero dovuto preservare quelle nel loro paese“, ha twittato ieri il presidente di estrema destra, rivolgendosi a chi critica le sue politiche: “L’Amazzonia appartiene e apparterrà sempre ai brasiliani“.

(Photo credits: NELSON ALMEIDA / AFP)

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Il 20% dell’Amazzonia è ‘di nessuno’ e prospera l’illegalità ambientale

Non si tratta né di riserve indigene, né di aree protette, né di proprietà private: circa il 20% dell’Amazzonia brasiliana è “terra di nessuno, senza un quadro giuridico e quindi ancora più vulnerabile all’occupazione illegale, ai cercatori d’oro e ai taglialegna illegali. A causa delle vicissitudini storiche e della negligenza delle autorità, circa 830.000 km2 dell’Amazzonia brasiliana sono considerati “foreste pubbliche non regolamentate. Queste aree non hanno uno status reale, sono meno sorvegliate e più esposte allo sfruttamento indiscriminato.

Dal 2006, gli abitanti di una quindicina di villaggi lungo il fiume Manicoré, che attraversa la parte meridionale dello Stato di Amazonas (nord-ovest), cercano di far classificare i 400.000 ettari di foresta in cui vivono come Regione di Sviluppo Sostenibile, uno status che garantisce una maggiore protezione. In uno di questi villaggi, Terra Preta, con le sue capanne di legno, la piccola scuola e la chiesa, gli abitanti vivono principalmente della produzione di farina di manioca, di açai (un frutto apprezzato per le sue fibre) e di olio di andiroba (un frutto con proprietà medicinali e cosmetiche). “La distruzione prende la forma di chiatte che vediamo ogni giorno scendere lungo il fiume cariche di legna dalla foresta“, ha dichiarato Cristian Alfaia, un leader della comunità.

Secondo i dati dell’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia, tra il 1997 e il 2020, l’87% della deforestazione è avvenuta in queste aree prive di un quadro giuridico, occupate illegalmente o registrate in modo fraudolento come proprietà private. Il restante 13% ha avuto luogo in riserve indigene o aree protette. I 4.000 abitanti dei villaggi Manicoré sono discendenti di immigrati provenienti dal Brasile nord-orientale che fuggirono dalla siccità e si stabilirono in questa regione al culmine della “febbre del caucciù” alla fine del XIX secolo. Si mescolarono con gli indigeni e con i discendenti degli schiavi. Per decenni, tuttavia, lo stile di vita di questi abitanti, che dipendono principalmente dalla caccia, dalla pesca e dalla raccolta di frutta, si è scontrato con gli interessi dell’agroalimentare, del commercio di legname, dei cercatori d’oro e dei bracconieri.

I villaggi di Manicoré hanno ottenuto una Concessione di diritto reale d’uso, sebbene questa sia ancora lontana dalla RDS che garantirebbe loro una gestione pubblica e un monitoraggio ambientale. “Quando la terra non è regolamentata, è soggetta a tutti i tipi di crimini e la popolazione rimane senza accesso ai servizi di base, come la salute e l’istruzione“, ha dichiarato Daniel Viegas, procuratore dello Stato di Amazonas responsabile del processo di richiesta di RDS ed esperto di questioni ambientali.

Per Cristiane Mazzetti, portavoce di Greenpeace Brasile, dare alle aree forestali un quadro giuridico è un “modo molto efficace per combattere la deforestazione“. Da quando è salito al potere nel 2019, il presidente Jair Bolsonaro è stato regolarmente accusato dagli ambientalisti di incoraggiare la deforestazione attraverso la sua retorica a favore del disboscamento commerciale.

(Photo credits: MAURO PIMENTEL / AFP)

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L’impatto delle commodities agricole sulla deforestazione

L’espansione dell’agricoltura nelle regioni tropicali è la più grande minaccia per le foreste, determinando la conversione di circa 5 milioni di ettari (Mha) l’anno. I 7 giganti che dominano la distruzione delle foreste tropicali sono (in ordine di importanza): bovini, olio di palma, soia, cacao, gomma, caffè e legno, responsabili (tra il 2001 e il 2015) del 57% della deforestazione connessa all’agricoltura, un’area grande quanto tutta la Germania. Ma quali sono le materie prime agricole che impattano di più sulla deforestazione del pianeta?

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PASCOLI PER IL BESTIAME. L’allevamento di bovini è la principale causa di perdita di foreste tropicali al mondo. Complessivamente, la carne bovina causa il 37% della deforestazione e, tra il 2011 e il 2015 ha distrutto 45,1 milioni di ettari di foreste. Il 70% di quest’area si trova in Amazzonia.

PALMA DA OLIO. A livello globale, tra il 2001 e il 2015, le piantagioni di palma da olio si sono espanse su 22,4 Mha, facendo aumentare del 167% l’impronta totale di questa commodity. Solo il 19% dell’olio di palma prodotto globalmente è certificato RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil).

SOIA. A livello globale, tra il 2001 e il 2015, le coltivazioni di soia hanno sostituito 8,2 Mha di foresta. Il 97% di questa deforestazione
si è verificata in Sud America. Solo l’1% della soia prodotta globalmente è certificata RTRS (Round Table on Responsible Soy).

CACAO. Tra il 2001 e il 2015, il cacao ha causato la perdita di 2,3 Mha di foresta. L’Indonesia e la Costa d’Avorio sono stati i due Paesi con la maggiore superficie forestale sostituita dalle coltivazioni di cacao (rispettivamente 25% e 22% del totale globale), seguite da Brasile (19%), Ghana (10%) e Camerun (6%).

CAFFÈ. Quasi 2 Mha di foresta sono stati sostituiti da piantagioni di caffè tra il 2001 e il 2015, di cui 1,1 Mha per la varietà Robusta e 0,8 Mha per l’Arabica.

GOMMA. Tra il 2001 e il 2015, la gomma ha causato la perdita di 2,1 milioni di ettari di foresta.

 

(Fotografia di Gianfranco Mancusi)

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La deforestazione amplifica la crisi climatica

Le 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (Co₂) immesse ogni anno nell’atmosfera a causa delle attività umane, ad oggi hanno portato all’aumento di circa 1,1°C della temperatura media globale, rispetto al periodo preindustriale. È quanto si legge nel report del Wwf ‘Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali’, pubblicato in occasione della Giornata internazionale delle foreste.

Le conseguenze sui meccanismi che regolano il clima e di conseguenza tutto il funzionamento del Pianeta, spiega il Wwf, sono evidenti e pericolose, come l’aumento di eventi meteo estremi, l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione del ghiaccio marino in Artico. Un riscaldamento di oltre 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali (soglia limite sui cui puntare, secondo nell’Accordo di Parigi) aumenta il rischio associato a cambiamenti di lunga durata o irreversibili, come, ad esempio, la perdita di alcuni ecosistemi, “con conseguenze devastanti sul funzionamento della biosfera e delle nostre società”.

Le foreste – afferma l’associazione ambientalista – catturano enormi quantità di carbonio: assorbono ogni anno 1/3 delle emissioni antropiche di Co2 da combustibili fossili, evitandone l’accumulo in atmosfera. Dopo gli oceani, le foreste (in particolare quelle tropicali e boreali) sono a livello globale il secondo maggior serbatoio di carbonio trattenendo complessivamente ben 861 miliardi di tonnellate di carbonio.

Questo, spiega l’associazione ambientalista, viene però compromesso quando ecosistemi naturali, come le foreste, sono distrutti o degradati. Considerando che gli alberi sono costituiti per circa il 20% del proprio peso da carbonio, parte della Co2 assorbita dalle foreste tramite la fotosintesi viene riemessa in atmosfera quando gli alberi vengono tagliati. “In questo modo – si legge nel report – da essere parte della soluzione le foreste diventano parte del problema: la deforestazione rappresenta infatti la seconda fonte umana di Co2, con ben 8 miliardi di tonnellate di Co2 emesse ogni anno dal 2000 ad oggi, periodo in cui è stato perso ben il 10% della superficie forestale mondiale“. Oltre ai problemi legati al clima, la deforestazione mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene che dipendono strettamente da questi ecosistemi e provoca la perdita dell’habitat di molte specie animali e vegetali, causandone spesso l’estinzione.

Secondo il report del Wwf quasi il 90% della deforestazione a livello globale è dovuto all’espansione dell’agricoltura. Gli allevamenti di bovini insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura tra il 2001 e il 2015, portandoci via un’area di foreste grande quanto la Germania.

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