Oltre 35mila euro pro-capite di risparmi per famiglie italiane: in testa Bolzano, Milano e Piacenza

Le famiglie italiane hanno 2.211 miliardi di euro di risparmi, 37.525 euro pro-capite. Questi i numeri che emergono da un’elaborazione di Fabi e Withub su dati di Banca d’Italia e Istat presentati oggi all’evento ‘Il piano UE per investire i risparmi degli europei nelle aziende europee’, organizzato da Connact, la piattaforma di eventi che favorisce il confronto tra soggetti privati e istituzioni attraverso momenti di networking, in collaborazione con il Parlamento europeo.

Tra i temi dell’evento, l’iniziativa Saving and Investments Union, proposta dalla Commissione europea per mobilitare le risorse finanziarie dell’UE verso gli investimenti su industria, difesa e tech, ma anche la questione del finanziamento della competitività italiana, tenendo conto dell’impegno richiesto dall’UE ai governi nazionali per mobilitare i risparmi a favore delle imprese. Depositi bancari: la classifica delle città italiane. Ma qual è la situazione dei risparmi in Italia? Secondo un’elaborazione di Fabi e Withub su dati di Banca d’Italia e Istat, dei 2.211 miliardi di risparmi, 1.131 miliardi di euro sono relativi ai depositi bancari, cioè i soldi in banca delle famiglie (al 31 dicembre 2024), mentre 1.079 miliardi di euro sono i soldi investiti in titoli, fondi o azioni dalle famiglie. L’elaborazione delinea anche una “geografia” dei depositi bancari e dei risparmi. Se prendiamo in considerazione i primi, Bolzano è in testa alla classifica italiana con 29.692 euro, Milano è seconda (26.989) e Piacenza è terza (26.869). Nelle prime posizioni anche Belluno (24.912), Sondrio (24.834) e Isernia (24.674). Nelle ultime posizioni troviamo Siracusa (10.711), Trapani (10.580) e Crotone (9.322). Se, invece, consideriamo i risparmi pro-capite degli italiani in generale (quindi depositi e investimenti), al 31 dicembre 2024, è Milano la prima provincia in Italia (71.671 euro), Biella la seconda (61.711) e Modena la terza (57.238). Seguono Piacenza (56.362), Genova (55.037) e Cuneo (54.558). In fondo alla classifica, Catania (16.895), Trapani (15.698), Siracusa (15.659), Ragusa (15.576) e Crotone (12.964). Se, infine, teniamo conto solo degli investimenti, vediamo un incremento in tutta Italia, con un aumento del 39,8% rispetto al 2022 (dati al 31 dicembre) e un’accelerazione soprattutto al Sud

 Europa e investimenti. Eppure, se allarghiamo lo sguardo, l’Europa è ancora un continente che investe poco: secondo l’analisi elaborata dal Centro Studi del Circolo Esperia, presentata oggi durante il corso dell’evento, il vecchio continente ha a disposizione uno stock di risparmi di 9,5 trilioni di euro, almeno tre volte superiore a quello degli Stati Uniti e un tasso di risparmio record pari al 15% nel 2024, contro il 5% degli Stati Uniti. Tuttavia, i risparmi nell’Ue sono investiti in modo troppo conservativo, senza contare che una parte viene dirottata verso il mercato statunitense: rielaborando i dati di una ricerca presentata dal MES (Meccanismo europeo di stabilità), in Europa, in media, solo il 31% dei risparmi è investito in azioni e fondi di investimento (in Italia la quota è pari al 41%), ma in generale l’allocazione patrimoniale è avversa al rischio. Negli Stati Uniti, le società di private equity, secondo l’analisi del Centro Studi del Circolo Esperia, con i loro asset in gestione che raggiungono i 12,8 trilioni di dollari, generano una produzione economica pari a quasi 12 milioni di posti di lavoro e il 6,5% del Pil americano (pari a 1,4 trilioni di dollari). In condizioni di mercato simili, se la metà dei depositi europei fosse investita in operazioni di private equity e venture, si potrebbero generare milioni di posti di lavoro e almeno 500 miliardi aggiuntivi di Pil. L’evento “Il piano UE per investire i risparmi degli europei nelle aziende europee” è stato patrocinato dalla Commissione Europea, Ministero dell’Economia e delle Finanze, ENEA, il Comitato europeo delle Regioni, Regione Lazio, Regione Toscana, Regione Molise, Regione Calabria e Provincia Autonoma di Bolzano. L’iniziativa è promossa da Assonime, Federcasse, Generali e Intesa Sanpaolo.

Maria Luisa Gota, Responsabile Divisione Asset Management di Intesa Sanpaolo e Amministratore Delegato di Eurizon Capital SGR: “È importante indirizzare il risparmio fermo sui conti correnti verso investimenti produttivi, convogliando le risorse a vantaggio della crescita dei mercati europei. Dobbiamo aiutare i risparmiatori a sviluppare la propensione all’investimento e allungare l’orizzonte temporale, per cogliere le opportunità di rendimento sui mercati. Anche in un’ottica di integrazione della forma pensionistica pubblica di fronte a un costante incremento della speranza di vita che, insieme a un calo demografico, sta mettendo in difficoltà i sistemi di welfare. Sono necessari interventi per aumentare la partecipazione alla previdenza complementare e facilitare l’accesso all’investimento di lungo termine”. Fabio Marchetti, Group Head of International Public Affairs and Regulatory Advocacy di Generali: “Incrementare la fiducia nell’investimento finanziario e mobilitare i risparmi oggi detenuti sotto forma di liquidità e depositi sarà sempre più strategico a supporto dell’economia reale e della competitività. Per raggiungere questo obiettivo, il quadro normativo dovrà evolversi nella direzione di una maggiore omogeneità tra i mercati, semplificazione e trasparenza, nonché promuovendo incentivi a supporto degli investimenti retail a lungo termine. In parallelo, rafforzare il pilastro dell’educazione e della cultura finanziaria, a partire dalle generazioni più giovani, che dovranno assumersi responsabilità di pianificazione pensionistica superiori alle precedenti e far fronte a nuove sfide, legate per esempio al clima in transizione e il suo impatto su economie e comunità”
Stefano Firpo, DG di Assonime:Canalizzare il nostro cospicuo risparmio verso investimenti produttivi implica fare importanti scelte di policy. Scelte che riguardano il rilancio della nostra Borsa con una riforma del Tuf che sappia rendere più attrattiva la quotazione, che riguardano la competitività dell’industria del risparmio gestito , che riguardano la fiscalità sull’allocazione del nostro risparmio oggi fortemente sbilanciata sui titoli di stato, che riguardano l’industria dei fondi pensione troppo piccola e frammentata. Scelte di policy che interessano anche l’Europa e l’urgenza di costruire una capital markets union degna di questo nome”. Ignace Gustave Bikoula, Responsabile del Servizio affari normativi e rapporti con l’Ue di Federcasse. “Veniamo da più di 15 anni di politiche pubbliche europee in materia di banca e finanza incentrate sulla necessità di ridurre i rischi. Oggi, tuttavia, le nostre società hanno bisogno di assumerli di nuovo, per il nostro futuro comune. Questo vuol dire fare delle scelte di investimento, se vogliamo alti rendimenti in termini di transizioni di successo, coesione sociale rafforzata, competitività e resilienza. La Commissione Ue, nel rivedere la strategia industriale, ha individuato 14 ecosistemi industriali importanti, tra cui quello di prossimità. Le Banche di Credito Cooperativo, per missione, storia e caratteristiche, appartengono proprio a questo ecosistema di prossimità, cioè l’economia sociale. L’Unione europea, dunque, non ha solo bisogno di grandi gruppi finanziari globali, ma anche di realtà medio-piccole, con radicamento locale e regionale, capaci proprio di supportare efficacemente l’economia sociale. Esiste però un problema di adeguatezza qualitativa e quantitativa di prodotti e servizi finanziari adatti, così come sussiste una questione di riconoscibilità e riconoscimento di soggetti operanti nel settore finanziario che, per le loro caratteristiche, soddisfano tutti i criteri definitori di ente dell’economia sociale, ovvero le BCC. Per questo, ci aspettiamo che il Piano di azione italiano per lo sviluppo e la promozione dell’economia sociale, ne prenda atto lo sancisca formalmente e che l’Italia assuma tutte le conseguenze che ne discendono anche a livello europeo”.

Le stime di CoinShares sulle cripto: Bitcoin e Solana su tutti. E più sostenibilità

Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per le criptovalute, con Bitcoin, Ethereum e Solana che si preparano a dominare il panorama finanziario globale. Secondo CoinShares – una delle prime società a offrire strumenti di investimento Etn sulle cripto in Europa – l’adozione istituzionale delle criptovalute continuerà a crescere, alimentata da una serie di fattori economici, tecnologici e politici che potrebbero ridefinire il mercato. Uno degli sviluppi più rilevanti del 2024 è stato l’afflusso record di investimenti negli Etf in Bitcoin – strumenti di investimento che replicano di fatto la performance del prodotto sottostante -, che ha attirato un crescente interesse istituzionale. Questo fenomeno dovrebbe proseguire nel 2025, con la regina delle cripto che potrebbe avvicinarsi sempre più ai mercati finanziari tradizionali come asset strategico. La maggiore chiarezza normativa e l’accesso semplificato alla cripto-finanza attraverso piattaforme sempre più diffuse renderanno il Bitcoin un’opzione più accessibile per gli investitori, aumentando la domanda e spingendo i flussi di capitale verso il mercato delle criptovalute. E’ quanto emerso in un evento specializzato organizzato da CoinShares ieri sera a Milano.

L’evoluzione del mercato delle criptovalute dipenderà comunque anche dalle decisioni politiche. In particolare, la politica statunitense rappresenta un fattore determinante. Nel senso: sebbene l’amministrazione repubblicana possa essere favorevole alle criptovalute, la regolamentazione potrebbe influenzare in modo importante la fiducia degli investitori e la pratica del mining di Bitcoin. L’equilibrio tra regolamentazioni favorevoli e il rischio di nuove restrizioni sarà un elemento da monitorare attentamente nel prossimo futuro. Anche perché lo stesso mining di Bitcoin – ovvero l’attività di ‘scavo’ e ‘scoperta’ di nuovi Bitcoin come se fossimo in una miniera – sta attraversando una fase di trasformazione significativa, con i minatori che adottano sempre più strumenti di debito e fonti di energia pulita per ridurre i costi e migliorare la sostenibilità delle loro operazioni. Le tendenze verso un mining più ecologico potrebbero portare a partnership strategiche con lo stesso settore tecnologico, in particolare con l’Intelligenza Artificiale, creando sinergie che spingono l’adozione di energia pulita a livello globale, si legge nell’outlook 2025 di CoinShares. E questo cambiamento potrebbe avere un impatto positivo sull’adozione delle criptovalute, riducendo le pressioni ambientali e migliorando l’efficienza operativa.

Andrea Maria Cosentino, responsabile centro studi ricerche di CoinShares per l’Italia, non parlato solo di Bitcoin però… Anzi… “Ethereum, storicamente leader nei contratti intelligenti, sta affrontando sfide derivanti da una crescita dell’offerta che ha suscitato alcune delusioni nel mercato. Nonostante gli aggiornamenti recenti, Ethereum ha dovuto affrontare critiche riguardo l’incremento dell’offerta di monete e il rallentamento del processo di validazione. Tuttavia, l’introduzione di nuove soluzioni come Pectra potrebbe ribaltare la situazione, ottimizzando la rete e migliorando l’efficienza del sistema”. A Cosentino piace di più “Solana, che sta guadagnando terreno come alternativa economica e scalabile a Ethereum. Grazie alla sua maggiore efficienza in termini di costi e al suo potenziale di scalabilità, Solana si sta posizionando come una piattaforma fondamentale per il futuro delle criptovalute. Superando il recente scandalo legato a Ftx, Solana sta mostrando segnali di crescita e sta attirando una community sempre più forte, con sviluppatori e investitori pronti a sostenere il suo sviluppo”, ha spiegato Cosentino. “Anche Ripple, nonostante non abbia raggiunto i livelli di successo di Bitcoin e Ethereum, rimane una piattaforma interessante, in particolare per le sue applicazioni nel settore bancario. Tuttavia, le sfide nel mercato potrebbero rallentare la sua crescita. Al contrario, progetti come Polkadot stanno emergendo come soluzioni alternative al Bitcoin, con un potenziale maggiore in termini di scalabilità e applicazioni tecnologiche”, ha evidenziato ancora Cosentino.

Tornando al Bitcoin, lo staff di CoinShares ha evidenziato “un’altra tendenza per il 2025”. Ovvero “l’integrazione di Bitcoin nelle strategie di tesoreria delle aziende. Sempre più imprese, come MicroStrategy, stanno adottando Bitcoin come riserva di valore, con l’obiettivo di aumentare la liquidità e generare rendimenti per gli azionisti. Questo cambiamento potrebbe vedere il Bitcoin non solo come una riserva di valore, ma come uno strumento strategico di gestione aziendale, con un impatto significativo sulla finanza tradizionale”.

I numeri intanto crescono. I sistemi di investimento – Etp – ormai rappresentano in Europa masse amministrate per 15 miliardi, con 180 prodotti quotati su Euronext grazie al lavoro di 25 emittenti. Fra queste appunto c’è CoinShares, pioniera in questo campo – quotata al Nasdaq svedese – che gestisce circa 8 miliardi, “grazie a commissioni competitive”, ha evidenziato Lisa Tyshchenko, associate director del gruppo. “Addirittura sui prodotti che investono su Ethereum e Solana i costi sono pari a zero, questo perché la società partecipa” al famoso “staking”. Cioè “partecipa allo sviluppo della cripto” garantendo anche “un ritorno fino al 5% l’anno”. Ad esempio, “se la performance di Polkadot sarà di +20% alla fine il rendimento finale sarà del 25%, mentre se farà -20% si perde solo il 15%”, ha concluso Tsychenko, specificando che su Solana invece “è garantito il 3%”.

Cop29 ai supplementari. Proposti 250 mld anno da Paesi ricchi. Africa: “Inaccettabile”

All’undicesimo giorno di lavori, alla Cop29 il Nord e il Sud globale continuano a darsi battaglia. La presidenza azera partorisce una bozza di compromesso sbilanciata a favore dei Paesi sviluppati, perché invita a raggiungere l’obiettivo di 1,3 trilioni di dollari entro il 2035, ma decide di stanziare una somma di 250 miliardi all’anno. Il testo comunque non è l’ultimo: dopo la bozza, pubblicata nel primo pomeriggio, iniziano le consultazioni tra facilitatori e delegazioni verso il testo finale.

Dopo il primo documento a opzioni, questo testo fa una sintesi, ma in sostanza riflette un’ambizione minima. Resta il macro goal di raggiungere, per il contrasto ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo, oltre mille miliardi in dieci anni, ma l’obbligo vincolante, che parla di finanza fornita (i fondi pubblici a fondo perduto) e mobilizzata (i fondi privati e prestiti di finanza bilaterale e multilaterale) è di 250 miliardi di dollari all’anno fino al 2035.

Poco, troppo poco per il gruppo africano. Di nuovo, la bozza risulta “totalmente inaccettabile e inadatta all’attuazione dell’accordo di Parigi”, commenta a caldo il negoziatore keniota, Ali Mohamed.

Profondamente delusa anche l’Alleanza dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, i più vulnerabili tra i vulnerabili: “Il testo chiede alle parti ‘Quanto in basso potete andare in materia di ambizione climatic?‘. È inaccettabile”, tuona l’Aosis, ribadendo che il testo “non sarà adeguato a dare piena attuazione all’Accordo di Parigi e a guidare realmente l’azione per mantenere il limite di 1,5°C”.

La presidenza assicura un lavoro per un obiettivo più “giusto e ambizioso”: “Continueremo a discutere con le parti”, dice ai giornalisti il ​​capo negoziatore, Ialtchine Rafiev, promettendo di apportare “gli ultimi aggiustamenti”, mentre la conferenza delle Nazioni Unite è ufficialmente entrata nei tempi supplementari.

Quanto all’Italia, continua a spingere, insieme ai principali paesi europei, perché “venga una riforma per una finanza climatica migliore, più efficiente che coinvolga anche nuovi Paesi, settore privato, enti filantropici e banche multilaterali di sviluppo“, spiega il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in una pausa dei lavori. L’approccio di Roma è “quello di perseguire la decarbonizzazione e la crescita dei più vulnerabili”, riferisce, alla base della strategia e dei progetti del Piano Mattei per l’Africa, attraverso collaborazioni pubblico-privato e “partenariati paritari e non predatori”.

Secondo la bozza, i fondi per il clima dovranno arrivare “da un’ampia varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, comprese le fonti alternative”, con azioni “significative e ambiziose” di mitigazione e adattamento, e di “trasparenza nell’attuazione”, quindi con il monitoraggio degli obiettivi; riconoscendo l’intenzione volontaria delle Parti di “conteggiare tutti i flussi in uscita e i finanziamenti mobilitati dalle banche multilaterali di sviluppo” e invita i Paesi in via di sviluppo ad apportare altri contributi, anche attraverso la cooperazione cooperazione Sud-Sud, per raggiungere l’obiettivo. Si riflette quindi sull’espansione della base dei donatori e sulla richiesta cinese di riconoscerla ma su base volontaria.

Nel testo sulla mitigazione, l’abbassamento delle emissioni, si riprende il linguaggio di Parigi sulla necessità di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C come opzione prioritaria. Manca però un riferimento esplicito all’uscita dalle fonti fossili: si “riaffermano” gli esiti del Global Stocktake, senza però citarli.

I fondi per il clima andrebbero a finanziare i piani nazionali sotto l’Accordo di Parigi (gli Ndc); i Piani Nazionali di Adattamento e le Comunicazioni sull’Adattamento, “inter alia”, quindi oltre a una serie di azioni e piani non esplicitati.

La Cop prende poi “atto” del bisogno di finanza per il clima in forma di concessioni, prestiti altamente agevolati e in forma di finanza pubblica, specialmente a supporto di azioni di adattamento e per compensare perdite e danni e riconosce l’importanza di aumentare entro il 2030 la percentuale di finanza mobilitata da fonti pubbliche, ma senza imporre obiettivi specifici o scadenze.

Cop29 al rush finale. Paesi poveri avvertono: “Su fondo clima cifra sia chiara, 1,3 trilioni di dollari”

A due giorni dalla chiusura della Cop29 di Baku, i negoziati si addensano e i toni si alzano. In serata si attende la pubblicazione delle bozze dei singoli dossier della conferenza delle parti, ma quello più atteso, sulla finanza climatica, è in stallo. Le cifre che circolano sono tante, troppe. Di certo i Paesi del G77 (l’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo principalmente in via di sviluppo) vorrebbe leggere nel dossier un numero non equivocabile: 1,3 trilioni di dollari.

La cifra al 2030 è la stima del fabbisogno fatta dagli economisti Nicholas Stern e Amar Bhattacharya, su commissione dell’Onu. Secondo i testi delle Nazioni Unite, solo i Paesi sviluppati sarebbero obbligati a contribuire. Ma l’Europa spinge perché gli emergenti, come la Cina, diano un segnale di disponibilità. I Paesi sviluppati non si sbilanciano, ma si orientano su una somma molto, molto più bassa. Secondo le indiscrezioni di Politico, per trovare un compromesso tra mitigazione e finanza l’Unione europea avrebbe proposto una cifra tra i 200 e i 300 miliardi di dollari all’anno.

E’ uno scherzo?”, tuona in conferenza stampa Adonia Ayebare, dell’Uganda, a nome dei Paesi del G77. Seguono un silenzio gelido e un applauso scrosciante della sala. “Nella bozza vogliamo vedere una cifra chiara, ed è in trilioni, 1,3 trilioni. Un buon titolo che parli davvero dei grandi ingredienti, poi possiamo approfondire altre questioni“, argomenta. Ayebare denuncia un’assenza di aggiornamenti sui piani dei Paesi sviluppati che “accresce l’incertezza e l’urgenza della nostra situazione“, e insiste: “È imperativo che i Paesi sviluppati si facciano avanti e soddisfino le aspettative dei Paesi in via di sviluppo, che sono in prima linea nell’emergenza climatica e hanno bisogno di un sostegno immediato per mitigare e adattare gli impatti del clima e affrontare efficacemente le perdite e i danni“. Quanto all’ipotesi di ampliare la base dei contribuenti, cioè se far partecipare la Cina tra i finanziatori, la risposta è no. L’accordo di Parigi non si riapre, ma si può valutare “un altro livello nella decisione che parla di contributi volontari. Questo, comunque, viene dopo“, scandisce.

Molto preoccupato” della “grande fuga dei Paesi sviluppati dalla proprie responsabilitàDiego Pacheco, della Bolivia, a nome dei Paesi in via di sviluppo ‘like minded’ (Lmdc). La finanza “non è carità”, mette in chiaro, ma è un “obbligo legale dei Paesi sviluppati nei confronti dei Paesi in via di sviluppo“. “Non è vero che nel mondo non ci sono soldi, nel mondo ci sono un sacco di soldi”, chiosa Pacheco, che insiste: “I paesi sviluppati hanno programmi per le guerre, usarli per risolvere la crisi climatica potrebbe essere davvero una grande idea. Sono molto creativi, sono molto innovativi nel processo negoziale, quindi dovrebbero essere molto creativi a casa loro per trovare il modo di aumentare la quantità di denaro che i Paesi in via di sviluppo richiedono“. Lo stallo sul capitolo della finanza “è davvero frustrante e deludente” per Ali Mohamed, del Kenya, che parla a nome dei Paesi del gruppo dei negoziatori africani (Agn). “Ci auguriamo che i nostri partner propongano una cifra giustificabile che risponda alle esigenze e all’entità dei crescenti problemi legati al cambiamento climatico”.

A qualche ora dalla chiusura delle bozze dei facilitatori, il ministro dell’Ambiente italiano, Gilberto Pichetto, non è ottimista: “Le posizioni sono ancora distanti, perché chiaramente nella parte finanziaria ci sono richieste molto alte da parte dei Paesi in via di sviluppo“, afferma a margine di un evento nel padiglione Etiopia, parlando di “cifre colossali, non raggiungibili“. Sull’adattamento, finora, la Germania si è impegnata a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento e ha sottolineato la necessità di contributi del settore privato accanto ai finanziamenti pubblici e ha annunciato un impegno di 60 milioni di euro per il Fondo di adattamento; la Francia si è impegnata a destinare il 30% dei suoi finanziamenti per il clima all’adattamento entro il 2025, gli Stati Uniti di Biden hanno sottolineato la necessità di incrementare i finanziamenti concentrandosi sui soggetti più vulnerabili, annunciando il rispetto dell’impegno annuale di 3 miliardi di dollari per il finanziamento dell’adattamento. L’Italia intende aumentare il proprio contributo a IDA, il Fondo per lo sviluppo della Banca Mondiale, senza parlare però di cifre. Oggi arrivano il contributo australiano di 32,5 milioni di dollari al Fondo Loss and Damage e, ancora da parte degli Stati Uniti, l’annuncio di 325 milioni di dollari al Fondo per le tecnologie pulite. “Dobbiamo sfruttare questo slancio”, esorta il negoziatore capo di Cop29, Yalchin Rafiyev.

La posizione del commissario europeo per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra, è chiara. La Cina dovrebbe essere tra i finanziatori, non si può tornare indietro sull’uscita dai fossili e di cifre non si può parlare se prima non si definiscono i modi di erogazione dei fondi: “Se si considerano le dimensioni del problema, è estremamente importante che tutti coloro che hanno la possibilità di farlo siano all’altezza della situazione e che ci assicuriamo che i più vulnerabili siano quelli che ricevono effettivamente i fondi e vengono aiutati“, sostiene. Le ore che i negoziatori hanno davanti sono lunghe e la strada “in salita“, osserva Hoekstra, ma “ci stiamo impegnando al massimo e ci assicuriamo di farlo con tutti i Paesi e gli interlocutori disponibili“.

Torna a Modena FestiValori: il primo festival italiano dedicato alla finanza etica

Un primo piano sul mondo della finanza etica e sulla sua influenza nella società. Si rinnova l’appuntamento con FestiValori, il primo festival italiano dedicato alla finanza etica, che ritorna a Modena dal 17 al 20 ottobre. Organizzato da Valori.it e Fondazione Finanza Etica, la manifestazione giunge quest’anno alla sua terza edizione. ‘Il festival della finanza etica per leggere la quotidianità’ è il titolo che fa da filo conduttore agli incontri di questa edizione, accompagnato dal claim ‘Dipende da come usi i tuoi soldi’, un monito per ricordare che la finanza riguarda tutti, perché è proprio la finanza a occuparsi di noi. Quattro giorni di dibattiti e tavole rotonde, workshop e momenti formativi, corsi e pranzi sostenibili, dedicati alla finanza etica declinata nei diversi ambiti, dalla politica all’economia di pace, dal sociale alla sostenibilità. Gli incontri sono rivolti a un pubblico generalista, per far emergere i collegamenti esistenti con questioni quotidiane e del nostro tempo, ma ci saranno anche appuntamenti rivolti a specialisti e addetti ai lavori. Spazio poi a workshop e momenti formativi per le scuole, pensati per introdurre pubblici diversi ai concetti fondamentali della finanza. Rinnovato l’appuntamento con il contest musicale ‘Eticanto. Canzoni di questo mondo’, iniziativa – promossa da Fondazione Finanza Etica, Valori.it, GIT (Gruppo di Iniziativa Territoriale) dei soci di Banca Popolare Etica di Modena e provincia e dal Circolo ARCI Vibra – che premierà la più bella canzone su temi etici e di sostenibilità. Continua anche quest’anno Valori in tavola, il progetto, sviluppato dal Circolo della ciambella e da Slow food Modena, per stimolare i ristoranti modenesi a inserire nei loro menù piatti sostenibili.

La finanza è troppo spesso vista come qualcosa di distante dalla nostra vita, dal nostro quotidiano. Eppure, ci riguarda tutte e tutti – spiega la direttrice di FestiValori, Claudia Vagoperché opera ‘con i nostri soldi’: i nostri depositi in banca, i nostri risparmi investiti, il denaro delle nostre polizze assicurative“. E prosegue: “FestiValori vuole rendere visibile il collegamento diretto che c’è tra i nostri soldi e la finanza. Vuole rendere concreta la sua influenza sulle nostre esistenze. Svelare ogni piccolo atto finanziario del nostro quotidiano, affinché ‘finanza’ smetta di essere qualcosa che spaventa e cominci a essere qualcosa di cui ciascuno di noi si occupa ogni giorno“.

Protagonista assoluta di FestiValori è la finanza etica. Si parte con una lezione sulla finanza etica in Europa con Oltre il profitto: le banche etiche e il futuro della finanza in Europa con Andrea Baranes, ricercatore di Fondazione Finanza Etica e Costanza Torricelli, professoressa ordinaria di Metodi matematici dell’economia e delle scienze attuariali e finanziarie presso il dipartimento di economia Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia. In Padroni a casa vostra, lo storico e docente dell’Università di Pisa Alessandro Volpi dialogherà con il direttore di Valori.it, Andrea Barolini, per affrontare il tema dell’influenza della finanza. La connessione tra finanza e intelligenza artificiale sarà oggetto di dibattito nel panel Medioevo digitale: chi controlla l’intelligenza artificiale in un dialogo corale di esperti tra cui Claudia Biancotti, economista presso Banca d’Italia, Dario Guarascio, ricercatore e responsabile della struttura ‘Strumenti e metodologie per le competenze e le transizioni’ presso l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, Juan Carlos De Martin, informatico e professore ordinario presso il dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino e Riccardo Staglianò, scrittore e giornalista, corrispondente per La Repubblica che in occasione del festival presenterà il suo ultimo libro Hanno vinto i ricchi (Einaudi, 2024). In un mix di spettacolo e laboratorio, Nudismo finanziario sarà un workshop che vedrà protagonista Espérance Hakuzwimana Ripanti, scrittrice ruandese e attivista culturale in prima linea nella lotta al razzismo. I partecipanti saranno accompagnati da Giorgia Nardelli, giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale e da Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, a compiere piccoli esercizi di consapevolezza finanziaria.

Per indagare il ruolo della finanza etica nella società non si può prescindere dal parlare di economia di guerra. Un tema caldo che sarà ripreso in più occasioni nel corso delle quattro giornate del festival. Con Cryptovalute e politica: da Milei a Trump, passando per El Salvador, insieme a Giovanni Paglia, deputato alla Camera, esploreremo come le criptovalute stiano influenzando le strategie politiche globali. Sarà ospite del festival Cecilia Strada, filantropa, attivista e parlamentare europea, ex presidente dell’ONG Emergency, che parteciperà all’incontro Effetto guerra sui temi della pace, delle diseguaglianze e dell’ambiente. I venti di guerra in Medio Oriente, con un focus sulla Palestina, nel panel Palestina: la finanza rasa al suolo, durante il quale si esamineranno le sfide affrontate dal sistema finanziario palestinese nell’ottica di una ripresa economica che sembra essere impossibile.

Spazio anche a momenti di confronto e di scambio sui temi che riguardano l’ambiente e stili di vita più sostenibili. Come nel panel La ricerca della sostenibilità, un’anticipazione dell’indagine ACLI su famiglie, stili di vita e sostenibilità. Il clima sarà il tema caldo al centro dell’intervista al meteorologo Luca Lombroso, nell’incontro L’arca di Noè, con Andrea Barolini. E di clima si parlerà anche nel panel Agricoltura e clima: è la stessa crisi, a cui interverranno fra gli altri Maurizio Martina, vice direttore generale della FAO e Barbara Nappini, presidente Slow Food per discutere del tema quanto mai attuale del cambiamento climatico e dell’impatto che ha e che avrà sull’agricoltura e i suoi operatori. Di sostenibilità delle filiere alimentari si parlerà anche durante il pranzo con dibattito presso il ristorante Roots, insieme a Mauro Lusetti, presidente di Conad, e Mario Cifiello, presidente di Coop Alleanza 3.0.

Anche il settore del non profit non è estraneo all’influenza del mercato e delle complesse dinamiche che possono influire sul loro operato. Si parlerà proprio di questo nel panel L’assedio del sociale. Il terzo settore tra criminalità, mercato e politica con Antonio Vesco, antropologo, ricercatore all’Università di Catania che si occupa di mafia e Stato, politica e consenso e Gianni Belloni, coordinatore dell’Osservatorio ambiente e legalità di Venezia e nel comitato scientifico del laboratorio di analisi e ricerca sulla criminalità organizzata dell’Università di Torino. Al festival anche un momento di ricognizione sui GAS, gruppi d’acquisto solidali, che quest’anno compiono 30 anni, nel panel Dal produttore al consumatore: percorsi di sostenibilità.

Confindustria: “Premi sostenibili per polizza anti-calamità”. Ania: “Diversificare rischi”

Entro fine anno entrerà in vigore per le imprese la polizza obbligatoria contro gli eventi catastrofali. Il nuovo adempimento è stato introdotto nell’ultima legge di Bilancio e sarà applicato sui danni a terreni e fabbricati, impianti e macchinari, nonché attrezzature industriali e commerciali. Ora si attendono i decreti attuativi, che dovranno avviare l’operatività del provvedimento e soprattutto si dovrà capire il prezzo del premio che dovranno pagare le società. Le aziende, specie le pmi, e le assicurazioni sono pronte? E’ stato questo il tema al centro di un dibattito all’interno dell’evento ‘#GEF24-Green Economy Finance’, organizzato da Withub, insieme a Eunews, GEA-Green Economy Agency e Fondazione Art.49 a Roma, nella sede di Europa Experience intitolata a David Sassoli.

Attualmente l’Italia sconta fra i più alti divari di protezione e la più alta esposizione ai rischi, rispetto alla scarsa propensione assicurativa: il nostro Paese è 25esimo nell’area Ocse nel ramo danni con l’1,9% del Pil assicurato, contro una media Ocse che è oltre due volte tanto. Eppure nel nostro Paese, facendo il conto degli ultimi dieci anni, il valore delle perdite causate dai disastri naturali è pari a 35 miliardi di dollari. Come mai questo gap? “C’è un problema di analfabetismo assicurativo. Le carenze sono pronunciate. Questo elemento fa sì che non si sappia valutare il rischio che si sta affrontando”, ha sottolineato Riccardo Cesari, componente del Consiglio Ivass. “Si pensa che gli eventi catastrofici ci siano ma non ci riguardino”, ha rimarcato. In effetti “c’è un grande lavoro di educazione da fare, perché assicurarsi è un tema di buona gestione, essere assicurati significa evitare il rischio che in caso di evento avverso ci sia un problema di solvibilità”, ha aggiunto Francesca Brunori, direttrice Credito e Finanza di Confindustria, spiegando come la decisione delle imprese di non assicurarsi contro gli eventi climatici nel 60% dei casi è dovuta alla percezione di “un costo eccessivo”, nel 40% per la “mancanza di informazioni adeguate”. Detto ciò “l’approccio della nuova polizza è stato affrettato”. Dunque “è molto importante che si arrivi a una definizione di uno schema di assicurazione obbligatoria – al quale si sta lavorando in queste settimane, lo stanno facendo le istituzioni, il Mef, il Mimit, l’Ivass, Ania e Sace – che consenta di far funzionare un vero effetto di mutualità tale da permettere di contenere i premi su questa assicurazione obbligatoria. Solo con premi sostenibili – ha rimarcato Brunori – il sistema potrà facilmente avvicinarsi all’assicurazione obbligatoria e comprendere che si tratta anche un tema di convenienze economica per loro: sei protetto dal rischio e eviti di dover sostenere un esborso importante in caso di evento avverso che non hai preventivato“.

Maria Siclari, direttrice generale di Ispra, ha sciorinato tutti i numeri del dissesto idrogeologico. Ad esempio, ci sono 225.874 unità locali di impresa in aree a rischio elevato di alluvione.

La polizza obbligatoria che scatterà entro fine anno, ha spiegato Dario Focarelli, direttore generale di Ania, riguarderà solo “terremoti, alluvioni o esondazioni, e frane”. Tuttavia “ci sono alcune zone tecnicamente inassicurabili, come i Campi Flegrei. Nessun assicuratore al mondo assicura il bradisismo. Ci sono rischi che gli assicuratori già valutano come non assicurabili. Questo socialmente è un punto rilevante“, ha specificato. Tutte le altre aziende invece dovranno pagare un premio assicurativo. A quanto ammonterà? “Stiamo facendo una marea di calcoli. Dipenderà da chi si assicurerà sia l’esposizione al rischio delle compagnie sia il prezzo della copertura assicurativa. Sono solo ipotesi, finché non vedremo chi sono gli assicurati”, ha evidenziato ancora Focarelli. “Avremo un prezzo differente a seconda se il rischio sarà diversificato o se ogni compagnia terrà il rischio in capo a se stessa. Il nostro obiettivo è avere il rischio più diversificato possibile, il prezzo più basso possibile, dare la maggior protezione alle imprese italiane”. Quando ci saranno novità? “A settembre-ottobre le compagnie stabiliranno con i riassicuratori” i costi che potranno essere coperti. Solo allora si avrà un range di prezzo della nuova polizza contro i danni catastrofali.

GEA-Fida assegnano i Green Finance Awards: top ten dei fondi di investimento 100% verdi

Sono stati consegnati oggi i Green Finance Award 2024, i primi riconoscimenti in Italia per i fondi di investimento che hanno garantito i migliori risultati in termini di rischio e rendimento puntando sulla transizione ecologica. Giunta alla seconda edizione, la top ten, che premia i prodotti di risparmio gestito 100% Green, meno volatili e più remunerativi, è elaborata da GEA – Green Economy Agency, l’agenzia del gruppo editoriale Withub, dedicata alla divulgazione dei temi della sostenibilità, e Fida, gruppo specializzato nello sviluppo di piattaforme per la consulenza finanziaria e il private banking e nella raccolta e analisi di dati finanziari.

Di seguito la top ten dei fondi di investimento, azionari e obbligazioni, che hanno ricevuto i Green Finance Awards: Amundi F. Euro Corp. ST Impact Green Bond A EUR; DWS Invest Corporate Green Bonds LC Cap EUR; GS III Green Bond Short Duration X Cap EUR; Candriam Sust. Bond Euro Short Term R EUR; Pictet-Clean Energy Transition-R $; Vontobel Global Environmental Change A Dis CHF; SISF Global Cities A Dis EUR SV; Pictet-Global Environmental Opportunities-R $; Nordea 1 Global Climate and Environment BC Cap EUR; Abrdn I Asian SDG Equity A EUR.

La top ten è stata stilata da Fida e Gea seguendo alcuni specifici criteri. I Green Finance Award, infatti, prendono in considerazione solo i fondi conformi all’articolo 9 ai sensi della Sustainable Finance Disclosure Regulation europea, quei fondi, cioè, che investono in attività sostenibili in conformità con gli obiettivi ambientali, sociali e di governance (ESG) stabiliti dalla UE. I fondi selezionati inoltre hanno espresso il massimo livello rispetto a due criteri: la sostenibilità valutata mediante FIDA ESG Rating, e la performance in termini di rischio e rendimento valutata mediante il FIDA Perfomance Rating.

FIDA ESG Rating compie una valutazione di tutti gli strumenti gestiti considerando la CSR della società di gestione e la sua gamma di prodotti, l’analisi dei titoli che compongono il portafoglio, il grado di sostenibilità del singolo fondo rispetto alla normativa, la trasparenza verso il consumatore. FIDA Perfomance Rating valuta i risultati dei prodotti di risparmio gestito dal punto di vista del rendimento e del rischio. La valutazione si basa su statistiche mensili che mettono a confronto i fondi all’interno di categorie omogenee facendo emergere i più performanti rispetto ai propri peer, ovvero quelli con politiche di investimento similari.

“I Green Finance Award rappresentano, non solo un riconoscimento a un sistema virtuoso, ma soprattutto uno stimolo all’intero mondo della gestione del risparmio per incrementare gli investimenti nella transizione ecologica. L’obiettivo comune è il raggiungimento dei target climatici previsti nel Fit for 55, verso il Net zero entro il 2050, e in questo percorso anche la finanza ha un ruolo determinante”, ha detto Vittorio Oreggia, direttore di GEA.

“L’approccio alla sostenibilità deve essere pragmatico e in ambito finanziario non può prescindere dai risultati finanziari in termini di rischio e rendimento. Abbiamo, pertanto, definito con Gea una metrica che valuta congiuntamente le caratteristiche ESG e le performance. Siamo lieti di collaborare per il secondo anno a questo premio che valorizza gli sforzi dei gestori coinvolti nella transizione, offrendo le nostre tecnologie di selezione ed in particolare il nostro rating ESG, primo e unico rating italiano di sostenibilità nel risparmio gestito”, conclude Gianni Costan, amministratore delegato di Fida.

I riconoscimenti sono stati assegnati questa mattina nell’ambito dell’evento #GEF24 – Green Economy Finance, l’evento organizzato da Withub, insieme a Eunews, GEA – Green Economy Agency e Fondazione Art.49, per discutere il ruolo di banche e assicurazioni nella transizione verde e le nuove priorità da definire nella nuova legislatura europea. Hanno ritirato il premio Aberdeenstandard, Graziella Ascrizzi, Client Director con il FONDO Abrdn I Asian SDG Equity A EUR, il premio AMUNDI Antonio Volpe, Head of External Distribution di Amundi SGR con il FONDO Amundi Fund Euro Corporate Short Term Bond – A EUR, il premio DWS Paolo Gazzola – Head of Insurance Advisory EMEA ex DE/AT DWS con il FONDO Invest Corporate Green Bonds LC Cap EUR, il premio GS Emanuele Negro, Executive Director di Goldman Sachs Asset Management con il FONDO GS III Green Bond Short Duration X Cap EUR, il premio PICTET Desirée SCARABELLI, Sales Director & ESG Specialist con il FONDO Pictet-Clean Energy Transition- $ e Pictet-Global Environmental Opportunities-R $, infine, il premio VONTOBEL Fabio Borgiotti, Director Senior Relationship Manager, Italy con il FONDO Vontobel Global Environmental Change A Dis CHF. CTR ECO 19 GIU 2024

Siclari (Ispra) al #GeaTalk: “Imprese vanno accompagnate rispettando ambiente”

La sostenibilità è una delle nuove sfide che la finanza, così come il mondo delle imprese, devono necessariamente vincere. Anche le istituzioni, europee e internazionali, si sono attivate per portare la legislazione al passo con i tempi, ma come spesso accade non tutto fila liscio. Ci sono nuovi indicatori da rispettare, imposti dalla Commissione Ue, ai quali il mondo imprenditoriale deve adeguarsi, non senza qualche difficoltà. Ed è questa la ragione per cui l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha deciso di mettere al servizio di un pezzo importante di società la propria conoscenza, i propri dati e la propria disponibilità. Un momento di confronto importante sarà il il prossimo 22 maggio, alla sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, a Roma, al convegno ‘La sfida ambientale per la finanza sostenibile’. La direttrice generale di Ispra, Maria Siclari, ne parla al #GeaTalk (clicca qui per vedere l’intervista integrale).

Direttrice, il vostro istituto si è assunto un compito complicato ma molto importante.

La Commissione europea ha ritenuto di intervenire per fare un po’ di chiarezza nel quadro normativo comunitario, per capire esattamente cosa è sostenibile e cosa non lo è. Rispetto a questi nuovi adempimenti che vengono richiesti alle imprese e agli investitori, noi che ci occupiamo di ambiente e non di finanza, dunque qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entriamo, rispondo che abbiamo i dati, le informazioni ambientali e statistiche, ma soprattutto sappiamo come quelle informazioni ambientali devono essere trattate. Dunque, nel momento in cui viene richiesto alle imprese e agli investitori la rendicontazione di sostenibilità, che è un nuovo adempimento, Ispra è in grado di dare anche un supporto tecnico-metodologico per comprendere le informazioni ambientali e rappresentarle nei propri bilanci“.

L’Italia a che punto è sulla sostenibilità?

Siamo avanti. Il nostro è il primo Paese europeo che ha un’istituzione pubblica scesa in campo per dare un supporto tecnico, che noi non chiamiamo né linea guida, né raccomandazione, quindi non vincolante per il mondo delle imprese. Sentivamo il dovere di farlo per un motivo semplice: gli indicatori sono già tracciati dalla normativa comunitaria, ma dagli interlocutori che sono venuti da noi abbiamo capito che erano in difficoltà a capire come quell’indicatore deve essere popolato. Alle imprese e agli investitori diciamo di procedere a una autovalutazione, perché alcune di queste informazioni ce le hanno già nei loro bilanci, mentre altre si possono reperire fuori. E allora pensino alle nostre informazioni”.

Troppo spesso, ancora, si pensa che essere sostenibili sia ridurre, o addirittura azzerare, le spese e quindi gli investimenti.

Sfatiamo i falsi miti. Finanza sostenibile vuol dire che il mondo finanziario è al servizio del concetto di sviluppo sostenibile dato dall’Agenda 2030 dell’Onu. Il messaggio che dobbiamo mandare è che le imprese e le istituzioni vanno accompagnate nel percorso per raggiungere questi obiettivi, che si possono ottenere anche rispettando l’ambiente. Anzi, mi sento dire: soprattutto rispettando l’ambiente, nel momento in cui abbiamo un grande vantaggio, la conoscenza e lo sviluppo tecnologico. Quindi non è un processo che arresterà lo sviluppo del nostro Paese”.

Ma come si abbattono le vecchie barriere ideologiche?

Il mondo della finanza sostenibile nasce per questa motivazione: ci si è resi conto che il pubblico, ma anche le stesse misure del Pnrr, non erano sufficienti. Bisognava far muovere i capitali privati. Il senso non è quello di arrivare a dimostrare di essere ‘green a ogni costo’, ma fare delle cose buone per il nostro Paese avendo cura di rispettare l’ambiente. Certo, la partita adesso è importante, perché o l’impresa è in grado di dimostrare questa sostenibilità o rischia di perdere la capacità di ottenere anche un credito. E’ rilevante, ma siamo nelle condizioni di poterla giocare senza sforzare le imprese nel mondo finanziario. Bisogna, però, cominciare a raccontarlo bene questo ambiente e metterci al fianco delle imprese e degli operatori finanziari, per dire esattamente qual è la strada da seguire“.

Almeno il concetto di ESG sembra ormai essere passato, è d’accordo?

Finalmente mi sento di dire che un’impresa, un’istituzione finanziaria deve essere capace, in un orizzonte che non è più a breve termine ma di medio-lungo termine, di integrare alle analisi finanziaria e ambientale anche quelle sociale. Naturalmente, noi mettiamo a disposizione tutta la competenza e la conoscenza e siamo pronti al confronto. Ma che ci sia anche la parte della governance e quella sociale è il salto di qualità che non solo l’Italia, ma il contesto comunitario e internazionale ormai ci chiede”.

Tra poche settimane si vota per le elezioni europee. Cosa si aspetta dalla nuova Ue?

Penso che ci sia un percorso già attivato e che non si potrà interrompere. Vedremo poi come verrà declinato esattamente nei provvedimenti normativi, che avranno una ricaduta su ciascuno degli Stati membri. Ma è un percorso non solo europeo. Anche l’accordo di Parigi nasce da tutti gli Stati che si danno un obiettivo comune di mantenere l’innalzamento della temperatura media globale sui due gradi. Quindi, non è tanto il risultato complessivo ma la strada comune che è stata intrapresa. E io vedo che ormai c’è una maturità su una serie di tematiche, rispetto alle quali anche la nuova Europa, i nuovi organismi che si costituiranno, non potranno fare un passo indietro“.

Mattarella

Mattarella: Sostenibilità, finanza, innovazione per futuro del Pianeta

Il futuro del Pianeta passa da una “governance adeguata“, che resta lo “strumento per vincere le sfide globali“. Lo dice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua Palermo, per la sedicesima edizione del Simposio Cotec Europa, dedicata al tema ‘Innovazione nella finanza sostenibile’, assieme al Re di Spagna, Felipe VI, e al presidente della Repubblica del Portogallo, Marcelo Rebelo de Sousa. Il discorso del capo dello Stato è ad ampio raggio, ma con un preciso punto di partenza: “Sostenibilità, finanza e innovazione” sono “parole chiave” che “trovano largo spazio nell’agenda internazionale e interpellano i Governi“. Per questo la riflessione sul potere trasformativo dell’innovazione tocca tutti i settori “anche quello della finanza e sul ruolo di quest’ultima nel mobilitare risorse per obiettivi di inclusione e crescita“. Mattarella guarda a quelle che definisce “trasformazioni gemelle“, la transizione digitale e quella ecologica e “al significato che assumono per una gestione responsabile dell’avvenire del pianeta e un modello di sviluppo equo“.

Perché “si tratti dell’ambiente, della salute, dell’istruzione, della lotta alla povertà, della tutela dei diritti fondamentali, il combinato di tali sfide appare immane e certamente tale da necessitare non solo la mobilitazione di risorse di matrice pubblica ma anche il coinvolgimento della società civile“. Gli effetti del cambiamento climaticosono sotto gli occhi di tutti“, dunque, alla “pressante esigenza di fornire risposte attendibili e durature” si aggiunge la “necessità di porre riparo a disuguaglianze che accrescono, in molteplici aree del globo“. Equità è un termine che ricorre spesso negli interventi pubblici del presidente della Repubblica, anche per questo motivo rileva come “pandemia e rinnovate tensioni internazionali, a partire dalla guerra scatenata dalla Federazione Russa contro l’indipendenza dell’Ucraina, hanno provocato un rallentamento delle economie, con una contrazione delle capacità di spesa in tutti i Paesi, soprattutto in quelli a più basso reddito“.

Tra l’altro, avverte, “le tensioni geopolitiche rischiano di alimentare progressive fratture nei rapporti internazionali, tali da compromettere il contesto degli accordi raggiunti in sede globale nello stesso sistema delle Nazioni Unite“. Con il rischio di “riproporre la narrativa di un mondo diviso tra un ‘club’ di Paesi agiati e arroccati nel loro egoismo, di Paesi protagonisti, come i Brics, di un impetuoso, talvolta contraddittorio, ciclo di sviluppo e, infine, di Paesi del sud abbandonati a un destino di povertà“. Una lettura respinta da Italia, Spagna e Portogallo, che non vogliono “arrendersi a una deriva di questo tipo“. Però, spiega Mattarella, “non possiamo farci guidare soltanto dalle emergenze“, quindi “l‘impegno nella realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite richiama a un’azione ad ampio raggio, in grado di coinvolgere più attori possibili“. Ergo “La sola mobilitazione di risorse pubbliche, come è stato osservato, risulterebbe in ogni caso insufficiente” e diventa “vitale dar vita a un processo virtuoso con il coinvolgimento del settore privato in partenariati che moltiplichino le capacità di spesa“. Ma “il sistema finanziario deve applicare meccanismi e regole efficaci per indirizzare sempre più risorse private verso settori e progetti sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale“.

Il capo dello Stato, inoltre, considera “del tutto incongruo” che i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo “accettino di pagare il prezzo ambientale e sociale che ha pesato sui Paesi di più remota industrializzazione nel loro percorso di crescita“. In questo scenario si inserisce il monito sulla “riforma dell’architettura finanziaria internazionale” che Mattarella considera “una prima sfida per rendere disponibili maggiori risorse per lo sviluppo, principalmente attraverso riforme mirate ad una migliore efficienza delle banche multilaterali di settore“, non dimenticando che “la diplomazia della crescita sostenibile identifica anzitutto nel capitale umano la forza trainante di un futuro fatto di sostenibilità, innovazione e inclusività“.

L’Italia “è chiamata a fare la sua parte“, ricorda ancora il presidente della Repubblica, elencando i prossimi appuntamenti multilaterali: il secondo vertice Onu sui Sistemi Alimentari di luglio, il G20 e la Cop28. Ma allo stesso tempo “occorre proseguire una riflessione condivisa sulle innovazioni che effettivamente possano sostenere un’agenda di accelerazione verso gli obiettivi delineati in sede Onu” e su questi temi “Spagna, Portogallo, Italia, con l’Unione europea, possono assolvere a un ruolo importante“, come quello di “favorire il consolidamento e l’integrazione delle finanze pubbliche dei Paesi emergenti, anche per aumentare la loro capacità di attrarre finanziamenti internazionali destinati all’ammodernamento sostenibile“. E poi l’innovazione, cogliendo “l’opportunità di finanziare la formazione, la ricerca e l’applicazione di nuove tecnologie nei Paesi partner“. Perché il domani passa anche da questi fattori.

Al ‘Green Economy Finance’ imprese e industria del credito: “Regole chiare per investimenti”

Raggiungere gli obiettivi Net Zero nel 2050 richiederà 100 trilioni di euro. Ad oggi i fondi pubblici stanziati da Europa, Stati Uniti e mondo orientale ammontano, se va bene, a 2mila miliardi di euro. Il resto chi ce lo mette? Va necessariamente finanziato con finanza privata, con quella finanza green che richiede oggi più che mai uno sforzo da parte di tutti”. Così Federico Freni, sottosegretario all’Economia, ha contestualizzato in pochi numeri limiti e prospettive della transizione, durante un videomessaggio per l’evento ‘Green Economy Finance, il ruolo della finanza e del risparmio a sostegno della transizione ecologica’, che si è tenuto a Roma, nella sede ‘Esperienza Europa David Sassoli’ del Parlamento europeo e della Commissione Ue. E al convegno – organizzato da Withub, Gea, Eunews e Fondazione Articolo 49 – il leit motiv è stato quello delle regole. Gli obiettivi climatici imposti negli ultimi cinque anni non sono più in discussione da parte della politica, delle imprese o dell’industria del credito. Solo che – hanno più o meno spiegato gran parte dei relatori intervenuti ai vari panel – i tempi da rispettare andrebbero calibrati, considerando anche che le regole mutano in continuazione e per favorire gli investimenti green servono maggiori certezze.

La leva europea finanziaria è senz’altro rappresentata dalla Bei. La sua vicepresidente Gelsomina Vigliotti è stata netta: “Siamo di fronte a una crisi energetica importante, che ha imposto un ripensamento sull’approvvigionamento energetico. Abbiamo pensato e confermato che rispetto a fare oggi investimenti in energie fossili, che richiedono per la messa a terra comunque alcuni anni, era più importante concentrare gli sforzi sull’accelerazione della transizione energetica agendo sull’efficienza. Per questo – ha concluso Vigliotti – la Bei è la banca del clima. Bisogna risparmiare energia, e poi accelerare il processo delle rinnovabili“.

Le imprese sono al centro di questa transizione. E la finanza verde è “una sfida epocale nella quale le imprese sono attivamente ingaggiate. Confindustria ha stimato in mille miliardi gli oneri sistema per la transizione energetica. Sono investimenti molto importanti per i quali il ruolo del privato è determinante. Non dobbiamo dimenticare che sulla finanza privata però incide un proliferare infinito di nuove regole che fondamentalmente hanno già cambiato il rapporto tra imprese e istituzioni finanziarie“, ha evidenziato Francesca Brunori, direttrice dell’area Credito e Finanza di Confindustria. Norme e documentazioni non pronte per tutti, specie le piccole e medie imprese, aggravate da maggiori spese.  “Siamo in una fase particolarmente delicata, con i tassi schizzati verso l’alto, che rischia di schiacciare gli investimenti delle imprese i quali sono però necessari per completare quel processo di transizione verso un’economia sostenibile che le imprese hanno da tempo avviato”.

Ci vorrebbero misure strutturali, ha concluso la rappresentante di Confindustria, tema sul quale ha concordato Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera, che però ha precisato: “Il servizio studi del Parlamento ci dice che nel periodo 2018-2021 gli investimenti in transizione verde con aiuti di Stato è stato inferiore al dovuto. Addirittura nel 2021 era inferiore all’1%, c’è un bel gap da recuperare“. Ora “credo e spero che tra la prima lettura alla Camera, la seconda al Senato, una terza lettura più veloce alla Camera, conto di portare la delega fiscale in Aula nella seconda metà di luglio e che che sarà operativa a fine estate“, dove dovrebbero essere inserite alcune misure d’aiuto per la transizione delle aziende.

Aziende, settori, sui quali – a proposito di regole – non è sempre facile costruire prodotti finanziari. “La tassonomia europea è stata una decisione importantissima. L’integrazione della tassonomia nella finanza porta a diversi interventi. Dal punto di vista dell’applicazione, però, una modalità più ordinata sarebbe benvenuta. Rileviamo due difficoltà: la disponibilità di dati e la valutazioni di rating oggettiva. E’ stato chiesto alle banche di essere il braccio operativo della transizione, ma se i governi avessero stabilito una carbon tax più precisa, oggi non si chiederebbero molte cose che si chiedono. Non si può pensare di delegare alla finanza la soluzione di tutti i problemi“, ha sottolineato Dario Focarelli, direttore generale di Ania.

Francesco Bicciato, direttore generale del Forum della Finanza sostenibile, chiede uno sforzo maggiore da parte del governo, col quale ha aperto un canale di dialogo. “C’è una domanda fortissima di prodotti sostenibili. Sugli aspetti Esg però, per me la sostenibilità è una sola, tripartita: ambientale-economia-sociale. Le tre dimensioni devono essere sempre tenute in considerazione. Al governo abbiamo chiesto qual è l’approccio, per poter allineare gli investimenti. Basta che usciamo dal dibattito ideologico. I soldi del Pnrr sono tanti, ma non sono sufficienti – ha concluso. Tuttavia con un moltiplicatore intelligente, si può aumentare di 4-5 volte“.

John Berrigan, direttore generale della Dg Fisma della Commissione Ue, ha poi precisato: “Nel passaggio da energie fossili a rinnovabili, siamo consapevoli che stiamo mettendo pressione sui mercati, sugli intermediari, sugli investitori. Non vogliamo mettere fretta, vorremmo procedere più lentamente, ma vogliamo evitare di essere in ritardo“, ha dichiarato, aggiungendo che “dobbiamo arrivare in tempo. Capiamo che dobbiamo mettere il mercato nella condizione di capire come attuare la transizione”. Questa però è la via. Per cui il mondo dei fondi, da chi distribuisce a chi invece interviene direttamente con investimenti in impianti, ha chiesto regole e tempi ancora più chiari.

Edoardo Fontana Rava, direttore servizi di investimento e assicurativi di Banca Mediolanum, ha sottolineato: “Da un lato la regolamentazione parte da un approccio più stringente, per cercare di adattarsi in modo efficace a quello che è la capacità di combinare l’attenzione alla dimensione di sostenibilità e il mantenimento di una ricerca di valore a quello che è stato proposto. Dall’altro c’è il mondo dei clienti che oggi vive una forte elevata sensibilità sul tema ma con una forte difficoltà a declinarla in domanda. In questa fase è molto più l’offerta che genera un avanzamento del percorso mentre i clienti sono rimasti indietro perché non riescono a trasformare la sensibilità verso il tema in una capacità di fare la domanda e quindi selezionare loro stessi le scelte”.

Francesco Cacciabue, partner e Cfo di Glennmont, di Nuveen Infrastructure, in conclusione ha sintetizzato: “L’unica fonte autoctona per la maggior parte dei Paesi europei è l’energia rinnovabile, per questo dobbiamo investire sempre di più. Ce l’abbiamo, è competitiva”. Le regole? “Noi giochiamo all’interno di esse, se non ci piacciono cambiamo settore di investimento: la finanza funziona così. Gli Stati Uniti sono un buon partner, l’amministratore Biden ha dato un impulso. Il processo autorizzativo è il vero fattore che frena la produzione, in questo momento. Occorre lavorare sui permessi. Poi servirà un intervento sulle reti“.