Le emissioni di CO2 causate dagli incendi boschivi sono aumentate del 60% dal 2001 a oggi

Un nuovo importante studio rivela che le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte dagli incendi boschivi sono aumentate del 60% a livello globale dal 2001 e sono quasi triplicate in alcune delle foreste boreali più sensibili al clima.
Lo studio, condotto dall’Università dell’East Anglia (UEA) e pubblicato su Science, ha raggruppato le aree del mondo in “piromi” – regioni in cui i modelli di incendio forestale sono influenzati da controlli ambientali, umani e climatici simili – rivelando i fattori chiave che guidano i recenti aumenti dell’attività degli incendi boschivi.

Si tratta di uno dei primi studi che esamina a livello globale le differenze tra incendi boschivi e non boschivi e mostra che in uno dei piromi più grandi, che comprende le foreste boreali in Eurasia e Nord America, le emissioni dovute agli incendi sono quasi triplicate tra il 2001 e il 2023.

Gli aumenti significativi sono stati osservati più in generale nelle foreste extratropicali e ammontano a mezzo miliardo di tonnellate di CO2 in più all’anno, con l’epicentro delle emissioni che si è spostato dalle foreste tropicali proprio verso quelle extratropicali.
La crescita delle emissioni è stata collegata all’aumento delle condizioni climatiche favorevoli agli incendi, come quelle di caldo-secco che si verificano durante le ondate di calore e le siccità, nonché all’aumento dei tassi di crescita delle foreste che creano più combustibili vegetali. Entrambe le tendenze sono favorite dal rapido riscaldamento delle alte latitudini settentrionali, che avviene a una velocità doppia rispetto alla media globale.

Lo studio rivela un preoccupante aumento non solo dell’estensione degli incendi boschivi negli ultimi due decenni, ma anche della loro gravità. Il tasso di combustione del carbonio – una misura della gravità degli incendi basata sulla quantità di carbonio emessa per unità di superficie bruciata – è aumentato di quasi il 50% nelle foreste di tutto il mondo tra il 2001 e il 2023.

Il lavoro ha coinvolto un team internazionale di scienziati – provenienti da Regno Unito, Paesi Bassi, Stati Uniti, Brasile e Spagna – che avvertono che un’ulteriore espansione degli incendi boschivi può essere evitata solo se si affrontano le cause primarie del cambiamento climatico, come le emissioni di combustibili fossili.

Le foreste sono importanti a livello mondiale per lo stoccaggio del carbonio: la loro crescita contribuisce a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e a ridurre i tassi di riscaldamento globale. Svolgono inoltre un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali, con l’attuazione di programmi di riforestazione e imboschimento per rimuovere il carbonio dall’atmosfera e compensare le emissioni umane di CO2 provenienti da settori difficili da abbattere, come l’aviazione e alcune industrie. Il successo di questi programmi dipende dal fatto che il carbonio venga immagazzinato in modo permanente nelle foreste, e gli incendi selvaggi minacciano questo aspetto.

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Il cambiamento climatico ‘stressa’ le foreste e le espone a incendi e parassiti

l cambiamento climatico sta aumentando la suscettibilità delle foreste mondiali a fattori di stress come incendi e parassiti, secondo una nuova pubblicazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) che sottolinea il ruolo dell’innovazione nel raggiungimento di un futuro sostenibile per il settore forestale. Il rapporto, intitolato ‘The State of the World’s Forests 2024: Forest-sector innovations towards a more sustainable future’ è stato presentato oggi in occasione della 27esima sessione del Comitato per le Foreste (Cofo), in corso presso la sede della Fao a Roma fino a venerdì. Il Cofo è l’organo di governo forestale più importante della Fao e ha il compito di individuare le questioni politiche e tecniche emergenti, cercare soluzioni e consigliare l’organizzazione sulle azioni da intraprendere. Il tema dell’incontro di quest’anno è ‘Accelerare le soluzioni forestali attraverso l’innovazione’.

Secondo il documento “ci sono prove” che indicano che il cambiamento climatico sta rendendo le foreste più vulnerabili a fattori di stress come incendi e parassiti. Di fronte a queste sfide, il rapporto sostiene che l‘innovazione nel settore forestale “è un fattore cruciale” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“La FAO riconosce che la scienza e l’innovazione sono ingredienti cruciali per raggiungere soluzioni basate sulle foreste”, scrive il direttore della Fao QU Dongyu nell’introduzione del rapporto.

AUMENTANO GLI INCENDI BOSCHIVI. L’intensità e la frequenza degli incendi selvaggi stanno aumentando, anche in aree precedentemente non colpite, e si stima che nel 2023 gli incendi abbiano rilasciato 6.687 megatonnellate di anidride carbonica a livello globale. In passato gli incendi boreali erano responsabili di circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica. Nel 2021, tali incendi hanno raggiunto un nuovo picco, principalmente a causa della prolungata siccità che ha provocato un aumento della gravità degli incendi e del consumo di combustibile, e hanno rappresentato quasi un quarto delle emissioni totali di incendi boschivi.

LE SPECIE INVASIVE. Il cambiamento climatico rende anche le foreste più vulnerabili alle specie invasive, con insetti, parassiti e malattie patogene che minacciano la crescita e la sopravvivenza degli alberi. Il nematode del pino ha già causato danni significativi alle pinete autoctone di alcuni Paesi asiatici e si prevede che entro il 2027 alcune aree del Nord America subiranno danni devastanti a causa di insetti e malattie.

LA PRODUZIONE DI LEGNO. La produzione globale di legno, invece, rimane a livelli record. Dopo un breve calo durante la pandemia, la produzione è tornata a circa 4 miliardi di metri cubi all’anno. Quasi 6 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi e il 70% dei poveri del mondo si affida a specie selvatiche per cibo, medicine, energia, reddito e altri scopi. Le proiezioni indicano che la domanda globale di legno tondo potrebbe aumentare fino al 49% tra il 2020 e il 2050.

SOLUZIONI INNOVATIVE. Il rapporto identifica cinque tipi di innovazione che aumentano il potenziale delle foreste nell’affrontare le sfide globali: tecnologica, sociale, politica, istituzionale e finanziaria. Tra gli esempi, il potenziale dell’intelligenza artificiale per facilitare l’analisi automatizzata di un vasto volume di dati ottici, radar e lidar, esistenti e futuri, raccolti quotidianamente da droni, satelliti e stazioni spaziali; l’adozione del legno massiccio e di altre innovazioni basate sul legno che possono sostituire i prodotti a base fossile nel settore edilizio; le politiche volte a coinvolgere le donne, i giovani e le popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale; le innovazioni nel settore finanziario pubblico e privato per aumentare il valore delle foreste in piedi.

Dal momento che l’innovazione può creare vincitori e vinti, il rapporto sostiene la necessità di approcci inclusivi e rispondenti alle esigenze di genere per garantire un’equa distribuzione dei benefici tra uomini, donne e giovani di tutti i gruppi socioeconomici ed etnici. La promozione dell’innovazione deve considerare e integrare le circostanze, le prospettive, le conoscenze, i bisogni e i diritti di tutte le parti interessate.

Il rapporto elenca cinque azioni che contribuiranno a far crescere l’innovazione nel settore forestale: sensibilizzare l’opinione pubblica, potenziare le competenze, le capacità e le conoscenze in materia di innovazione, incoraggiare i partenariati di trasformazione, garantire finanziamenti maggiori e universalmente accessibili per l’innovazione e fornire un ambiente politico e normativo incentivante.

 

 

Scoperta la più antica foresta fossile: risale a 390 milioni di anni fa

Photo credit: Neil Davies

La più antica foresta fossile sulla Terra – risalente a 390 milioni di anni fa – è stata rinvenuta nelle alte scogliere di arenaria lungo la costa del Devon e del Somerset, nell’Inghilterra sud-occidentale. I fossili, scoperti e identificati dai ricercatori delle Università di Cambridge e Cardiff, sono i più antichi alberi mai trovati in Gran Bretagna e la più antica foresta fossile conosciuta sulla Terra. E’ più vecchia di circa quattro milioni di anni rispetto al precedente record, trovato nello Stato di New York. I fossili sono stati rinvenuti vicino a Minehead, sulla sponda meridionale del Canale di Bristol, nei pressi di quello che oggi è un campeggio Butlin’s. Gli alberi, noti come Calamophyton, a prima vista assomigliano a palme, ma erano un “prototipo” dei tipi di piante che conosciamo oggi. Invece di essere di legno massiccio, i loro tronchi erano sottili e cavi al centro. Mancavano anche di foglie e i loro rami erano ricoperti da centinaia di strutture simili a ramoscelli. Questi alberi erano anche molto più corti dei loro discendenti: i più grandi erano alti tra i due e i quattro metri. Man mano che gli alberi crescevano, si liberavano dei rami, che sostenevano gli invertebrati sul suolo della foresta.

In precedenza gli scienziati ritenevano che questo tratto di costa inglese non contenesse fossili vegetali significativi, ma questo particolare reperto, oltre alla sua età, mostra anche come i primi alberi abbiano contribuito a modellare i paesaggi e a stabilizzare gli argini dei fiumi e le coste centinaia di milioni di anni fa. I risultati sono riportati nel Journal of the Geological Society.
La foresta risale al periodo Devoniano, tra 419 milioni e 358 milioni di anni fa, quando la vita iniziò la sua prima grande espansione sulla terraferma: alla fine del periodo, apparvero le prime piante portatrici di semi e i primi animali terrestri, per lo più artropodi, erano ben radicati. “Il periodo Devoniano ha cambiato radicalmente la vita sulla Terra“, dice il professor Neil Davies del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge, primo autore dello studio. “Ha anche cambiato il modo in cui l’acqua e la terra hanno interagito tra loro, dal momento che gli alberi e le altre piante hanno contribuito a stabilizzare i sedimenti attraverso i loro sistemi di radici, ma poco si sa delle primissime foreste“.

La foresta fossile identificata dai ricercatori è stata trovata nella Formazione Hangman Sandstone, lungo le coste del Devon settentrionale e del Somerset occidentale. Durante il periodo Devoniano, questa regione non era collegata al resto dell’Inghilterra, ma si trovava più a sud, collegata a parti della Germania e del Belgio, dove sono stati trovati fossili Devoniani simili.
Quando ho visto per la prima volta le immagini dei tronchi ho capito subito di cosa si trattava, grazie a 30 anni di studi su questo tipo di alberi in tutto il mondo“, ha dichiarato il coautore Christopher Berry della School of Earth and Environmental Sciences di Cardiff. Il lavoro sul campo è stato intrapreso lungo le scogliere più alte dell’Inghilterra, alcune delle quali sono accessibili solo in barca, e ha rivelato che questa formazione di arenaria è in realtà ricca di materiale vegetale fossile del periodo Devoniano. I ricercatori hanno identificato piante fossili e detriti vegetali, tronchi d’albero fossilizzati, tracce di radici e strutture sedimentarie. Durante il Devoniano, il sito era una pianura semi-arida, attraversata da piccoli canali fluviali che fuoriuscivano dalle montagne a nord-ovest. “Le prove contenute in questi fossili conservano una fase chiave dello sviluppo della Terra, quando i fiumi hanno iniziato a operare in modo fondamentalmente diverso rispetto al passato, diventando la grande forza erosiva che sono oggi“, dice Davies. “A volte si pensa che le rocce britanniche siano state analizzate a sufficienza, ma questo dimostra che rivisitarle può portare a nuove importanti scoperte“.

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Dai nuovi boschi un ‘capitale naturale’ da 23,5 milioni l’anno

I nuovi progetti di rimboschimento sono un vero e proprio ‘capitale naturale‘ per l’Italia, con benefici ambientali ed economici. Ma non sono poche le criticità che rischiano di non far raggiungere gli obiettivi del Pnrr. Sono quasi 2,9 milioni gli alberi piantati in Italia tra il 2022 e i primi mesi del 2023 su una superficie di 4.504 ettari, pari a circa 6.500 campi di calcio. L’istantanea la scatta la terza edizione dell’Atlante delle Foreste, indagine condotta da Legambiente. Sono più di 730 le nuove forestazioni urbane ed extraurbane censite sul territorio nazionale ed effettuate con fondi pubblici (Decreto Clima, PNRR, fondi regionali o provinciali) e risorse private. Le nuove aree verdi sono in grado di generare un beneficio complessivo da oltre 23,5 milioni di euro per ciascuno degli anni di vita di alberi e arbusti messi a dimora.

Le nuove piantumazioni sono fondamentali “per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica che anche il nostro Paese deve raggiungere“, ricorda Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. “Gli ecosistemi ed i suoli forestali sono i principali serbatoi naturali terrestri di carbonio e giocano un ruolo chiave per mitigare gli effetti della crisi climatica in atto, ma sono anche la base del nostro capitale naturale e di ricchezza di biodiversità forestale“, spiega. In Italia sono presenti 39 habitat riconosciuti di interesse comunitario dalla Ue e, con il 36,7 % del territorio coperto da foreste pari a oltre 11milioni di ettari, siamo il secondo Paese europeo per copertura forestale. Ma i dati che emergono dalle indagini, denuncia Zampetti, “segnalano l’esigenza di un maggior impegno per il raggiungimento degli obiettivi posti, bisogna spendere di più e meglio nella cura e nella gestione del nostro patrimonio forestale, a partire dalle città che devono accelerare nella messa a dimora di alberi per conseguire gli obiettivi della dell’UE che propone di piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030”.

Tante le note positive, ma anche le criticità ancora da superare. Tra i principali benefici generati per i territori dalle nuove opere di forestazione la mitigazione di eventi climatici estremi e la regolazione della qualità dell’aria e del suolo, di cui è stata stimata un’incidenza economica positiva di 2.202,9 euro per ettaro all’anno. Ma non solo. Significativo anche l’impatto generato in termini di turismo sostenibile e attività culturali, con una valutazione di 639,2 euro per ettaro anno. Grazie alle attività di forestazione, si garantiscono poi la disponibilità della biodiversità e del funzionamento degli ecosistemi forestali per le generazioni future. In questo caso la stima individua un apporto di 2.342,5 euro per ettaro ogni anno.
Lombardia, Trentino-Alto Adige e Veneto sono le Regioni con il più alto numero di alberi messi a dimora. Sul podio delle Città metropolitane ci sono Torino, Venezia e Bologna che hanno beneficiato dei fondi provenienti dal Decreto Clima e Pnrr. Quanto alle 14 Città metropolitane italiane, il Pnrr ha previsto la messa a dimora di 6,6 milioni di alberi entro il 2024 con l’obiettivo di piantare 1.650.000 alberi entro il 31 dicembre 2022 e i restanti 5 milioni entro la scadenza fissata. Fatto salvo Venezia e Torino, la quasi totalità dei progetti ammessi al finanziamento si trova ancora nella fase di scouting o di planting, ovvero si è provveduto ad individuare le aree idonee e a produrre nei vivai le piante che si prevede saranno messe a dimora entro la fine del 2023. Per l’assegnazione di fondi del Pnrr non si è considerata la problematica legata alla mancanza di suolo pubblico per la realizzazione degli interventi di forestazione, inserendo vincoli sugli ettari minimi delle aree. Alcune Città metropolitane, per via di progetti di rimboschimento già avviati e a causa del crescente consumo di suolo, non avendo aree sufficientemente grandi per creare nuovi boschi urbani, non hanno potuto trarre vantaggio da questi fondi: tra queste, ad esempio, Milano e Firenze. Nel 2022, su 105 capoluoghi la media è di soli 24 alberi ogni 100 abitanti che allontana per il Paese il raggiungimento, non solo degli obiettivi previsti dal PNRR, ma anche da quelli della Strategia dell’UE sulla biodiversità di piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030 e dall’obiettivo 11 dell’Agenda Onu di città più sostenibili e inclusive. Il trend per i progetti di rimboschimento è comunque in lieve crescita: +15,7% rispetto all’anno precedente, e 169.799 alberi piantati solo dal settore privato, con un aumento del 30% rispetto al 2021.

Altro problema è che non ci sono sufficienti alberi da piantare. Gli ultimi anni sono stati infatti caratterizzati dalla chiusura di molti vivai forestali pubblici, organi fondamentali e di garanzia per la forestazione. La carenza di personale, lo stato di abbandono di alcuni vivai e la mancanza di programmazione e investimenti hanno indebolito notevolmente il settore, rallentando di conseguenza i piani di messa a dimora. A questo si aggiungono anche le conseguenze del riscaldamento globale. Aumento delle temperature, siccità e incremento dei fenomeni meteorologici estremi condizionano la tenuta degli alberi, per cui è necessario ridefinire il controllo delle aree verdi programmando in maniera più mirata le varie fasi d’intervento. La problematica degli incendi, in particolare, “occorre – , sottolinea il Cigno verdeaffrontarla con un cambio di prospettiva, che porti a spostare gli investimenti dalla gestione delle conseguenze alla loro prevenzione“.

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Le foreste boreali e temperate sono diventate i principali pozzi di carbonio globali

Utilizzando un nuovo metodo di analisi delle immagini satellitari, un team di ricerca internazionale, coordinato dalla Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica (CEA) e dall’INRAE, ha mappato per la prima volta le variazioni annuali della biomassa forestale globale tra il 2010 e il 2019. I ricercatori hanno scoperto che le foreste boreali e temperate sono diventate i principali pozzi di carbonio globali. Le foreste tropicali, più vecchie e degradate dalla deforestazione, dagli incendi e dalla siccità, sono quasi neutre dal punto di vista del carbonio. I risultati, pubblicati su Nature Geoscience, evidenziano l’importanza di tenere conto delle foreste giovani e del degrado forestale nei modelli predittivi dei pozzi di carbonio per sviluppare strategie più efficaci di mitigazione dei cambiamenti climatici.

L’aumento della biomassa vegetale svolge un ruolo essenziale nel sequestro del carbonio, il cui bilancio dipende da guadagni dovuti alla crescita delle piante e all’aumento della copertura forestale e da perdite dovute al raccolto, alla deforestazione, al degrado, alla mortalità di fondo degli alberi e ai disturbi naturali. Il monitoraggio degli stock di carbonio della biomassa nel tempo è essenziale per comprendere e prevedere meglio gli effetti dei cambiamenti climatici in corso e futuri, nonché gli impatti diretti delle attività umane sugli ecosistemi. Si tratta di una questione fondamentale, assicurano i ricercatori, per le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. Le riserve di carbonio sulla Terra sono aumentate di 500 milioni di tonnellate all’anno in un periodo di 10 anni, principalmente a causa dei giovani alberi nelle foreste temperate e boreali.

A livello globale, gli stock di carbonio da biomassa terrestre sono aumentati dal 2010 al 2019 di circa 500 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. Il principale contributo al pozzo di carbonio globale è dato dalle foreste boreali e temperate, mentre le foreste tropicali sono diventate piccole fonti di carbonio a causa della deforestazione e della mortalità degli alberi in seguito a ripetuti periodi di siccità.

E se quelle tropicali, in cui gli alberi hanno in media più di 140 anni, sono quasi neutrali dal punto di vista del carbonio, le foreste temperate e boreali, in cui gli alberi sono giovani (meno di 50 anni) o di mezza età (50-140 anni), sono i maggiori pozzi di carbonio. I nuovi risultati differiscono dai modelli di previsione esistenti, che indicano che tutte le foreste di vecchia crescita sono grandi pozzi di carbonio e non tengono conto dell’importanza della demografia forestale o dell’impatto della deforestazione e del degrado sulle foreste tropicali, che stanno perdendo biomassa.

I risultati evidenziano l’importanza di tenere conto del degrado e dell’età delle foreste nel prevedere le dinamiche dei futuri pozzi di carbonio a livello globale e quindi di sviluppare politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici più adatte.

Golpe militare in Gabon: Paese ricco di petrolio e di foreste

Dopo l’annuncio della rielezione di Ali Bongo Ondimba, al potere da 14 anni, come presidente del Gabon con il 64,27% dei voti, il Paese è caduto nel caos. Una decina di militari e poliziotti ha annunciato l’annullamento delle elezioni, lo scioglimento di “tutte le istituzioni della Repubblica” e la “fine del regime“. “Tutte le istituzioni della Repubblica sono sciolte: il governo, il Senato, l’Assemblea nazionale e la Corte costituzionale. Invitiamo la popolazione a rimanere calma e serena e riaffermiamo il nostro impegno a rispettare gli impegni del Gabon nei confronti della comunità internazionale“, ha proseguito il gruppo, annunciando la chiusura delle frontiere del Paese “fino a nuovo ordine”.

Una situazione complicata per il Paese centrafricano ricco di petrolio. Il Gabon è uno dei Paesi più ricchi dell’Africa in termini di Pil pro capite (8.820 dollari nel 2022), grazie al petrolio, al legname e al manganese e a una popolazione ridotta (2,3 milioni di abitanti). È inoltre uno dei principali produttori di oro nero dell’Africa subsahariana. Secondo la Banca Mondiale, nel 2020 questa risorsa ha rappresentato il 38,5% del Pil e il 70,5% delle esportazioni. Ma l’economia, che il governo non è riuscito a diversificare a sufficienza, è ancora troppo dipendente dagli idrocarburi e un abitante su tre viveva sotto la soglia di povertà alla fine del 2022, secondo la Banca Mondiale.

Il Gabon è fondamentale anche per il suo ruolo ambientale. Questo Paese di 268.000 chilometri quadrati, coperto per l’88% da foreste, è descritto dalla Banca Mondiale come “un assorbitore netto di carbonio e un leader nelle iniziative di emissioni nette a zero“, grazie soprattutto agli sforzi compiuti per ridurre le emissioni e preservare la sua vasta foresta tropicale. Ha un ricco ecosistema. I suoi parchi nazionali ospitano specie endemiche e mammiferi emblematici come l’elefante di foresta, il gorilla, lo scimpanzé, il leopardo e diverse specie di pangolino. Il Paese ha uno dei più alti tassi di urbanizzazione del continente, con più di quattro gabonesi su cinque che vivono in città. Libreville e Port-Gentil, la capitale economica, rappresentano da sole quasi il 60% della popolazione.

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Foreste polmone d’Italia. Pichetto: Patrimonio da tutelare a tutto campo

Nove milioni di ettari, una superficie di aree protette da oltre 3,8 milioni di ettari e parchi nazionali di oltre 250mila ettari. Sono i numeri del patrimonio forestale italiano, che il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a ragion veduta, definisce “immenso, il più ricco di biodiversità d’Europa“.

Ma un tesoro così prezioso va tutelato e curato, con costanza e abnegazione, due delle qualità più spiccate dei Carabinieri, che tramite il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari “è custode del nostro meraviglioso patrimonio boschivo e delle specie che lo abitano, tramite una complessa azione combinata: monitoraggio e controllo del territorio, prevenzione e repressione degli illeciti connessi, studi e ricerca ed educazione alla legalità ambientale“, ricorda il comandante generale dell’Arma, Teo Luzi, al convegno The Forest Factor ‘Più natura per combattere il riscaldamento globale’.

Sul palco dell’Aula magna dell’università Roma Tre sono tanti gli attori, nazionali e internazionali, a prendere la parola. “La grande novità degli ultimi mesi è l’inserimento nella Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’indicazione che la legge dello Stato deve disciplinare ‘i modi e le forme della tutela degli animali“, sottolinea ancora Pichetto. Aggiungendo che “il nuovo dettato Costituzionale è una sfida per il Parlamento che lo deve attuare, e per il Governo che deve agire in linea con nuovi i principi indicati nella Carta“. Per il responsabile del Mase le azioni del ministero e quello dei Carabinieri “sono importantissime, perché sono la tutela e il controllo del nostro territorio”. Del resto, “i due terzi dell’Italia sono montagne e collina, dunque è necessario un presidio puntuale, che l’Arma dei Carabinieri fa. È un’operazione a tutto campo che ha come obiettivo quello di conservare la biodiversità e tutelare il nostro territorio. Agendo nell’ottica di contrastare il cambiamento climatico, aumentare la forestazione del Paese, anche con una manutenzione e un controllo opportuno“.

Ci sono molti aspetti che molta parte, forse troppa, dei cittadini non conosce di questo prezioso patrimonio. Non a caso il generale Luzi puntualizza che “l’Italia è depositaria di una grande cultura ambientale e abbiamo anche la responsabilità di portarla in giro per il mondo, ma non è una forma di colonizzazione. È un confronto con altre culture e una condivisione di temi e obiettivi“. Anche perché “le foreste, pur giocando un ruolo cruciale nella lotta alla povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile grazie ai loro impagabili benefici ecologici, economici e sociali, sono sempre al centro di pericoli derivanti da incendi, parassiti, siccità e disboscamento“, avvisa il comandante generale dei Carabinieri. Denunciando: “Il protrarsi della deforestazione sta riducendo questa difesa ed oltre il 30% delle nuove malattie segnalate dal 1960 ad oggi sono da attribuirsi a cambiamenti nell’uso del suolo, inclusa la deforestazione. I nostri boschi sono anche farmacie naturali“. I numeri sono impressionanti: “Delle oltre 60mila specie di alberi presenti nel mondo tantissime hanno valore medicinale. Eppure continuiamo a depredarli“.

A livello globale, spiega ancora Luzi, “il mondo sta perdendo 10 milioni di ettari di foresta ogni anno a causa della deforestazione, più o meno quanto la superficie dell’Islanda”. Per questo l’Arma “soprattutto attraverso il Cufa, è custode del nostro meraviglioso patrimonio boschivo e delle specie che lo abitano” e “la presenza capillare di circa 1.000 presidi della specialità forestale, costituisce un insostituibile elemento di prossimità ambientale, di interfaccia tra uomo e natura, tra produzione e conservazione sotto il segno della legalità e di aiuto alle comunità“.

L’attenzione deve essere massima, però, anche dalle istituzioni, soprattutto quelle locali. Al Forest Factor ne parla il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, che pone l’accento su un aspetto in particolare: “La natura deve tornare ad essere amica della comunità. Dobbiamo educare fin da piccoli i nostri giovani cittadini ad amare, custodire e renderla preziosa – aggiunge -. Anche in ambienti antropizzati, su cui l’attenzione deve essere particolare“. Per il governatore “dobbiamo restituire ai nostri cittadini un amore verso l’ambiente e la natura e non far vivere i parchi come nemici della comunità“. Un obiettivo che politica, istituzioni e società civile stanno facendo diventare sempre più centrale e prioritario.

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Giornata internazionale delle foreste. Pichetto: “Preziose contro il climate change”

“La giornata internazionale delle foreste, il cui tema è quest’anno ‘foreste e salute’, ci ricorda quanto questa preziosa ricchezza di biodiversità sia importante per il benessere del pianeta e dell’uomo. Per una gestione forestale sostenibile da ogni punto di vista – ambientale, economico e sociale – occorre un approccio scientifico rigoroso e aperto, una collaborazione interistituzionale solida e dinamica e una condivisione sempre più partecipativa e diffusa con le filiere interessate e i cittadini”. Lo dichiara il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto, in occasione della Giornata internazionale delle foreste che ricorre il 21 marzo. “Le foreste sono preziose – prosegue Pichetto – per fronteggiare il dissesto idrogeologico, i cambiamenti climatici e l’inquinamento. Investire sulla conservazione e il ripristino degli ecosistemi forestali significa investire sul nostro futuro”.

Il patrimonio forestale italiano è costituito da circa 9 milioni di ettari. All’interno delle aree protette la superficie forestale è di oltre 3 milioni e 800 mila ettari, nei parchi nazionali è di oltre 250 mila ettari. A livello mondiale, occupa oltre un terzo del territorio, si legge in una nota del Mase.

E in occasione della Giornata internazionale delle foreste, la Commissione Europea ricorda come “le foreste svolgono un ruolo cruciale nella lotta al cambiamento climatico, è fondamentale sostenerne la crescita”. Nella strategia presentata nel luglio del 2021 compare l’obiettivo di piantare tre miliardi di nuovi alberi su tutto il continente entro il 2030 e per questo motivo l’esecutivo comunitario chiama tutti i cittadini all’azione, utilizzando l’applicazione Map My Tree per registrare e monitorare gli alberi piantati. “Foreste sane significano aria e acqua pulite, terreni fertili, un clima regolato. Oggi devono affrontare sfide enormi che la nostra strategia per le Foreste e la nostra legge sul ripristino della natura possono risolvere”, ricorda il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius. “Queste non sono azioni solo per la natura, ma per il nostro futuro”.

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L’aria delle foreste diminuisce l’ansia: lo dice la scienza

L’aria della foresta diminuisce l’ansia, non è solo una suggestione, lo dice la scienza. Una ricerca sperimentale condotta in 39 siti italiani tra montagna, collina e parchi urbani ha permesso di svelare il ruolo dei monoterpeni – componenti profumati degli oli essenziali emessi dalle piante – e di isolarne l’effetto specifico sulla riduzione significativa dei sintomi dell’ansia.
A condurla, un team di ricercatori dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e del Club Alpino Italiano, insieme alle Università di Parma e Firenze, all’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) di Reggio Emilia, e con il sostegno del Centro di riferimento regionale per la fitoterapia (Cerfit) di Firenze: la ricerca è pubblicata sul International Journal of Environmental Research and Public Health.

In base all’analisi di dati ambientali e psicometrici raccolti nel corso delle campagne svolte nel 2021 e nel 2022, è stato individuato e isolato l’effetto specifico dell’esposizione ai monoterpeni – e in particolare ad α-pinene – sulla riduzione significativa dei sintomi di ansia, identificando non solo soglie di esposizione, ma anche la correlazione alla quantità di monoterpeni inalati.
I risultati mostrano che, oltre una data soglia di concentrazione di monoterpeni totali o anche del solo α-pinene, i sintomi di ansia diminuiscono a prescindere da tutti gli altri parametri, sia ambientali che individuali, e poiché questi composti sono emessi dalle piante, possiamo ora assegnare un valore terapeutico specifico a ogni sito verde, anche condizionato alla frequentazione in momenti diversi dell’anno e del giorno”, sottolinea Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe e membro del Comitato scientifico centrale del Cai. “I monoterpeni sono molto più abbondanti nelle foreste remote che nei parchi urbani, sebbene con un notevole grado di variabilità: un prossimo passo sarà mappare e prevedere le relative concentrazioni”.

L’organizzazione della ricerca si è rivelata particolarmente articolata, con centinaia di partecipanti coinvolti in sessioni standardizzate di terapia, condotte in siti di tutta Italia. “Combinando sessioni di terapia forestale condotte da psicologi professionisti con tecniche avanzate di statistica, abbiamo potuto dimostrare che, in certe condizioni, l’aria della foresta è davvero terapeutica: un traguardo importante per la progressiva adozione di pratiche sanitarie verdi”, afferma Federica Zabini di Cnr-Ibe, responsabile Cnr del progetto e supervisore della ricerca.

Abbiamo applicato un metodo statistico avanzato in uso nella ricerca clinica, che ha consentito di creare gruppi di intervento e di controllo perfettamente abbinati: i risultati ci permettono, oggi, di disporre di criteri oggettivi per individuare e qualificare stazioni di Terapia Forestale in grado di consentire prestazioni di livello clinico”, aggiunge Davide Donelli del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Parma e Divisione di cardiologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma. “Poiché è ormai consolidata la connessione tra stati di ansia e rischio cardiovascolare, i risultati ottenuti assumono un valore importante anche in ambito patofisiologico, e quella sarà materia di ulteriori ricerche”.

Lo studio prosegue il filone di ricerca intrapreso nel 2019 relativo alla distribuzione degli oli essenziali emessi dalle piante, che ha portato a numerose pubblicazioni scientifiche e alla realizzazione di due volumi sulla Terapia Forestale, editi dal Cnr, che hanno permesso di sistematizzare le conoscenze ad oggi acquisite in merito a questa disciplina emergente.

Frans Timmermans

L’Ue raggiunge l’accordo: Nuovi obiettivi assorbimento CO2 da suoli e foreste

Mentre a Sharm el-Sheikh l’Ue tratta per alzare le ambizioni globali sul clima, a Bruxelles si fanno passi avanti sulle ambizioni del continente. E’ arrivato nella notte il terzo accordo in Ue nel giro di poche settimane su una delle proposte legislative del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’: i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo hanno raggiunto nella notte l’intesa politica sull’aumento della quota di CO2 assorbita dai suoli e dalle foreste, per contribuire all’obiettivo di riduzione complessivo di emissioni.

Nel pacchetto sul clima presentato a luglio 2021, la Commissione Ue ha proposto una revisione del regolamento sull’uso del suolo, il cambiamento di uso del suolo e la silvicoltura (il regolamento LULUCF, adottato nel 2018) per incoraggiare gli Stati membri ad aumentare i loro “serbatoi naturali” di carbonio in linea con la legge europea sul clima. Secondo le stime, l’Ue assorbe circa 225-265 milioni tonnellate di CO₂ dall’atmosfera, senza un vero e proprio target vincolante a livello europeo. I negoziatori di Consiglio e Parlamento hanno mantenuto l’obiettivo proposto dall’esecutivo europeo di 310 milioni di tonnellate (Mt) di CO₂ equivalenti di assorbimenti netti entro il 2030 nel settore LULUCF, che copre l’uso di suoli, alberi, piante, biomassa e legname.

Le attuali regole secondo cui le emissioni non devono superare gli assorbimenti continueranno ad applicarsi fino al 2025, ma a partire dal 2026 fino al 2030, quando gli assorbimenti dovrebbero superare le emissioni, ciascuno Stato membro avrà un obiettivo nazionale vincolante. L’accordo provvisorio dovrà essere finalizzato rispettivamente da entrambe le istituzioni separatamente. “Abbiamo un nuovo obiettivo per la rimozione del carbonio attraverso la natura. Una volta finalizzato, l’accordo di stasera aiuta ad aprire le porte a un obiettivo climatico più alto“, ha esultato il vicepresidente adatto per il Green Deal, Frans Timmermans.

Secondo i calcoli dell’Eurocamera, realizzare l’obiettivo consentirà di aumentare anche il target generale di riduzione delle emissioni al 2030, portandolo dal 55% fino al 57%. “Dopo l’accordo di ieri sera su un nuovo testo del pacchetto europeo Fit for 55 sull’uso del suolo e sulle foreste si va oltre il 55% fino a sfiorare il 57% di riduzione del carbonio nel 2030”, ha spiegato il presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, Pascal Canfin, dopo l’accordo raggiunto.