Giappone, gaffe sul riso durante un comizio: ministro dell’Agricoltura si dimette

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Il ministro giapponese dell’Agricoltura, Taku Eto, si è dimesso dopo aver dichiarato che non compra mai riso perché lo riceve gratuitamente, una dichiarazione infelice in un momento in cui il prezzo di questo alimento base in Giappone sta aumentando vertiginosamente.

Ho appena presentato le mie dimissioni al primo ministro Shigeru Ishiba”, ha spiegato Eto all’uscita dall’ufficio del capo del governo, che ha immediatamente accettato le dimissioni “per non bloccare la politica agricola“.

Durante un comizio pubblico domenica, il ministro ha dichiarato di non aver “mai comprato riso perché i miei sostenitori me ne danno così tanto che potrei quasi venderlo”. Un’osservazione che ha scioccato l’opinione pubblica in un Paese che sta affrontando un forte aumento dei prezzi dei generi alimentari, in particolare del riso, il cui prezzo è quasi raddoppiato in un anno.

Il governo giapponese ha recentemente dovuto attingere in via eccezionale alle sue riserve strategiche di riso, in particolare a causa dei cattivi raccolti dovuti al caldo nel 2023 e agli acquisti dettati dal panico provocati da un allarme di “mega-terremoto” la scorsa estate. Cercando di giustificarsi, lunedì Eto ha spiegato di aver esagerato e di aver provocato la rabbia di sua moglie. “Mi ha fatto notare che avrebbe comprato del riso quando le nostre scorte fossero finite”, ha cercato di rimediare. Ma le sue scuse non sono bastate a placare le critiche. Junya Ogawa, segretario generale del principale partito di opposizione, il Partito Democratico Costituzionale del Giappone, ha giudicato queste osservazioni “estremamente inappropriate, distanti e intollerabili“. Per sostituirlo, il primo ministro ha nominato Shinjiro Koizumi, ex ministro dell’Ambiente apprezzato dai media e figlio dell’ex primo ministro Junichiro Koizumi. Ishiba ha dichiarato di aspettarsi che Koizumi, 44 anni, affronti attivamente “l’impennata dei prezzi del riso”.

Tajani in India per rafforzare Via del Cotone: Presto a Trieste incontro con Paesi Imec

Nell’attesa di capire le reali intenzioni di Donald Trump con i dazi sui prodotti europei, Antonio Tajani guarda a Est e parte in missione per l’India e il Giappone.

L’obiettivo è incontrate gli imprenditori locali e quelli italiani che hanno deciso di produrre nei due Paesi sui quali l’Italia punta molto per tutelare le esportazioni e compensare eventuali perdite dagli Stati Uniti. Perché nel 2024 Washington è stato il secondo mercato di destinazione dei beni prodotti in Italia, che hanno assorbito il 10,4% dell’export, per 64,8 miliardi. “India e Giappone sono Paesi chiave per la politica estera italiana, soprattutto alla luce degli ottimi rapporti politici, economici ed imprenditoriali”, spiega Tajani, che inserisce entrambi i Paesi fra i mercati extra-Ue da sviluppare del ‘Piano d’azione per l’export italiano’.

A Nuova Delhi, il vicepremier viene ricevuto dalla presidente della Repubblica, Droupadi Murmu e incontra l’omologo Subrahmanyam Jaishankar con il ministro del Commercio e dell’Industria, Shri Piyush Goyal, per co-presiedere un Forum Imprenditoriale, Scientifico e Tecnologico per favorire le relazioni tra le aziende italiane, le agenzie governative e le associazioni industriali indiane al fine di approfondire politiche, obiettivi e progetti nell’ambito scientifico-tecnologico. Transizione energetica, connettività, manifattura avanzata, difesa, sicurezza, turismo, migrazione e mobilità sono alcuni degli ambiti che il ministro punta a promuovere nel periodo 2025-2029.

L’interscambio commerciale tra Italia e India ha totalizzato oltre 14 miliardi di euro nel 2024, con una crescita delle esportazioni italiane che negli ultimi sette anni è stata di oltre il 30%. “Lo spirito della mia missione a Nuova Delhi è imprimere un ulteriore slancio a questi rapporti”, afferma, ricordando che il legame tra i due Paesi risale a tempi antichi: “Oggi, l’Italia e l’India sono più vicine che mai”. Il ministro chiarisce che per rafforzare la Via del Cotone, il corridoio economico europeo indo-italiano, è stato nominato un inviato speciale per l’Imec, l’ambasciatore Francesco Talò. “Guiderà l’Italia in questo importante progetto”, afferma Tajani, che annuncia un incontro a Trieste con tutti i ministri degli Esteri del corridoio, “importante per rafforzare gli scambi commerciali”.

Nello stesso giorno, SolarPower Europe e la National Solar Energy Federation of India firmano un nuovo Memorandum d’intesa per sbloccare la cooperazione nella produzione di energia solare e “costruire catene del valore più diversificate e resilienti”. L’iniziativa servirà a individuare “opportunità commerciali e di finanziamento per progetti manifatturieri e la promozione dello scambio di conoscenze e del rafforzamento delle capacità tra le due regioni”. Per quanto riguarda i quadri normativi, le associazioni si sosterranno a vicenda nell’affrontare le questioni relative all’accesso al mercato delle apparecchiature solari e “faciliteranno gli scambi con i responsabili politici competenti sulle opportunità di supporto ai progetti di cooperazione Ue-India nel settore della produzione di energia solare”. Il protocollo d’intesa riflette gli impegni del partenariato India-Ue per l’energia pulita e il clima, e la recente promessa del presidente Modi e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di approfondire la collaborazione in materia di energia pulita e catene di approvvigionamento.

L’India, osserva Tajani intervenendo al Forum, è un’economia con “un potenziale enorme”: “Per questo siamo qui, vogliamo investire di più, vogliamo esportare di più e vogliamo più investimenti indiani nel nostro Paese, e anche più aziende indiane che lavorano con l’India“.

Nei prossimi giorni, il 13 e 14 aprile, la missione del ministro si sposterà ancora più a Est, a Osaka, per l’inaugurazione del Padiglione italiano all’Expo e per partecipare a iniziative collegate al Piano Export per l’Asia e alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026.

Mattarella in Giappone per riaffermare la solidità della partnership Roma-Tokyo

Una visita per riaffermare la solidità della partnership tra Italia e Giappone. Sergio Mattarella sarà dal 2 al 9 marzo nel Paese del Sol Levante, con tre tappe nel suo programma: Tokyo, Kyoto e Hiroshima. Il viaggio, programmato da tempo ma rinviato più volte per motivi di agenda, sarà il primo da 16 anni di un presidente della Repubblica italiano: l’ultimo fu Giorgio Napolitano nel 2009. E capita in un periodo molto florido, in cui i rapporti bilaterali si sono fortemente intensificati, soprattutto in virtù dell’entrata in vigore, nel gennaio del 2023, dell’accordo di partenariato strategico, poi rafforzato a margine del G7 dei Leader, lo scorso mese di giugno, a Borgo Egnazia.

Questa visita sarà importante in chiave futura, propedeutica all’ampliamento delle prospettive di collaborazione: un aspetto che assume ancora più importanza nella fase storica che vive l’Europa, ma anche Occidente e Asia. La situazione geopolitica è ancora in evoluzione, sia in Ucraina che in Medio Oriente, mentre sul piano economico-finanziario la Spada di Damocle dei dazi annunciati dagli Stati Uniti creano incertezza, con effetti ancora tutti da valutare e verificare. In questo contesto, dunque, rinforzare i legami con la quarta economia mondiale, nonché partner economico di primaria importanza per l’Italia, è un fattore strategico.

Le collaborazioni tra i due Paesi, del resto, sono molto positive e toccano diversi settori: dalla moda al design, all’agroalimentare, l’università e il mondo dell’hi-tech. Inoltre, in Giappone operano circa 150 aziende italiane, mentre in Italia sono presenti 380 imprese giapponesi: quasi 500 realtà imprenditoriali, in complesso, che trovano l’apice nella collaborazione trilaterale che Roma e Tokyo hanno in corso con il Regno Unito per la realizzazione dei caccia di sesta generazione nell’ambito del progetto Global combat air programme (Gcap).

Nel programma di Mattarella martedì 4 marzo è previsto l’incontro con l’imperatore Naruhito, mentre nel pomeriggio sarà a colloquio con lo speaker della Camera dei Rappresentanti prima e, successivamente, con lo Speaker della Camera dei consiglieri. Il giorno successivo, il 5 marzo, il presidente della Repubblica interverrà alla Keidanren, il corrispettivo giapponese della Confindustria italiana, dove incontrerà, oltre ai vertici dell’associazione, anche delegazioni delle aziende nipponiche e, ovviamente, di quelle del nostro Paese, con Leonardo che ha il compito di guidare l’Italy Japan Business Group. Nel pomeriggio, poi, il capo dello Stato sarà ricevuto alla Kantei dal primo ministro, Fumio Kishida.

Giovedì 6 marzo Mattarella si trasferirà a Kyoto, utilizzando i famosi Shinkansen, i treni ultraveloci della flotta del trasporto giapponese. Questa tappa avrà un carattere principalmente culturale, con le visite al Tempio e al giardino Nanzen-ji e, il giorno dopo, 7 marzo, al Padiglione d’oro Kinkaku-ji, al tempio buddista Kiyomizu-dera e al teatro di Kabuki Minami-za. La parte finale della visita si svolgerà a Hiroshima, dove l’8 marzo il presidente della Repubblica deporrà una corona di fiori al Memoriale della Pace, prima di visitare il Museo e successivamente incontrare, presso la sede della Nihon Hidankyo, l’associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari, un gruppo di “hibakusha”, ovvero i sopravvissuti, oltre a esponenti della Nihon Hidankyo. La domenica 9 marzo, infine, il rientro in Italia dopo aver visitato il santuario shintoista Itsukushima.

Fukushima

Clima, il Giappone punta a ridurre le emissioni del 60% entro il 2035 rispetto al 2013

Il Giappone si è impegnato a ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2035 rispetto al 2013, nell’ambito di un piano climatico con obiettivi ambiziosi, accompagnato da una revisione della strategia energetica. La quarta economia mondiale, ancora molto dipendente dai combustibili fossili e accusata di avere il mix energetico più inquinante tra le potenze del G7, si è già posta l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

L’impegno annunciato oggi fa parte del nuovo “contributo determinato a livello nazionale” (NDC) che Tokyo, come tutti i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, avrebbe dovuto presentare all’Onu entro il 10 febbraio. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo dieci dei quasi 200 paesi interessati lo hanno fatto in tempo.

L’obiettivo deve essere raggiunto nel corso dell’esercizio finanziario giapponese 2035, che si concluderà alla fine di marzo 2036. L’arcipelago mira inoltre a ridurre le proprie emissioni del 73% entro il 2040, sempre rispetto al 2013, ha precisato il Ministero giapponese dell’Ambiente. “Questi ambiziosi obiettivi sono in linea con l’obiettivo globale” previsto dall’Accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale a meno di 1,5°C rispetto all’era preindustriale, e rientrano nella prospettiva della “neutralità carbonica”, ha sottolineato il ministero.

Nel suo precedente contributo nazionale presentato all’Onu nel marzo 2020, il Giappone si era impegnato a ridurre le proprie emissioni solo del 26% entro il 2030, suscitando aspre critiche da parte di Ong ed esperti del clima. Di conseguenza, un piano più ambizioso, presentato nell’ottobre 2021, ha fissato un obiettivo di riduzione del 46% entro il 2030 rispetto al 2013.

Il nuovo obiettivo “è una grande opportunità mancata per mostrare al mondo la leadership del Giappone nella lotta contro il cambiamento climatico”, ha spiegato all’AFP Masayoshi Iyoda, responsabile per il Giappone dell’Ong ambientalista 350.org. “Gli scienziati hanno avvertito che il Giappone deve ridurre le sue emissioni dell’81% entro il 2035 per allinearsi all’ obiettivo di 1,5 °C. Il primo ministro Shigeru Ishiba ha ceduto alle pressioni dell’industria, che deve molto agli interessi dei combustibili fossili”, si è rammaricato, denunciando “un grave fallimento per una transizione verso un futuro di energia rinnovabile giusto ed equo”.

Le sfide per il Giappone sono enormi. Nel 2023, quasi il 70% del suo fabbisogno di elettricità era soddisfatto da centrali termiche a carbone e idrocarburi. Le importazioni di combustibili fossili, pari al 23% delle importazioni totali del Giappone, costano al Paese l’equivalente di circa 470 milioni di dollari al giorno, secondo i dati doganali giapponesi per il 2024. Per porre rimedio a questa situazione, il governo di Shigeru Ishiba ha annunciato a metà dicembre un progetto preliminare volto a rendere le energie rinnovabili la prima fonte di elettricità del paese entro il 2040, aumentando al contempo il ricorso al nucleare.

Tanto più che Tokyo punta a un aumento del 10-20% della produzione di elettricità del Paese entro il 2040, rispetto al 2023, a fronte di una domanda crescente legata in particolare all’intelligenza artificiale (IA) e alla produzione di semiconduttori. Questo ‘Piano strategico energetico’ è stato perfezionato e dettagliato martedì. Entro il 2040, secondo gli obiettivi adottati, le centrali termiche dovranno rappresentare solo tra il 30 e il 40% del mix elettrico giapponese. Al contrario, la quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità sarà aumentata fino a raggiungere il 40-50%, rispetto al solo 23% nel 2023. L’obiettivo precedentemente fissato era del 38%. Il contributo del solare al mix elettrico dovrebbe salire al 23-29% entro il 2040, quello dell’eolico al 4-8% e quello dell’idroelettrico all’8-10%, secondo le fasce dettagliate.

Inoltre, il nucleare dovrebbe rappresentare il 20% della produzione elettrica entro il 2040, più o meno l’obiettivo già fissato per il 2030, ma al di sotto del 30% che il nucleare civile rappresentava prima del 2011. Quattordici anni dopo la catastrofe di Fukushima, il Giappone vuole che l’energia nucleare svolga un ruolo importante nel soddisfare il crescente fabbisogno energetico. Il governo aveva chiuso tutte le centrali nucleari dell’arcipelago dopo questa tripla catastrofe (terremoto, tsunami, incidente nucleare) ma le ha gradualmente rimesse in funzione, nonostante le proteste, e prevede che tutti i suoi reattori esistenti saranno attivi entro il 2040.

Al via la tassa d’accesso al Monte Fuji: escursionisti favorevoli

Entra in vigore oggi l’introduzione di una tassa d’accesso e di quote per scalare il Monte Fuji, un’operazione accolta con favore dagli escursionisti che stanno iniziando la stagione estiva sul famoso vulcano giapponese. Nonostante il vento che spazza i pendii e il cielo coperto, i turisti continuano ad affollare il sentiero Yoshida, raggiungibile in autobus. Una novità della stagione 2024 è la presenza di biglietterie dove gli escursionisti possono pagare una quota per raggiungere la cima della montagna.

Mi piace molto questa idea. Penso che il Giappone abbia fatto un buon lavoro nell’imporre restrizioni per limitare il numero di persone. E la somma non è molto alta“, ha dichiarato all’AFP Chetna Joshi, un escursionista indiano di 47 anni. Per percorrere il sentiero Yoshida, il più popolare dei quattro che conducono alla vetta del Monte Fuji (3.776 m), è ora richiesta una tassa di 2.000 yen (11,50 euro) ed è consentito un numero massimo di 4.000 persone al giorno. Tremila pass possono essere ottenuti ogni giorno tramite un sito di prenotazione online, e i restanti 1.000 sono disponibili in loco il giorno stesso. D’altra parte, gli altri tre sentieri, utilizzati dal 40% degli escursionisti, rimangono liberi di essere utilizzati.

Coperto di neve per la maggior parte dell’anno, il Monte Fuji, immortalato da Hokusai e situato a circa due ore da Tokyo in treno o in autobus, attira più di 220.000 visitatori durante la stagione escursionistica da luglio a settembre. David Grosshode, un escursionista americano, non ha nulla contro queste misure. “Ci sono molte montagne dove vivo e hanno introdotto un tetto di 100-120 (scalatori), quindi 4.000 è ancora molto. Ma si vede che hanno le infrastrutture necessarie per preservare la natura. Penso che anche il prezzo d’ingresso non sia male, proprio per preservare la natura“, spiega il 35enne.

Le nuove misure sono state introdotte “innanzitutto per proteggere la vita” degli escursionisti, ma non per impedire loro di venire, come ha spiegato recentemente il governatore della prefettura di Yamanashi, Kotaro Nagasaki. La scorsa settimana sono stati trovati quattro corpi vicino alla vetta, secondo i media locali. Ogni anno, i media giapponesi riferiscono di turisti che scalano il Monte Fuji senza l’equipaggiamento adeguato. “A volte mi sento a disagio a causa della folla. E per la sicurezza delle persone, penso che sia una buona idea limitare il numero massimo di persone consentite in un’area specifica“, dice Sylvain Wagner, un turista francese di 32 anni con un berretto avvitato sulla testa.

L’anno scorso, il Giappone ha attirato più di 25 milioni di turisti stranieri e il mese scorso il suo capo del turismo ha presentato un obiettivo ambizioso di 60 milioni di visitatori all’anno. A marzo, il Giappone ha superato il traguardo dei tre milioni per la prima volta nella sua storia. Questo livello è stato nuovamente raggiunto in aprile e maggio. L’eccesso di turismo a volte costringe le autorità locali a prendere misure radicali. Un esempio è la città di Fujikawaguchiko, vicino al Monte Fuji, che a maggio ha eretto un grande telone che oscurava una vista popolare del vulcano per scoraggiare i turisti a scattare fotografie. I residenti della città erano stufi dell’inciviltà dei visitatori alla ricerca di una foto da condividere sui social network.

Non ci sono teloni sulle pendici del Monte Fuji, e chiaramente non è il diritto di accesso che impedirà agli escursionisti di realizzare il loro sogno. L’unico ostacolo è il cielo. Come è successo lunedì con gli elementi naturali, il vento e la pioggia, che hanno fatto crollare molte speranze di raggiungere la vetta. “Amo la montagna. Non credo che questa volta mi abbia dato il permesso, ma va bene così. Lo accetto“, ha spiegato l’indiana Chetna Joshi, comunque felice di aver vissuto una “grande esperienza“.

G7, passaggio di consegne Meloni-Kishida. La premier: “Da Giappone lavoro immenso”

Passaggio di consegne sulla guida del G7 a Tokyo, tra Giorgia Meloni e Fumio Kishida. La collaborazione tra i due Paesi c’è e crescerà, assicurano entrambi, con alcuni focus molto precisi.
L’intelligenza artificiale, innanzitutto. Ma anche lo spazio, i semiconduttori, l’energia.

Il Giappone è “una nazione amica con cui l’Italia sta lavorando con grandissima sintonia a 360 gradi“, scandisce la presidente del Consiglio. Parla di una “convergenza strategica bilaterale e multilaterale sul G7” e garantisce che darà “continuità ai temi al centro della presidenza nipponica“, perché “l’immenso lavoro svolto da Tokyo lo scorso anno ha posto l’accento su tematiche importanti“. L‘interscambio commerciale tra Italia e Giappone è di oltre 15 miliardi euro, cresciuto del 15 per cento.

La premier parla anche di automotive con i Ceo di alcune case automobilistiche e, sollecitata, non si sottrae al battibecco a distanza con Carlos Tavares. Confessa di non aver letto l’intervista completa del ceo di Stellantis, ma di trovare “bizzarre” alcune sue dichiarazioni. “Il rapporto deve essere equilibrato. Penso che l’Ad di una grande azienda non pensi che gli incentivi di uno Stato possano essere rivolti a una azienda nello specifico e che si sappia che abbiamo investito un miliardo di euro circa sugli incentivi. Mi è apparso bizzarro. Se si ritiene che produrre in altre nazioni sia meglio va bene, ma non mi si dica che l’auto prodotta è italiana e la si venda come italiana“, affonda.

Quanto al Giappone, l’obiettivo per i prossimi anni è quello di “sostenere questo importante rilancio“. Meloni pensa anche al rafforzamento dei partenariati industriali soprattutto nei settori ad alta tecnologia e all’attuazione di progetti congiunti di ricerca scientifica.

Il G7 italiano, assicura la premier, terrà alta l’attenzione sulla regione, ma anche all‘Expo di Osaka 2025, scandisce la premier, “intendiamo dare un grande contributo, all’altezza dello spirito di amicizia e cooperazione che stiamo vivendo“.

L’anno scorso la Presidenza giapponese del G7 “ha fatto un lavoro straordinario nel richiamare l’attenzione su una tecnologia che può generare grandi opportunità, ma può anche nascondere enormi rischi per le nostre società”, dichiara Meloni al quotidiano Yomiuri Shimbun. Perché, teme, “siamo di fronte alla reale possibilità che molte professioni, anche altamente qualificate, vengano rapidamente sostituite da algoritmi, causando crisi sociali e contribuendo ad ampliare il divario tra ricchi e poveri, spazzando potenzialmente la classe media”. Per questo, “da parte nostra, svilupperemo ulteriormente questo lavoro per garantire che l’IA sia incentrata sull’uomo e controllata dall’uomo, tenendo conto dei principi etici fondamentali dell’umanità”.

Oltre al vertice del G7 che si terrà in Puglia dal 13 al 15 giugno, la Presidenza italiana “prevede un intenso calendario di incontri ed eventi istituzionali“, ricorda la premier. L’Italia ospiterà 20 incontri ministeriali, affrontando questioni di grande importanza. Verrà confermato il sostegno all’Ucraina. Poi si parlerà del conflitto in Medio Oriente e delle relazioni con i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti, con un focus particolare sull’Indo-Pacifico e sull’Africa, a cui, afferma, “ho dedicato il primo evento internazionale di quest’anno, anche in vista del nostro Piano globale per l’Africa”.

Rispondendo a una domanda sull’addio alla Via della Seta ribadisce che “il Memorandum sulla Belt and Road Initiative è stato firmato da un governo precedente, in un contesto internazionale diverso, e non ha creato i benefici sperati”. La decisione di non prorogare l’accordo, chiarisce, è accompagnata da quella di “reindirizzare la collaborazione con Pechino verso strumenti più specifici e idonei a raggiungere migliori risultati economici per entrambi, perseguendo le nostre priorità e favorendo uno sviluppo costruttivo dei rapporti tra Italia e Cina. Ciò senza l’ampia condivisione strategica che comporta l’appartenenza alla Belt and Road Initiative”.

In Europa “in questi mesi il governo ha giocato un ruolo chiave a Bruxelles, facendo sentire con autorevolezza la voce dell’Italia e contribuendo al dibattito sui grandi temi“, ribadisce la premier rivendicando la “svolta culturale” con cui gli altri Stati e le istituzioni Ue hanno “progressivamente condiviso” la posizione italiana sulla gestione del fenomeno migratorio “privilegiando la dimensione esterna come modalità per limitare le partenze”.

Sorpasso in Asia: la Cina ha superato il Giappone come primo esportatore di auto nel 2023

Grazie alla sua armata di produttori di veicoli elettrici, lo scorso anno la Cina ha superato il Giappone come primo esportatore di automobili al mondo, come confermano i dati pubblicati mercoledì dalla Japan Automobile Manufacturers Association (Jama). I produttori giapponesi hanno esportato 4,42 milioni di auto, camion e autobus nel 2023 (+16%), mentre le esportazioni di auto cinesi sono state 4,91 milioni lo scorso anno (+57,9%) secondo la China Association of Automobile Manufacturers (CAAM), e 5,22 milioni secondo le dogane cinesi (+57%), secondo i dati pubblicati all’inizio del mese.

La conquista del titolo da parte della Cina a scapito del Giappone si profilava da diversi mesi. Il Giappone era il primo esportatore di auto al mondo dal 2017.

Tuttavia, l’importanza di questo cambiamento deve essere messa in prospettiva, poiché i produttori giapponesi producono il doppio dei veicoli nei loro stabilimenti all’estero (17 milioni di unità entro il 2022) rispetto a quelli prodotti nel Paese asiatico. I produttori cinesi, invece, hanno ancora pochi stabilimenti all’estero.

Questa tendenza è destinata a cambiare: il leader cinese di auto elettriche BYD – che nel quarto trimestre del 2023 è diventato il primo produttore di auto elettriche al mondo davanti all’americana Tesla – sta rapidamente espandendo la propria produzione anche all’estero. A fine dicembre, ad esempio, BYD ha annunciato la costruzione di uno stabilimento in Ungheria per puntare al mercato europeo e ha progetti simili anche in altre parti del mondo, dal Sud-Est asiatico al Brasile.

Lo scorso settembre, la Commissione europea ha aperto un’indagine su presunti sussidi illegali di Pechino ai produttori cinesi di veicoli elettrici, accusati di concorrenza sleale dall’industria automobilistica europea. Qualche mese fa, l’analista di Clsa Christopher Richter ha spiegato che la spettacolare impennata delle esportazioni di auto cinesi “sta portando a tensioni commerciali” che ricordano quelle tra i Paesi occidentali e il Giappone negli anni Ottanta. A suo avviso, l’attuale situazione dell’industria automobilistica cinese è insostenibile anche nel medio termine, in quanto i suoi costruttori saranno costretti a produrre su scala massiccia nei loro mercati esteri, come hanno fatto i giapponesi dagli anni ’80 in poi.

Il Giappone conta le vittime dopo il sisma di magnitudo 7.6: oltre 50 morti

In Giappone è corsa contro il tempo per trovare i sopravvissuti dopo il terremoto che lunedì ha devastato la penisola di Noto, nel centro del Paese, causando oltre 50 morti secondo l’ultimo bilancio provvisorio. Le autorità della prefettura di Ishikawa, che comprende la penisola di Noto, hanno dichiarato che almeno 50 persone sono morte, 14 sono rimaste gravemente ferite e “molte” sono leggermente ferite. “È stata una scossa fortissima“, ha dichiarato all’AFP Tsugumasa Mihara, 73 anni, mentre faceva la fila con centinaia di altri residenti di Shika, una piccola città sulla penisola di Noto, per ritirare le taniche di acqua potabile dal municipio. “Che modo terribile di iniziare l’anno“, ha aggiunto.

Il terremoto principale, che si è verificato alle 16.10 locali di lunedì ed è stato solo una delle oltre 150 forti scosse avvertite fino a martedì mattina, è stato registrato con una magnitudo di 7.5 dall’Istituto geofisico statunitense (USGS) e di 7.6 dall’Agenzia meteorologica giapponese (JMA). Il sisma, che è stato avvertito fino a Tokyo, a 320 km in linea d’aria da Noto, ha causato anche immensi danni materiali e uno tsunami lunedì sulle coste del Mar del Giappone, che alla fine è rimasto contenuto, con onde misurate fino a 1,2 metri. Il livello di rischio tsunami, che inizialmente aveva fatto scattare una rara allerta massima da parte della JMA, è stato successivamente declassato e poi definitivamente revocato alle 10:00 (01:00 GMT) di martedì dalla stessa agenzia.

L’entità della distruzione è apparsa chiara al sorgere del sole di martedì: ovunque, vecchie case ed edifici erano crollati, le strade erano spaccate, le barche da pesca si erano rovesciate o incagliate e gli incendi bruciavano ancora tra le rovine fumanti. I terremoti hanno fatto “molte vittime” e causato ingenti danni materiali, ha dichiarato martedì il primo ministro giapponese Fumio Kishida. “Dobbiamo correre contro il tempo” per salvare vite umane, ha aggiunto. In particolare, un vasto incendio ha distrutto parte del centro di Wajima, un piccolo porto storico nel nord della penisola di Noto, rinomato per l’artigianato della lacca. Anche un edificio commerciale di sei piani è crollato a causa del terremoto. “Resistete! Resistete!“, gridano i vigili del fuoco mentre strisciano tra le macerie usando una sega elettrica.

I vigili del fuoco sono stati sopraffatti, ha dichiarato martedì all’AFP un funzionario dei servizi di emergenza di Wajima. “Stiamo affrontando diversi incendi” e il numero di chiamate di emergenza e di segnalazioni di danni continua ad aumentare, ha detto. Martedì più di 32.000 case sono rimaste senza elettricità e molte città della prefettura di Ishikawa non avevano più accesso all’acqua potabile. Più di 60.000 residenti avevano ricevuto istruzioni di evacuazione lunedì, secondo l’agenzia nazionale per la gestione degli incendi e dei disastri. Un migliaio di soldati delle Forze di autodifesa giapponesi (SDF), oltre a più di 2.000 vigili del fuoco e circa 630 agenti di polizia sono arrivati nelle aree colpite come rinforzo, ha dichiarato martedì Kishida. Lunedì, il Primo Ministro ha anche annunciato che beni di prima necessità come acqua potabile, cibo, coperte, benzina e olio combustibile sarebbero stati inviati per via aerea o navale.

A causa del disastro, i tradizionali auguri pubblici di Capodanno dell’imperatore giapponese Naruhito e della sua famiglia, previsti per martedì a Tokyo, sono stati cancellati. Diverse autostrade danneggiate sono state chiuse al traffico e la circolazione dei treni ad alta velocità (shinkansen) tra Tokyo e Ishikawa, sospesa da lunedì, dovrebbe riprendere martedì pomeriggio.

Indirettamente, il sisma ha causato un’altra tragedia all’aeroporto di Tokyo-Haneda, con la morte di cinque persone nel tardo pomeriggio a causa di una collisione a terra tra un aereo della guardia costiera giapponese, che portava aiuti, e un altro di linea della Japan Airlines. “Il comandante (dell’aereo della guardia costiera, ndr) è riuscito a scappare” ma le altre cinque persone a bordo “sono morte”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Tetsuo Saito. Tutti i 379 passeggeri e membri dell’equipaggio dell’aereo JAL516 della Japan Airlines hanno potuto essere evacuati “sani e salvi”, ha aggiunto il ministro.

Situato sull’Anello di Fuoco del Pacifico, il Giappone è uno dei Paesi più a rischio di terremoti al mondo. Di conseguenza, l’arcipelago applica standard edilizi estremamente severi, tanto che gli edifici moderni resistono generalmente a terremoti potenti, ma le vecchie case molto meno. Il Giappone è tormentato dal ricordo del terribile terremoto di magnitudo 9.0 seguito da un gigantesco tsunami nel marzo 2011 sulla costa nord-orientale del Paese, un disastro che ha causato circa 20.000 morti o dispersi. Questo disastro ha portato la mente anche all’incidente nucleare di Fukushima, il peggiore dopo quello di Chernobyl nel 1986. Lunedì, l’autorità giapponese per la sicurezza nucleare (NRA) ha dichiarato che “non sono state rilevate anomalie” nelle centrali nucleari del Paese.

Giappone, iniziata la seconda fase di scarico delle acque di Fukushima

La seconda fase dello scarico in mare delle acque trattate dalla centrale nucleare giapponese di Fukushima è iniziata questa mattina.
Il Giappone ha iniziato a scaricare nell’Oceano Pacifico l’acqua utilizzata per raffreddare i nuclei dei tre reattori della centrale di Fukushima Daiichi, che si sono fusi dopo lo tsunami del 2011, il 24 agosto scorso.

Quest’acqua, che proviene anche dalle falde acquifere e dalla pioggia, è stata conservata a lungo in enormi serbatoi nel sito della centrale e trattata per liberarla dalle sostanze radioattive, ad eccezione del trizio che, secondo gli esperti, è pericoloso solo in dosi concentrate molto elevate.

La Tepco diluisce molto l’acqua triziata con acqua di mare prima di scaricarla nell’oceano, per garantire che il suo livello di radioattività non superi il limite di 1.500 Bq/L. Il limite è 40 volte inferiore allo standard giapponese per questo tipo di scarico in mare ed è anche quasi sette volte inferiore al limite fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’acqua potabile (10.000 Bq/L). Lo scarico in mare è stato approvato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Ma l’avvio del processo ha scatenato una crisi diplomatica tra il Giappone e la Cina, che alla fine di agosto ha sospeso tutte le importazioni di prodotti ittici giapponesi.

La Russia, le cui relazioni con il Giappone sono state messe a dura prova anche dalle sanzioni imposte da Tokyo contro Mosca dall’inizio della guerra in Ucraina, starebbe valutando di fare lo stesso. “Come per il primo rilascio, continueremo a monitorare i livelli di trizio. Continueremo a informare il pubblico in modo chiaro e comprensibile, sulla base di prove scientifiche”, ha dichiarato la scorsa settimana un funzionario della Tepco alla stampa.

Durante la prima fase, durata 17 giorni, sono stati scaricati in totale circa 7.800 m3 di acqua triziata. La Tepco ha pianificato altre tre operazioni simili fino alla fine di marzo 2024. In totale, il Giappone prevede di scaricare nell’Oceano Pacifico oltre 1,3 milioni di m3 di acqua triziata proveniente da Fukushima – l’equivalente di 540 piscine olimpioniche – ma in modo estremamente graduale, fino all’inizio del 2050, secondo il programma attuale.

Giappone, al via rilascio nell’Oceano acque di Fukushima. Pechino vieta import pesce

Come preannunciato il Giappone ha iniziato a scaricare in mare l’acqua della centrale nucleare di Fukushima, nonostante le preoccupazioni dei pescatori e la forte opposizione di Pechino, che ha immediatamente inasprito le restrizioni commerciali nei confronti di Tokyo. La Cina ha infatti denunciato l’azione “egoistica e irresponsabile”, sospendendo tutte le importazioni di prodotti ittici giapponesi, per motivi di “sicurezza alimentare”. Un allarme che le autorità nipponiche respingono ribadendo la non pericolosità, sia ambientale sia per l’uomo, del progetto, supportate anche dal via libera dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).

Lo scarico nell’Oceano Pacifico è stato avviato poco dopo le 13 ora giapponese (le 6 in Italia) da Tepco, il gestore dell’impianto. Questa prima fuoriuscita dovrebbe durare circa 17 giorni e riguardare circa 7.800 m3 di acqua contenente trizio, una sostanza radioattiva pericolosa solo in dosi altamente concentrate. Tepco prevede altri tre sversamenti entro la fine di marzo, per volumi equivalenti. In totale, il Giappone prevede di sversare più di 1,3 milioni di m3 di acque reflue immagazzinate finora presso il sito dell’impianto di Fukushima Daiichi, dall’acqua piovana, dalle falde acquifere e dalle iniezioni necessarie per raffreddare i nuclei dei reattori andati in fusione dopo lo tsunami del marzo 2011 che devastò il nord-est costa del paese. Questo processo sarà molto graduale – dovrebbe durare fino al 2050 – e il contenuto di acqua triziata negli scarichi giornalieri in mare non supererà i 500 m3, assicurano da Tokyo. L’acqua è infatti stata preventivamente filtrata per rimuovere la maggior parte delle sostanze radioattive, ad eccezione del trizio. Il Giappone prevede di scaricare preventivamente quest’acqua con una diluizione significativa, in modo che il suo livello di radioattività non superi i 1.500 becquerel (Bq) per litro. Il livello è 40 volte inferiore allo standard nazionale giapponese per l’acqua triziata allineato allo standard internazionale (60.000 Bq/litro), ed è anche circa sette volte inferiore al tetto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’acqua potabile ( 10.000 Bq/litro).

Anche l’Aiea ha confermato: “La concentrazione di trizio è ben al di sotto del limite operativo di 1.500 becquerel per litro“. Gli esperti dell’Agenzia presenti a Fukushima questa settimana hanno prelevato campioni dell’acqua preparata per la prima fuoriuscita e li hanno analizzati in modo indipendente. La stessa Aiea aveva dato il via libera al progetto a luglio, perché avrà un “impatto radiologico trascurabile sulla popolazione e sull’ambiente”.

Ma molti vedono le cose in modo diverso. Soprattutto i pescatori giapponesi temono un impatto sull’immagine e sulle vendite dei loro prodotti, già avvertito dalle restrizioni cinesi adottate a luglio. A luglio, infatti, Pechino aveva già vietato l’importazione di cibo da dieci contee giapponesi, tra cui Fukushima, e anche Hong Kong e Macao avevano adottato misure simili all’inizio di questa settimana. L’anno scorso la Cina è stata il primo mercato di esportazione per la pesca giapponese. Scaricare acqua triziata in mare è, tuttavia, una pratica comune nell’industria nucleare in tutto il mondo, e il livello annuale di radioattività derivante da tali rilasci dalle centrali nucleari cinesi è molto più alto di quanto previsto a Fukushima. Gli analisti sostengono che la linea dura di Pechino sia molto probabilmente legata anche alle già tese relazioni sino-giapponesi su molte questioni economiche e geopolitiche.

Altri governi dei paesi dell’Asia-Pacifico con migliori relazioni con il Giappone, come Corea del Sud, Taiwan, Australia, Fiji e Isole Cook, hanno infatti espresso la loro fiducia nella sicurezza del processo di rilascio monitorato dall’Aiea. In Corea del Sud, però, si registrano proteste contro il rifiuto: oltre 10 persone sono state arrestate a Seul per aver tentato di entrare nell’ambasciata giapponese. In Giappone, segno di una certa rassegnazione della popolazione sull’argomento, una manifestazione di protesta questa mattina vicino alla centrale elettrica di Fukushima Daiichi ha riunito solo nove persone.