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Agli italiani piace green: nel 2021 hanno speso 2,6 mld in cosmetici naturali

Oltre 10 miliardi di euro. È quanto hanno speso nel 2021 gli italiani per acquistare prodotti cosmetici, circa l’8,8% in più rispetto all’anno precedente, facendo salire l’Italia al terzo posto del podio europeo, dopo Germania e Francia. Ma crescono anche la produzione (+10%), che supera gli 11,8 miliardi di euro, l’export (+14%) e la bilancia commerciale, che scavalca i 2,7 miliardi euro. I dati sono contenuti nel rapporto annuale del centro studi di Cosmetica Italia, la ‘voce’ dell’industria cosmetica nazionale. Dalle multinazionali alle piccole e medie realtà produttive e distributive collocate sull’intero territorio nazionale, l’associazione conta oggi tra le sue fila oltre 630 aziende. I dati “confermano la salute di un comparto che ha ribadito la sua capacità non solo di resilienza alla crisi economica, ma soprattutto di reattività e di adeguamento alle nuove prospettive di acquisto da parte dei consumatori sia italiani che esteri”.

In questo quadro di crescita, una spinta forte arriva anche dal mondo dei cosmetici ‘green’, anche se la definizione corretta, come ricorda Cosmetica Italia, è quella di cosmetici a connotazione naturale/biologici e cosmetici sostenibili. Nel primo gruppo rientrano i prodotti che indicano la presenza di un alto numero di ingredienti biologici o di origine naturale; nel secondo, invece, quelli che comunicano la loro connotazione di sostenibilità ambientale/green in ambiti che possono riguardare tutto il suo ciclo di vita o le politiche corporate dell’impresa verso la sostenibilità. Complessivamente queste due categorie insieme nel 2021 hanno generato un mercato pari a 2,6 miliardi di euro, facendo registrare un aumento del 12,6% rispetto al 2019, anche se i consumatori italiani hanno preferito quelli sostenibili (1,49 miliardi di euro, +16,4% sul 2019) a quelli a connotazione naturale/biologici (1,15 miliardi di euro, +8,1% sul 2019). “Sicuramente – spiega Cosmetica Italia – la curva matura della naturalità ha saturato il mercato, mentre il tema legato alla sostenibilità ha ancora ampi margini di crescita in termini di narrazione e coinvolgimento attivo dei consumatori”.

Come ricorda a GEA Gian Andrea Positano, responsabile del Centro studi Cosmetica Italia, inoltre, “nel 2021 nel mondo sono stati lanciati circa 94.000 nuovi cosmetici. Di questi, il 44% è rappresentato da quelli a connotazione naturale e il 56% da quelli a connotazione sostenibile”. In Italia i nuovi lanci sono stati 1800: il 42% riguarda prodotti naturali, il 58% quelli sostenibili.

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Raggiungere net zero è la sfida più grande per le aziende

La più grande sfida mai affrontata dalle aziende”. Sembra il titolo di una campagna promozionale o di un libro, ma è in realtà la riflessione di 7 manager su 10 in merito alla gestione della transizione verso le zero emissioni nette. Lo rivela un nuovo studio commissionato da Castrol ‘The sharp end of sustainability’, che ha coinvolto oltre 2.860 dirigenti aziendali e professionisti in 14 mercati, per scoprire in che modo i settori automotive, industriale, manifatturiero e marittimo si stiano approcciando alla vera e propria transizione green. Per queste aziende, lo studio suggerisce che la sostenibilità sarà fondamentale per il successo commerciale: oltre tre quarti dei dirigenti (76%) e il 68% dei professionisti interpellati affermano che migliorare la sostenibilità dell’azienda sia fondamentale per rispondere alle esigenze dei clienti. Più in generale, il 71% dei dirigenti aziendali e il 62% degli operatori professionali ritengono che raggiungere quota zero emissioni “sarà la sfida più grande” che le rispettive aziende devono affrontare.

Mentre il mondo collabora alla creazione di un’economia più sostenibile, tutte le aziende, i nostri clienti e i nostri fornitori, hanno un ruolo da svolgere. Entrare in contatto con più organizzazioni, creare relazioni fra i settori e condividere competenze nelle nostre reti ci aiuterà a progredire tutti insieme”, ha commentato Rachel Bradley, direttrice globale della sostenibilità in Castrol (azienda del gruppo Bp che punta al net zero entro il 2050).

Lo studio ha individuato cinque priorità legate alla strategia sulla sostenibilità: efficienza, gestione dati, azioni anti spreco, partecipazione e condivisione dei temi, leadership. Quasi tre quarti (72%) degli esperti consultati, in particolare, afferma che il modo più efficace per ridurre le emissioni di CO2 è “migliorare l’efficienza energetica della propria organizzazione”, considerando quindi l’efficace manutenzione delle apparecchiature, i miglioramenti tecnici (inclusi upgrade e modifiche) e l’adozione di nuove tecnologie (secondo il 59% degli intervistati gli investimenti in innovazione saranno “un aspetto chiave di qualsiasi strategia mirata alla riduzione delle emissioni”).

Il 76% dei dirigenti aziendali ritiene poi che le proprie aziende “debbano migliorare nella gestione dei dati per individuare le aree su cui è opportuno concentrarsi per migliorare la sostenibilità”, mentre l’82% ritiene che “la propria organizzazione possa utilizzare meglio i dati a sua disposizione per il medesimo scopo”. Dai dati alla comunicazione interna: gli interpellati dallo studio Castrol spiegano che in media solo il 40% dei propri dipendenti comprenda la strategia di sostenibilità aziendale, mentre il 46% degli operatori professionali ritiene che la stessa “non venga effettivamente messa in atto dall’organizzazione”. Un ruolo fondamentale è costituito inoltre dalle cosiddette buone pratiche ecologiche: il 63% e il 61% dei manager ha imposto rispettivamente obiettivi di riduzione dei rifiuti e del consumo idrico. Quanto ai professionisti, la quota si abbassa, ma non di molto: il 58% considera importanti per la propria azienda” gli obiettivi di diminuzione rifiuti ma solo il 43% afferma che lo sono anche quelli di contrazione del consumo idrico.

Chiave di volta dell’intero studio sembra però essere il discorso sulla leadership: se il 64% dei manager abbiano affermato che la sostenibilità “è al centro di tutto ciò che fa la loro azienda”, dal lato dei professionisti emerge che l’assenza di leadership e visione “stia pregiudicando il processo”. Il mancato supporto alla sostenibilità da parte della dirigenza (indicato dal 48% degli operatori professionali), l’assenza di obiettivi chiari (48%), la mancanza di una strategia aziendale precisa per garantire la sostenibilità (48%) e la mancanza di visione da parte dei dirigenti (47%) sono risultati essere gli ostacoli principali al raggiungimento dei target di sostenibilità in azienda.

Zdeněk Hřib

Hřib: “La mia Praga green tra alberi, trasporto verde e pannelli solari”

Non c’è tempo da perdere, e l’intera Unione europea deve agire senza esitazione”. Zdeněk Hřib avverte il senso di urgenza. Il sindaco di Praga rilancia con forza l’agenda sostenibile dell’Ue, che è anche l’agenda della sua città, oggi anche ‘capitale d’Europa’ visto che la Repubblica ceca detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. “L’aggressione russa e la conseguente perturbazione del mercato energetico mondiale hanno solo messo in evidenza la necessità di trasformare il sistema energetico dell’Ue e porre fine alla sua dipendenza dai combustibili fossili, in particolare dal gas proveniente dalla Russia, per affrontare la crisi climatica”.

Indietro non si torna, quindi. Semmai, si va avanti più spediti che mai, come sta facendo l’amministrazione comunale. Nell’intervista concessa a Gea spiega che già nel 2019 è stato adottato un piano per il clima. L’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Per tradurre tutto questo in pratica grande attenzione è stata messa sulla mobilità sostenibile e l’elettrificazione del settore dei trasporti pubblici attraverso veicoli elettrici, biometano o varie forme di trasporto non motorizzato. “Tutto questo è al centro della transizione di Praga verso l’economia verde, tiene a sottolineare. Ricorda in particolare “l’espansione record delle linee tranviarie”, i lavori della quarta linea della metropolitana, che sarà in funzione “entro la fine del 2022”, a cui si aggiungono “altri progetti del valore di 300 milioni di euro per i prossimi cinque anni”. E poi c’è il rinverdimento urbano. Tra il 2018 e il 2022 la città di Praga ha piantato oltre 500 mila alberi, e “stiamo pianificando di piantarne altri 500 mila entro il 2026 per raggiungere il nostro obiettivo di un milione di alberi per Praga entro otto anni”.

Hřib e la sua squadra hanno capito che gli alberi sono fondamentali anche per la qualità della vita di città. “Possono aiutare a ridurre le isole di calore in città, raffreddano notevolmente l’ambiente circostante, intrappolano la polvere, assorbono CO2 e generalmente rendono l’ambiente più adatto alla vita”. Ma lo sforzo non si esaurisce qui. La rivoluzione verde della capitale ceca passa anche attraverso altre azioni, già in cantiere. C’è l’impianto urbano di purificazione dell’acqua, “un nuovo progetto di installazione di centrali solari sui tetti delle case a schiera”, a cui si aggiungono “diversi progetti a sostegno di tetti verdi, facciate o il cosiddetto verde verticale”, tutti “in preparazione”.

Il momento di agire è ora. Certo, Praga ha già avviato il suo percorso di trasformazione, ma il semestre di presidenza è “una grande opportunità. Con gli occhi di tutti puntati sulla città, che ospita incontri, dibattiti, conferenze e anche riunioni informali di ministri e leader, la politica locale sa di avere la chance di “far sentire la propria voce su questioni così importanti” come la rivoluzione sostenibile, soprattutto in un momento in cui tentennamenti non sono ammessi.

Questa situazione non farà che accelerare il processo di rendere le nostre città più sostenibili e autosufficienti”, ribadisce una volta di più il primo cittadini riferendosi alla guerra in Ucraina e le sue ripercussioni. In questo momento, la vera sfida di Praga è però quella di spendere bene e per tempo le risorse che restano disponibili. “Nell’ambito del piano RepowerEu gli Stati membri dell’Ue hanno già a disposizione 225 miliardi di euro in prestiti nell’ambito dell’RRF e sono stati proposti finanziamenti aggiuntivi sotto forma di sovvenzioni, fondi di coesione o investimenti aggiuntivi”. Sembrano pochi, ma non lo sono. L’inflazione alle stelle e la necessità di ripensare l’utilizzo di fondi europei possono non aiutare, ma le risorse sono lì. E bisogna farne tesoro. Praga lavora anche su questo.

(Photo credits: SAM YEH / AFP)

Spazi ampi e sostenibili: Google punta sugli uffici ‘green’

I giganti tecnologici assumono sempre meno e gli ingegneri hanno adottato in larga misura il telelavoro, ma Google ha appena inaugurato nuovi uffici futuristici nella Silicon Valley, progettati per soddisfare tutte le esigenze attuali e anche future dei suoi dipendenti. A Mountain View, a un chilometro e mezzo in linea d’aria dalla sua sede, il gruppo californiano ha costruito due enormi edifici che sembrano tende di vetro e metallo, ricoperte di pannelli solari a forma di squame di drago. Alphabet, la società madre di Google, non ha reso noto il costo del Campus di Bay View, progettato per ospitare fino a 4.500 dipendenti.

Non credo che nessuno dei nostri edifici sarà vuoto. Non siamo preoccupati“, scherza Michelle Kaufmann, direttore della ricerca e dello sviluppo per gli uffici dell’azienda, durante un tour per la stampa. “Siamo più preoccupati di avere spazio a sufficienza. Perché l’azienda è ancora in crescita“, aggiunge. Alla fine di marzo, Alphabet contava circa 164.000 dipendenti in tutto il mondo (+17% in un anno). Solo nella Bay Area di San Francisco, 45.000 persone lavorano per il gigante tecnologico. La vicina Meta (Facebook, Instagram) e altre grandi aziende digitali (Microsoft, Amazon, Nvidia, Snap, Uber…) hanno recentemente annunciato un rallentamento delle assunzioni a causa del contesto economico sfavorevole, dopo aver assunto in massa durante la pandemia.

CONNESSIONI E DISCONNESSIONI

Diverse aziende, come Twitter a San Francisco, hanno lasciato la porta aperta al telelavoro perché molti ingegneri lo preferiscono. Alcuni hanno difficoltà a convincere le squadre a tornare a lavoro di persona, in parte a causa della paura per il Covid. “Credo che il 10% del personale (di Google, ndr) abbia scelto e ottenuto l’opzione di lavorare da casa come prima cosa”, osserva Michelle Kaufmann. Che spera che i nuovi uffici, progettati molto prima della pandemia, soddisfino le aspettative degli altri dipendenti, che dividono la loro settimana tra lavoro di persona e telelavoro. Il piano terra è costituito da ristoranti, caffè, palestre e sale riunioni, distribuiti intorno a diverse “piazze pubbliche” – dal ‘Dinosaur District’ al ‘Neon Nature’ – fiancheggiate da divani. Al piano superiore ci sono uffici modulari, separati da vari mobili, ma senza pareti, in modo che i team abbiano “la privacy di cui hanno bisogno” pur rimanendo “collegati al resto della comunità“, dice l’architetto. Google spera di incoraggiare la creatività e il lavoro di squadra, mentre i compiti più solitari possono essere svolti da casa. Ma attenzione alla dipendenza dalla tecnologia: nelle toilette, un avviso dà consigli su come non farsi ‘catturare’ dal telefono e mette in guardia dalla “apnea da e-mail” (quando si trattiene il respiro mentre si controlla la posta elettronica).

ACQUA RICICLATA, ARIA NATURALE

La costruzione degli edifici è durata cinque anni, con ambiziose specifiche ambientali. Alphabet ha promesso di essere completamente neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2030. Il campus è a zero emissioni di carbonio “per il 90% del tempo” grazie ai pannelli solari e alle batterie geotermiche. Tutte le esigenze di acqua non potabile sono soddisfatte dall’acqua riciclata prodotta in loco. E i sistemi di ventilazione utilizzano il 100% di aria esterna, “invece del 20% medio” degli uffici, dice Michelle Kaufmann. Si tratta di un’iniziativa tempestiva nell’era della pandemia. “Per fortuna, molte delle cose che abbiamo progettato funzionano perfettamente con il Covid“, dice l’architetto. “Pensavamo di avere altri dieci anni per alcuni elementi, ma il virus ha accelerato il processo“. Assicura poi che gli spazi di lavoro sono stati progettati con la flessibilità necessaria per far fronte a esigenze che nessuno ha ancora immaginato. Per ora, l’acustica “da opera” non è disturbata da molti dipendenti, dato che il nuovo campus è stato appena inaugurato. E i dipendenti di altre sedi di Google, se sono in visita per qualche giorno, possono alloggiare in uno dei 240 appartamenti costruiti dall’altra parte della strada.

(Photo credits: NOAH BERGER/AFP)

Vienna

La città più vivibile del mondo? Per il The Economist è Vienna

Vienna ha riconquistato il primo posto nella classifica delle città più vivibili del mondo, come nel 2018 e nel 2019, secondo una classifica pubblicata giovedì, da cui è esclusa Kiev, che sta affrontando l’assalto russo, mentre Mosca precipita. La capitale austriaca si colloca per la terza volta al vertice di questo indice realizzato dall’Economist Intelligence Unit, l’unità di ricerca e analisi affiliata al settimanale britannico The Economist. Succede alla città neozelandese di Auckland, che scende di 33 posizioni a causa dell’estensione delle restrizioni sanitarie. Gli esperti hanno premiato la stabilità di Vienna, le sue strutture educative e mediche e la qualità delle sue infrastrutture con un punteggio massimo di 100 su 100. I fattori culturali e ambientali sono quasi ideali.

L’Europa domina ampiamente la top 10 con sei città, tra cui Copenaghen e Zurigo, che completano il podio dietro Vienna, e Ginevra (6°). Il Canada è ben rappresentato con tre città: Calgary (a pari merito con il 3° posto), Vancouver (5°) e Toronto (8°). Parigi è al 19° posto, 23 posizioni in più rispetto al 2021. La capitale belga Bruxelles è al 24° posto, subito dopo Montreal (23°). Londra si è classificata al 33° posto, mentre Barcellona, notoriamente molto vivace, si è classificata al 35° posto, otto posizioni prima di Madrid (43°). Nel resto del mondo, Milano si è piazzata al 49° posto, New York al 51° e Pechino al 71°.

Per essere inclusa in questo panel, la città deve essere considerata una “destinazione d’affari, cioè un centro economico e finanziario, o essere richiesta dai clienti. Beirut, gravemente danneggiata dall’esplosione di un porto nel 2020 e capitale di un Libano politicamente instabile, non è stata inclusa. Gli autori indicano che Kiev ha dovuto essere esclusa dal rapporto nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Allo stesso tempo, Mosca (80°) è scesa di quindici posizioni.

Le città dell’Europa orientale sono scese in classifica a causa dell’aumento dei rischi geopolitici” e “della crisi del costo della vita, compresa l’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari“, ha spiegato la responsabile del rapporto dell’EIU Upasana Dutt. Nell’indice 2021 sono stati introdotti nuovi indicatori, come le restrizioni sanitarie, per valutare gli effetti della pandemia. Nel 2022 la qualità media della vita si è risollevata, ma rimane al di sotto del livello pre-Covid. Damasco rimane la città meno vivibile del mondo.

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Milano-Cortina, le Olimpiadi più green della storia

La narrazione è che saranno Olimpiadi diverse, quelle di Milano-Cortina, anno di grazia 2026. Le “più green” di sempre, a dare retta allo slogan che dall’inizio di questa avventura sta accompagnando la marcia di avvicinamento al grande giorno della cerimonia inaugurale, con luci a San Siro e il mondo telecollegato. Marcia non proprio agilissima, fino adesso, al punto da sollevare qualche apprensione a livello organizzativo. Qualcosa è stato fatto, molto dovrà essere completato nei prossimi anni: meno di quattro, sulla carta, in realtà poco più di due e mezzo nella pratica.

SEDI TEMPORANEE

Va subito delimitato il perimetro di questi Giochi italiani. Il Comitato organizzatore si occupa, appunto, dell’organizzazione dell’evento sportivo ed è un soggetto di diritto privato. Le infrastrutture, invece, sono di competenza dell’Agenzia per le infrastrutture e di soggetti di natura pubblica. I Giochi si svolgeranno su un territorio di 22mila chilometri quadrati che coinvolgerà non solo Milano e Cortina, non solo la Lombardia e il Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano, ma tutta l’Italia a cui il pianeta guarderà. In base a quanto viene riferito, il 93% delle sedi che ospiteranno le competizioni e le cerimonie delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi sono esistenti o temporanee. Spreco zero? Probabilmente sì.

ENERGIA RINNOVABILE

Ogni intervento – raccontano – è stato pensato in funzione dell’eredità che le Olimpiadi lasceranno al Paese. L’investimento costerà 1,6 miliardi di euro, sarà finanziato con soldi privati e una particolare rilevanza avranno gli investimenti sull’efficienza nell’uso dell’energia che sarà generata da fonti rinnovabili, sull’impatto ambientale e sociale degli approvvigionamenti, sulla gestione dei rifiuti, sul recupero del 100% del cibo non consumato. “Si può dire che ogni euro del bilancio dei Giochi è speso nell’ottica della sostenibilità e dell’inclusività. L’obiettivo di Milano Cortina 2026 è fornire al mondo dello sport un modello innovativo per organizzare un grande evento realmente sostenibile”, dicono dall’headquarter.

VALUTAZIONE AMBIENTALE STARTEGICA

Le regole, per Olimpiadi e Paralimpiadi, le ha riscritte il Cio, che ha messo la sostenibilità ambientale, economica e sociale al centro dell’evento. Per quanto riguarda la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), il Comitato organizzatore è in attesa delle pronunce del ministero della Transizione Ecologica, guidato da Roberto Cingolani, e dei soggetti chiamati a decidere sul tema. Il Comitato organizzatore ha proposto una Vas interregionale per il Programma di Realizzazione dei Giochi di sua responsabilità, che si limita agli aspetti organizzativi dell’evento, con valutazione degli effetti dello scenario futuro con le opere permanenti di reale interesse per i Giochi.

ACCORDO DI PARIGI

In occasione della Pre COP26 di Milano, è stato sottoscritto il Mou delle Nazioni Unite ‘Sport for Climate Action Framework’. L’iniziativa, mirata a contribuire all’attuazione degli accordi di Parigi, punta ad accelerare il cambiamento necessario per raggiungere la mitigazione delle emissioni di gas serra ed il coinvolgimento del mondo dello Sport al fine di aumentare la sensibilizzazione dei cittadini. I Giochi di Milano Cortina dovrebbero essere un passo, anzi un salto, nell’ecofuturo.

comunità energetiche

Cosa sono e a cosa servono le comunità energetiche

Le comunità energetiche sono ‘villaggi’ di utenti che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno più impianti energetici locali. I cittadini che aderiscono, quindi, si trasformano in ‘prosumer’, termine che indica il doppio ruolo che assumono gli utenti: consumatori (consumer) e produttori (producer). Il prosumer, quindi, possiede un proprio impianto di produzione di energia, della quale consuma solo una parte. La rimanente quota di energia può essere immessa in rete, scambiata con i consumatori fisicamente prossimi al prosumer o anche accumulata in un apposito sistema e dunque restituita alle unità di consumo nel momento più opportuno. Pertanto, il prosumer è un protagonista attivo nella gestione dei flussi energetici, e può godere non solo di una relativa autonomia ma anche di benefici economici.

OBIETTIVI SOSTENIBILI

Le comunità energetiche sono tutte accomunate da uno stesso obiettivo: fornire energia rinnovabile a prezzi accessibili ai propri membri, piuttosto che dare la priorità al profitto economico come una società energetica tradizionale. Decentramento e localizzazione della produzione energetica sono i principi su cui si fonda una comunità energetica che, attraverso il coinvolgimento di cittadini, attività commerciali e imprese del territorio, risulta in grado di produrre, consumare e scambiare energia in un’ottica di autoconsumo e collaborazione. Il concetto di autoconsumo si riferisce alla possibilità di consumare in loco l’energia elettrica prodotta da un impianto di generazione locale per far fronte ai propri fabbisogni energetici. Produrre, immagazzinare e consumare energia elettrica nello stesso sito prodotta da un impianto di generazione locale permette al prosumer di contribuire attivamente alla transizione energetica e allo sviluppo sostenibile del Paese, favorendo l’efficienza energetica e promuovendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Oggi l’autoconsumo può essere attuato non solo in forma individuale ma anche in forma collettiva all’interno di condomini o comunità energetiche locali.

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La COP27 rischia di diventare il flop di Madrid e Glasgow

Duecento rappresentanti dei paesi di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Bonn per preparare la COP27 che si terrà in Egitto a novembre. Quasi sei mesi per mettere a regime un appuntamento considerato fondamentale dopo il mezzo fiasco della COP26 a Glasgow e la guerra che, come sostengono in molti e come si percepisce per via induttiva, contribuirà a rallentare il già difficoltoso processo di decarbonizzazione del pianeta.

La domanda è semplice e abbastanza spontanea: ma c’è bisogno di ‘preparare’ un appuntamento così cogente addirittura sei mesi prima? La risposta è altrettanto semplice e altrettanto spontanea: sì. Perché al di là delle chiacchiere e dei buoni propositi per ripulirsi le coscienze, non tutti i Paesi hanno percepito la gravità della situazione ambientale e la necessità di frenare il riscaldamento globale. O se l’hanno capita, non la ritengono vitale. Tirate le somme, prevalgono gli interessi, le strategie di geopolitica, il desiderio di stare sempre un passo avanti rispetto al vicino della porta accanto. A Bonn si è cercato di trovare una chiave per aprire le porte della diplomazia e del buonsenso, nella speranza che il tempo faccia la sua parte.

Il pericolo che a Sharm-el-Sheikh vada in scena una replica di Madrid 2019 e di Glasow 2021 è alta, non a caso Patricia Espinoza, capo dell’agenzia Onu per il clima, ha già lanciato l’allarme. Quel monito, “servono azioni”, non può cadere nel vuoto. Altrimenti anche la Cop27 sarà un altro esercizio di stile (green) dove ciascuno farà per conto proprio e in virtù della propria sensibilità. Se l’Europa sta agendo in maniera determinata – come testimonia il pacchetto REPowerEu – altri Stati stanno frenando. L’India si era già messa di traverso alla Cop26 sul tema del carbone, la Cina è distante e poco tracciabile, gli Stati Uniti ci provano ma con prudenza, la Russia è alle prese con tali e tante grane che la questione carbon free sta in fondo alla lista delle priorità.

Gli Accordi di Parigi galleggiano sospesi, a Sharm-el-Sheikh ci sarà la revisione degli NDC, ovvero gli impegni nazionali di riduzioni delle emissioni per limitare a 1,5° l’aumento della temperatura globale. Poi dovranno essere presi in esame i sostegni per i paesi ‘fragili’ che non erano decollati alla Cop26. La speranza è che non sia tempo butto anche stavolta, Greta dirette il solito bla bla bla…