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Blangiardo: “L’aumento del costo dei carburanti impatta sulle fasce deboli”

“Fare previsioni sui prezzi dei carburanti non è semplice. Il loro effetto è diretto perché chi compra diesel o benzina li paga di più, ma è anche indiretto perché agisce su altri costi”, come quello dei trasporti in generale. Lo ha detto Gian Carlo Blangiardo, presidente di Istat, a SkyTg24. L’aumento dei prezzi “è un grande problema in prospettiva se continua a crescere”, perché “accentuerebbe ancora i problemi delle famiglie”, impattando sulla crescita del Paese.
Il tema è, naturalmente, quello dell’inflazione. “Abbiamo chiuso il 2022 a livelli preoccupanti – ha detto Blangiardo – e nel 2023 se le cose non peggiorano si stima che crescerà del 5,1%”. Si tratta, ha aggiunto “di un valore di quasi tre volte più alto di quello dell’anno scorso”. E se le cose peggioreranno ancora? “Dipende da quanto andrà male – ha detto Blangiardo – e dall’entità degli aumenti, che non sono prevedibili ora. L’esperienza ci ha insegnato che gli eventi non previsti ci hanno portato a questa situazione. Possiamo aspettarci ulteriori aumenti, ma speriamo che non siano così consistenti. Ci auguriamo un rallentamento della tendenza”.
Nessun allarme, invece, sul Pil, il cui dato del 2022 è stimato a +3,9%. “È un buon risultato – ha detto il presidente dell’Istat – superiore alle attese. Sul 2023 la stima è dello 0,4%, che non ci pone in recessione, ma ha bisogno di due elementi: il controllo dei prezzi e il mantenimento degli investimenti”. Se riusciamo a mantenere questi due vincoli – ha aggiunto – lo +0,4% può essere un risultato accettabile vista la situazione. Il momento è difficile, già galleggiare sopra il livello negativo è un risultato di cui possiamo accontentarci”.
E il governo da parte sua, con la Manovra, ha previsto misure “ragionevoli, tenendo conto della situazione e delle risorse disponibili. Si è evitato – ha spiegato Blangiardo – di accentuare i problemi e si è tentato di avviare il rilancio del Paese. Mi sembra si vada nella direzione giusta, ci sono buone prospettive. È stato fatto tutto quello che si poteva fare? È stato fatto molto, compatibilmente con le risorse disponibili”.

Prezzi energia trainano calo inflazione a dicembre. Ma è record nel 2022: mai così alta dal 1985

Rallenta l’inflazione a dicembre ma è record nel 2002: mai così alta dal 1985. Secondo le stime preliminari dell’Istat, nel mese di dicembre 2022 infatti l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,3% su base mensile e dell’11,6% su base annua (da +11,8% del mese precedente). Il rallentamento su base tendenziale dell’inflazione è dovuto prevalentemente ai prezzi dei beni energetici, (che passano da +67,6% di novembre a +64,7%), in particolare della componente non regolamentata (da +69,9% a +63,3%) e ai prezzi dei beni alimentari non lavorati (da +11,4% a +9,5%) e dei servizi relativi ai trasporti (da +6,8% a +6,0%); per contro, un sostegno alla dinamica dell’inflazione deriva dall’accelerazione dei prezzi degli energetici regolamentati (da +57,9% a +70,3%), di quelli dei beni alimentari lavorati (da +14,3% a +14,9%), di quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +5,5% a +6,2%) e dei servizi relativi alle comunicazioni (da +0,2% a +0,7%).

Sempre secondo le stime preliminari Istat, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) – il cosiddetto ‘carrello della spesa’ – aumenta dello 0,2% su base mensile e del 12,3% su base annua (da +12,6% di novembre). La variazione media annua del 2022 è pari a +8,7% (+1,9% nel 2021). In media, nel 2022 i prezzi al consumo registrano una crescita pari a +8,1% (+1,9% nel 2021). Al netto degli energetici e degli alimentari freschi, i prezzi al consumo crescono del 3,8% (+0,8% nell’anno precedente) e al netto dei soli energetici del 4,1% (+0,8% nel 2021).
“In base alle stime preliminari – commenta l’Istat –  l’inflazione acquisita, o trascinamento, per il 2023 (ossia la crescita media che si avrebbe nell’anno se i prezzi rimanessero stabili fino al prossimo dicembre) è pari a +5,1%, ben più ampia di quella osservata per il 2022, quando fu pari a +1,8%”.

Sulla scorta dei dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica, arrivano le reazioni e le analisi delle associazione a tutela dei consumatori e dei produttori, come nel caso di Coldiretti. “L’impennata dell’inflazione pesa sul carrello degli italiani che hanno speso quasi 13 miliardi in più per acquistare cibi e bevande nel 2022 a causa dell’effetto valanga dei rincari energetici e della dipendenza dall’estero, in un contesto di aumento dei costi dovuto alla guerra in Ucraina che fa soffrire l’intera filiera, dai campi alle tavole”. Secondo la Coldiretti, tra le categorie di prodotti che hanno pesato di più sull’aumento di spesa degli italiani ci sono la verdura che precede sul podio “pane, pasta e riso” e poi “carne e salumi” mentre al quarto posto la frutta precede il pesce, poi “latte, formaggi e uova” e quindi “olio, burro e grassi”. Per cercare di risparmiare, 8 italiani su 10 (81%) hanno preso l’abitudine di fare una lista ponderata degli acquisti da effettuare per mettere sotto controllo le spese d’impulso, cambiando anche i luoghi scelti per fare la spesa: il 72% degli italiani si reca nei discount, mentre l’83% punta su prodotti in offerta e in promozione, “andando a caccia dei prezzi più bassi anche facendo lo slalom nel punto vendita, cambiando negozio, supermercato o discount alla ricerca di promozioni per i diversi prodotti”, spiega la Coldiretti. La quale evidenzia come gli aumenti dei prezzi non incidano solamente sulle tasche delle famiglie, bensì sull’intera filiera agroalimentare “a partire dalle campagne, dove più di un’azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, ma ben oltre 1/3 del totale nazionale (34%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari, secondo il Crea. Ettore Prandini chiede “rimedi immediati e un rilancio degli strumenti europei e nazionali che assicurino la sovranità alimentare, riducano la dipendenza dall’estero e garantiscono un giusto prezzo degli alimenti per produttori e consumatori”, sottolineando l’esigenza di “raddoppiare da 5 a 10 miliardi le risorse destinate all’agroalimentare nel Piano nazionale di ripresa e resilienza spostando fondi da altri comparti per evitare di perdere i finanziamenti dell’Europa”.

Carlo Alberto Buttarelli, direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione, racconta lo stato dell’arte delle imprese italiane, “impegnate da oltre un anno a gradualizzare il trasferimento sui prezzi al consumo degli aumenti subiti in fase di acquisto, investendo risorse economiche e riducendo i propri margini per salvaguardare il potere d’acquisto degli italiani. Uno sforzo che non è più sostenibile dal nostro settore che in questi mesi ha dovuto anche fronteggiare i rincari energetici. Per scongiurare una possibile crisi dei consumi nei prossimi mesi è necessario che tutti gli attori della filiera agiscano con senso di responsabilità per limitare il più possibile la spirale della crescita dei prezzi, considerando anche che si registrano i primi segnali di rallentamento delle quotazioni delle materie prime e dei prodotti energetici”.

Nel 2022, gli aumenti di prezzi e tariffe si sono tradotti in una spesa di 61,3 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente, come afferma il Codacons. Che, dati Istat alla mano, traduce – a parità di consumi – la percentuale del tasso annuo dell’8,1% in un maggiore esborso pari in media a +2.369 euro per la famiglia ‘tipo’, cifra che sale a 3.069 euro annui per un nucleo con due figli. “Sono numeri da capogiro – commenta – che avranno ripercussioni pesanti nel 2023. L’andamento al rialzo delle bollette del gas, i carburanti che hanno ripreso a correre e i listini degli alimentari ancora a livelli elevatissimi, faranno sentire i loro effetti nel breve termine, erodendo il potere d’acquisto dei cittadini e riducendo la spesa. Il governo Meloni deve correre ai ripari, adottando misure in grado di calmierare i prezzi al dettaglio e accelerare la riduzione dei listini, allo scopo di salvaguardare i bilanci delle famiglie, che sempre più numerose intaccano i risparmi per riuscire a sostenere bollette e prezzi alle stelle”, conclude Carlo Rienzi, presidente del coordinamento.

Gli fa eco l’Unione Italiana Consumatori: “Sono dati catastrofici. Le famiglie sono sempre più inguaiate. Una coppia con 2 figli ha pagato 700 euro in più rispetto al 2021 per poter mangiare e bere. Una famiglia media ha avuto una stangata per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche pari a 513 euro, cifra che sale a 632 per una coppia con 1 figlio e che arriva a 836 euro per le coppie con 3 figli”, fa presente Massimiliano Dona, presidente dell’associazione. “In media per una famiglia – evidenzia – il rincaro dello scorso anno è di 2219 euro, 1200 per l’abitazione, 532 per il solo carrello della spesa”.

Sul tema si sofferma anche la Confederazione Selp. Il suo presidente Giovanni Centrella rimarca il fatto che i dati diffusi stamani dall’Istat sull’inflazione “fanno emergere con chiarezza le difficoltà delle famiglie italiane nell’acquisto dei beni di prima necessità. Al Governo chiediamo di intervenire attivando controlli sui prezzi per evitare speculazioni che potrebbero incidere ancora pesantemente sulle famiglie e le categorie dei lavoratori dipendenti”. Sulla stessa lunghezza d’onda Furio Truzzi, presidente di Assoutenti che, di fronte ai dati diffusi dall’Istat, chiede al governo Meloni “di inserire l’emergenza prezzi tra le priorità dell’esecutivo, varando il taglio dell’Iva sui beni primari come alimentari e generi di prima necessità, e intervenendo sulla tassazione relativa ai carburanti, seguendo l’esempio del suo predecessore Draghi e tagliando le accise che pesano sui costi di una moltitudine di prodotti, considerato che in Italia l’85% della merce viaggia su gomma”.

Per Confesercenti, non bisogna dimenticare “che le famiglie hanno quasi terminato i risparmi con i quali hanno finora sostenuto la spesa, la cui dinamica d’ora in poi sarà guidata sempre più dal potere d’acquisto. Per questo il governo, terminata la fase di emergenza, dovrà garantire interventi decisivi per ridurre innanzitutto la pressione fiscale ed il costo del lavoro, per ridare fiato a famiglie ed imprese e sostenere la ripresa della domanda interna”.

Qual è infine la situazione a livello europeo? Secondo Eurostat, a novembre 2022 i prezzi alla produzione industriale sono diminuiti dello 0,9% sia nell’area dell’euro che nell’Ue, rispetto a ottobre.
I prezzi alla produzione industriale nell’area dell’euro a novembre 2022, rispetto a ottobre, sono diminuiti del 2,2% nel settore energetico e dello 0,4% per i beni intermedi, mentre i prezzi sono aumentati dello 0,2% per i beni di consumo durevoli, dello 0,3% per i beni strumentali e dello 0,6% per i beni di consumo non durevoli. Esclusa l’energia, i prezzi sono cresciuti dello 0,1%.
Nell’intera Ue, i prezzi alla produzione industriale sono aumentati del 56% nel settore energetico, del 17,1% per i beni di consumo non durevoli, del 15,5% per i beni intermedi, del 9,7% per i beni di consumo durevoli e del 7,7% per i beni strumentali. I prezzi nell’industria, esclusa l’energia, sono cresciuti del 13,6%.

 

 

 

 

 

rifiuti elettronica

Piccole aziende più digitalizzate e più attente a sprechi energetici

Le piccole aziende italiane sono sempre più digitalizzate e fra le leader in Europa nella lotta allo spreco energetico. Il Covid, che ha costretto tutti a lavorare da remoto, e il caro-bollette, che ha appesantito i bilanci, stanno cambiando l’appoggio alla tecnologia e alla sostenibilità delle piccole aziende italiane, le quali sono appunto sono sempre più digitalizzate e addirittura fra le leader in Europa nella lotta allo spreco energetico Lo certifica l’Istat nel suo ultimo rapporto ‘Imprese e ICT. Anno 2022′.

Più internet significa anche più commercio on line. Il 13,0% delle piccole e medie aziende ha effettuato vendite online per almeno l’1% del fatturato totale (12,7% nel 2021) e il 17,7% delle pmi attivo nell’e-commerce ha realizzato online il 13,5% dei ricavi totali (rispettivamente 17,9% e 9,4% nel 2021). In generale, il 18,3% delle imprese con almeno 10 addetti ha effettuato vendite online fatturando il 17,8% del fatturato totale, rispettivamente 22,8% e 17,6% a livello Ue. In termini di composizione, il valore delle vendite online si realizza soprattutto nel comparto del commercio (35,6%), per il 28% nel settore manifatturiero (con prevalenza delle attività legate all’automotive), e per un’analoga quota nel settore energetico. In termini dimensionali, il 60% del valore online proviene da vendite delle imprese di maggiori dimensioni e il 40% dalle pmi. Nella composizione delle imprese che vendono online si confermano i settori già individuati, a parte quello energetico dove sono presenti poche imprese. Inoltre, emergono i settori della ristorazione e degli alloggi, che coprono più di un terzo (35%) di tutte le imprese attive nell’e-commerce e che, per il 95,1%, appartengono alla dimensione delle Pmi.

Il balzo tecnologico si è poi accompagnato a una riduzione degli sprechi. È aumentato fra le piccole e medie aziende il controllo del consumo di carta (68,0%) e del consumo di energia delle apparecchiature ICT (52,2%). L’Italia, preceduta solo dal Portogallo, è ora in vetta alla classifica europea su due fronti: il 74,9% delle imprese adotta comportamenti green nella scelta della tecnologia valutandone anche l’impatto ambientale, mentre il 59,9% delle imprese combina la valutazione dell’impatto ambientale dei servizi o delle apparecchiature ICT, prima di selezionarli, con l’adozione di misure che incidono sul consumo di carta o di energia delle tecnologie informatiche.

Infine, l’86,9% delle imprese destina le apparecchiature non più utilizzate alla raccolta differenziata dei rifiuti elettronici (compresa quella effettuata direttamente dai propri fornitori), il 48,6% le conserva nell’impresa per utilizzare le parti di ricambio o per evitare che vengano divulgate informazioni sensibili, il 25% le rivende o le restituisce se in leasing, oppure le dona. La variabilità dei comportamenti dipende più dall’attività economica svolta dalle imprese che dalla loro classe dimensionale e, in generale, le più attente all’ambiente sono quelle attive nei servizi. In particolare, nell’impatto ambientale dell’ICT risultano più virtuose le imprese attive nei servizi postali e di corriere, nelle telecomunicazioni e nei servizi di alloggio mentre per il riutilizzo circolare dell’ICT sono più attive quelle del comparto editoriale, della fabbricazione di prodotti farmaceutici e della fornitura di energia.

Meriti e bisogni, un’alleanza liberale e riformista per l’Italia

Carlo Calenda e Matteo Renzi stanno proponendo un approccio molto nuovo per la politica italiana: delineare soluzioni analitiche e strutturate per ognuno dei problemi che il nostro Paese deve fronteggiare. Si tratta di una grande novità perché la politica italiana negli ultimi decenni è stata incatenata alla moda dei tweet, di TikTok e delle parole d’ordine urlate.

Molti commentatori tendono a rappresentare questa impostazione come ‘post ideologica’, talvolta per criticarla, talvolta per apprezzarla. In realtà, a noi non pare esserci contrapposizione tra le proposte concrete e la buona amministrazione da una parte e una ‘visione’ fondante che sostenga e sorregga la costruzione di un progetto dall’altra. Pensiamo al contrario che ci possa essere in questo approccio un pensiero profondo capace di orientare una vasta area politica, che crescerà nei prossimi mesi ed anni, rappresentata da tutti coloro che non si riconoscono più né in una sinistra astratta ed estremista a vocazione sempre più minoritaria né in una destra sovranista e populista.

Pensiamo che nell’era dei tweet e dei social che semplificano ogni ragionamento fino a banalizzarlo ci sia ancora e sempre più bisogno di un pensiero profondo capace di dominare la complessità della situazione italiana, proponendo però uno schema di gioco nuovo e non più legato agli ideologismi e schematismi di destra e sinistra.

L’Italia di oggi è un’altra Italia rispetto a quella che i profeti di sventura continuano a narrare: è un’Italia più moderna e competitiva che cresce di più degli altri Paesi; non è più il ‘fanalino di coda’ dell’Europa e anzi, con una crescita che nel biennio 2021-2022 supererà certamente il 10%, si presenta come una delle economie più dinamiche del mondo.

Una crescita dovuta alla forza di un sistema industriale manifatturiero altamente diversificato e profondamente mutato grazie, va riconosciuto, all’innovazione tecnologica consentita dal Piano Industria 4.0 del Governo Renzi e del Ministro Calenda; piano che ha consentito all’Italia, negli ultimi sette anni, di essere tra le grandi economie europee quella con il più forte aumento di produttività del settore.

Nonostante le tante profezie di sventura (ve le ricordate le previsioni di Landini della ‘macelleria sociale’ e dei milioni di disoccupati a venire, ma anche le previsioni completamente sbagliate sulla nostra crescita del Fondo Monetario Internazionale?), l’occupazione negli ultimi due anni è cresciuta di molto e non solo nel lavoro occasionale ma anche nei contratti a tempo indeterminato, e le diseguaglianze sociali, come ci conferma l’Istat, sono diminuite.

Ciò è avvenuto grazie alla forza dell’industria italiana ed alle sue straordinarie caratteristiche di diversificazione, territorialità, innovazione, bellezza e capillarità; ma è avvenuto anche per il prestigio internazionale del Governo Draghi e per la sua azione, improntata a un riformismo pragmatico e solidale che costituisce il riferimento obbligato per quella parte d’Italia che cerca una nuova via.

È nostra convinzione che il cuore della visione che quest’Italia merita, che il fulcro del ragionamento che va proposto, siano quelli della costruzione di un equilibrio virtuoso tra crescita economica ed equità sociale, tra mercato e società, tra meriti e bisogni Merito come riconoscimento della creatività, dell’impegno, del valore e dei risultati individuali; ma anche come strumento essenziale per dare risposte efficienti e inclusive ai bisogni vecchi e nuovi provenienti in particolare dagli strati più deboli della società.

Il principale riferimento culturale del ragionamento che stiamo proponendo è quello al liberalismo egualitario del filosofo americano del ’900 John Rawls, un liberalismo attento alla questione dell’uguaglianza e delle pari opportunità e per questo molto in voga negli anni ’60 e ’70 del novecento tra i democratici americani; un liberalismo il cui tratto distintivo e immancabile era un’idea di giustizia concepita come equità.

Ma è impossibile non pensare che quella riflessione fosse influenzata anche dal concetto di ‘socialismo liberale’, dottrina politica elaborata da Carlo Rosselli negli anni ’30 sempre del secolo scorso, ritenuta per molto tempo una conciliazione impossibile tra due sistemi di pensiero apparentemente incompatibili; in realtà essa fu il riferimento, nel secondo dopoguerra, dell’azione di molti governi europei e in particolare di quello laburista britannico tra il 1946 e il 1951, dove un partito socialista aveva ispirato la sua azione alle proposte di due liberali, sia pure in senso anglosassone, come Keynes e Beveridge.

Anche in Italia negli anni del centro-sinistra aveva agito una corrente socialista liberale intesa come sintesi tra il filone socialista di Pietro Nenni e Riccardo Lombardi, quello cattolico di Pasquale Saraceno e quello laico di Ugo La Malfa.

Il tema di un riformismo socialista e liberale fu poi al centro di tutta l’elaborazione del Psi negli anni di Craxi lanciata nel 1982 dalla conferenza programmatica di Rimini dal titolo ‘Governare il cambiamento’.

Perché ritorniamo ancora una volta sul tema evocato, nel lontano 1982, dell’alleanza riformista tra il merito e il bisogno e sul filone culturale del socialismo liberale o del liberalsocialismo? Perché siamo profondamente convinti che quel pensiero e quelle intuizioni contengano una straordinaria modernità e costituiscano l’unica àncora di salvezza per fare uscire le società occidentali dal vicolo cieco di un capitalismo senza inclusione e di un mercato senza equità che provocano sfiducia nella democrazia, rivolta contro le classi dirigenti, complottismi e populismi di varia natura.

I cambiamenti che ci stanno davanti e che vanno governati sono enormi:

  • Economici, perché la centralità e il dominio dell’occidente si sono progressivamente indeboliti dinanzi all’impetuosa crescita di altre aree del mondo, in primis la Cina. La globalizzazione, così benefica per lo sviluppo di nuove economie e l’emancipazione di enormi masse di popolazioni nel mondo, in Occidente ha colpito duramente le fasce sociali deboli non adeguatamente protette dagli effetti delle trasformazioni in atto;
  • Politici, perché il disorientamento provocato in occidente dalle nuove povertà e dalle nuove emarginazioni ha causato una diffusa insoddisfazione e critica nei confronti dell’establishment, contestato e messo in discussione da nuovi soggetti politici di cui Trump è stato l’emblema ma di cui vi sono stati esempi anche in Europa ;
  • Culturali, infine, perché i venti impetuosi del populismo e del sovranismo hanno generato mostri come la negazione del valore delle competenze, la strumentalizzazione della paura verso i flussi migratori e gli ‘stranieri’ in generale, la convinzione che i politici siano tutti incapaci e/o ladri. In molte situazioni il giustizialismo, con la crescita debordante di un potere distorto e abnorme della magistratura e dei pubblici ministeri, ha condizionato la politica fino a farla rinunciare a quote sempre maggiori di potere a favore dei giudici.

In altre parole, fino ad ora non si è riusciti a ‘governare il cambiamento’ come auspicavano i socialisti italiani quasi quaranta anni fa. L’immensa ricchezza generata dalla crescita dell’economia mondiale e dalla diffusione dello sviluppo in aree del mondo che non l’avevano ancora conosciuto, in Occidente non sembra aver allargato il benessere ma al contrario lo ha ristretto concentrando sempre di più la disponibilità di denaro nelle mani di pochi. Le conseguenze della globalizzazione, al contrario, hanno impoverito ceti sociali intermedi che avevano conosciuto negli anni del dopoguerra e successivi un sostanziale miglioramento delle loro condizioni di vita.

In definitiva il capitalismo occidentale molte volte non è riuscito ad essere né gentile né inclusivo. Si è trattato spesso di un capitalismo soprattutto finanziario, con logiche di ritorni molto alti e molto veloci per azionisti e manager, con stipendi e premi altissimi per i vertici delle imprese e bassi, molto bassi per impiegati e operai. Un capitalismo senz’anima e destinato al fallimento.

In questo contesto i meriti o non sono stati riconosciuti o hanno generato invidia sociale anziché ammirazione. Non si è riusciti a creare una vera situazione di pari opportunità che consentisse ai migliori di ogni strato sociale di emergere e di affermarsi, povertà nuove si sono aggiunte a quelle vecchie e moltissimi bisogni sono rimasti insoddisfatti.

Come diceva Claudio Martelli nel lontano 1982, non ci sono più, o ci sono sempre meno, gli operai alienati dalla catene di montaggio (oggi le catene di montaggio con la presenza umana non esistono praticamente più grazie ai robot). Ci sono altre figure: i reietti dalle società contemporanee non sono più soltanto i poveri in senso tradizionale, denutriti e disoccupati, bensì gli esclusi dalla conoscenza, o dagli affetti o dalla salute. Cittadini dimezzati e dimenticati, affetti da nuove forme di povertà spirituale, affettiva, culturale oltre che materiale, povertà che amplificano il dolore insito nella condizione umana e ne deprimono la volontà di riscatto.

Nel nostro Paese, bloccatosi l’ascensore sociale che aveva caratterizzato gli anni del ‘miracolo italiano’, si è avuta molto spesso la sensazione che fossero più le relazioni e le influenze, piuttosto che il merito, a garantire il successo individuale; questa contraddizione è esplosa fragorosamente con la fuga all’estero di decine di migliaia di giovani ben formati nelle nostre scuole e università ma frustrati dall’impossibilità di trovare un lavoro e un reddito consoni alla loro formazione.

E ancora: la tremenda caduta della produttività in Italia nel settore pubblico e dei servizi è frutto anche della mancata modernizzazione del Paese, delle riforme che non si sono fatte e delle rigidità del mercato del lavoro, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, dove le politiche sindacali sono state sempre pervicacemente contrarie a formule contrattuali capaci di premiare il merito, la qualità del lavoro svolto, la dedizione e la lealtà al servizio. Un egualitarismo senza merito che ha spinto verso il basso le performance pubbliche del Paese e in forza del quale il riconoscimento dei bisogni è diventato assistenzialismo.

Oggi l’Italia, forte della straordinaria performance della sua economia e della sua industria nel post-covid, e dell’importante processo di riforme avviate dal Governo Draghi è in grado di essere il luogo dove si possono coniugare crescita e inclusione sociale richiamando la cultura dei diritti ma anche quella dei doveri, premiando una via che non mortifichi i talenti, la creatività, le energie individuali e imprenditoriali, ma al contrario le valorizzi per risolvere i problemi di tutti.

Per fare tutto ciò occorre una visione e una leadership. Non può esistere una leadership senza visione, ma una visione è impossibile senza un solido radicamento ai valori-guida. Un’alleanza riformista e liberale tra meriti e bisogni potrebbe il potente motore che finalmente porta a compimento la modernizzazione del Paese. Nenni diceva che le idee camminano sulle gambe degli uomini. Chi potrebbero essere i protagonisti di questa alleanza riformista per la rinascita del Paese?

Tutti coloro i quali, sia in maggioranza che all’opposizione, si ispirano ad una cultura riformista e liberale e che devono avere la forza di superare divisioni e personalismi creando una grande aggregazione politica e riempiendo quello spazio che sarà una prateria quando finirà la fiera delle balle e quando gli italiani si saranno riavuti dall’ubriacatura dell’uno vale uno, dei no vax, del no alle grandi opere, della decrescita felice, di un ambientalismo estremista, triste ed inutile.

Lasciateci dire, da imprenditori e uomini di azienda, che le imprese, veri attori delle trasformazioni economiche, sociali e culturali, possono essere luoghi privilegiati per la costruzione di questa alleanza. Le imprese virtuose misurano il valore di questa visione tutti i giorni e costruiscono dal basso il futuro di un capitalismo gentile e inclusivo.

Molti di noi hanno sempre avuto nel modello di Adriano Olivetti il punto di riferimento. Un modello oggi, dopo più di settanta anni, riscoperto da molte imprese soprattutto al nord.

Al centro di questo modello c’è la consapevolezza che il capitale umano è la più grande ricchezza di cui le imprese dispongono; che bisogna migliorare continuamente il welfare aziendale; che bisogna consentire con opportuni interventi la migliore parità tra uomini e donne, consentendo a queste ultime di rendere compatibile famiglia e lavoro, anche con la realizzazione di asili nido interni alle aziende per favorire la maternità; che bisogna realizzare spazi sempre più belli e accoglienti dove la gente lavora; che bisogna intensificare le attività di formazione permanente dei lavoratori, aumentare le borse di studio e i supporti all’educazione dei loro figli; che bisogna lavorare per meccanismi retributivi sempre più incentivanti il merito, la creatività e l’impegno e la partecipazione dei dipendenti agli utili delle imprese.

La dimensione piccola e media e la natura molto spesso di proprietà familiare delle nostre imprese posizionano bene il nostro sistema imprenditoriale rispetto ad un approccio rispettoso e inclusivo dell’attività aziendale, che è normalmente permeata da un fitto sistema di scambi e relazioni positive e virtuose con le persone che lavorano nell’impresa e che spesso la sentono come loro.

Moltissimi imprenditori italiani pensano che non vi sia meccanismo più inclusivo dell’impresa stessa, quando è capace di creare contemporaneamente ricchezza e occupazione qualificata e di investire continuamente in idee, innovazione e tecnologia per garantire un futuro sostenibile di lungo periodo. Quando è capace di dar vita all’alleanza virtuosa tra meriti e bisogni, mettendo i primi a disposizione dei secondi e cercando che questa alleanza non si limiti soltanto all’interno dell’impresa stessa ma giochi anche al suo esterno interpretando correttamente il concetto di responsabilità sociale.

L’Inflazione scende in Europa, in Italia invece no. Ecco spiegato il perché

Stabile a novembre l’inflazione in Italia anche se rimane a livelli che non si vedevano dal 1984.
“Dopo la brusca accelerazione di ottobre, a novembre l’inflazione, che rimane a livelli che non si vedevano da marzo 1984 (quando fu +11,9%), è stabile. I prezzi di alcune componenti, che ne avevano sostenuto l’ascesa, tra cui gli energetici non regolamentati e in misura minore gli alimentari non lavorati, rallentano su base annua, mentre quelli di altre componenti continuano ad accelerare, tra cui gli energetici regolamentati e in misura minore gli alimentari lavorati. Anche i prezzi del carrello della spesa accelerano ma di poco. Se nei prossimi mesi continuasse la discesa in corso dei prezzi all’ingrosso del gas e di altre materie prime, il fuoco dell’inflazione, che ha caratterizzato sin qui l’anno in corso, potrebbe iniziare a ritirarsi”. Commenta così l’Istat la stima preliminare flash sull’inflazione, che ha visto i prezzi crescere dello 0,5% rispetto ad ottobre, contro attese di un +0,2%, e dell’11,8% nei confronti di novembre 2021, la stessa percentuale dello scorso mese. Per le associazioni dei consumatori una famiglia tipo spenderà mille euro in più solo per il cibo, mentre le organizzazioni imprenditoriali lanciano l’allarme consumi in vista del Natale ma soprattutto verso il 2023.
Secondo l’Istat l’aumento mensile del tasso d’inflazione è dovuto prevalentemente ai prezzi dei Beni energetici regolamentati (+3%) – nonostante la diminuzione nel mercato tutelato delle bollette del gas, – degli Energetici non regolamentati (+2,2%), degli Alimentari lavorati (+1,5%) e dei Beni non durevoli (+0,6%). In calo invece, a causa per lo più di fattori stagionali, i prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,4%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-0,2%). Anno su anno continua a essere più caro il famoso carrello della spesa: i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona registrano una accelerazione su base tendenziale (da +12,6% a +12,8%), mentre rallentano, al contrario, quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,9% a +8,8%). E sempre 2022 su 2021 va segnalato che l’inflazione ‘di fondo’, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +5,3% a +5,7% e quella al netto dei soli beni energetici sale da +5,9% a +6,1%.
Stabili congiunturalmente i prezzi dei Beni alimentari non lavorati (da +12,9% a +11,3% anno su anno), a causa della decelerazione dei vegetali (da +25,1% a +14,8%; -4,9% su base mensile), mentre accelerano quelli della frutta (da +6,4% a +6,9%; +3,4% rispetto a ottobre).
Andamenti in accelerazione si osservano per i prezzi del gas di città e nel mercato tutelato (da +3,4% a +13,4%; +9,8 rispetto al mese precedente), per i prezzi degli alimentari lavorati (da +13,3% a +14,4%; +1,5 su base mensile) e di ristoranti e bar (da +6,6% a +7,3%; +0,9% il congiunturale).
Proprio l’incremento di quasi il 10% del prezzo del gas rispetto ad ottobre, nonostante il crollo della quotazione all’ingrosso della materia prima e l’abbassamento delle bollette nel mercato tutelato, fa sì che in Italia l’inflazione continui ancora a salire. Nel resto d’Europa invece, mese su mese, il caro-vita è sceso nei principali Paesi: -0,5% in Germania, +0,4% in Francia (con un annuale però di +6,2% rispetto al +11,8% italiano) e -0,1% in Spagna.
Infatti l’Eurostat certifica che su base mensile l’indice dei prezzi al consumo nella Ue ha mostrato una flessione dello 0,1% rispetto al +1,5% dello scorso mese, mentre anno su anno l’inflazione è salita del +10% contro attese ferme al +10,4% e un dato precedente al +10,6%.

riciclo

Cresce la raccolta differenziata in Italia, ora è al 63%. Ma pesano i costi elevati

Migliora la situazione rifiuti in Italia. Cresce la raccolta differenziata e aumenta l’energia prodotta dalla spazzatura. Restano, tuttavia, criticità, lamentate dalle famiglie sulle modalità della raccolta e sui costi. Questo, in sintesi, è quello che emerge dal rapporto Istat e da un’analisi di Utilitalia.

Nel 2020 diminuisce la produzione di rifiuti urbani rispetto al 2019 (-3,6% con 487 kg di rifiuti urbani prodotti per abitante), mentre raggiunge il 63% la quota di raccolta differenziata che nel 2019 era pari al 61,3%, fa sapere l’istituto di statistica. Sono più del 90% le famiglie che dichiarano di aver sempre effettuato la raccolta differenziata nel 2021 (91,8% per la carta, 90,8% per la plastica e 91,1% per il vetro). In crescita anche la differenziazione dell’umido/organico (86,7% dall’83,9% del 2018), quella dell’alluminio (81,3% dal 71,3%), la raccolta costante di farmaci (84,8% dal 48,2%) e di batterie (52,8% dal 45,6%).

A TRENTO RECORD RACCOLTA DIFFERENZIATA. La quota di raccolta differenziata dei rifiuti urbani aumenta in tutte le regioni, fatta eccezione per la provincia autonoma di Trento (-0,9 punti percentuali rispetto al 2019) e la Val D’Aosta (-0,6 punti percentuali). Nonostante il lieve calo, qui si ha la quota più alta di raccolta differenziata (76,7%) e una produzione di rifiuti urbani pro capite inferiore alla media nazionale (486,4 kg per abitante). A seguire il Veneto (76,1% di raccolta differenziata e 476,1 kg per abitante di rifiuti urbani), la Sardegna (74,5% di raccolta differenziata e 444,4 kg per abitante di rifiuti urbani prodotti) e la Lombardia (73,3 e 467,8). A livello di città, 56 capoluoghi hanno superato il target del 65% (51 nel 2019 e 17 nel 2015). Tra questi svettano Treviso, Ferrara e Pordenone con oltre l’87%. In 37 capoluoghi si registra una quota di raccolta differenziata inferiore rispetto all’anno precedente; il calo più consistente si rileva a Catania, che passa da 14,5% a quota 9,7% di raccolta differenziata. In sei capoluoghi si registra invece un incremento di oltre 10 punti percentuali: ad esempio a Siracusa e Messina.

AL NORD LE FAMIGLIE PIU’ VIRTUOSE. Nel dettaglio, le famiglie che dichiarano di differenziare sempre i contenitori in plastica passano dall’87,1% del 2018 al 90,8% del 2021. Invece quelle che differenziano sempre i contenitori in vetro sono il 91,1% nel 2021 dall’85,9% del 2018, una quota da sempre più alta rispetto agli altri tipi di rifiuti e in costante crescita. Per la carta l’andamento è simile a quello del vetro: 91,8% nel 2021 da 86,6% nel 2018. In decisa crescita nel tempo anche la raccolta di batterie esauste (dal 45,6% nel 2018 al 52,8% nel 2021) e di farmaci scaduti (dal 48,2% al 54,6%). Ma la crescita più sostenuta nei tre anni considerati si registra per la raccolta dei contenitori in alluminio (dal 71,3% all’81,3%). Sul territorio la quota di famiglie che differenzia costantemente i rifiuti è più alta al Nord ma la distanza con le altre zone del Paese si è ridotta nel tempo grazie alla progressiva diffusione di buone prassi, come il servizio di raccolta porta a porta attivato in molti comuni italiani. Infatti è salita a poco più del 73% la percentuale delle famiglie che dichiara di essere servita dal servizio di raccolta porta a porta: nel 2018 era al 66%.

I RIFIUTI COME RISORSA DI ECONOMIA CIRCOLARE. Grazie a questi sforzi sono aumentati i benefici, legati a uno sfruttamento dell’economia circolare. Tra i risultati ottenuti – emerge dallo studio “Utilities protagoniste della transizione ecologica: le sfide dell’economia circolare”, realizzato dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con AGICI e presentato oggi a Rimini alla Fiera Ecomondo – spiccano i 160 milioni di metri cubi di biogas prodotti, un tasso di recupero dei fanghi di depurazione pari all’87% e un tasso di rifiuti avviati a riciclo superiore al 90%. A livello europeo il rapporto tra uso di materia proveniente da processi circolari e uso complessivo di materia si attesta al 12,8%, in Italia questo valore è pari al 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di quasi dieci punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%).

COSTI E MODALITA’ DI RACCOLTA RESTANO CRITICI. Restano tuttavia criticità. Nel 2021 il 58,6% delle famiglie reputa elevato il costo dei rifiuti (in diminuzione dal 2018 quando erano il 68,2%), il 37,2% lo definisce adeguato e solo lo 0,9% lo giudica basso. In Sicilia e in Umbria supera il 70% la quota di famiglie critiche sul costo della raccolta dei rifiuti, definito adeguato da circa il 49% delle famiglie sia della Provincia Autonoma di Trento che della Lombardia; seguono Molise (47,6%) e Friuli Venezia-Giulia (42,4%). Tranne il Molise, le regioni del Sud mostrano la percentuale più bassa di famiglie che ritengono adeguato il costo del servizio di raccolta rifiuti toccando il minimo del 23,2% in Sicilia (33,2% la media nazionale).
Inoltre le famiglie servite dal servizio di raccolta rifiuti porta a porta si dichiarano insoddisfatte soprattutto per la frequenza della raccolta dei rifiuti (57,3%). Nell’ordine seguono problemi legati agli odori dei rifiuti organici non raccolti (40,3%), agli orari (32,3%) e alla gestione dei sacchetti/contenitori destinati alla raccolta (28,0%). Quasi tre famiglie su 10 non sono convinte che i rifiuti vengano separati adeguatamente una volta raccolti e una quota del 17,2% non è soddisfatta delle informazioni ricevute. Per i cittadini, infine, la presenza di detrazioni o agevolazioni fiscali migliorerebbe in termini sia quantitativi che qualitativi la partecipazione alla raccolta differenziata (lo dichiara l’88,8% delle famiglie). Sarebbero poi utili maggiori garanzie di un effettivo riciclo (per il 69,9%) e la presenza di sanzioni /multe per chi non differenzia i rifiuti secondo il 61,7% degli intervistati da Istat.

agricoltura

L’agricoltura attira i giovani: oltre 19mila under 35 tornano in campagna nel 2022

Pandemia, crisi energetica, precarizzazione. E i giovani si rifugiano nell’agricoltura. Sono infatti oltre 19mila gli under 35 che nel 2022 si sono dedicati alla campagna, tornando a rinvigorire un settore che prima della pandemia sembrava in sofferenza. I dati diffusi dalla Coldiretti, sulla base del focus ‘La dinamica dell’occupazione giovanile’, contenuto nella rilevazione Istat sul mercato del lavoro nel II trimestre del 2022, mostrano come in piena pandemia sia cresciuto il numero di giovani imprenditori agricoli, con un incremento dell’8% negli ultimi cinque anni, in netta controtendenza rispetto all’andamento generale dell’economia.

Rispetto al mercato del lavoro nazionale, quello della popolazione giovane è caratterizzata da un’elevata diffusione di lavoro precario che per primo risente degli andamenti restrittivi o espansivi del ciclo economico. Per la fascia 15-34 anni, infatti, è stato più intenso sia il calo tendenziale iniziato nel secondo trimestre 2020, quando tra gli under35 ha sfiorato i 4 punti percentuali, fermandosi a poco più di 2 punti tra i più adulti e protrattosi fino al primo trimestre 2021, sia la ripresa successiva iniziata nel secondo trimestre 2021, quando l’incremento del tasso tra i giovani è stato quasi il triplo di quello dei più adulti. Parola di Istat. Ma con la crisi provocata dall’emergenza sanitaria, il settore agricolo sembra essere diventato di fatto il punto di riferimento importante per le nuove generazioni tanto che, come ricorda Coldiretti, al lavoro nelle campagne italiane c’è un esercito di 55mila imprese giovani che ha di fatto rivoluzionato il mestiere dell’agricoltore impegnandosi in attività multifunzionali che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.

La pandemia ha accelerato il fenomeno del ritorno alla terra e maturato la convinzione comune che le campagne siano oggi capaci di offrire e creare opportunità occupazionali e di crescita professionale, peraltro destinate ad aumentare nel tempo”, ha affermato la leader dei giovani della Coldiretti Veronica Barbati nel sottolineare che “occorre ora sostenere il sogno imprenditoriale di una parte importante della nostra generazione che mai come adesso vuole investire il proprio futuro nelle campagne, abbattendo gli ostacoli burocratici che troppo spesso si frappongono”.

rifiuti

L’ambiente preoccupa gli italiani: clima, rifiuti e smog in cima alla lista

Climate change, qualità dell’aria e rifiuti. Così è composto il podio delle preoccupazioni degli italiani in tema ambientale. In particolare, le prime due categorie sono state segnalate in oltre il 50% dei casi come ‘principali’, quota che si abbassa al 45% considerando la terza. Nella sua indagine ‘Preoccupazioni ambientali e comportamenti ecocompatibili’, l’Istat tenta ancora una volta di fotografare il mutamento delle consapevolezze e costumi degli italiani su argomenti specifici. Già a partire dal 1998 e con continuità tra il 2012 e il 2021, l’indagine rileva la percezione dei cittadini rispetto alle tematiche ambientali. Sta di fatto che nel 2021, i cambiamenti climatici si confermano al primo posto tra le preoccupazioni per l’ambiente (52,5% della popolazione di 14 anni e più), seguito a stretto giro dai problemi legati all’inquinamento dell’aria (51,5%) e dallo smaltimento e la produzione di rifiuti (44,1%). Ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale vengono percepiti nell’inquinamento delle acque (40,1%) e nell’effetto serra e buco nell’ozono (34,9%). Gli altri problemi ambientali preoccupano meno di 3 persone su 10. In fondo alla graduatoria speciale compaiono temi come l’inquinamento elettromagnetico (che preoccupa ‘solo’ l’11,1% del campione di cittadini), e, risalendo, l’inquinamento acustico (12,3%), la rovina del paesaggio (12,4%), l’esaurimento delle risorse (19%) e ancora la distruzione delle foreste (22,3%), il dissesto idrogeologico (22,4%), l’inquinamento del suolo (22,9%), le catastrofi provocate dall’uomo (23,3%) e l’estinzione di alcune specie (25,7%).

La percezione dei principali problemi legati all’ambiente varia tuttavia in relazione alla posizione geografica. Ad esempio secondo l’Istat i cambiamenti climatici preoccupano il 54,3% degli abitanti del Nord-est rispetto al 46,5% di quelli del Sud. L’inquinamento delle acque è particolarmente sentito dagli abitanti di entrambe le ripartizioni settentrionali, molto meno nel Mezzogiorno, soprattutto nelle isole. Viceversa, i residenti del Centro e del Mezzogiorno sono più sensibili alle tematiche legate alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (47,7% al Centro, 46,6% al Sud e 40,0% del Nord-est) e all’inquinamento del suolo (25,5% al Sud e 20,1% al Nord-ovest). In particolare, l’argomento rifiuti è più sentito dai cittadini del Lazio (52,2%) e della Campania (51,9%) rispetto alle altre aree del Paese (media nazionale del 44,1%). E se vivere in centri metropolitani densamente popolati rafforza la preoccupazione su inquinamento dell’aria, inquinamento acustico e sui rifiuti, i residenti dei piccoli comuni risultano maggiormente sensibili rispetto all’inquinamento del suolo e al dissesto idrogeologico. Anche l’età fa mutare priorità e consapevolezze. Nell’indagine Istat si chiarisce infatti che i giovani fino a 34 anni sono più sensibili sulla perdita della biodiversità (32,1% tra i 14 e i 34 anni contro 20,9% degli over55), sulla distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e sull’esaurimento delle risorse naturali (24,7% contro 15,9%). Gli over55 si dichiarano invece più preoccupati per il dissesto idrogeologico (26,3% contro 17% degli under35) e l’inquinamento del suolo (23,7% contro 20,8%).

Non solo: l’Istat spiega che “l’analisi dei comportamenti ambientali e, degli stili di vita e di consumo sono di grande interesse per costruire un quadro complessivo dell’approccio dei cittadini rispetto all’ambiente”. E allora ecco che nel 2021 il 67,6% degli intervistati dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 65,9% a non sprecare l’acqua e il 49,6% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di diminuire l’inquinamento acustico. Inoltre, il 37,1% della popolazione legge le etichette degli ingredienti e il 24,4% acquista prodotti a chilometro zero.

Dall’indagine emerge anche uno spunto sui cambiamenti delle preoccupazioni nel corso del tempo. “L’analisi dei dati in serie storica– spiega l’Istituto di statistica – fa presupporre che le preoccupazioni più legate al clima abbiano un andamento fortemente legato alle policy e all’influenza mediatica”. Emblematico il fatto che nel 1998 la preoccupazione per l’effetto serra coinvolgeva quasi 6 persone su 10 mentre nel 2021 interessa soltanto il 34,9% degli intervistati. È aumentato però il timore per i cambiamenti climatici, dal 36% nel ’98 al 52,5% del 2021 (ovvero +16%). Tale variazione si spiega anche per l’aumento delle manifestazioni globali a favore della tutela ambientale (dal movimento legato alla decarbonizzazione a quello promosso dall’attivista Greta Thunberg e i Fridays for future). L’Istat rileva infatti “che l’attenzione aumenta in misura decisa a partire dal 2019 in concomitanza ai movimenti di protesta che hanno preso avvio a livello globale”.

bollette

Prezzi alle stelle e bollette da capogiro strozzano le famiglie

L’Italia ha sete di acqua e fame di energia. Due necessità che rischiano di pesare non poco sui bilanci delle imprese. Anche perché una si lega all’altra, dato che la mancanza d’acqua sta spegnendo le centrali idroelettriche, vanto e orgoglio nazionale in questi tempi di vacche magre. E se l’industria è affannata con bollette da capogiro, non va meglio al terziario. L’Osservatorio di Confcommercio stima che tra gennaio e aprile 2022 il prezzo delle offerte elettriche sia salito mediamente del 61%, quelle relative al gas del 21%. Tra aprile 2021 e aprile 2022 i valori sono addirittura a tripla cifra, passando da +110% a +140%. Il conto energetico è insomma sempre più salato per le imprese del commercio, della ristorazione, dei trasporti e del turismo. Secondo Confcommercio, nel 2022 la spesa in carburante per gli autotrasportatori si dovrebbe collocare sui 37 miliardi di euro, ovvero +7 miliardi rispetto al 2021.

PREZZI ALLE STELLE

La congiuntura è stata confermata proprio oggi dall’Istat, nel suo bollettino su commercio estero e prezzi all’import. Il dato che balza all’occhio è ovviamente quello relativo ai beni energetici e ai prodotti petroliferi. Ad aprile la crescita dell’export (+1,5%) interessa tutti i i raggruppamenti principali di industrie, a eccezione dei beni intermedi (-0,3%). L’aumento è dovuto principalmente all’incremento delle vendite di energia (+18%) e beni di consumo non durevoli (+2%). La crescita su base mensile dell’import (+7,0%) riguarda tutti i raggruppamenti, a esclusione dei beni di consumo durevoli (-2,8%), ed è spiegata per la metà dall’aumento degli acquisti di energia (+18,1%). Per quanto riguarda i prezzi all’importazione, incrementi tendenziali sono stati rilevati in quasi tutti i settori manifatturieri, e i più elevati interessano fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+56,4% area euro, +54,8% area non euro).

CONTI IN TASCA

Gli effetti si vedono non solo nel manifatturiero. I dati del terziario che arrivano dall’Osservatorio di Confcommercio parlano chiaro: solo ad aprile i costi dell’elettricità sono aumentati tra il 50% e l’80%. Fa riflettere il conto medio di un albergo tipo, che quest’anno potrebbe dover affrontare spese per 137mila euro per la corrente (+76% rispetto al 2021) e 6mila euro per il gas, ma anche quello di un ristorante (per la corrente 18mila euro, +57%, per il gas circa 10mila euro), mentre per un negozio alimentare la corrente passerà da 23mila a 40mila euro (+70%) e per un bar il conto annuale aumenterà del 54%. Per i negozi non alimentari il rincaro, stima Confcommercio può arrivare addirittura all’87%. Calcolatrice alla mano, i vari comparti del terziario sono chiamati a far fronte a un aggravio di spesa di 27 miliardi, oltre il doppio del 2021 (11 miliardi). Numeri pesantissimi che testimoniano ulteriormente, qualora ce ne fosse bisogno, il momento di sofferenza delle imprese. Nel confronto tra aprile 2021 e aprile 2022, la bolletta annuale di elettricità e gas è aumentata considerevolmente per tutti i principali comparti del terziario: settore alberghiero a +68mila euro per l’elettricità e +13mila per il gas, ristoranti a +9mila euro e + 5mila.

Confcommercio rimarca anche il “pesantissimo balzo” per le famiglie, con tariffe più che raddoppiate dal 2021: la spesa media annuale di un nucleo tipo – con consumo annuo di 2.700 kWh – sarà di 1.116 euro (ovvero più del doppio rispetto ai 540 euro dell’anno scorso). Per quanto riguarda invece i consumi annui di gas (circa 1.400 metri cubi) la spesa sarà di 1.731 euro, ovvero +703 euro rispetto al 2021 (era a quota 1.028).

DEFICIT DA 9 MLD IN UN MESE

La ‘fame di energia’ costa dunque cara, ma l’Italia non è sazia. Anzi. Secondo l’Istat, ad aprile 2022 il deficit energetico raggiunge i 9,111 miliardi (era 2,849 miliardi un anno prima), mentre da gennaio, proprio per effetto dei forti rialzi dei valori medi unitari all’import di gas, greggio e prodotti della raffinazione, raggiunge quasi i 31 miliardi.

Protesta

Arriva la protesta delle ‘pentole vuote’ contro il caro-prezzi

Migliaia di ‘pentole vuote‘, simbolo delle difficoltà economiche delle famiglie, affolleranno le piazze d’Italia il prossimo 10 giugno. È la protesta lanciata dalle più importanti associazioni dei consumatori, che chiamano a raccolta delegati in tutte le Regioni contro il caro-prezzi dell’energia. “Siamo in presenza non di un generico né temporaneo aumento dei prezzi, ma di una vera e propria emergenza nazionale, alimentata da ingiustificabili fenomeni speculativi, che sta costringendo le famiglie a rinunce e privazioni che avranno importanti conseguenze“, spiegano le organizzazioni.

Denunciano un gap sempre più profondo nel Paese, che colleziona disuguaglianze, povertà energetica e povertà alimentare. Più di un quarto delle famiglie si trova già in difficoltà e sta iniziando a ridurre anche i consumi essenziali, come quelli alimentari, sanitari e di cura della persona. Inflazione e caro-bollette, afferma il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi, “non solo modificano i comportamenti economici dei consumatori, portandoli a tagliare gli acquisti anche per beni essenziali, ma producono un danno ingente alla nostra economia, in termini di Pil, occupazione e incidenza della povertà“.

Al Governo le sigle chiedono di essere ricevute e coinvolte nelle scelte sul contrasto alla povertà energetica, il sostegno alle famiglie e ai soggetti più fragili, la determinazione e sorveglianza dei prezzi, i carichi fiscali.

Nel 2022, l’inflazione ha già raggiunto il 6,5%, come non accadeva dai primi anni ’90, e il rialzo dei tassi d’interesse previsto porterà all’aumento delle rate di mutui e prestiti.

A monte, secondo i dati dell’Istat, i prezzi alla produzione dell’industria sono aumentati nel mese di aprile dello 0,2% su base mensile e del 35,3% su base annua. Se l’incremento congiunturale appare contenuto, quello su base annua è il secondo maggior rialzo di sempre, dopo quello di marzo, del 36,9%. “Un guaio per i consumatori, dato che questi rincari verranno inevitabilmente traslati in avanti sui clienti finali, con effetti sull’inflazione e sulla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie“, scandisce Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

Le associazioni lamentano risposte troppo “timide” dell’esecutivo, che, tuonano, “si è limitato a misure di carattere emergenziale e temporaneo, come la tassazione sui superprofitti delle società dell’energia, gli sgravi parziali per alcune imprese e la riduzione degli oneri fiscali sulle bollette, ma rinviando i necessari interventi di carattere strutturale che da tempo rivendichiamo per arginare una crisi che si prospetta non di breve periodo“.

I raduni si terranno il 10 giugno alle 11, con presidi a Roma in piazza Santi Apostoli e contemporaneamente in tutti i capoluoghi regionali davanti alle Prefetture. Sono state invitate a partecipare alla manifestazione le organizzazioni sindacali e datoriali, il mondo del terzo settore e del volontariato sociale, le associazioni ambientaliste e studentesche. Insieme, dalle piazze d’Italia, presenteranno una piattaforma di interventi per calmierare i prezzi e combattere la speculazione.