isole minori

Piena sostenibilità ferma al 40% per le isole minori: bene Tremiti

In Italia le isole minori sono ancora molto lontane dalla piena sostenibilità: su 27 piccole isole marittime abitate prese in esame, l’indice di sostenibilità medio calcolato per la prima volta dall‘Osservatorio di Legambiente e Cnr-Iia (Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche) tenendo conto delle performance su consumo di suolo, rifiuti, acqua, energia, aree protette, mobilità e regolamenti edilizi, “è fermo al 40%“. E’ quanto emerge dal V rapporto ‘Isole Sostenibili – Le sfide della transizione ecologica nelle isole minori’ curato dall’Osservatorio presentato oggi. Tra le isole più virtuose nel percorso di sostenibilità le Tremiti (53%), le Egadi (Favignana, Marettimo, Levanzo), le Eolie (Lipari, Vulcano, Stromboli, Panarea, Filicudi e Alicudi), le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa) che raggiungono il 49% e dall’isola di Capraia che si attesta al 47%. Secondo il rapporto, sono in ritardo, invece, La Maddalena, con un indice pari al 21%, l’Elba (26%) e Ischia (29%). Sette, secondo Legambiente e Cnr-Iia, gli obiettivi che le isole minori si devono prefiggere dal coordinamento con i ministeri a zero consumo di suolo e quattro le azioni pratiche da mettere in campo dall’istituzione di una cabina di regia presso il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica alla redazione di piani di sviluppo sostenibile, alla creazione di un coordinamento unico sulla gestione dei fondi del Pnrr.

Obiettivo del report, spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente , era “tentare di ‘quantificare’ gli sforzi fatti delle amministrazioni e lo stato attuale di sostenibilità di ogni isola. I valori non sono pienamente soddisfacenti, accanto ai punti di forza sono emersi tanti punti di debolezza”. Serve, quindi, un cambio di passo attraverso obiettivi ambiziosi e azioni efficaci. Anche perché, le isole sono dei paradisi di biodiversità, “ecosistemi unici ma allo stesso tempo fragili e stressati da flussi turistici condensati nei periodi estivi”. “Si presentano come laboratori ideali per lo sviluppo di idee innovative nella direzione della transizione ecologica e all’incremento della tutela dei propri territori”, commenta  Francesco Petracchini, Direttore del Cnr-IIA convinto che fondi del PNRR isole verdi rappresentino “un’opportunità unica da cogliere nei prossimi anni per mettere in cantiere progetti virtuosi nel percorso verso la sostenibilità”.
Rispetto alle singole tematiche che vanno a comporre l’indice di sostenibilità complessivo, come rifiuti, perdite di rete, consumo di suolo, emergono le diverse velocità delle isole. Da un lato si evidenziano le buone performance di raccolta differenziata delle isole di San Pietro e Sant’Antioco, in Sardegna, che hanno raggiunto rispettivamente l’84% e l’82%, seguite dalle isole Egadi (80%) e Pantelleria (78%). Indietro nella raccolta differenziata Ponza, Lampedusa e il Giglio, con rispettivamente 9%, 20% e 30%.

Sul fronte delle perdite di rete le isole Tremiti fanno registrare il tasso più basso (9%), seguite da Lampedusa (17%), isola del Giglio (25%), Ischia e Procida (rispettivamente 26% e 27%). La dispersione idrica più alta si registra a Ponza (68%), Maddalena (62%), Sant’Antioco e l’Elba (58% e 54%), e San Pietro (52%). Sul lato della mobilità, il più basso tasso di motorizzazione spetta a Capri (31 auto ogni 100 abitanti), seguita da Procida (46/100), Ponza e Ventotene (entrambe con 51 macchine ogni 100 abitanti). Il parco auto più nuovo spetta all’isola d’Elba e San Pietro con il 49% delle auto con classe emissiva pari o superiore all’Euro5. Le maggiori installazioni di fotovoltaico in termini assoluti si trovano ad Ischia, l’Elba, Sant’Antioco, San Pietro e alle Egadi che da sole rappresentano circa il 73% della potenza installata.
Per quanto riguarda il consumo di suolo, i dati Ispra evidenziano, ad esempio, un’accelerazione a una perdita di superficie agricola pari al 2,6%.  Per questo, secondo Cnr e  Legambiente, “è importante che si rivedano e si integrino i sistemi di pianificazione e controllo territoriale tesi alla lotta all’abusivismo e alla promozione di un uso efficiente del suolo, attraverso il recupero di aree già urbanizzate, la tutela e la valorizzazione delle zone agricole di pregio e la fondamentale tutela delle risorse naturali, passando per il necessario coinvolgimento delle comunità locali”.

Infine, secondo l’Osservatorio CittàClima di Legambiente dal 2010 al 22 maggio di quest’anno sulle isole minori si sono registrati ben 14 eventi climatici estremi di cui 5 allagamenti e alluvioni da piogge intense, 3 danni da mareggiate, 2 frane da piogge intense e un caso ciascuno per danni da trombe d’aria, danni alle infrastrutture, siccità prolungata e danni da grandinate violente. Da sottolineare anche il costo in termini di vite umane con 14 vittime, 12 legate alla tragedia di Casamicciola, a Ischia nel 2022, e 2 alla tromba d’aria di Pantelleria. Per questo “è fondamentale puntare su politiche di adattamento e azioni di mitigazione delle emissioni climalteranti”, spiegano da Legambiente e Cnr.

Stefano Ciafani

Per Legambiente l’hub del gas nasconde insidie e costi: “Puntare sulle rinnovabili”

L’hub del gas porta insidie e costi per i consumatori e contribuenti, mentre le aziende fossili continueranno a fare profitti altissimi. E’ la posizione ribadita da Legambiente nel corso dei mesi. Da quando, cioè, il governo ha parlato per la prima volta del ‘piano Mattei’: per l’associazione “invocarlo per moltiplicare le infrastrutture per le fonti fossili è in contraddizione persino con la visione e l’ispirazione dell’ingegner Mattei che oggi cercherebbe di garantire fonti rinnovabili e meccanismi di stoccaggio dell’energia, non legandosi per decenni a un mercato volatile e costoso come quello del gas ha dimostrato di essere”.

Insieme a ong come WWF e Greeenpeace Italia, Legambiente continua a sollecitare il governo perché investa e acceleri su rinnovabili, efficienza, autoproduzione, reti elettriche e accumuli, invece che sul gas. “È questa la vera strategia energetica da mettere in campo insieme a 4 azioni: potenziamento uffici regionali per le autorizzazioni, aggiornamento e approvazione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici e delle linee guide sull’installazione delle rinnovabili”, spiega il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani convinto che gli accordi presi con Algeria, Libia e altri Paesi delineano una diversificazione non del mix energetico, ma dei Paesi da cui l’Italia importerà gas.

Sono accordi che rischiano di condizionare pesantemente il futuro energetico italiano – continua – accompagnati come sono da impegni per opere inutili e costose, con benefici che andranno solo a grandi aziende e Paesi esteri, mentre i costi saranno scaricati sulla collettività”. Un esempio, per Legambiente, è il gasdotto dall’Algeria che potrebbe determinare anche la futura metanizzazione della Sardegna, “un passo indietro nel passato che condannerebbe l’isola alla dipendenza energetica dall’estero, invece di permetterle il salto tecnologico dalla fonte del passato, il carbone, a quelle del futuro, le energie rinnovabili”. A differenza del gas e delle altre fonti fossili, le energie rinnovabili, sole e vento, sono gratis. “Per questo non sono più ammessi ritardi”: come precisa Legambiente, l’Italia è infatti in forte ritardo nella diffusione delle rinnovabili, preferendo di gran lunga le fonti fossili come dimostrano i 41,8 miliardi di euro stanziati nel 2021 per questo settore. Ben 7,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente. “Occorrerebbe invece puntare alla sicurezza energetica, come richiama proprio il nome voluto dal governo accanto a quello di Ministero dell’Ambiente, investendo nella transizione alle rinnovabili e all’efficienza energetica, che sono l’unica via per garantire contemporaneamente prezzi più bassi, indipendenza dalle forniture estere e politiche climatiche efficaci”, ribadisce Ciafani.

Il paradosso dell’Italia, per il presidente di Legambiente, “è che continua a lavorare ed investire sulle fonti fossili molto più di quanto faccia sulle rinnovabili. L’Esecutivo Meloni, sulla scia dell’ex governo Draghi, con le politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile e il conseguente sviluppo di nuove infrastrutture nel Paese rischia di peggiorare la situazione”. Ma “è necessario invertire la rotta: è urgente snellire e semplificare gli iter autorizzativi, a partire, dai nuovi progetti di eolico a terra e a mare, accelerare sulla realizzazione dei grandi impianti a fonti pulite, sull’agrivoltaico che produce elettricità come integrazione e non sostituzione della coltivazione agricola, su reti elettriche e accumuli, sulla diffusione delle comunità energetiche che usano localmente energia prodotta da fonte rinnovabile; senza dimenticare una seria politica di riqualificazione del patrimonio edilizio capace di rispondere con i fatti alle nuove Direttive europee. Questa è la rotta giusta per accelerare la transizione energetica ed ecologica del Paese”.

comunità energetiche

Sulla riqualificazione edilizia l’Italia è in ritardo: lo rivela Legambiente

L’Italia “è in forte ritardo” sul fronte della riqualificazione edilizia, intesa come interventi per migliorare un patrimonio edilizio importante, ma troppo vecchio, energivoro, e climalterante: a oggi, secondo le ultime stime disponibili, su oltre 12 milioni di patrimonio abitativo ne è stato riqualificato, attraverso il superbonus, solo il 3,1%. Lo sottolinea Legambiente nel suo ultimo rapporto ‘Civico 5.0: Vivere in Classe A’ in cui indica una road map da mettere in campo per “far decollare la transizione energetica del settore edilizio residenziale, aiutare ambiente e famiglie, far in modo che l’Italia arrivi preparata in vista dei prossimi obiettivi europei, centrando anche quelli di decarbonizzazione al 2030 su cui è in forte ritardo“. Per Legambiente, il 3,1% di edifici riqualificati è “una percentuale bassissima che dovrà crescere anche in vista degli impegni che l’Europa potrebbe chiedere con la Direttiva Case green e che per l’Italia significherebbe intervenire in una prima fase, al 2030, su almeno 6,1 milioni di edifici residenziali. Ovvero perlomeno su 871mila edifici l’anno, il 7,2% del patrimonio residenziale. Più del doppio di quanto ha saputo fare il superbonus“.

Per Legambiente, quello che serve al Paese è una vera e propria riforma in tema di politiche sull’efficienza energetica del settore edilizio stabile e duratura nel tempo – almeno al 2030 e con prospettive al 2035 – che preveda: un nuovo sistema incentivante unico che guardi ai singoli interventi, ma soprattutto alla riqualificazione complessiva degli edifici spingendo soprattutto interventi in classi energetiche elevate; raggiungimento classe D come minima per aver accesso agli incentivi; un nuovo sistema incentivante che guardi alla prestazione energetica ottenuta dall’intervento, al reddito delle famiglie, alla messa in sicurezza sismica, ma anche all’abbattimento delle barriere architettoniche, al recupero delle acque piovane a all’utilizzo di materiali innovativi e sostenibili; l’eliminazione di ogni tecnologia a fonti fossili dal sistema incentivante e introduzione del blocco alle installazioni dal 2025; il ripristino della cessione del credito (che potrebbe essere riservata solo agli interventi di efficientamento energetico e a quelli relativi alla messa in sicurezza sismica) e degli strumenti alternativi.

È evidente che all’Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – serve con urgenza una nuova e lungimirante politica di efficienza energetica per il settore edilizio che sia al tempo stesso anche una grande politica di welfare per imprese e famiglie. Gli ingredienti ci sono tutti: un grande numero di edifici a disposizione, tecnologie e competenze e una grande disponibilità, non economica, delle famiglie agli interventi. I monitoraggi di Legambiente, attraverso gli Sportelli Energia del progetto Life ClimAction sono la dimostrazione della necessaria strada da percorrere su cui non sono ammessi più ritardi ed errori come quelli che commessi dagli ultimi Governi sul superbonus, che abbiamo più volte criticato indicando quello che a nostro avviso doveva essere migliorato a partire da una modulazione in base al reddito“. Con l’ultima decisione del Governo Meloni, ossia lo stop alla cessione del credito e allo sconto fattura, “si è stroncato definitivamente l’unica politica di intervento per la riqualificazione edilizia – continua Ciafani -. Ora il Paese ha bisogno di definire al più presto una strategia e un piano di intervento da qui ai prossimi anni e aprire nuovi cantieri nel segno dell’efficientamento energetico, della riqualificazione antisismica e rigenerazione urbana degli edifici. Al tempo stesso deve continuare a fare quello che ha fatto in questi anni con i vari bonus edilizi, ma rimodulandoli e innalzando il livello dei controlli. Tutte queste azioni permetterebbero di arrivare ad un miglioramento della classe di efficienza, di contrastare la povertà energetica permettendo alle famiglie di vivere meglio e spendere meno risparmiando in bolletta, di dare un volano al settore edile riconvertendolo verso le ristrutturazioni e non verso il consumo di suolo, e fornire infine un contributo importante alla lotta alla crisi climatica”.

Si celebra la Giornata mondiale della Terra. Pichetto: “Il mondo ha consumato troppo”

Nell’ultimo secolo, “il mondo ha consumato troppo“. In occasione della Giornata mondiale della Terra, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiede impegno per il Pianeta.

Crisi climatica, smog, marine litter, consumo di suolo, malagestione dei rifiuti sono tra le principali minacce per il Pianeta e la biodiversità, denuncia Legambiente. Dalla crisi climatica che ha accelerato la sua corsa e che solo in Italia nel 2022 ha visto un aumento del 55% degli eventi estremi rispetto al 2021, causando danni e vittime, per passare al cronico problema dell’inquinamento atmosferico che non risparmia le città italiane all’eccessivo consumo di suolo, solo per citarne alcuni. Di fronte a questo quadro, il Cigno verde ribadisce che non c’è più tempo da perdere: “E’ ora il tempo del coraggio e delle azioni“. Per l’associazione sono cinque le aree di intervento su cui il Paese dovrebbe lavorare sempre di più anche per dare concretezza alla transizione energetica ed ecologica: rinnovabili, adattamento alla crisi climatica, consumo di suolo, mobilità sostenibile ed economia circolare. L’Italia “deve diventare un hub delle rinnovabili e non del gas, velocizzando gli iter di autorizzazione degli impianti, a partire da quelli fotovoltaici ed eolici“, afferma l’associazione. Deve approvare una legge contro il consumo di suolo, che il Paese aspetta da 11 anni, e nuove norme per abbattere più velocemente gli edifici abusivi; incentivare la mobilità sostenibile, intermodale e a emissioni zero; promuovere l’economia circolare, costruendo gli impianti industriali di riciclo e garantendo un approccio “sostenibile e circolare” per tutti i settori, a partire dal comparto idrico.

L’ultimo report dell’Ipcc ricorda che occorre dimezzare le attuali emissioni climalteranti nei prossimi otto anni per poter contenere li surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. “Per poter far ciò serve mettere in campo in tutti i paesi, a partire dall’Italia, politiche coraggiose e lungimiranti a partire dallo stop ai sussidi alle fonti fossili, puntando in primis su efficienza energetica, rinnovabili, autoproduzione, accumuli e sviluppo delle reti“, scandisce il presidente Stefano Ciafani. “Allo stesso tempo bisogna, però – osserva –, replicare anche quelle esperienze virtuose che arrivano dai territori e che ci raccontano l’altra faccia dell’Italia, quella che coniuga sostenibilità ambientale, innovazione, tutela e valorizzazione, consapevoli che il futuro del Pianeta passa anche da qui, da come noi intendiamo investire sul futuro della nostra Terra”.

Sulla stessa linea il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, che tramite GEA rivolge un appello alla premier Giorgia Meloni: “Si fermi, cambi. Non si faccia dare la linea dall’Eni, che vuole costruire un futuro basato sugli idrocarburi, vuole l’Italia hub del gas per vendere il gas all’estero, questa sarà la rovina del nostro Paese. Ma la rovina del nostro Paese – ricorda – è data anche dalla dipendenza dalle fonti fossili. Puntiamo sulle rinnovabili, non facciamo più la guerra all’Europa sull’auto elettrica e sul risparmio energetico. Bisogna essere amici del clima se vogliamo dare un futuro alle generazioni che verranno“.

IMPIANTO SNAM RETE GAS

Allarme Legambiente: 150 perdite su 16 impianti metano. “Serve una normativa stringente”

Centocinquanta punti di perdita su 16 impianti di metano monitorati in Italia. Sono i risultati che Legambiente presenta al termine della campagna ‘C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso’.

Il problema, sollecita il Cigno Verde, deve essere affrontato urgentemente se si vuole combattere la crisi climatica, dotandosi anche di una normativa stringente per rendere monitoraggi e controlli obbligatori negli impianti. L’associazione ambientalista, grazie al supporto di Clean Air Task Force, ha monitorato e documentato le dispersioni di metano di alcuni impianti energetici e su 16 di questi, monitorati nel 2022 e nel 2023, tra Sicilia, Campania e Basilicata e legati prevalentemente al trasporto di gas come gasdotti, centrali di compressione, impianti di regolazione e misura di gas, pozzi e centrali di trattamento e raccolta di idrocarburi, sono stati rilevati grazie all’utilizzo di una termocamera a infrarossi ‘FLIR GF320’ circa 150 punti di dispersioni diretti. Di questi 128 hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, manometri, valvole, tubature e altre componenti, a testimonianza della necessità di aumentare i monitoraggi, le verifiche e gli interventi. Sono 26, in totale, invece i casi di venting (ossia di rilascio volontario di metano direttamente in atmosfera). In questo viaggio lungo la Penisola, tra gli “osservati speciali” monitorati da Legambiente il gasdotto Greenstream, in Sicilia, che collega la Libia all’Italia e la centrale di compressione di Melizzano, in Campania in provincia di Benevento, che rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese visto che attraverso di essa passa buona parte del gas importato dal sud Italia e spinto verso nord.

Un quadro preoccupante, che ha portato alla luce molte criticità, a partire da uno stato generale delle infrastrutture in cui si fa poca manutenzione, da un massiccio utilizzo di pratiche di venting e la mancanza di dati pubblici.

Se immesso direttamente in atmosfera, il metano può avere un effetto fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni. Si stima che a livello globale nel 2021 siano stati emessi in atmosfera ben 126 miliardi di metri cubi di gas solamente dal settore oil and gas, un enorme spreco di risorse oltre a una minaccia per il clima. Un dato che va affiancato dalle attività di flaring, ovvero combustione in torcia, attraverso le quali nel 2021 sono stati sprecati 144 miliardi di metri cubi di gas (IEA, 2023). Per questo Legambiente rilancia un appello al Governo Meloni perché si definisca e si adotti una normativa stringente che preveda monitoraggi e comunicazione (MRV), ma anche interventi di rilevamento e riparazione delle perdite di metano (LDAR). In questa direzione, ad esempio, introdurre l’obbligo mensile di condurre attività di rilevamento e riparazione, secondo lo US EPA, garantirebbe una riduzione delle emissioni del 90%. Dell’80% con una frequenza trimestrale, del 67% semestrale. Allo stesso tempo Legambiente chiede all’Esecutivo un’inversione di rotta per un graduale abbandono delle fonti fossili.

La crisi energetica del 2022, segnata anche dall’aggressione militare russa in Ucraina, ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili“, ricorda Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Una situazione che in Italia, a suo avviso, “rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili su cui ha intensamente lavorato il Governo Draghi per affrontare il tema della dipendenza dal gas russo e che il nuovo Esecutivo Meloni sta proseguendo proponendo al Paese e al mondo l’Italia come il principale hub del gas dell’Europa. Una scelta totalmente sbagliata perché il nostro Paese deve diventare l’hub delle rinnovabili e non quello del gas, attraverso semplificazioni normative, autorizzazioni più veloci e investimenti ingenti su grandi impianti industriali, comunità energetiche, accumuli e reti”.

Tra gli impianti che destano preoccupazione spicca il Greenstream, il gasdotto che collega la Libia all’Italia gestito dalla Greenstream BV, una compagnia che vede Eni e Noc (Compagnia petrolifera nazionale libica) azioniste alla pari. In particolare, a Gela, presso il terminal di ricevimento del gasdotto, nel corso dei monitoraggi sono stati osservati due importanti casi di rilascio volontario continuo in atmosfera (venting) e 9 altre perdite di vario genere. A queste si aggiungono quelle rilevate in un impianto di regolazione e misura (REMI) dove sono state individuate 12 emissioni di metano, di cui 2 casi di venting, e 10 perdite da valvole, tubature e contatori.

rinnovabili

Rinnovabili a ostacoli. Report Legambiente: da Regioni via libera solo a 1% solare nel 2022

Ad oggi in Italia sono 1.364 gli impianti di rinnovabili in lista d’attesa, ossia in fase di VIA, di verifica di Assoggettabilità a VIA, di valutazione preliminare e di Provvedimento Unico in Materia Ambientale a livello statale. Il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Insomma, ‘in Italia lo sviluppo delle rinnovabili continua ad essere una corsa ad ostacoli’. Sono infatti pochissime le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni negli ultimi 4 anni: nel 2022 solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto, infatti, l’autorizzazione’. Si tratta del ‘dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021’. Ancor peggio i dati dell‘eolico on-shore con una percentuale di autorizzazioni rilasciate nel 2019 del 6%, del 4% nel 2020, del 1% nel 2021 per arrivare allo 0% nel 2022. A pesare in prima battuta “norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi‘. Il risultato finale è che nella nostra Penisola ‘l’effettiva realizzazione di nuovi impianti da fonti pulite resta timida e insoddisfacente, quasi un miraggio nel 2022′. A parlar chiaro i numeri del nuovo report di Legambiente  ‘Scacco matto alle rinnovabili 2023’ presentato questa mattina alla Fiera K.EY di Rimini insieme ad un pacchetto di proposte e ad un’analisi su 4 legge nazionali e 13 leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite.

Eppure, negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili: quest’ultime sono passate da 168 Gw al 31 dicembre 2021 ad oltre 303 Gw al 31 gennaio 2023. Sono 1.364 gli impianti in attesa di autorizzazione statale, il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Secondo Terna, nel 2022 sono stati installati nuovi impianti di rinnovabili per appena 3,035 Gigawatt. E’ un aumento rispetto agli 0,8 Gw del 2021, ma ancora lontano dai 10 Gw all’anno che si dovrebbero installare per rispettare il taglio delle emissioni del 55% al 2030 previsto dal Piano europeo Fit for 55. Oltre alla lentezza degli iter autorizzativi e all’eccessiva burocrazia di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, a pesare sono anche i no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali Nimby (Not In My Backyard) e Nimto (Not In My Terms of Office). Per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia, Legambiente propone l’aggiornamento delle Linee Guida per l’autorizzazione dei nuovi impianti, ferme al 2010, e un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure. Centrale per Legambiente resta anche il dibattito pubblico sui progetti.

 Tra le storie raccontate da Legambiente, c’è quella ad esempio la storia dell’impianto agrivoltaico della potenza di 28,38 MW da realizzarsi su 45 ettari tra i Comuni di Cartoceto e Fano, nelle Marche, che hanno espresso parere negativo rispetto al progetto confermato anche dal diniego della Regione in fase di VIA. Il motivo dell’opposizione è legato alla preoccupazione per il mantenimento della vocazione agricola del territorio a seguito della realizzazione dell’opera. IUmbria il Regolamento Regionale n. 4 del 12 luglio 2022 limita le installazioni di impianti fotovoltaici e agrivoltaici in aree agricole e industriali imponendo limiti di occupazione di suolo in alcuni casi più stringenti rispetto a quelli sino ad oggi in vigore. In Puglia ad ostacolare le rinnovabili sono anche sindromi NIMBY. Destino che ha subito il progetto Odra Energia che prevede un impianto offshore con 90 turbine galleggianti da 1,3 GW di energia pulita, a circa 13 km dalla costa adriatica tra Porto Badisco e Santa Maria di Leuca, ostracizzato per impatto paesaggistico. C’è poi il caso del SIN (Sito di Interesse Nazionale) di Brindisi dove è stato proposto un parco fotovoltaico da 300 megawatt che potrebbe rappresentare un esempio di utile recupero di aree inquinate e non bonificabili. Dal 2007 il Ministero dell’ambiente ha prescritto un’analisi dei rischi mai eseguita e che a fronte di caratterizzazioni sulle matrici ambientali in significativa crescita, le bonifiche non raggiungono il 10%: in queste condizioni l’ARPA non può esprimere pareri sui tanti progetti di impianti FER sottoposti alla sua attenzione e si arriva al paradosso che, pur in presenza di formale impegno di società interessate ad accollarsi bonifiche, progetti che a volte sono inseriti nel PNRR vengono bloccati o addirittura bocciati. A questi si aggiunge una nutrita lista di progetti bloccati durante l’iter regionale su cui si è dovuto esprimere il Consiglio dei Ministri al fine di sbloccarli. Per la Puglia, parliamo di 15 progetti di eolico on-shore per un totale di oltre 630 MW di potenza installabile. Forti ostilità anche in Sardegna. Vittime dei blocchi non solo i progetti di nuovi impianti rinnovabili ma anche quelli di repowering di impianti preesistenti. Altra storia arriva dalla Toscana ma con un lieto fine. Parliamo dell’impianto eolico del gruppo Agsm Aim ricadente nei Comuni di Vicchio e Dicomano. Qui le opposizioni e gli ostacoli arrivano anche in fase di valutazione con commissioni di VIA che presentano 64 richieste di integrazione, si arriva all’inchiesta pubblica e ulteriori 360 richieste di integrazione ma che finalmente si sta avviando alla realizzazione.

Legambiente: Città lontane da obiettivi 2030 sulla mobilità

Le città italiane sono ancora lontane dagli obiettivi di mobilità, riduzione delle emissioni e sicurezza fissati al 2030, ma “hanno la responsabilità e il potere di fare la differenza”. E’ quanto emerge dal bilancio finale di Clean Cities, la campagna itinerante di Legambiente che ha messo in luce il ruolo che i capoluoghi italiani possono svolgere per guidare il paese verso una mobilità a zero emissioni. “Mentre il governo sembra muoversi in direzione opposta, decisamente anacronistica rispetto agli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni – tra cui il phase-out delle auto alimentate da combustibili fossili”, dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, le città “possono diventare veri motori di cambiamento, rispondendo finalmente alle esigenze di tutti i cittadini e posizionando il nostro Paese tra i più avanzati dell’Unione Europea“. In particolare, le 9 città pioniere – Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino – incluse nella Missione per la neutralità climatica “devono definire un percorso chiaro per raggiungere l’obiettivo del net-zero entro 7 anni“. Ecco allora che “devono compiere un importante cambiamento per diventare più vivibili e meno inquinate, ponendo al centro della loro strategia la mobilità pubblica, condivisa, elettrica, attiva e intermodale”.

Ma a che punto siamo? Dal rapport Clean Cities emerge che il rapporto pubblico in Italia “è molto al di sotto della media europea, con soltanto un quarto delle metropolitane, treni veloci, linee tranviarie e autobus elettrici rispetto agli altri paesi“. Per Legambiente, per rendere le città veramente sostenibili e inclusive, spiega Andrea Poggio, responsabile mobilità dell’associazione, “occorre adottare politiche che rendano i quartieri e le città più accessibili in bici e con mezzi elettrici condivisi (con zone a basse emissioni e a pedaggio per le auto private) adottando le nudge policies (o spinte gentili) attraverso incentivi economici, abbonamenti e miglioramenti dei servizi“. Per trasformare le città italiane in vere “clean cities”, secondo il Cigno Verde bisogna dunque “disegnare percorsi prioritari ciclo-pedonali, incrementare i mezzi pubblici, creare zone scolastiche, aumentare i servizi e le infrastrutture di mobilità elettrica e condivisa, progettare zone cittadine a “zero emissioni“, anche per la distribuzione delle merci.

Soltanto un cittadino italiano su 4, però, è pronto ad abbandonare l’auto privata per i mezzi pubblici, se comodi e puntuali. L’indagine condotta da Ipsos per Legambiente ha analizzato le abitudini di mobilità su scala nazionale con un focus sulle grandi città di Roma, Napoli, Firenze, Milano e Torino. Dai risultati emerge, in sintesi, che i comportamenti degli italiani sono molto variegati e segmentati, e ognuno di essi richiede una risposta diversa. In particolare, una fetta consistente del campione nazionale, il 23%, è rappresentato dagli “aperti al pubblico”, ovvero da coloro che userebbero di più i mezzi pubblici e condivisi a fronte di un potenziamento dei servizi e una diminuzione dei costi. A Milano sono il 25%, a Napoli il 24%, a Torino il 23%, a Firenze 18%, a Roma il 16%.

L’allarme di Legambiente: “Neve artificiale sul 90% delle piste italiane. E’ insostenibile”

L’Italia è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). E’ quanto emerge dal dossier di Legambiente ‘Nevediversa 2023’, presentato oggi a Torino. La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%. Per l’associazione il sistema di innevamento artificiale “non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio”.

I dati che emergono dalle stime sono preoccupanti: considerando che in Italia il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di m³ che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. “Inoltre – si legge nel rapporto – l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione“. Senza contare che il costo della produzione di neve artificiale sta anche lievitando, passando dai 2 euro circa a metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-2023. Per questi motivi Legambiente torna a ribadire “l’urgenza di ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività. Ce lo impone la crisi climatica che avanza e che sta avendo anche pesanti impatti sull’ambiente montano. Difronte a ciò l’Italia non può più restare miope, ne può pensare di poter inseguire la neve”.

A preoccupare è anche il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna ubicati in prossimità dei comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale. Sono 142 quelli mappati nella Penisola per la prima volta da Legambiente attraverso l’utilizzo di immagini satellitari per una superficie totale pari a circa 1.037.377 mq. Il Trentino Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16 bacini. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più, ben 4.

In parallelo, nel 2023 aumentano sia gli “impianti dismessi” toccando quota 249, sia quelli “temporaneamente chiusi” – sono 138 – sia quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, ossia quelli che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, e che nel 2023 arrivano a quota 181.Tutti impianti censiti da Legambiente che quest’anno allarga il suo monitoraggio includendo anche altre categorie: quelle degli “impianti un po’ aperti, un po’ chiusi”, ossia quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore. In totale sono 84. La categoria degli “edifici fatiscenti”, 78 quelli censiti. Ed infine la categoria “smantellamento e riuso”, 16 i casi censiti.

Alla ministra del Turismo Daniela Santachè, che questo inverno ha avviato un tavolo tecnico per l’emergenza legata alla mancanza di neve in Appennino, “torniamo a ribadire – dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – che avrebbe più senso investire risorse nell’adattamento e non nell’innevamento artificiale. Con un clima sempre più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici e conflittuali. Per questo è fondamentale che nella lotta alla crisi climatica l’Italia cambi rotta mettendo in campo politiche più ambiziose ed efficace, aggiornando e approvando entro la fine di marzo il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, e rindirizzando meglio i fondi del PNRR”.

Treno Stazione

Legambiente contro il Ponte sullo Stretto: “Italia indietro rispetto all’Europa, investire sui treni”

Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica della mobilità è ancora troppo lenta. A pesare sul trasporto su ferro – con pesanti ripercussioni sul sud Italia – sono, soprattutto, i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate. A denunciarlo è Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia, invitando il governo a farlo diventare “una priorità“. Non solo. L’associazione ambientalista si rivolge direttamente al ministro Matteo Salvini. A lui, dice il presidente Stefano Ciafani, “chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere“, smettendo di “rincorrere” quelle “inutili” come “il Ponte sullo Stretto di Messina“.

E proprio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti risponde a distanza alle richieste di Legambiente. “Stiamo investendo sull’alta velocità, vogliamo portarla finalmente anche al Sud, senza scordarci di investire sui treni regionali, quelli che si prendono tutti i giorni“, dice intervenendo all’International Railway Summit 2023, in corso a Roma. A dire il vero, il fronte leghista si mostra compatto e nel corso della giornata rivendica “il lavoro concreto e pragmatico” portato avanti in questi mesi dal vicepremier, “dopo anni di no ideologici“.

Il quadro che emerge dal rapporto non è rassicurante. Il nostro Paese “è indietro” rispetto a buona parte dell’Europa su diversi fronti. Ad esempio, la dotazione di linee metropolitane si ferma a 254,2 km totali, ben lontana dai valori di Regno Unito (679,1 km), Germania (656,5) e Spagna (613,8). Basti pensare che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2).

A pesare sono anche le persistenti differenze” tra nord e sud e “a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno“, dove “circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni“, quindi molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. E, ancora, le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, ricorda Legambiente, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia. Per l’associazione, quindi, servirebbero più convogli, certo, ma anche collegamenti più veloci.

In 11 anni, cioè dal 2010 al 2020, in Italia sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro, ma ora servono “maggiori risorse economiche” pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, “recuperabili dal bilancio dello Stato specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili“.

C’è però, una nota positiva. L’Italia è in vantaggio rispetto agli altri Paesi europei sull’elettrificazione della rete ferroviaria. Sono previste risorse sia nel Pnrr sia nel contratto di programma di Rfi. Gli interventi interessano complessivamente oltre 1.700 km di rete e porteranno la quota di rete elettrificata in dal 70,2% del 2022 ad oltre il 78% a fine interventi. Un fiore all’occhiello che punta alla sostenibilità. “Il tasso di elettrificazione della nostra rete – spiega l’ad del gruppo Fs, Luigi Ferraris dall’International Railway Summit – è uno dei più alti in Europa. Ma siamo i maggiori consumatori di energia del Paese e per questo abbiamo avviato un programma di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili che coprirà almeno il 40% del nostro fabbisogno“.

Il flashmob di Legambiente: “Respiriamo grazie alle piante, non soffochiamole”

Bari, Bergamo, Firenze, Genova, Milano, Padova, Perugia e Torino. Da queste città arrivano gli scatti dei volontari di Legambiente che sono scesi in strada muniti di maschera antigas collegata ad una piccola teca contenente una piantina. “Respiriamo grazie a loro. Non soffochiamole”, è il messaggio che gli attivisti hanno voluto lanciare in occasione dei flash mob realizzati nell’ambito del progetto LIFE MODERn (NEC).

L’inquinamento atmosferico prodotto in città dalle attività antropiche genera un impatto negativo anche negli ecosistemi remoti come le foreste e le acque dolci. Per monitorare al meglio gli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi fondamentali per la vita sul Pianeta, questo progetto europeo guidato dall’Arma dei Carabinieri – Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari CUFAA, e supportato da CNR, CREA, ENEA, Legambiente, TerraData srl environmetrics e le Università di Camerino e di Firenze, ha l’obiettivo di raddoppiare i siti attualmente monitorati attraverso la Rete Nec e incrementare il numero degli indicatori considerati.

Secondo l’ultimo rapporto Mal’aria di Legambiente, che ha monitorato la qualità dell’aria nell’anno 2022, i livelli di inquinamento atmosferico in molte città sono ancora troppo alti e lontani dai limiti normativi, più stringenti, previsti per il 2030. Rispetto a questi nuovi target europei, infatti, ad oggi sarebbero fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. Tra queste, dati preoccupanti sono stati registrati in alcune località in cui i volontari dell’associazione hanno realizzato un piccolo flashmob in strada con le maschere antigas collegate alle piantine: a Milano e Torino (media annuale di 35 microgrammi/metro cubo) e Padova (32 microgrammi/metro cubo) le situazioni più difficili per il PM10; per l’NO2 valori più alti riscontrati a Firenze (30 microgrammi/metro cubo) e Bergamo (28 microgrammi/metro cubo).

L’inquinamento atmosferico che danneggia pesantemente la nostra salute e compromette la qualità della nostra vita, influisce anche sulla biodiversità, ma, mentre un quadro delle emissioni di inquinanti atmosferici a livello nazionale è ormai sufficientemente strutturato e basato su una solida rete di siti di monitoraggio, lo studio degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi necessita di maggiori studi e strumenti come un’adeguata rappresentatività dei diversi ecosistemi e una sinergica integrazione tra i metodi e i risultati ottenuti da diversi istituti di ricerca.

Ad oggi la Rete NEC conta 10 siti, 6 forestali e 4 di acqua dolce. Tra i parametri attualmente considerati negli ecosistemi forestali ci sono lo stato di salute e la vitalità degli alberi, le deposizioni atmosferiche, la chimica delle soluzioni circolanti nei suoli, la chimica fogliare e la biodiversità di piante e licheni. Nei siti di acqua dolce sono invece considerati i parametri chimici dell’acqua come i livelli di acidità, il solfato, i nitrati, oltre alle comunità a macroinvertebrati e diatomee. Grazie al progetto, saranno considerati ulteriori 18 indicatori, attualmente al vaglio dei partner del progetto, tra cui la diversità della fauna del suolo, di pipistrelli e uccelli e il DNA ambientale, la trasparenza e la qualità dell’aria e una serie di indicatori legati alla diversità funzionale delle comunità.