I consigli di Legambiente per un Natale 2022 ecosostenibile

È iniziato il conto alla rovescia per il Natale e, di conseguenza, la corsa ai regali. Ma come fare per vivere un 25 diccembre ecosostenibile? I suggerimenti arrivano da Legambiente che ha stilato una serie di consigli e accorgimenti che contribuiscono a dare alle festività un‘impronta più eco-friendly, dagli addobbi alla tavola, dal cibo alla scelta dei doni. Per quest’ultimo punto l’associazione propone le sue confezioni di prodotti coltivati nei terreni confiscati alle mafie, il cui ricavato va a sostegno delle attività di salvaguardia delle specie a rischio e minacciate nelle aree di Legambiente Natura, oppure di adottare una tartaruga marina o di donare per salvare le api regine. Di seguito, invece, il decalogo per un Natale ecofriendly.

Addobbi. Scegliere quelli sostenibili: illuminazioni a led per adornare l’albero e la casa e decorazioni ‘di recupero’ riutilizzando tappi di sughero, legno, cartoncini, tessuti e oggetti di uso comune da trasformare in segnaposto, ghirlande e centrotavola 100% green.

La tavola. Scegliere prodotti a filiera corta provenienti dalla propria regione: si potrà risparmiare, riscoprire cibi tradizionali e, al contempo, sostenere piccole realtà imprenditoriali del territorio
Abbigliamento. Se si desidera regalare capi d’abbigliamento o accessori, scegliere prodotti sostenibili o il ‘pre-loved’, un’espressione internazionale che fa riferimento a oggetti che sono già appartenuti a qualcuno che li ha scelti e amati prima di noi. Usati, quindi, ma che meritano una seconda possibilità di impiego.

Tecnologia. Sì, ma rigenerata. Sono sempre più le opportunità di acquisto di regali hi-tech usati ma ricondizionati: costano meno e con la garanzia della stessa durata di oggetti nuovi.

Alimentazione. Che sia vegetale e a zero sprechi: spesso l’abbondanza accompagna la tavola delle feste. Recuperare gli avanzi dei pasti e utilizzarli come ingredienti per nuove ricette.

No all’usa e getta. Per allestire la tavola frugare nei pensili e nei cassetti di casa: troverete sicuramente complementi d’arredo e stoviglie sottoutilizzate che potranno dare una svolta vintage alle feste. Non avete piatti e bicchieri coordinati? Niente paura: mescolare stili diversi, sposando la filosofia del Mix&match, è di tendenza.

Doni fai da te. Recuperate vecchi barattoli e, dopo averli opportunamente sanificati, riempiteli di ingredienti utili a realizzare biscotti e dolci, corredando il dono di un biglietto con la ricetta per cucinarli, o riutilizzateli per contenere piccole piante grasse, adatte anche a chi non ha il pollice verde.

Regali di troppo. Avete ricevuto regali poco graditi? Organizzate una tombola di riuso.

Esperienze green. Regalate un’esperienza green. Un viaggio sostenibile o per un’iniziativa in natura, magari a pochi chilometri da casa tua: dal corso per il riconoscimento delle erbe spontanee, al weekend fuori porta, passando per laboratori di cucina organizzati da agriturismi e associazioni del territorio, è pieno di iniziative che potrebbero fare al caso vostro.

Regalarsi del tempo. Per quello che è tra i momenti più attesi, e a volte stressanti, dell’anno, perché non concedersi un momento di auto-gratificazione? Un libro, una passeggiata o una piccola coccola potranno rendere ancora più belle le feste che stanno per arrivare.

L’Italia non è un Paese per bici: investe 100 volte di più su auto

L’Italia punta sugli spostamenti in auto anziché in bicicletta. Il nostro Paese, infatti, investe poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili cittadine ed extraurbane, contro i 98 miliardi di euro destinati al comparto automobilistico (considerando anche le infrastrutture). Il rapporto è, dunque, impietoso, nonostante sullo sfondo ci sia la sfida dell’Italia e dell’Ue di ridurre le proprie emissioni climalteranti del 55% entro il 2030. E lo è ancora di più, considerando che nel 2019 il settore dei trasporti è stato responsabile per il 30,7% delle emissioni totali di Co2, il 92,6% delle quali attribuibili proprio al trasporto stradale. A scattare questa fotografia è il rapporto ‘Clean Cities‘ pubblicato da FIAB, Kyoto Club, Legambiente e, appunto, Clean Cities.
La nostra analisi – spiega Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities – evidenzia che spendiamo tante, troppe delle nostre tasse per sovvenzionare l’uso dell’automobile privata, e pochi spiccioli per dare a tutti la possibilità di muoversi in bicicletta; inoltre, le nostre città sono ancora molto poco ciclabili eppure, per renderle tali, basterebbe investire poco più di tre miliardi di euro, tanto quanto stiamo spendendo ogni tre mesi per abbassare i prezzi di diesel e benzina“.

Per la realizzazione del dossier, le organizzazioni – dati Istat alla mano – hanno analizzato i chilometri di corsie o piste ciclabili per 10mila abitanti al 2020 e i chilometri aggiuntivi previsti dal Piano urbano mobilità sostenibile e biciplan. È emerso che le città italiane hanno una media di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali: da zero km in molti capoluoghi del centro-sud ai 12-15km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia. Molte città sono quindi fanalino di coda nel contesto europeo, anche se alcune risultano ciclabili quanto Helsinki (20km/10.000 abitanti), Amsterdam (14km/10.000 abitanti) e Copenaghen (8km/10.000 abitanti). Tra il 2015 e il 2020, le ciclabili urbane sono aumentate, (+18% nei capoluoghi di provincia e +30% nei capoluoghi di città metropolitana), ma la crescita si è concentrata quasi esclusivamente nei centri urbani che già avevano un livello di infrastrutture ciclabili superiore alla media.
Raffaele Di Marcello, consigliere di presidenza e responsabile Centro studi nazionale Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), fa notare che “la situazione infrastrutturale delle nostre città, per quanto riguarda i percorsi ciclabili, è ancora da migliorare. Le poche piste, spesso non collegate tra loro, insieme con la mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile rendono difficile, quando non impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile“.

Secondo l’analisi, per colmare il gap con il resto d’Europa e consentire un robusto spostamento modale, alle città italiane servirebbero 16mila km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21mila km al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, “ma molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità“.
Insieme al dossier le quattro organizzazioni hanno lanciato la petizione ‘Vogliamo città sostenibili’. Obiettivo: raggiungere 5mila firme per chiedere al Governo e al Parlamento di prevedere un programma di investimenti di 500 milioni di euro all’anno da qui al 2030.

Rifiuti, blitz di Legambiente alla Torre del Lebbroso ad Aosta

Lattine di birra e bibite gassate, cartacce, cartoni ‘accoglievano’, fino a qualche giorno fa, turisti e passanti che si soffermavano ad ammirare la Torre del Lebbroso, ad Aosta. Alcuni cittadini, indignati alla vista di rifiuti a cielo aperto e del degrado della costruzione, hanno dunque interpellato il Comune di Aosta che, per competenza, ha chiesto che fosse interpellata la Soprintendenza ai Beni culturali.
“Le settimane sono però trascorse – ha raccontato Denis Buttol, presidente del circolo Legambiente Valle d’Aosta – senza che nulla accadesse; riconosciamo che la Soprintendenza ai beni culturali opera con scrupolo per la valorizzazione e conservazione delle bellezze della nostra regione e che sia possibile che ogni tanto perda dei pezzi, però occorreva agire“.

Così, durante lo scorso fine settimana alcuni volontari del circolo ambientalistico hanno ripulito gli scalini della Torre. “Quest’ultima azione intende essere uno stimolo a ricercare sempre la bellezza nei luoghi in cui viviamo e di cui, per fortuna, siamo ricchi. Osserviamo – sottolinea Buttol – altri luoghi oggetto di disattenzione: ad esempio, sempre ad Aosta, la Tour du Pailleron, visibile tra l’altro da tutti i turisti che arrivano dalle stazioni ferroviaria e dei pullman: gli accessi sono chiusi da pannelli di compensato e circondati da reti di plastica arancione da cantiere, con cartelli che recitano edificio pericolante. Non il modo migliore, forse, di valorizzare un importante monumento”.

 

 

Maltempo

Clima, 2022 da record in Italia per fenomeni estremi: +27%

La crisi climatica accelera la sua corsa insieme agli eventi estremi, che stanno avendo impatti sempre maggiori sui Paesi di tutto il mondo, a partire dall’Italia. Nei primi dieci mesi del 2022, seppur con dati parziali, sono stati registrati nella Penisola 254 fenomeni meteorologici estremi, +27% di quelli dello scorso anno. Preoccupa anche il bilancio degli ultimi 13 anni: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più colpite: Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101). È quanto emerge in sintesi dalla fotografia scattata dal nuovo report ‘Il clima è già cambiato’ dell’Osservatorio CittàClima 2022 realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol.

Entrando nello specifico, su 1.503 fenomeni estremi ben 529 sono stati casi di allagamenti da piogge intense come evento principale, e che diventano 768 se si considerano gli effetti collaterali di altri eventi estremi, quali grandinate ed esondazioni; 531 i casi di stop alle infrastrutture con 89 giorni di blocco di metropolitane e treni urbani, 387 eventi con danni causati da trombe d’aria. Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città con diverse conferme tra quelle che sono le aree urbane del Paese più colpite in questi 13 anni: da Roma – dove si sono verificati 66 eventi, 6 solo nell’ultimo anno, di cui ben oltre la metà, 39, hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense; passando per Bari con 42 eventi, principalmente allagamenti da piogge intense (20) e danni da trombe d’aria (17). Agrigento, con 32 casi di cui 15 allagamenti e poi Milano, con 30 eventi totali, dove sono state almeno 20 le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni.

Una fotografia nel complesso preoccupante quella scattata da Legambiente, in quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo giorno della Cop27, per lanciare un doppio appello: se da una parte al livello internazionale è fondamentale che si arrivi ad un accordo ambizioso e giusto in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1.5°C ed aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili a fronteggiare l’emergenza climatica, dall’altra parte è altrettanto imprescindibile che l’Italia faccia la sua parte. Al Governo Meloni e al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin l’associazione chiede, in primis, che “venga aggiornato e approvato entro la fine dell’anno il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), rimasto in bozza dal 2018, quando erano presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro Gian Luca Galletti”.  Ad oggi sono saliti a 24 i Paesi europei che hanno adottato un piano nazionale o settoriale di adattamento al clima. Grande assente l’Italia che per altro in questi ultimi 9 anni – stando ai dati disponibili da maggio 2013 a maggio 2022 e rielaborati da Legambiente – ha speso 13,3 miliardi di euro in fondi assegnati per le emergenze meteoclimatiche (tra gli importi segnalati dalle regioni per lo stato di emergenza e la ricognizione dei fabbisogni determinata dal commissario delegato). “Si tratta di una media – sottolinea l’associazione – di 1,48 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, in un rapporto di quasi 1 a 4 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni”.

Nella lotta alla crisi climatica – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – da troppi anni l’Italia sta dimostrando di essere in ritardo. Continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse economiche spese per i danni provocati da eventi estremi, alluvioni, piogge e frane, e non approva il Piano nazionale di adattamento al clima, dal 2018 fermo in un cassetto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. È fondamentale approvare entro fine anno il Piano, ma anche definire un programma strutturale di finanziamento per le aree urbane più a rischio, rafforzare il ruolo delle autorità di distretto e dei comuni contro il rischio idrogeologico e la siccità, approvare la legge sul consumo di suolo, e cambiare le regole edilizie per salvare le persone dagli impatti climatici e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone”.

Ponte sullo Stretto, scontro Legambiente-Salvini. Il ministro: “Sarà green”

Passano i governi, ma non l’eterno dibattito sul Ponte sullo Stretto. Con Giorgia Meloni al comando e Matteo Salvini titolare del dicastero per le Infrastrutture, il progetto torna a essere un’ipotesi non più remota.

E scatena le preoccupazioni degli ambientalisti.Basta a inutili retoriche sulle grandi opere. Il Paese non ha bisogno di opere faraoniche e di cattedrali nel deserto come il Ponte sullo Stretto di Messina, ma di interventi concreti a partire da una massiccia cura del ferro e dal potenziamento del trasporto via nave“, l’appello che Legambiente lancia al nuovo Esecutivo.
Il Cigno Verde chiede di rilanciare gli investimenti in collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola, portare le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma, rafforzare i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari e potenziare il trasporto via nave lungo lo Stretto.

Salvini convoca per l’8 novembre un vertice a Roma con i governatori delle due regioni coinvolte, Sicilia e Calabria, per fare il punto sul progetto. “Un’opera – insiste Legambiente –, utile solo a buttare al vento altri soldi pubblici, dopo il miliardo di euro che fino ad oggi sono costati studi e consulenze, stipendi della società stretto di Messina“. Per questo l’associazione domanda al Governo di abbandonare questo “insensato progetto” e di utilizzare le risorse del Pnrr per “dare concretezza agli interventi che davvero servono al Paese“.

Tra linee ferroviarie inesistenti o abbandonate, tratte a binario unico, treni vecchi, a gasolio e a bassissima frequenza, gli spostamenti in Calabria e Sicilia oggi non sono da paese civile“, denuncia Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

I cittadini siciliani e calabresi hanno diritto a proposte credibili di rilancio degli spostamenti attraverso connessioni ferroviarie, navali e aeree più semplici tra le regioni, verso nord e anche con il resto del Mezzogiorno, non di aspettare altre promesse e rinviare il cambiamento di qualche decennio“, fanno eco i presidenti dell’associazione in Sicilia Calabria, Gianfranco Zanna e Anna Parretta.

Proposte e polemiche che il vicepremier non coglie, promettendo l’opera più moderna e green: “Vogliamo creare lavoro, disinquinare, sbloccare cantieri e investire in trasporto su ferro e via mare, ma anche lasciare ai nostri figli un’opera che renderà l’Italia un Paese leader al mondo come il Ponte sullo Stretto, l’opera più avveniristica ed ecologica della storia“, afferma. Secondo diversi studi tecnici, fa sapere, grazie al Ponte “si taglierebbero oltre 100mila tonnellate di emissioni di anidride carbonica annue, oltre al notevole beneficio per le acque del canale di Sicilia”.

Impronta idrica tra le più alte in Ue. Legambiente: Insostenibile

La siccità era un problema che prima sperimentavamo solo in alcuni mesi dell’anno, oggi la carenza idrica va avanti. L’emergenza è iniziata nell’inverno scorso, di fatto dura da un anno“. La denuncia è di Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.

Nel corso del Forum Acqua 2022, l’associazione chiede misure strutturali per gestire meglio la risorsa idrica, sempre più preziosa.
L’acqua che preleviamo per agricoltura, industria e uso civile, in Italia, è di 33 miliardi di metri cubi ogni anno. Ma l’acqua che effettivamente consumiamo ammonta a 26 miliardi di metri cubi. Abbiamo il 22% di perdite tra quello che preleviamo e quello che consumiamo. Perdite che non sono solo negli acquedotti, ma anche sulle reti di irrigazione“, spiega Zampetti.
Il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. I consumi rappresentano poco meno del 78% dei prelievi. Quanto alle perdite, il 17% di queste si verificano nel settore agricolo e il 40% in quello civile.

Il dato più eclatante, però, è quello dell‘impronta idrica del nostro Paese: 130 miliardi di metri cubi all’anno, una delle più alte d’Europa. Il 60% è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero. “Numeri non più sostenibili su cui bisogna intervenire rapidamente“, commenta l’associazione.

Per far fronte all’eccessivo spreco di acqua in Italia, Legambiente propone di adottare un approccio integrato e multi-sistemico, basato proprio sull’impronta idrica, per assumere, lungo tutto il ciclo dell’acqua, un atteggiamento “più responsabile e sostenibile“.

Si tratta dunque di raccontare al consumatore, tramite un’etichetta sui prodotti, l’impatto che hanno sulle risorse idriche, indirizzandolo verso consumi più consapevoli. Utile per il Cigno verde anche inserire tra le norme richieste dai criteri ambientali minimi la Water Footprint, soprattutto nell’ambito dell’acquisto di prodotti, contribuendo a tenere sotto controllo gli impatti idrici. Necessario poi pianificare gli usi dell’acqua arrivando ad avere una visione d’insieme sull’impatto che, la “somma” delle attività, genera in un territorio.

Per quanto riguarda l’uso potabile, l’associazione propone di agire su prelievi e consumi, riducendo le perdite degli acquedotti e dando priorità alla rete di distribuzione cittadina. A livello urbanistico occorre una riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani, promuovendo il recupero e riutilizzo dell’acqua in tutti gli interventi edilizi, diffondendo i principi di efficienza idrica degli edifici, lavorando sull’adeguamento degli impianti esistenti implementando il risparmio idrico. Diffondere il ricorso ai Regolamenti Edilizi comunali che indirizzano verso il risparmio idrico, il recupero delle acque meteoriche e/o di quelle grigie. Completare la rete fognaria e realizzare interventi volti alla separazione delle acque reflue civili da quelle industriali e di prima pioggia. A livello industriale occorre ridurre i consumi di acqua “nuova”, progettare impianti e processi che minimizzino l’utilizzo di acqua, monitorare per individuare perdite e sistemarle, rendere per le fabbriche obbligatorio il calcolo dell’impronta idrica e pubblici i bilanci di massa rispetto all’acqua utilizzata e scaricata, oltre i dati relativi alla sua qualità.

Completare la rete di depurazione, ancora oggi incompleta e riqualificare gli impianti di depurazione esistenti, spesso inefficienti, sottodimensionati e in difficoltà, e costruire gli impianti nuovi. Infine, innovare il sistema agroalimentare italiano con finanziamenti fortemente orientati a favorire il minor consumo di acqua, la diffusione di colture e sistemi produttivi meno “idroesigenti”, misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua e a contenere i consumi irrigui entro la soglia dei 2.500 metri cubi ettaro anno.

Stefano Ciafani

Le 100 proposte ‘green’ da parte di Legambiente ai partiti

Clima derubricato e troppo greenwashing in campagna elettorale. Ecco perché Legambiente, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre, raccoglie 100 proposte da fare ai partiti. Venti ambiti tematici, con riforme e interventi sulla transizione ecologica.

Nei prossimi cinque anni, il nuovo esecutivo non potrà permettersi gli errori commessi dal governo Draghi, nato sotto l’egida di una auspicata transizione ecologica“, lamenta Stefano Ciafani, presidente nazionale. Il programma del governo diretto dall’ex capo della Bce, ricorda, era stato salutato con favore, anche da Greenpeace e WWF, ma si è rivelato deludente: “Si è caratterizzato per una narrazione in negativo della ‘rivoluzione green’, paragonata a un bagno di sangue, per le politiche orientate alla diversificazione dei paesi da cui ci approvvigioniamo di gas fossile e non per quelle finalizzate alla riduzione delle bollette e della nostra dipendenza dall’estero, puntando su semplificazioni efficaci e iter autorizzativi veloci di impianti a fonti rinnovabili e dell’economia circolare, nuovi accumuli e reti“. Dai partiti, a cominciare da quelli che sosterranno il prossimo governo, l’associazione ambientalista si aspetta “più coerenza“, rispetto allo storico voto unanime del febbraio scorso, che ha portato all’inserimento nella Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e dell’interesse delle future generazioni. “Occorre, dunque, correggere la rotta rispetto a quanto fatto fino ad oggi. Noi non faremo mancare il nostro contributo, come dimostra l’Agenda di Legambiente che abbiamo presentato ai partiti e che mette al centro la difesa dell’ambiente e gli interessi delle imprese e delle famiglie”, insiste Ciafani.

Le proposte hanno al centro la lotta alla crisi climatica, l’innovazione tecnologica, il lavoro e l’inclusione sociale. Un’agenda che si traduce in nuove leggi da approvare, come quelle sull’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili, sul consumo di suolo, sul riordino dei bonus edilizi, in materia di lotta alla gestione illecita dei rifiuti, alle illegalità lungo le filiere agroalimentari, e per la tutela della fauna e della flora protette; semplificazioni; velocizzazione degli iter autorizzativi a partire dagli impianti a fonti rinnovabili e dell’economia circolare; approvazione di decreti attuativi mancanti, da quelli sull’end of waste per il riciclo a quelli della legge di recepimento della direttiva Red II sulle rinnovabili, sull’agricoltura biologica o sui controlli del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (Snpa). E poi, tra gli altri interventi da mettere in campo: uno spostamento di risorse pubbliche dai settori più inquinanti a quelli più innovativi e con minor impatto ambientale, intervenendo sui sussidi ambientalmente dannosi; potenziamento in organico e competenze degli uffici centrali e territoriali preposti al rilascio delle valutazioni di impatto ambientale, delle autorizzazioni e ai controlli; investimenti in nuove infrastrutture green, a partire da impianti eolici a terra e mare, fotovoltaici sui tetti, agrivoltaici, impianti industriali dell’economia circolare, quelli per smaltire l’amianto, mobilità urbana a zero emissioni, trasporto pendolare, ammodernamento di acquedotti, adeguamento dei depuratori esistenti e realizzazione dei nuovi, riqualificazione degli edifici scolastici, solo per citarne alcuni.

Da qui al 2027, assisteremo ad anni centrali per le politiche utili al raggiungimento degli obiettivi europei 2030, dobbiamo partire col piede giusto”, afferma il direttore generale, Giorgio Zampetti.

Le misure proposte, assicura, contribuiranno a creare occupazione, realizzare nuovi impianti di economia verde e aiutare famiglie e imprese a ridurre il caro bollette. Secondo l’ultimo Rapporto Green Italy di Fondazione Symbola e Unioncamere, sul fronte occupazionale l’Italia vantava a fine 2020 oltre 3,1 milioni di occupati in green job. La spinta che può arrivare dalle rinnovabili, in coerenza con il pacchetto europeo REPowerEU, secondo l’associazione confindustriale Elettricità Futura garantirebbe 470mila nuovi posti di lavoro entro il 2030, in aggiunta ai 120mila di oggi. Secondo Fondazione Enel e The European House – Ambrosetti in Italia il percorso verso emissioni nette pari a zero entro il 2050 creerà 2,6 milioni di nuovi posti di lavoro.

Ci sono però degli errori da “evitare“, avverte l’associazione. Due tra tutti, il ritorno al nucleare e il Ponte sullo Stretto di Messina, temi che hanno animato “in modo surreale” una parte della campagna elettorale. Sul nucleare Legambiente ribadisce che è una fonte di energia in declino perché “costosissima e pericolosa“: “La prossima legislatura si impegni piuttosto per chiudere definitivamente la stagione elettronucleare italiana con la costruzione del Deposito di rifiuti radioattivi a media e bassa attività“. Va abbandonato anche l’”insensato progetto” del Ponte di Messina, aggiungono, rilanciando invece gli investimenti in collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola, portando le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma, potenziando il trasporto via nave lungo lo Stretto e rafforzando i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari.

spiaggia

Allarme Legambiente: Italia poche spiagge libere, pesa l’inquinamento

Estate 2022, tempo di spiagge e mare. Ma nel Belpaese è sempre più difficile trovare una spiaggia libera dove prendere il sole. A pesare un mix di fattori: la crescita in questi anni delle concessioni balneari che toccano quota 12.166, l’aumento dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, e il problema dell’inquinamento delle acque che riguarda il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. A fare il punto della situazione e dei cambiamenti in corso lungo le aree costiere è il nuovo rapporto di Legambiente ‘Spiagge 2022’, diffuso oggi a pochi giorni dall’approvazione del Ddl concorrenza che pone fine alla proroga alle concessioni balneari fissando l’obbligo di messa a gara dal primo gennaio 2024, così come deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato.

Rimangono alcuni nodi da risolvere subito come quello della scarsa trasparenza sulle concessioni balneari, i canoni per buona parte ancora irrisori, la non completezza dei dati sulle aree demaniali e soprattutto l’assenza di un regolare e affidabile censimento delle concessioni balneari ed in generale di quelle sul Demanio marittimo. Quest’ultimo punto emerge chiaramente dal rapporto: il dato sui canoni di concessioni è fermo al 2021. Si parla di 12.166 concessioni per stabilimenti balneari, secondo i dati del monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.), effettuato a maggio 2021. In alcune Regioni ci sono dei veri e propri record a livello europeo, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. Nel Comune di Gatteo, in Provincia di Forlì e Cesena, tutte le spiagge sono in concessione, ma anche a Pietrasanta (LU), Camaiore (LU), Montignoso (MS), Laigueglia (SV) e Diano Marina (IM) siamo sopra il 90% e rimangono liberi solo pochi metri spesso in prossimità degli scoli di torrenti in aree degradate.

Seppur l’approvazione del Ddl concorrenza abbia portato un’importante novità, per l’associazione ambientalista sono ancora molti gli ostacoli da superare per garantire una gestione delle coste attenta alle questioni ambientali. Per questo Legambiente lancia un pacchetto di cinque proposte affinché nella prossima legislatura si arrivi ad avere una legge nazionale per garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e allo stesso tempo un quadro di regole e un quadro di regole certe che premino sostenibilità ambientale, innovazione e qualità. Cinque i pilastri su cui si dovrà concentrare il lavoro: garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione, ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge, definire una strategia nazionale contro erosione e inquinamento e un’altra per l’adattamento dei litorali al cambiamento climatico.

coste legambiente

In Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Un’anomalia tutta italiana a cui occorre porre rimedio. L’errore della discussione politica di questi anni sta nel fatto che si è concentrata tutta l’attenzione intorno alla Direttiva Bolkestein finendo per coprire tutte le questioni, senza distinguere tra bravi imprenditori e non, e senza guardare a come innovare e riqualificare. È un peccato che non si sia riusciti a definire le nuove regole in questa legislatura, in modo da togliere il tema dalla campagna elettorale. Occorre, infatti, dare seguito alle innumerevoli sentenze nazionali ed europee, altrimenti si arriverà presto a multe per il nostro Paese per violazione delle direttive comunitarie e, a questo punto, anche di una legge nazionale che stabilisce di affidarle tramite procedure ad evidenza pubblica a partire dal primo gennaio 2024”.

incendio

Italia in fiamme: in 14 anni bruciata un’area grande come l’Umbria

L’Italia va letteralmente in fumo e la siccità dell’ultimo periodo è soltanto la ciliegina sulla torta. Negli ultimi 14 anni nel nostro paese è bruciata un’area grande come tutta l’Umbria: 5.298 incendi hanno devastato 723.924 ettari di territorio nel 16,39% dei comuni italiani. I dati emergono dal nuovo report ‘Italia in fumo’ realizzato da Legambiente che, anticipando i dati Ecomafia 2022 e analizzando quelli satellitari dell’EFFIS, fa il punto sul patrimonio boschivo e non solo andato in fumo nel 2021 e negli ultimi 14 anni, dal 2008 al 2021.

Si tratta di roghi spesso di natura dolosa e criminale, appiccati per fini speculativi, o per ripicche tra privati o verso la pubblica amministrazione. Ad aggravare il tutto la crisi climatica, il caldo torrido e l’emergenza siccità. Sono già 26.270 gli ettari bruciati dal 1 gennaio al 15 luglio 2022 e 32.921 gli interventi registrati ed effettuati, dal 15 giugno al 15 luglio, dai vigili del fuoco per incendi boschivi, nelle aree urbane e rurali (+4.040 rispetto allo stesso periodo del 2021). E lo scorso anno non è andata meglio: sono 159.437 gli ettari di superfici devastati dalle fiamme nel 2021 (+ 154,8% sul 2020). In aumento anche i reati tra incendi dolosi, colposi e generici, 5.385 (+27,2% rispetto al 2020) e le persone denunciate (658, + 19,2%), anche se continuano ad essere sottodimensionate rispetto ai reati, così come i sequestri: 107, con un +35,4% rispetto al 2020.

Nel 2021, stando al report di Legambiente, la Sicilia resta la regione più colpita sia come numero di reati (993), sia come ettari attraversati dalle fiamme (81.590, il 51,3% del totale nazionale), seguita da Calabria (674 reati e 35.480 ettari inceneriti), Puglia (601 reati e 3.660 ettari colpiti) e Campania (553 reati e 5.564 ettari in fiamme). Nelle quattro regioni si concentra il 52,4% dei reati e il 79,1% delle superficie andata in fiamme. Usando solo il parametro delle aree attraversato dal fuoco, spiccano il terzo posto della Sardegna, con 19.228 ettari, e la quarta posizione del Lazio (6.854 ettari). “Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna, Lazio e Puglia – si legge nel report – sono i territori da presidiare con maggiore efficacia durante tutto l’anno, rafforzando le attività investigative per prevenire i rischi e accertare le responsabilità. Ad essere in pericolo sono soprattutto i ‘gioielli del Paese’: aree protette e siti rete natura 2000. L’azione criminale insiste, nel tempo, su aree geografiche ben delimitate e proprio in queste aree di pregio più di qualcosa non ha funzionato nelle azioni di prevenzione, contrasto e lotta attiva agli incendi“.

Di fronte a questo quadro, Legambiente torna a ribadire l’importanza della prevenzione e del rafforzamento delle attività investigative lanciando 10 proposte – a partire da una gestione integrata degli incendi e piani di adattamento – per contrastare le fiamme con lo scopo di rafforzare la riforma della legge 353 del 2000, cioè la legge quadro in materia.

Occorre un radicale cambiamento di approccio e risposta al fenomeno degli incendi – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambienteche miri a prevenire i roghi attraverso la gestione del territorio, l’utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali, la promozione dei servizi ecosistemici che vanno remunerati, per sostenere e rivitalizzare le comunità rurali nelle aree interne e montane in una rinnovata funzione di presidio territoriale“.

(Photo credits: Sylvain THOMAS / AFP)

Bandiere Blu nel segno della sostenibilità. Fee: “Trend positivo”

Una cartina al tornasole dello stato di salute del mare e dei laghi italiani. Con l’assegnazione delle celebri Bandiere Blu della Foundation for Environmental Education (Fee) anche quest’anno è stato possibile scattare una fotografia aggiornata delle aree di balneazione nazionali. I risultati sono lusinghieri: 210 in totale i comuni che hanno ricevuto il riconoscimento e ben 14 nuove spiagge inserite nell’elenco.

La Liguria si conferma al primo posto con 32 località insignite della Bandiera Blu, seguita da Campania, Toscana, Puglia (tutte a quota 18) e Calabria e Marche (17). Quindi spazio a Sardegna (15), Abruzzo (14), Sicilia (11) e Lazio con 10 località. Il Trentino conferma le sue 10 Bandiere Blu, 9 quelle per Veneto ed Emilia Romagna, 5 quelle presenti in Basilicata. Con un nuovo ingresso il Piemonte sale a quota 3 Bandiere Blu, 2 quelle assegnate in Friuli Venezia Giulia e una a testa per Lombardia e Molise. Nella classifica sono comprese le 17 Bandiere assegnate ai laghi.

Il trend è positivo anche per quest’anno – spiega a GEA Claudio Mazza, presidente di Fee –. Crescono ancora le località del centro e del Sud dell’Italia, ma bisogna sottolineare come l’assegnazione delle Bandiere Blu sia solo la punta dell’iceberg di un percorso di continuo miglioramento basato su una serie di criteri che vengono aggiornati periodicamente. Per questo oltre al crescere della qualità delle acque è bello vedere una maggiore attenzione al tema della sostenibilità e un ulteriore impegno in questo senso da parte delle amministrazioni”.

L’Italia si è anche confermata tra i Paesi europei con le acque balneabili di livello più alto, secondo il rapporto annuale realizzato dall’Agenzia europea per l’ambiente e la Commissione europea. Un risultato a cui contribuisce anche Fee: “Al di là delle acque balneabili, le località Bandiera Blu devono essere state qualificate come eccellenti in senso più ampio negli ultimi quattro anni – sottolinea Mazza –. I criteri sono 32 e riguardano tutta la gestione del territorio, a cui la qualità del mare è strettamente collegata. Anche per quanto riguarda la sicurezza dei bagnanti: nelle località da noi premiate è garantita la presenza degli assistenti oltre che negli stabilimenti anche nelle spiagge libere”.

Certo, le criticità non mancano. “La depurazione resta il problema principale da affrontare – afferma Mazza -, a cui segue quello dell’efficienza delle reti fognarie. Da monitorare è anche la situazione dei fiumi: soprattutto in occasione dei forti temporali estivi i versamenti in mare creano situazioni difficili e molti comuni si trovano a dover pagare per situazioni che non dipendono direttamente da loro. Ecco perché bisognerebbe intervenire anche con i Contratti di Fiume che, pur non essendo una risposta definitiva, restano comunque un buono strumento”.

Quest’anno la Fondazione ha introdotto una novità tra i criteri di assegnazione delle Bandiere Blu: l’impegno sociale e l’inclusività, in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. “Una scelta naturale che si inserisce nel percorso di continuo miglioramento a cui accennavo prima – sottolinea Mazza –. Chiediamo che l’aumento di performance sia dimostrato, attraverso una politica fatta di piccoli passi, ma estremamente concreti. Nuovi criteri e indicatori vengono introdotti ogni anno, ma l’accessibilità è sempre stato un punto centrale delle nostre richieste. Quest’anno abbiamo deciso di imprimere un ulteriore stimolo sul piano dell’inclusività sociale per i portatori di handicap e sul fronte della solidarietà. Dopo aver monitorato cosa i comuni già facciano in questo senso, abbiamo suggerito la partecipazione alla 2+Milioni di KM di Dynamo Camp: una sfida non competitiva aperta a tutti gli amanti della bicicletta, attraverso la quale raccogliere fondi per i bambini con malattie gravi e croniche. Il nostro compito è anche questo: sollecitare ed essere da stimolo per i comuni, ma anche far capire che alcuni risultati si raggiungono solo se sono condivisi dalla comunità locale e che bisogna lavorare sia per raggiungerli che per mantenerli”.

bandiere blu infografica

Un impegno che viene già ripagato, almeno dal punto di vista delle presenze turistiche. “La Bandiera Blu è un marchio ormai riconosciuto a livello internazionale: è un’indicazione della quale il turista tiene presente e, a detta delle stesse categorie di settore e di studi svolti al riguardo, risulta fortemente trainante al momento della scelta della località in cui soggiornare”, conclude Mazza.

Di classifica in classifica, nei giorni scorsi è stata diffusa anche quella de ‘Il mare più bello’, stilata da Legambiente e Touring Club Italiano. A conquistare le Vele Blu le località che possono contare su acque cristalline, ma anche sulla possibilità di coinvolgere i turisti con escursioni, passeggiate e luoghi d’arte, senza dimenticare la gestione sostenibile del territorio e un’offerta turistica di qualità.

Caratteristiche ambientali e livello di ospitalità hanno permesso a Legambiente di assegnare da una a cinque Vele Blu a 427 spiagge e 82 approdi turistici. Al vertice la Sardegna, con sei comprensori turistici a Cinque Vele, seguita da Toscana e Puglia con 3 comprensori e da Sicilia e Campania con due. Un comprensorio a Cinque Vele anche in Basilicata e Liguria. Il Trentino-Alto Adige si distingue nella classifica dei laghi – ben tre su sei raggiungono le Cinque Vele – ma è il lago del Mis, nel Bellunese, in Veneto, a conquistare il titolo di “lago più bello d’Italia”.