L’esito del voto in Germania (forse) può dare la sveglia all’Europa

La narrazione comune è che l’esito delle elezioni in Germania, per certi versi abbastanza scontato (la crisi dei socialdemocratici e dell’ormai ex cancelliere Scholz, la vittoria di Friedrich Merz, l’ascesa di AfD), possa giovare all’Europa, alla sua coesione, alla sua capacità di reazione di fronte a eventi mondiali che la stanno rapidamente stritolando. Sempre la narrazione post-voto è che la potenziale stabilità della Germania porti a un riconsolidamento del legame con la Francia e determini un cambio di passo anche a livello economico. In fondo, Berlino che inciampa e rallenta, che è vittima della recessione, non fa bene a nessuno. Nemmeno all’Italia. Con il massimo rispetto, non di solo Macron si può vivere e nemmeno solo di Meloni come principale interlocutrice di Donal Trump, e nemmeno di Orban come ‘amico’ russo. Ci vuole Unione, perché l’unione fa la forza. La svolta tedesca aiutera?

Il punto adesso è il passaggio dalla narrazione alla concretezza fattuale, quella che – chi parla bene – chiama la messa a terra di (buone) intenzioni e di (altrettanto buone) progettualità. Il tema della Difesa, quello dello scudo economico e la rivisitazione del Green Deal (in Clean Industrial Deal) sono le sfide che attendono gli inquilini di Strasburgo e Bruxelles in un contesto geopolitico in cui non ci si possono più permettere litigi di condominio ed eccessi regolamentari. Il vecchio adagio per cui gli Stati Uniti innovano, la Cina copia e l’Europa regolamenta è quanto mai aderente alla realtà e determina una condizione inadeguata. In quest’ottica, una Germania di nuovo forte non può che essere un bene per la Ue, ammesso e non concesso che a Berlino riescano a trovare la chimica giusta per formare un esecutivo. E qui, sempre ad ascoltare la narrazione di cui sopra, da subito ci si arrovella per trovare la formula adeguata, magari una ‘Grosse Koalition’ che metta insieme Cdu, Csu e Spd sulla falsariga di quanto è accaduto per due volte con Angela Merkel. Il nodo, però, sta in quel ‘magari’.

In questa Europa “la Germania deve avere un ruolo guida. Dobbiamo assumerci la responsabilità e io sono pronto a farlo”, ha detto Merz gonfiando il petto. Che si tratti di una dichiarazione meditata o propagandista, si tratta di un compito non facile. Gli scogli sono quelli della contrapposizione a Trump e dell’argine all’esuberanza della Cina. La Difesa comune europea e i dazi sono temi caldissimi, quasi roventi, là dove non è possibile definire una scala gerarchica di priorità. Vanno affrontati subito e bene, senza esitazioni e con unione di intenti. A seguire, il nuovo equilibrio delle politiche verdi, che non possono più essere quelle in cui imperversava Frans Timmermans ma che nemmeno possono e devono scomparire all’improvviso. Gli Accordi di Parigi meritano rispetto nella lotta al cambiamento climatico e alla limitazione delle emissioni di Co2, così come nella salvaguardia del Pianeta che scotta sempre di più. Serve solo più buonsenso per evitare che delle best practice diventino una minaccia alla salute dell’economia.