Paul&Shark, dalle vele giacche che sanno di mare e vento

Vecchie vele riqualificate da esperti artigiani danno vita a pezzi unici per una collezione circolare e limitatissima. E’ Re-Sail, il progetto che Paul&Shark porta alla Milano per la Fashion Week Autunno/Inverno 2023-24. 

Un’installazione immersiva e dinamica, con riproduzioni multisensoriali di effetti di luce, suoni naturali e immagini dell’oceano, il brand guida i visitatori in un viaggio emotivo in mezzo al mare, spinti dal vento tra le onde, proprio come accade alle vele.

Giacche upcycled contemporanee e che si portano dietro una eredità esclusiva. Le vele in disuso vengono ripristinate per poi essere reinterpretate in modo creativo sotto una nuova forma.

Ognuna racchiude la storia delle vele con cui è stata realizzata, un racconto di artigianalità e libertà, che rievoca i colori del mare e i suoni del vento. Grandi etichette interne, numeri, loghi e  elementi di derivazione velisitica, celebrano l’universo da cui il capo proviene non perdendo la natura urban-casual della giacca.

Il progetto Re-Sail si colloca all’interno del percorso che Paul&Shark persegue da tempo a favore della sostenibilità, che in questo contesto prende la forma dell’upcycling. L’attività di recupero di materiale in disuso e la sua rivalutazione in chiave creativa “rappresenta un inno ai valori fondamentali del brand“, spiega l’azienda.

 

 

Photo credit: Paul&Shark

Westwood, l’imperatrice che ha fatto la rivoluzione del clima

Vivienne Westwood ci lascia, ma lascia al mondo una eredità inquantificabile. Cinquant’anni di lotte politiche in passerella, usata sempre, da modella e da stilista, come gigantesco megafono.

Imperatrice del punk‘, designer britannica di punta, attivista ambientale tra le più note al mondo. “La rivoluzione climatica è punk. Il punk vive! Stesso atteggiamento, ma con idee più sviluppate, più solide e spero più efficaci nel cambiare la Terra di quanto non siano state in passato”, raccontava nella sua autobiografia pubblicata nel 2014. “Difendere le idee mi rende felice”, confidò all’amico Ian Kelly, coautore con lei del volume.

Il mondo ha bisogno di persone come Vivienne per fare la differenza nel modo giusto“, ha scritto il suo marchio di alta moda dando la notizia su Twitter. “Abbiamo lavorato fino alla fine e mi ha lasciato molto da portare avanti. Grazie, tesoro mio”, ha aggiunto il marito e partner creativo, Andreas Kronthaler. Nel 2016, ha ceduto la direzione artistica della sua etichetta a lui, austriaco di 25 anni più giovane. Cambiamento sì, ma nella continuità di ciò che è stato il marchio Westwood: un marchio ribelle, trasgressivo e impegnato.

Nel 2008 Westwood è stata la prima a chiedere all’industria della moda di tenere conto dei cambiamenti climatici e a esortare i consumatori a non comprare continuamente abiti. Posizione che le costò non poche critiche nel mondo della moda. Nel 2016, per la sfilata della collezione Red Label SS, le modelle entrarono in scena manifestando contro il fracking. In passerella è scesa con lei anche la campagna Save The Arctic per fermare le trivellazioni e la pesca industriale nell’Artico. Con Marie Claire e People Tree ha realizzato t-shirt per raccogliere fondi da devolvere alle tribù indigene della foresta pluviale. E, alla cerimonia di chiusura delle Paraolimpiadi di Londra nel 2012, annunciò il suo progetto ambientalista srotolando uno striscione che recitava ‘Climate Revolution‘.

L’altra grande battaglia è stata la difesa di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, arrestato nel 2019 dopo aver trascorso più di sette anni come rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Lo stesso anno ha denunciato durante uno dei suoi cortei “la corruzione del governo e la morte della giustizia”. Un anno dopo, è apparsa in una gabbia gigante davanti a un tribunale di Londra per protestare contro la sua estradizione. WikiLeaks ha twittato la notizia della morte della Westwood con foto di lei e Julin Assange fianco a fianco, con indosso la stessa maglietta disegnata dalla Westwood, e aggiungendo: “Rest in Power“.

 

photo credit: AFP

Torna MFW uomo. Nuove Maison nel consorzio green

Riflettori puntati sulla Milano Fashion week men’s collection, al via dal 13 al 17 gennaio. Cambia il mood. La guerra alle porte d’Europa pesa sullo spirito, ma lo show continua.

Ventuno sfilate, 31 presentazioni, cinque presentazioni su appuntamento, quattro contenuti digitali e 11 eventi.  Un totale di 72 appuntamenti.

Gucci apre e torna sulle passerelle milanesi dedicate alla moda maschile dopo tre anni di assenza. Chiude le sfilate fisiche Zegna, il 16 gennaio alle 15. Alcuni nomi nuovi: Add, Bonsai, Charles Philip, Iuter, Sestini, Tagliatore e Valstar. Al centesimo anniversario, Colmar lancia la collezione Colmar Revolution. Il 14 gennaio verrà presentata la prima collaborazione tra Marni Carhartt WIP. Il 16 l’evento di presentazione ‘The Added Element’ durante il quale The Woolmark Company & Luna Rossa Prada Pirelli sveleranno le novità della technical partnership: la lana merino arriva nell’abbigliamento e nelle divise del team e dell’equipaggio.

Sfilano le “eccellenze italiane“, rivendica il presidente di Camera Nazionale della moda Italiana, Carlo Capasa. La conferma è Milano, capitale della moda maschile. Non mancano progetti e attori internazionali “innovativi e all’avanguardia“, commenta.

Creatività, innovazione, qualità e sostenibilità le leve del sistema. Spazio anche ai giovani: la Camera lancia il bando per l’assegnazione dei Fashion trust grant 2023, per sostenere e promuovere la nuova generazione dei marchi indipendenti del made in Italy, che per la prima volta apre anche ai brand menswear.

Il fatturato cresce, sfiorando i 100 miliardi di crescita, con una percentuale del 6% rispetto all’anno scorso. Regge anche al caro energia e materie prime, perché sale del 19% rispetto al terzo trimestre del 2021. Crescono anche i prezzi di consumo, del 3%. Nonostante le difficoltà, il 2022 si rivela un anno positivo per la moda.

Intanto, altre quattro maison del Made in Italy sono pronte a firmare l’ingresso nel consorzio Re.Crea, fondato dalla camera della Moda con Dolce&Gabbana, MaxMara, Moncler, OTB, Prada ed Ermenegildo Zegna per gestire il fine vita dei capi di moda. Lo anticipa lo stesso Capasa al Corriere Economia. Il Consorzio gestisce collettivamente i rifiuti del tessile e moda a fine vita, promuoverà anche investimenti di ricerca e sviluppo su soluzioni di riciclo innovative. Nel 2021 i rifiuti tessili smaltiti ammontavano a 480mila tonnellate. Ora si attende la normativa italiana di adozione della Direttiva Ue: “Pensiamo il nuovo governo possa fornirla entro fine anno“, fa sapere il numero uno della camera della moda. Le maison si portano avanti: nel 2025 ognuna di loro dovrà dar conto dell’intero ciclo di vita dei capi prodotti, impegnandosi ad assicurare la circolarità.

La moda ammette: “Impossibile ridurre emissioni del 30%”

L’industria della moda si è impegnata a dimezzare le proprie emissioni di gas serra entro il 2030, ma alla Cop27 in Egitto, i rappresentanti dell’industria hanno ammesso che questo obiettivo sarà molto difficile da raggiungere. Nel 2018, circa 30 marchi di moda avevano firmato la Fashion Industry Charter for Climate Action alla Cop24 di Katowice, in Polonia, impegnandosi a ridurre le proprie emissioni del 30% entro il 2030 e a raggiungere la carbon neutrality nel 2050. A novembre 2021, poi, era stato fissato un nuovo e più ambizioso obiettivo di dimezzare le emissioni entro la fine del decennio.

Attualmente più di cento aziende hanno aderito a questa carta, inclusi giganti della moda come la svedese H&M e la spagnola Inditex, proprietaria di Zara, o marchi sportivi come Adidas e Nike. L’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 rappresenta una sfida importante per le imprese, soprattutto per quelle che hanno lunghe catene di approvvigionamento, inclusi fornitori e produttori sparsi in tutto il mondo. “Ci siamo riusciti? Certo che no. Siamo sulla strada giusta? Direi ‘forse’“, ha ammesso Stefan Seidel, responsabile dello sviluppo sostenibile del marchio Puma, durante una tavola rotonda alla Cop27.

Nel 2018 il settore è stato responsabile del 4% delle emissioni globali di gas serra, equivalenti alle emissioni totali di Regno Unito, Francia e Germania, secondo i dati elaborati dalla società di consulenza McKinsey. Circa il 90% delle emissioni dell’industria della moda è prodotta dai fornitori, come ricorda la Global Fashion Agenda. La conversione di tutte le catene di produzione e l’imposizione di standard climatici ai fornitori di materie prime e alle fabbriche di abbigliamento è un compito “enorme“.

Ad esempio, H&M ha più di 800 fornitori e la verifica di ogni aspetto della filiera è molto difficile. Marie-Claire Daveu, che è responsabile dello sviluppo sostenibile del gruppo Kering – che comprende marchi di lusso come Gucci e Yves Saint-Laurent – ha ammesso la difficoltà di “cambiare le filiere” e invita alla “collaborazione”.

Ali Nouira, produttore egiziano, ha presentato alla Cop27 le difficoltà dei fornitori, ad esempio in una regione come la sua dove non esistono organismi di certificazione. “Quando produciamo, dobbiamo avere tutte le certificazioni, in particolare quella relativa all’impronta di carbonio, e per un piccolo marchio proveniente dall’Egitto è estremamente difficile e costoso“, ha spiegato.
Ma come ha ricordato Nicholas Mazzei, responsabile del dipartimento di sviluppo sostenibile di Zalando, uno dei maggiori brand di vendita online, “nei Paesi sviluppati la mentalità è già cambiata” e così, ad esempio, “alcune grandi banche offrono tassi di interesse più bassi alle aziende che si impegnano per un obiettivo di emissioni nette zero“. Ma per i fornitori la strada per la transizione è ancora lunga.

Venezia fabbrica lenta di moda etica: torna la fw della laguna

Non solo Milano. In Italia anche Venezia prova a farsi strada nella moda e annuncia una Fashion Week (19-29 ottobre) nel segno del lusso, dell’artigianato – il vero marchio della Serenissima- e della sostenibilità. Sette giorni di sfilate, mostre e conferenze tra calli, gallerie d’arte e spazi pubblici per la decima edizione.

Obiettivo numero uno: sostenere i giovani talenti creativi. Tra gli appuntamenti spicca il weekend dello shopping sostenibile (22 e 23 ottobre) e ‘Ornamenti’, il salone degli accessori di design e artigianali, dal 26 al 28 ottobre a Palazzo Sagredo, novità del 2022.

Un ciclo di conferenze e workshop mette a confronto i protagonisti della moda green alle prese con tante sfide: dall’educazione del consumatore al turismo sostenibile, dalla formazione dei nuovi artigiani all’upcyling. Venezia è da sempre una fabbrica lenta di moda etica: tessuti preziosi e durevoli, magnifici e di qualità.

La kermesse fa parte di “un lavoro di riposizionamento comunicativo della città“, spiega l’assessore allo Sviluppo economico, Simone Venturini. La moda è un modo per valorizzare le eccellenze territoriali ma anche un nuovo richiamo per “un turismo ricercato in cerca di creazioni auteniche, eclusive e uniche, come quelle dei nostri artigiani dei settori moda, legno, gioielleria, vetro e così via“, afferma. In che modo si propone anche come capitale della moda sostenibile? “Torniamo ai capi esclusivi, che durano, creati con passione, con materie prime pregiate. Questa edizione della Venice Fashion Week permetterà di scoprire le bellezze artigiane di Venezia insieme a una serie di eventi collaterali“, promette.

L’artigianato di qualità, sostenibile ed esclusivo “fa parte del dna della città” gli fa eco l’assessore Mar. “A Venezia da sempre si produce arte, moda e artigianato di lusso. Qui dall’anno 1000 si realizzano grandi tessiture, ricordiamo ad esempio la lavorazione della seta, ma si producono anche fantastici gioielli. Venezia luogo sostenibile, fucina di un artigianato altrettanto sostenibile: in città infatti non si è mai prodotto su larga scala. La Venice Fahion Week è il risultato di un lavoro di squadra, in sinergia con l’Amministrazione comunale, ma anche con Vela Spa e gli organizzatori, che ringrazio: in tutti questi anni si è lavorato molto, anche nel periodo Covid. All’inizio non è stato facile, ma con tenacia ed entusiasmo è stato possibile dar vita a una manifestazione di grande richiamo“.

Iulia Barton: Inclusiva e sostenibile. Penso a linea kids

Inclusiva e sostenibile. E’ la prima collezione nata espressamente per persone con disabilità, lanciata il 23 settembre al terzo giorno della Fashion Week di Milano e pronta a valicare i confini, molto proiettata al mercato asiatico.

La maison, Iulia Barton, è fondata da Giulia Bartoccioni che muove il suo lavoro da un’esperienza tragica personale: “Mi sono avvicinata a questo settore quando mio fratello ha perso l’uso delle gambe in un incidente, restando in carrozzina“, racconta a GEA.

All’inizio, il progetto era concepito come un’agenzia di moda per includere persone disabili da tutto il mondo e portarle in passerella con modelli professionisti. “Coinvolgevamo designer di alta moda“, spiega. Tutta l’esperienza raccolta negli anni è stata una palestra: “Nel dietro le quinte mi sono accorta ancora di più delle diverse esigenze, quegli abiti erano adattati, ma non creati appositamente per le persone disabili, non nascevano come collezioni adattive“.

La linea è unica e tutti i capi possono essere indossati da chi ha amputazioni e da chi è in carrozzina, ma “non è un prodotto di nicchia, assicura. “Siamo riusciti a mantenere una tendenza universale“.

Con l’inclusione, la maison insegue anche l’obiettivo della sostenibilità: “E’ difficile ottenerla al 100%, ma abbiamo già raggiunto un buon risultato. C’è grande attenzione ai materiali, che provengono da stock e rimanenze. Abbiamo fatto questa scelta per evitare nuove produzioni“.

Tessuti Made in Italy, fibre riciclate, ripristino della materia da altri settori. Tutto è documentato, anche per il ‘water saving’, che certifica il ridotto spreco di acqua in fase di produzione.

La collezione, dieci look in 20 pezzi (che possono essere però adattati uno con l’altro) è leather-fur free, non utilizza quindi pellicce o pelli, il cotone è 100% monofibra, “questo permette al tessuto di essere rimesso in economia circolare“, racconta la Ceo.

La caratteristica è che parti di tessuto sono removibili, i pantaloni cambiano lunghezza per facilitare chi ha le protesi, i colori sono neutri e facili da accostare. Genderless e no-season, i capi vanno bene per tutti, 365 giorni all’anno, “abbiamo cercato fin dall’inizio di rendere il tutto più fluido possibile“. La produzione si divide tra Rimini e Ferrara, i materiali provengono da stabilimenti vicini, la filiera è tutta italiana. E anche a livello aziendale, assicura Batoccioni, Iulia Barton cercherà di raggiungere una sostenibilità sulle strutture.
Un progetto futuro? “E’ un’esclusiva – confessa – ci piacerebbe moltissimo produrre la linea kids, per bimbi con disabilità“.

Iulia Barton, prima collezione ‘Adaptive’ a Mfw: avanguardia sociale e ambientale

La Milano Fashion Week è in arrivo dal 20 settembre e promette attenzione particolare alla sostenibilità.

Iulia Barton (fondata nel 2016 da Giulia Bartoccioni) regala alla settimana della moda italiana quella che definisce la “prima Collezione Adaptive al mondo“: vestibilità universale dei capi, che “permette a chiunque di essere sé stesso“, in ogni momento dell’anno. Per la presentazione l’appuntamento è al 23 settembre, grazie al supporto di Ferrovie dello Stato Italiane come Official Sponsor.

Il fil rouge è l’inclusività: la collaborazione per il lancio è stata promossa con un video nel quale ‘l’influencer di positività’ Laura Miola racconta l’universo di Fs in un viaggio in Frecciarossa da Roma a Milano, proprio in occasione della Fashion Week. L’idea di base è valorizzare l’unicità di ogni persona e la capacità di muoversi nei propri abiti, grazie a un mezzo di trasporto sostenibile e inclusivo.

Una collezione lanciata in 20 pezzi, che spiega la Ceo Bartoccioni, “rappresenta un momento storico, in cui raccogliamo i frutti degli anni di impegno nella moda inclusiva del brand Iulia Barton“. L’obiettivo, osserva, è “guardare al presente e al futuro con una prospettiva diversa, che promuova al tempo stesso i concetti di avanguardia sociale ed esclusività, adaptive e no gender“.

Tutti i prodotti adottano materiali innovativi, tessuti eco-sostenibili e animal free, “in linea con la filosofia della sostenibilità che è alla base della nostra identità”, garantisce la Ceo e direttrice creativa.

Un modello di fare impresa che, per il Gruppo FS, “coniuga sostenibilità sociale, ambientale e inclusività, linee che costituiscono il solco già tracciato dal Gruppo FS per le proprie strategie di Corporate Social Responsibility, e in generale per il nostro piano di Diversity,Equity&Inclusion“, assicura la Responsabile People Care,  Paola Longobardo.

Comprendere, riconoscere e valorizzare le caratteristiche uniche (genere, età, abilità, orientamento sessuale e affettivo, identità di genere, nazionalità, etc.) di ognuno, facilitare la loro espressione nel contesto lavorativo e favorire la creazione di una rete di supporto che sostenga la persona dentro e fuori l’azienda, sono gli obiettivi che perseguiamo in tutte le nostre azioni e che hanno contribuito all’inserimento del Gruppo FS nella classifica dei 20 brand nazionali più inclusivi del Diversity Brand Award”, rivela.

Fw alle porte, in Italia smaltimento rifiuti tessili in Ecomafie

Riparte la stagione delle Fashion Week. Il 9 settembre è iniziata una delle più attese, la settimana di New York, poi arriveranno Londra, Milano e Parigi.

Intanto, in Italia, per la prima volta il Parlamento si occupa di smaltimento dei rifiuti del settore, che è uno dei più inquinanti al mondo.

Il tessile, con i suoi 2,1 miliardi di tonnellate annuali di CO2, rappresenta il 4% delle emissioni globali di gas serra. A causa del lavaggio dei vestiti, vengono rilasciate ogni anno nei mari mezzo milione di tonnellate di microfibre.

Analogo discorso può essere mosso per la tintura dei tessuti, al secondo posto fra le maggiori cause di inquinamento delle acque sul pianeta. L’industria della moda produce circa il 20% delle acque reflue globali e circa il 10% delle emissioni globali di carbonio.

A livello globale, l’85% degli abiti dismessi, circa 21 miliardi di tonnellate all’anno, finisce in discarica. Ad aggravare il problema è l’attuale modello di consumo dell’abbigliamento, ormai da tempo dominato dal cosiddetto fast fashion (il ‘pronto moda’): una proposta di mercato che rasenta l’’usa e getta’ e che è basata su una rapidissima obsolescenza dei prodotti. Il numero di volte che un indumento viene indossato è diminuito del 36% in 15 anni. Un consumatore medio acquista il 60% di capi in più rispetto a 15 anni fa ma li conserva per un minor tempo. Oggi, nel mondo, si acquistano in media 5 chili di vestiti all’anno pro capite. In Europa e negli Stati Uniti il consumo è tre volte più elevato, arrivando a circa 16 chili a testa. Se il trend attuale rimanesse immutato il consumo di abbigliamento continuerebbe a crescere, passando da 62 milioni di tonnellate nel 2015 a 102 milioni nel 2030. Di conseguenza, a meno che non intervengano con forza dei fattori tendenziali di segno inverso, l’inquinamento e gli impatti ambientali sono destinati ad aumentare.

In Italia, però, le discariche sono quasi tutte irregolari. Le garanzie finanziarie dovrebbero essere uno strumento a tutela delle regioni da eventuali inadempienze dei gestori, ma vengono trascurate.

Ogni discarica autorizzata deve, per legge, avere due tipologie di garanzie da presentare entro la messa in esercizio dell’impianto: una per la fase operativa e l’altra per la post gestione, e questo quasi mai avviene.

La Commissione Ecomafie fa il quadro dello stato delle discariche presenti sul territorio: “E’ stato un lavoro faticoso perché le Regioni stesse avevano un quadro spesso frammentario e superficiale”, spiega il presidente, Stefano Vignaroli. Il sistema bancario e quello assicurativo, per loro stessa ammissione, non avevano mai compiuto un’analisi specifica sulle fideiussioni delle discariche.

Un’occasione per il Sistema Moda Italia (SMI) e per tutto il mondo tessile per cambiare il modo di gestire gli abiti usati e il modo di produrre gli abiti.

Da pneumatici fuori uso ad accessori d’alta moda: in via Veneto il défilé circolare

Sono lontani i ruggenti anni ’60 della Dolce Vita, quando Via Veneto non si trovava solo al centro di Roma, era metaforicamente al centro del mondo. Per un giorno però la storica via degli hotel di lusso e dell’Harry’s Bar è tornata vetrina di un nuovo modo di intendere l’alta moda.

Una serata in cui tessuti di alto pregio, con tagli sartoriali e design innovativi, sono stati abbinati a manufatti in gomma riciclata da pneumatici fuori uso, in una dimensione distopica e onirica, per raccontare attraverso l’arte l’importanza sempre più urgente della tutela dell’ambiente.

Roma è di Moda‘, spettacolo-evento curato da Stefano Dominella, diretto da Guillermo Mariotto e coordinato da Zètema, il 28 luglio ha raccontato l’alto artigianato Made in Italy attraverso la moda ecosostenibile.

E’ Ecopneus, in Italia, il principale operatore della gestione dei Pneumatici Fuori Uso. Li trasforma in elementi ornamentali in gomma riciclata che impreziosiscono le creazioni di stilisti sensibili alla sostenibilità e che grazie a processi di upcycling e recycling hanno dato una seconda vita a tessuti e a materiali di scarto.

Le potenzialità della gomma riciclata sono “infinite“, per il Direttore Generale di Ecopneus Federico Dossena: “Il materiale è al tempo stesso versatile, elastico, resistente, con molteplici possibilità di personalizzazione. Noi ci rivolgiamo a un pubblico tradizionalmente industriale, promuoviamo la gomma nelle sue applicazioni tecniche e pratiche. Qui l’obiettivo che ci siamo posti è di portare un messaggio di sostenibilità’ ed economia circolare per ispirare ogni ambito delle attività produttive. E l’arte rappresenta senza dubbio un volano importante, un settore apparentemente lontano dal nostro ma con cui condividiamo una visione comune, l’impegno ad essere sempre più sostenibile”. Rendendo tangibile e reale un contenuto di grande attualità, gli abiti contribuiscono alla mission di Ecopneus di informare e sensibilizzare a una “cultura del riciclo”, unica strada possibile per il futuro.

Un connubio artistico e una collaborazione che pone l’attenzione sulla sostenibilità attraverso un linguaggio universale, la moda. Sono “abiti-messaggio”, creazioni che, grazie a inserti in materiale riciclato da Pfu, diventano un manifesto ambientalista.

La gomma riciclata si declina in  settori anche molto diversi tra loro: dai prodotti per l’edilizia come gli isolanti acustici e antivibranti, allo sport, con playground per parco giochi, campi da calcio, pavimentazioni sportive polivalenti e prodotti per il benessere animale. C’è anche il settore delle strade e infrastrutture dove accanto agli asfalti “modificati” silenziosi e duraturi, si possono produrre piste ciclabili, arredi urbani ed elementi per sicurezza stradale. Poi ci sono i prodotti di design, l’oggettistica e anche nuovi compound realizzati unendo gomma riciclata e materiali termoplastici.

Ogni anno Ecopneus gestisce raccolta, trattamento e recupero di mediamente circa 200mila tonnellate di PFU, trasformate in gomma riciclata per applicazioni nello sport, nelle infrastrutture, il benessere animale, l’arredo, l’energia. In 10 anni di attività è stata evitata l’immissione in atmosfera di oltre 3,36 milioni di tonnellate di CO2, risparmiati materiali per 3,3 milioni di tonnellate ed evitato il consumo di circa 15,5 milioni di m3 di acqua.

reamerei

Reamerei, passamontagna e uncinetto: l’eco-rivoluzione delicata

Per i vicoli acciottolati del centro storico di Roma si respirano ancora gli echi di The Beginning, la grande sfilata Coture di Valentino, un omaggio di Pierpaolo Piccioli a Garavani e alla sua piazza Mignanelli. Il defilee, seicento metri tra la Maison e la scalinata di Trinità dei Monti a Piazza di Spagna, è andato in scena alla vigilia di Altaroma, come ogni anno vetrina importante per la moda del futuro. E qui, non si può non parlare di Showcase, l’iniziativa nata per connettere i giovani designer con buyer e giornalisti nazionali e internazionali.

Assaggi di avanguardia, nuove sensibilità, percezione della direzione che prenderà la moda, seguendo tempi, esigenze, elaborando crisi.
Parola agli emergenti, che, specchio dei giovani attivisti nel mondo, hanno dimostrato di avere una priorità che li accomuna: la tutela del Pianeta.

Uno su tutti, perfetta sintesi delle nuove tendenze, è Reamerei, un collettivo, un trio composto dalla fondatrice Marzia Geusa con Enrico Micheletto e Davide Melis. 100% Made in Italy, attento ai materiali biologici rigenerati, ‘praticante’ dell’upcycling. Una moda genderless e consapevole: “Interrogativi riguardanti il futuro ed i binomi tecnologia-natura e atomico-anatomico ci portano a intraprendere un processo simile ad un trip eterotopico, tramite il quale riflettiamo sul superamento del dualismo di genere, combattendo un’ironica guerra contro il dimorfismo sessuale”, spiegano.

Si gioca ad armonizzare tecnologia e natura, in un futuro che è anche presente, con forme che ridisegnano il corpo e dettagli che emergono inaspettati, per creazioni “slow-fashion” narrative, con riferimenti punk. Ma anche richiami a vecchie e nuove ribellioni, associati a materiali e forme gentili: “Una risposta emotiva e disillusa alla ricerca del senso delle cose”, scrivono, postando su Instagram la foto di una sfilata al Teatro India di Roma, dove top e pantaloni stretti di velluto arricciato vengono indossati con passamontagna all’uncinetto: “Li abbiamo pensati come giovani creature ribelli nate da un fiore magico”.

(Photo credits: Instagram @REAMEREI)