La Cop29 si appella al G20: “Leader diano segnale chiaro, senza non possiamo farcela”
In apertura della settimana che porterà alla chiusura dei lavori, si alza il grido d’aiuto della presidenza azera della Cop29 al G20 di Rio de Janeiro. I venti grandi “rappresentano l’85% del Pil globale e l’80% delle emissioni”, chiosa Mukhtav Babayev, ministro dell’Ecologia e delle risorse naturali, considerando il G20 “essenziale per compiere progressi su tutti i pilastri dell’Accordo di Parigi”, dalla finanza alla mitigazione e all’adattamento. “Non possiamo farcela senza di loro e il mondo aspetta di sentirli”, insiste, esortando il summit a inviare un segnale positivo dell’impegno ad affrontare la crisi climatica: “Vogliamo che forniscano mandati chiari per ottenere risultati alla COP29. Questa è la loro occasione per dimostrare la loro leadership”.
Il segretario esecutivo dell’United Nations Climate Change Conference, Simon Stiell, fa presente che i costi dell’adattamento al cambiamento climatico “salgono alle stelle per tutti, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo” e i loro costi potrebbero salire a “340 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, fino a raggiungere i 565 miliardi di dollari all’anno entro il 2050″.
A Rio, anche il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres invita i Paesi del G20 a dare l’esempio e a trovare “compromessi” per salvare la conferenza sul clima. Che comunque non resta ferma. Dopo l’adozione del comma 4 dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, sulla finanza privata, oggi da Baku arriva anche l’adesione della conferenza al comma 8 dello stesso articolo, sugli “approcci non di mercato”, quindi sulla finanza pubblica.
Babayev però si dice preoccupato dalla lentezza dei negoziati: “Le parti non si stiano avvicinando l’una all’altra con sufficiente rapidità, è ora che si muovano più velocemente”, esorta, domandando un accordo “equo e ambizioso”.
L’obiettivo è quello di inserire nei documenti delle Nazioni Unite le modalità di finanziamento di circa 1.000 miliardi di dollari all’anno di aiuti al clima per i Paesi in via di sviluppo da qui al 2030. Denaro che sarà utilizzato per costruire centrali solari, investire nell’irrigazione e proteggere le città dalle inondazioni. Bisognerà capire se questa cifra dovrà essere solo pubblica o mobilitata, quanto sarà ampia la platea dei Paesi donatori e quali saranno le tempistiche indicate nel documento.
La cifra al 2030 è la stima del fabbisogno fatta dagli economisti Nicholas Stern e Amar Bhattacharya, su commissione dell’ONU. Secondo i testi delle Nazioni Unite, solo i Paesi sviluppati sarebbero obbligati a contribuire. Ma l’Europa spinge perché i Paesi emergenti, come la Cina, diano un segnale di disponibilità.
Il contesto internazionale non aiuta. Gli Stati Uniti di Joe Biden stanno cercando di guidare l’uscita dall’impasse, a due mesi dal ritorno al potere di Donald Trump. Domenica, il Presidente uscente ha fatto una visita simbolica in Amazzonia, chiedendo un’azione “per l’umanità”. Nonostante il momento geopolitico così complesso, da Baku il commissario europeo all’Ambiente, Wopke Hoekstra si mostra ottimista: “Credo davvero che possiamo e dobbiamo ottenere un buon risultato entro la fine di questa settimana”, scandisce, ricordando che la sfida da affrontare è “davvero politica”: “Quindi questa settimana, in questa sede, smorziamo il rumore di fondo e concentriamoci sui negoziati che ci attendono”.
Tre le richieste di fondo dell’Europa: il denaro vada ai Paesi realmente più bisognosi e più vulnerabili; aumentino le risorse private perché “la realtà è che non ci sarà mai abbastanza denaro pubblico da nessuna fonte” e i Paesi contribuiscano “in base alle loro emissioni e alla loro crescita economica”. Qui il riferimento chiaro, anche se non esplicito, è alla Cina. Quanto alla capacità di attrarre fondi privati, la ricetta è il carbon pricing: “A contribuire maggiormente è la determinazione del prezzo del carbonio e i mercati del carbonio. Per questo stiamo anche negoziando il completamento delle norme dell’Accordo di Parigi che regolano i mercati internazionali del carbonio”, fa sapere Hoekstra.
Da oggi, la Cop29 ospita i ministri dell’Ambiente, compreso Gilberto Pichetto Fratin, per l’Italia e che ribadisce l’importanza di essere presente al vertice: “La Cop29 è una delle tante tappe di un processo irreversibile in atto“, spiega a Gea il ministro, che torna sulla contingenza globale: “Usa e Ue stanno per cambiare governo, il governo tedesco è in crisi. L’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, se ci sarà, non cambierà le politiche americane in modo importante. Anche se alla Cop non sono presenti molti dei grandi leader, ci sono tante altre occasioni per vedersi. I Paesi Opec, che sono tra i maggiori emettitori, sono quelli che hanno i piani più ambiziosi“, ammette. Pichetto si dice convinto che sia “importante continuare anche a Baku ad agire con pazienza e determinazione per raggiungere, passo dopo passo, gli obiettivi della decarbonizzazione“.
La palla, per il momento, passa al Brasile, con un assist da Parigi, dove si discute anche della proposta di tagliare la spesa pubblica internazionale dei Paesi Ocse per progetti di combustibili fossili attraverso le agenzie di credito all’esportazione. Se approvata, la proposta prevede l’eliminazione di 40 miliardi di dollari dai nuovi investimenti in combustibili fossili.