Istat alza le stime sul Pil 23/24 ma l’alluvione in Romagna e il Pnrr spaventano

Le previsioni della Commissione Europea di tre settimane fa davano in Italia un Pil in crescita dell’1,2% quest’anno e dell’1,1% nel 2024. Stime confermate in pieno oggi dall’Istat nelle sue prospettive economiche, “seppur in rallentamento rispetto al 2022”. I segnali per i prossimi mesi suggeriscono, nonostante l’avvio particolarmente positivo – un +0,6% nel primo trimestre oltre le attese – “un rallentamento dell’attività economica nel prosieguo dell’anno. In un contesto caratterizzato da un rallentamento della domanda mondiale, con l’economia di importanti partner commerciali come Germania e Usa è attesa frenare, ci si aspetta – sottolinea l’istituto di statistica – una netta decelerazione degli scambi con l’estero, più accentuata per le importazioni”. Questo perché “sullo scenario internazionale pesa ancora l’incertezza legata a tempi ed esiti del conflitto tra Russia e Ucraina, ai rischi di instabilità finanziaria e a un livello di inflazione ancora lontano dagli obiettivi delle banche centrali”.

L’Istat migliora comunque la sua guidance sull’Italia e non prevede recessione. “La revisione delle variabili esogene per il 2023 hanno determinato una riduzione del prezzo del brent di -5,3 dollari il barile nel 2023 rispetto alle ipotesi di dicembre dello scorso anno e un apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, il tasso di cambio è passato da 1,036 a 1,08. L’aggiornamento delle esogene e le informazioni provenienti dal primo trimestre – rivela l’istituto di statistica – hanno avuto un impatto sull’andamento del commercio estero nel 2023 con revisioni al ribasso sia delle importazioni che delle esportazioni (rispettivamente -1,4 punti percentuali e -0,5%). “I segnali positivi provenienti dalla stima dei conti economici trimestrali del primo trimestre 2023 hanno così portato anche “a una revisione al rialzo della stima del Pil per il 2023 di +0,8 punti percentuali (da 0,4% a +1,2%), degli investimenti (+1 punto percentuale) e del mercato del lavoro con le unità di lavoro che hanno avuto una revisione di +0,7 punti percentuali e il tasso di disoccupazione che è stato rivisto in discesa -0,3 per cento”.

Ci sono però due incognite, segnala sempre l’Istat nelle sue previsioni economiche: la realizzazione del Pnrr e alluvione in Romagna. “Gli effetti delle politiche monetarie restrittive sulla domanda interna e il venir meno della spinta degli incentivi all’edilizia saranno, tuttavia, parzialmente controbilanciati dagli effetti dell’attuazione delle misure previste dal Pnrr – soprattutto sugli investimenti – e del rallentamento dell’inflazione sulla domanda privata. Un ulteriore fattore di rischio potrebbe venire dalle conseguenze economiche, soprattutto sul settore agricolo, della recente ondata di maltempo che ha colpito con effetti drammatici l’Emilia Romagna”, scrive l’istituto di statistica.

Sul fronte inflazione invece “nei prossimi mesi dovrebbero continuare a prevalere spinte al ribasso dei costi degli input che traslano sul prezzo finale di vendita dei beni e dei servizi. Tuttavia, un contributo determinante all’inflazione al consumo sarà fornito dal proseguimento della dinamica in flessione dei prezzi degli energetici cui dovrebbe aggiungersi l’apporto deflativo proveniente dalla componente dei beni alimentari”, evidenzia Istat. In sintesi “sotto l’ipotesi di normalizzazione dei prezzi delle materie prime agricole e del gas naturale nei prossimi mesi e di una stabilizzazione delle quotazioni del petrolio e del cambio, nell’anno in corso la dinamica dei prezzi è prevista in parziale decelerazione. Nella media del 2023, il deflatore della spesa delle famiglie è previsto ridursi (+5,7%, da +7,4% nel 2022), mentre il deflatore del Pil segnerà un incremento (+5,6%, da +3% nel 2022). Nel 2024 è prevista una crescita più contenuta del deflatore della spesa per consumi delle famiglie e quello del Pil rispettivamente del +2,6% e +2,8% in media d’anno”. Stime leggermente diverse da quelle diffuse a Bruxelles a metà maggio, ovvero inflazione al 6,1% per quest’anno e +2,9% nel 2024.

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Italia guida crescita europea. Germania ferma nonostante 265 mld su caro-energia

Secondo il think tank Bruegel dall’inizio della crisi energetica nel settembre 2021 sono stati stanziati e stanziati in tutti i Paesi europei 758 miliardi di euro per proteggere i consumatori dall’aumento dei costi energetici. In particolare sono 646 i miliardi spesi nella Ue di cui 265 miliardi stanziati dalla sola Germania, poi 103 miliardi nel Regno Unito e 8,1 miliardi di euro in Norvegia. Nonostante questa mega spesa, il Pil di Berlino evita la recessione tecnicamente ma rimane fermo nel terzo trimestre. Da gennaio a febbraio 2023 invece il Pil italiano è salito dello 0,5 per cento (+1,8% annuale), così come quello spagnolo, battendo le stime degli analisti e registrando le migliori performance continentali. Complessivamente l’economia nell’eurozona è aumentata dello 0,1% trimestrale e dell’1,3% annuale, sotto comunque le attese. L’aumento dei prezzi al consumo dovuto all’aumento del costo dell’energia e del cibo, insieme al ritmo più rapido di inasprimento delle politiche da parte della Banca centrale europea in oltre 20 anni e l’indebolimento della fiducia hanno messo a dura prova l’economia del vecchio continente.

E tra le maggiori economie dell’Eurozona, la Germania non ha registrato alcuna crescita, smentendo in negativo le stime degli analisti. La locomotiva europea sembra diventato in realtà il malato d’Europa dopo aver perso certezze ventennali, come l’afflusso di gas dalla Russia comodo via tubo a basso costo e le esportazioni verso la Cina, rimasta invece bloccata dai blocchi legati al Covid. A questo si aggiungono le politiche climatiche aggressive americane e cinesi, basate su numerosi incentivi, che stanno spingendo grandi gruppi – dall’auto alla chimica- a trasferire la produzione negli Usa o in Asia. Secondo Deutsche Bank il Pil tedesco rimarrà a zero per tutto l’anno: “Continuiamo ad aspettarci una ripresa superficiale, frenata dall’inflazione elevata, dalla prevista recessione statunitense nel secondo semestre e dal maggiore impatto dei recenti e ulteriori aumenti dei tassi (prevediamo che il tasso sui depositi terminali della Bce al 3,75%)”, afferma l’istituto teutonico. “Nonostante alcuni previsori abbiano recentemente revocato le loro richieste per la crescita del Pil nel 2023 (con molti che non hanno disegnato una recessione negli Stati Uniti), manteniamo la nostra richiesta dello 0% per l’anno 2023”.

Altra musica in Italia. Le bollette del gas sono scese – almeno nel mercato tutelato – del 13,4% a marzo, dopo i cali registrati per i consumi dei mesi di gennaio (-34,2%) e febbraio (-13%), inoltre il fatturato dell’industria è tornato a salire a febbraio anche in volume. “L’economia italiana cresce oltre le stime previste e sprona il nostro Governo a far ancora di più per sostenere chi produce ricchezza nella nostra Nazione – scrive sui social la premier, Giorgia Meloni –  Questi dati ne sono la dimostrazione: le nostre imprese, quando messe nella condizione di sprigionare tutto il loro potenziale, sanno fare la differenza rendendo l’Italia forte e competitiva e favorendo il benessere di tutti gli italiani”. Tuttavia per Paolo Mameli,  senior economist della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, il principale contributo al valore aggiunto dovrebbe “essere venuto dalle costruzioni (mentre pensiamo che l’industria in senso stretto sia risultata poco variata) e, dal lato della domanda, il maggior apporto potrebbe essere giunto dal commercio estero, in un contesto di aumento delle esportazioni e calo dell’import. Il contributo della domanda interna al netto delle scorte dovrebbe a nostro avviso risultare contenuto, e guidato dagli investimenti (in particolare in costruzioni), mentre riteniamo improbabile che siano cresciuti i consumi delle famiglie”. Ora, continua Mameli, “in prospettiva, dopo aver beneficiato del crollo dei prezzi dell’energia, con il passare del tempo l’economia potrebbe risentire maggiormente dell’aumento dei tassi d’interesse, il cui impatto potrebbe essere amplificato dal fatto che il settore immobiliare sembra essere stato il principale motore di crescita a inizio 2023 (come è stato nella maggior parte del periodo post-pandemico). È probabile un rallentamento su base congiunturale del PIL a partire dal trimestre in corso, dopo l’ampia sorpresa positiva d’inizio anno, ma le indagini rimangono coerenti con un’espansione economica di 0,2/0,3% trimestre su trimestre” da marzo a settembre, il che significa che il PIL italiano potrebbe crescere di almeno l’1% quest’anno, con rischi verso l’alto”.

Pil della Germania negativo, adesso occhi puntati sulla Bce

La Germania non vuole nuovi piani per la ripresa per contrastare inflazione e aumento dei prezzi dell’energia. “NextGenerationEU è già la nostra risposta all’Inflation reduction act degli Stati Uniti”, scandisce il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, nel corso della conferenza stampa con il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. D’altronde Berlino ha già varato un piano da 200 miliardi per sostenere famiglie e aziende tedesche vittime del caro-energia e dallo stop al flusso di gas russo. Solo a dicembre lo Stato ha pagato la bolletta a tutte le famiglie proprietarie. Inoltre da ottobre è stato aumentato il salario minimo. Ciò nonostante il Pil tedesco, nel quarto trimestre, ha perso lo 0,2%.
Prima contrazione della locomotiva d’Europa dopo il periodo Covid. “Dopo che l’economia tedesca ha resistito bene nei primi tre trimestri nonostante le condizioni difficili – scrive Destatis, l’istituto federale di statistica – la produzione economica è leggermente diminuita nel quarto trimestre del 2022. In particolare, i consumi privati, che avevano sostenuto il Pil nel corso dell’anno fino ad oggi, sono stati inferiori rispetto al trimestre precedente”. Col risultato degli ultimi tre mesi dell’anno, il 2022 si è chiuso per la Germania con un +1,8%, più o meno la metà di quello che domani mattina dovrebbe registrare l’Istat per l’Italia, diffondendo i numeri sullo stato dell’economia tricolore nell’ultimo trimestre dello scorso anno.
Il dato della Germania è stato peggiore delle attese che prevedevano una crescita piatta per il periodo ottobre, novembre e dicembre, aiutato dal crollo delle quotazioni del gas dopo il picco di fine agosto a oltre 400 euro/Mwh. Un dato che tuttavia non dovrebbe far cambiare idea alla Bce, chiamata giovedì a fornire nuove indicazioni sulla sua politica monetaria. Analisti, banche e gestori sono convinti che, scontato il rialzo del costo del denaro di 0,5%, i banchieri centrali rimarranno ‘falchi’, rimanendo aggressivi nella stretta. Anche perché la presidente Christine Lagarde, a dicembre, aveva già avvisato che per fermare la corsa dei prezzi è disposta a ridurre la domanda e quindi a sopportare una “contrazione” non forte dell’economia dell’eurozona.
Quello che però forse non ha considerato la Bce – come ha fatto capire anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – è l’effetto comunicativo della sua aggressività. Come si leggeva nell’ultimo report dell’indice S&P Pmi a gennaio “l’inflazione dei costi del terziario è scivolata ai minimi in 13 mesi”. Nonostante ciò “i prezzi medi di vendita di beni e servizi sono aumentati ad un ritmo lievemente maggiore rispetto a dicembre, con tassi di inflazione in lieve salita sia per il manifatturiero che per il terziario. Se per entrambi i settori i tassi di incremento restano fuori dai picchi recenti, la forte pressione al rialzo dei prezzi di vendita rispecchia in parte il tentativo di recuperare i margini, soprattutto a fronte di costi storicamente alti di energia e altre materie prime, ma anche dei crescenti costi salariali”.
Proprio gli aumenti delle buste paga sono i nemici della Bce, poiché alimenterebbero ulteriori rialzi dei prezzi, tuttavia il trend sembra già partito. “La dinamica retributiva si è lievemente accentuata da ottobre, anche per effetto dell’incremento del salario minimo in alcuni paesi, tra cui la Germania, i Paesi Bassi e, per l’indicizzazione automatica ai prezzi, in Francia, nonché per l’operare di meccanismi di indicizzazione su tutti i salari in altri Paesi, in particolare in Belgio. E in diversi Paesi – aveva evidenziato pochi giorni fa Ignazio Visco all”Ambrosetti club, phygital meeting’ -, sembrano esservi, nell’ambito delle negoziazioni relative ai rinnovi contrattuali, richieste di aumenti particolarmente elevati, anche per recuperare le perdite di potere d’acquisto per gli aumenti dei prezzi connessi con lo shock energetico“.
E dopo il dato sul Pil tedesco prendono ancora più forza altre parole dello stesso governatore della Banca d’Italia. “Non condivido talune dichiarazioni nelle quali si sostiene che nell’area dell’euro solo una recessione, più o meno profonda, consentirà di riportare l’inflazione in linea con il nostro obiettivo di prezzi stabili. Ritengo invece del tutto possibile che, come sta avvenendo in altri Paesi e come è peraltro in linea con le nostre previsioni, la crescita dei prezzi, che già mostra segnali di discesa, possa tornare al 2 per cento senza che le nostre misure arrechino all’attività produttiva e all’occupazione danni particolarmente gravi”.

Nell’anno della crisi energetica Pil Italia meglio di Usa, Cina e Germania

L’Italia, se l’Istat confermerà la sua stima nelle prossime settimane, chiuderà il 2022 con una crescita del Pil nettamente superiore a quella tedesca, a quella degli Usa e addirittura della Cina. Il dato sull’economia conferma che ha gli Usa hanno lo scorso anno in rialzo del 2,1%, registrando un inaspettato allungo nel quarto trimestre con un +2,9% contro previsioni di un +2,6%. Wall Street ha aperto così in rialzo perché forse è scongiurato lo spettro recessione, in seguito a una forte stretta sul costo del denaro impressa dalla Federal Reserve per stendere l’inflazione. Oppure se ci sarà, la contrazione non dovrebbe essere pesante. Anche i listini europei hanno accelerato dopo le 15.30. E Piazza Affari, con la seduta odierna (1,27%), ha messo a segno un balzo del 24% dal 23 settembre, il venerdì prima delle elezioni politiche.
Tornando all’economia reale, come sintetizzava la Cgia di Mestre poco prima di Natale, il 2022 è stato da record per l’Italia. “Nonostante la crescita dell’inflazione, il caro energia e il boom dei prezzi delle materie prime abbiano creato non pochi problemi a famiglie e imprese, la crescita economica italiana è stata doppia rispetto a quella registrata dai nostri principali competitors commerciali presenti nell’area dell’euro”. L’Istat meno di un mese fa prospettava una crescita economica per l’anno appena concluso di un +3,9%. Il prodotto interno lordo tedesco è salito invece dell’1,9% nel 2022 rispetto al precedente anno, secondo quanto comunicato recentemente dall’ufficio federale di statistica Destatis, in base al quale “l’economia tedesca è in ripresa nonostante le difficili condizioni di contesto”.
La Germania ha subito oltre alla crisi energetica e all’interruzione delle forniture di gas dalla Russia, anche il semi-lockdown cinese, che per Berlino negli ultimi anni aveva rappresentato lo sbocco principali degli scambi commerciali. Pechino infatti ha chiuso il 2022 con un Pil in crescita del 3%, il dato più basso degli ultimi 40 anni. A differenza dei tedeschi l’Italia invece ha potuto contare su forniture di gas, benché pagate a caro prezzo, provenienti da Algeria o Azerbaigian e di tre rigassificatori già in funzione. Inoltre il nostro Paese non era dipendente principalmente da un unico mercato. Sfruttando invece il cambio favorevole ha incrementato le esportazioni verso Usa e nuovi mercati asiatici, nonostante la chiusura della Russia.
“La crescita del Pil registrata nel 2022 dell’economia italiana (+3,9%) ci restituisce una fotografia di un Paese in grado di rimboccarsi le maniche, nonostante l’aumento dei prezzi dell’energia e la spinta inflazionistica. Le prospettive di crescita per il 2023, però, non sono così rosee: si parla di una frenata al +0,6% rispetto al 2022. E’ necessario agire subito per ribaltare questa prospettiva e preservare la crescita”, sottolineava poi Alessandro Spada, presiedente di Assolombarda. La prospettiva per quest’anno dell’Italia è nettamente ridimensionata, anche se non dovrebbe esserci una recessione. Pochi giorni fa Bankitalia ha addirittura alzato da 0,4% a +0,6% le stime sul Pil tricolore del 2023. “Il 2023 può essere l’anno, soprattutto nella seconda parte, della ripresa dopo la tempesta”, spiegava stamattina Adolfo Urso, ministro delle Imprese del Made in Italy, durante un evento di Assolombarda, dove Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, si è spinto oltre: “Se quest’anno il prezzo medio del gas fosse a 100 euro/Mwh, algebricamente avremmo una crescita all’1%”.
In questo senso appaiono confortanti le prime indicazioni ufficiali che arrivano da questo 2023. A gennaio “il clima di fiducia delle imprese aumenta per il terzo mese consecutivo raggiungendo un livello superiore alla media del periodo gennaio-dicembre 2022. L’aumento dell’indice è trainato dal comparto dei servizi e da quello dell’industria”, rivela l’Istat. Invece “il clima di fiducia dei consumatori torna a diminuire dopo due mesi consecutivi di crescita. Il ripiegamento dell’indice è dovuto soprattutto ad un’evoluzione negativa delle opinioni sulla situazione personale”, conclude l’istituto di statistica. Infatti le aspettative sulla situazione economica generale e quelle sulle disoccupazione salgono.

demografia

Tra le conseguenze del crollo demografico non solo la riduzione del Pil. Cala anche l’inquinamento

Al Meeting di Rimini di fine agosto Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, aveva posto l’accento sulla crisi demografia e sulle relative conseguenze socio-economiche: “Al primo giugno di quest’anno i residenti in Italia sono 58,87 milioni, fra dieci anni avremo perso 1,2 milioni di persone. Nel 2052 perdiamo 5 milioni di persone, se andiamo al 2070 perdiamo 11 milioni di persone”. E così se “Il Pil di oggi è circa sui 1.800 miliardi di euro, nel 2070 avremo qualcosa come 1.200 miliardi, cioè 560 miliardi in meno, ossia un 32% di Pil in meno solo per il cambiamento di carattere demografico”.

Meno persone, è evidente, significa meno attività, meno consumi e pure meno inquinamento. In effetti il parallelismo tra demografia ed emissioni si può evincere in base a quello che è successo negli ultimi 15 anni. Secondo i dati Ispra, In Italia nel 2019 (il 2020 è stato un anno anomalo causa pandemia) le emissioni totali di gas serra, espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 19% rispetto all’anno base (il 1990 preso a riferimento anche dalle politiche green europee), scendendo da 519 a 418 milioni di tonnellate di CO2. E questa riduzione è stata riscontrata in particolare dal 2008, scrive Ispra, come “conseguenza sia della riduzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali a causa della crisi economica e della delocalizzazione di alcuni settori produttivi, sia della crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e di un incremento dell’efficienza energetica”.

Anche la crisi demografica è “precipitata nel 2009”, ricordava ultimamente Rino Agostiniani, vicepresidente della Società italiana di pediatria (Sip), conducendo “a un calo di circa un quarto delle nascite negli ultimi 10 anni”.

Utilizzando dunque come metro di paragone il consumo pro capite di tonnellate di C02 possiamo presumibilmente stabilire di quanto diminuiranno le emissioni nei prossimi anni, considerando le proiezioni sulla popolazione fornite da Istat e un calcolo realizzato dal costruttore di caldaie Vaillant e dall’Università di Milano, secondo il quale ogni italiano produce in media ogni anno 5,5 tonnellate di anidride carbonica: oltre un terzo dai trasporti, un altro terzo dall’alimentazione e dai rifiuti, il resto dal riscaldamento (25%) ed illuminazione ed elettrodomestici (5%).

Fra trent’anni, nel 2052, in Italia si potrebbero dunque respirare 27,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno in meno (-6,5% rispetto alla quota del 2019), mentre nel 2070 il crollo dell’inquinamento dovrebbe aggirarsi sui 60 milioni di tonnellate di anidride carbonica (quasi -15%). Il tutto senza fare niente sul fronte ambientale.

Bankitalia: Con guerra e stop gas russo rischio crescita zero

Nello scenario peggiore, in caso di escalation della guerra in Ucraina e di interruzione delle forniture di gas dalla Russia già da quest’estate, la crescita in Italia sarebbe nulla nel 2022 e si andrebbe in recessione di oltre 1 punto percentuale nel 2023. L’ipotesi è della Banca d’Italia, nelle proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana 2022-2024. L’inflazione al consumo subirebbe un’impennata dell’8% nel 2022, ma resterebbe alta anche nel 2023, vicina al 5,5 %, per scendere solo nel 2024.

Previsioni molto più rosee, ma riviste rispetto a quelle precedenti, nello scenario base. In questo caso Via Nazionale stima la crescita del Pil al 2,6% per quest’anno, all’1,6% nel 2023 e all’1,8% nel 2024. A gennaio la previsione era stata di una crescita del +3,8% nel 2022, del 2,5 nel 2023 e dell’1,7 nel 2024. Il quadro è fortemente condizionato dall’evoluzione della guerra in Ucraina, i cui sviluppi potrebbero avere effetti sull’economia nelle due direzioni opposte.

In uno scenario di base si assume che le tensioni associate alla guerra (che si ipotizza resti confinata all’Ucraina) proseguano per tutto il 2022, continuando a comportare il rialzo dei prezzi delle materie prime, mantenendo elevata l’incertezza e rallentando il commercio internazionale. In questo caso, però, “si esclude un’intensificazione delle ostilità tale da portare a una sospensione delle forniture di materie prime energetiche dalla Russia“. Dopo essere rimasto stagnante nel primo trimestre dell’anno, il Prodotto interno lordo si espanderebbe a ritmi modesti nel trimestre per il 2022, per poi rafforzarsi dall’anno prossimo. L’inflazione al consumo si collocherebbe al 6,2 per cento nella media di quest’anno, spinta dagli effetti del rincaro dei beni energetici e delle strozzature all’offerta; scenderebbe al 2,7 per cento nel 2023 e al 2,0 per cento nel 2024.

Un’intensificazione del conflitto avrebbe ripercussioni più pesanti. In uno scenario avverso, in cui si ipotizza un arresto delle forniture a partire dal trimestre estivo, solo parzialmente compensato per il nostro paese mediante altre fonti, si prevedono ricadute dirette, in particolare per le attività a più elevata intensità energetica, ulteriori forti rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento dell’export, un più forte deterioramento dei climi di fiducia e un aumento dell’incertezza. Sotto queste ipotesi, il Pil prodotto aumenterebbe in misura pressoché nulla in media d’anno nel 2022, si ridurrebbe di oltre 1 punto percentuale nel 2023 e tornerebbe a crescere nel 2024. L’inflazione al consumo subirebbe un netto aumento nel 2022, avvicinandosi all’8,0 per cento, e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 5,5 per cento, per scendere decisamente solo nel 2024.

Né l’uno, né l’altro scenario includono ulteriori misure di politica economica – precisa Bankitalia -, che potrebbero essere introdotte per mitigare le ricadute dell’inasprimento del conflitto sulle famiglie e le imprese“.