Trump show all’Onu: “Cambiamento climatico più grande bufala mai raccontata”

Il cambiamento climatico? “Una truffa, la più grande bufala mai raccontata”. Le politiche green? “Una follia”. L’impronta di CO2? “Non esiste”. In quasi un’ora di discorso senza contradditorio – a fronte dei 15 minuti concessi agli altri capi di Stato e di governo – è dal Palazzo di Vetro dell’Onu – in occasione dell’80esima Assemblea generale delle Nazioni Unite – che l’uragano Donald Trump fa piazza pulita di decenni di ricerche, progetti, politiche internazionali e accordi. Il climate change, per il repubblicano, non esiste affatto e, anzi, agire per contrastarlo significa, soprattutto per l’Europa, “continuare ad autoinfliggersi delle ferite”. La posizione di The Donald in tema ambientale è sempre stata chiara, ma mai in un discorso pubblico aveva messo sul piatto tutto ciò che ruota intorno al clima, dalle politiche energetiche alla salute, dalla manifattura alla Cina, passando per l’Accordo di Parigi al petrolio e al carbone “buono e pulito”.

L’assunto di base è evidente: “Il cambiamento climatico è la più grande truffa mai perpetrata al mondo” da un gruppo di “stupidi”, nel quale rientrano anche le “Nazioni Unite”. Il riscaldamento del pianeta, insomma, è “una bufala”, ed è per questo che “mi sono ritirato dal falso accordo di Parigi sul clima, dove tra l’altro l’America stava pagando molto più di ogni altro paese”. Mettere in campo azioni per non superare +1,5°C è, per Trump, troppo. Il presidente Usa fa un esempio legato all’attualità. Recenti ricerche hanno stimato che il caldo abbia causato almeno 175mila vittime solo in Europa. Negli Usa, invece, si registrano “circa 1.300 decessi all’anno” per la stessa ragione. “Ma dato che il costo” dell’energia “è così elevato” nel Vecchio Continente, “non si può accendere l’aria condizionata. Tutto in nome della finzione di fermare la bufala del riscaldamento globale”. In sostanza per il repubblicano, “l’intero concetto globalista di chiedere alle nazioni industrializzate di successo di infliggersi dolore e sconvolgere radicalmente le loro intere società deve essere respinto totalmente”.

Gli sforzi messi in campo dall’Europa, dalle organizzazioni internazionali, dal mondo delle imprese, dalle Cop sono “una follia”. L’effetto principale di queste “brutali politiche energetiche verdi non è stato quello di aiutare l’ambiente, ma di ridistribuire l’attività manifatturiera e industriale dai paesi sviluppati che seguono le folli regole imposte ai paesi inquinanti che le infrangono e stanno facendo fortuna”. Favorire, quindi, in primis, la Cina, che ora produce “più CO2 di tutte le altre nazioni sviluppate del mondo”.

Quindi, sulla scia dell’ormai celebre ‘Drill, baby drill’, il presidente Usa stronca ogni apertura verso le rinnovabili perché “sono costose da gestire. Sono un grandissimo scherzo”. Per l’Agenzia internazionale dell’Energia (Aie), invece, il 96% delle nuove energie rinnovabili ha un costo di produzione inferiore rispetto ai combustibili fossili. Meglio ripiegare sul “carbone pulito”, che “ci permette di fare qualsiasi cosa”, sul “gas” e sul “petrolio”, dal momento “che ne abbiamo più di ogni altro Paese al mondo”. E poco importa se poco prima il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva parlato di una crisi climatica che “sta accelerando”, sottolineando che “il futuro dell’energia pulita non è più una promessa lontana. È già qui. Nessun governo, industria o interesse particolare può fermarlo. Ma alcuni ci stanno provando”. Appunto.

Dal palco, di fronte a centinaia di delegazioni internazionali, Trump fa la sua predica: “Se non usciamo da questo scherzo che io chiamo il green, non avremo scampo. I vostri paesi non ce la faranno”. Gli Stati Uniti, ne è certo, sono invece “in una nuova età dell’oro”.

“Alcuni passaggi” del lunghissimo discorso del leader Usa convincono la premier Giorgia Meloni, il cui intervento all’Onu è previsto per domani alle 20 (orario di New York). “Sono d’accordo sul fatto che un certo approccio ideologico al Green Deal abbia finito per non rendersi conto che stava minando la competitività dei nostri sistemi e quindi ci sono dei passaggi di Trump che ho assolutamente condiviso”, dice in un punto stampa a margine dell’Assemblea.

Quando a Trump all’Onu scivola la frizione di un quattro cilindri diesel

Non c’erano dubbi sul fatto che Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, fosse da tempo immemore assai scettico sulla tutela del Pianeta. Non era però immaginabile che all’Onu, nel corso del suo interminabile intervento all’Assemblea Generale, il tycoon picchiasse così duro su Green Deal e rinnovabili – definendole la più grande truffa del mondo, uno scherzo, una sorta di harakiri economico – e assurgesse a leader dei negazionisti perché – la sintesi del suo ragionamento – un centinaio di anni fa si temeva per il raffreddamento della Terra e adesso ci si angoscia per il riscaldamento. Balle, in buona sostanza, anzi bullshit. Così l’uscita dall’accordo Parigi diventa un atto dovuto trattandosi solo di “una bufala”.  Tutto condito da uno schiaffo all’Europa e un cazzoto alla Cina, la nazione che produce più CO2 del mondo e inquina gli Oceani fino a Los Angeles, per giungere al pizzicotto assestato alla Scozia che ha un sacco di risorse nel Mare del Nord e non le sfrutta in maniera adeguata.

Trump ha coccolato il carbone (pulito, eh già), ammiccato al petrolio, si è accoccolato sul gas, quello che ci vende a prezzi esorbitanti, ha confezionato una sorta di elegia delle fonti fossili. Dando nel contempo degli idioti a tutti coloro che in questi ultimi anni si sono impegnati a diminuire l’inquinamento, a pensare a soluzioni non impattanti sull’ambiente, a tutelare ciò che sta ineludibilmente degradando. Ora, se è vero che le follie di Frans Timmermans e di un certo tipo di atteggiamento ecologista sono andate paradossalmente nella direzione sbagliata, è altrettanto innegabile che il presidente degli Stati Uniti si è stabilizzato su posizioni indubbiamente estreme. E quindi non proprio condivisibili.

Più che lo stato del Pianeta a Trump interessa lo stato di salute della sua economia. Così facendo, ovvero tornando al “drill, baby drill” dell’insediamento alla Casa Bianca, gli Usa usciranno dall’impasse economico e diventeranno una specie di Eldorado, mentre l’Europa rischia il fallimento (chiaro e diretto il riferimento alla Germania) per la cocciutaggine di voler perseguire politiche ‘verdi’.

Su un tema, forse, The Donald ha ragione: per tanto che ci si impegni a Bruxelles, ci saranno sempre nazioni (India, Cina?) che anteporranno i loro interessi a qualsiasi ecopolitica di buonsenso. Vale un vecchio ragionamento di strada: basta una sgasata di un furgoncino a Nuova Delhi per vanificare gli sforzi di un’intera città della Ue. però…

…Però stavolta a Trump è scivolata la frizione (di un quattro cilindri rigorosamente diesel).

rinnovabili

Calano consumi energia a luglio, 44% coperto da rinnovabili: +53,4% produzione eolico

Crescita a due cifre per la produzione di energia da eolico (+53,4%) e dal solare fotovoltaico (+17,8%), in Italia. Dati che spingono lo sfruttamento delle rinnovabili: a luglio le fonti pulite hanno coperto il 43,8% della domanda elettrica nazionale, la stessa quota del luglio 2024). Questa la fotografia di Terna relativa allo scorso mese e ai primi sette mesi dell’anno. In particolare, segnala la società che gestisce la rete nazionale di trasmissione dell’energia, l’incremento della produzione del fotovoltaico (+840 GWh) è dovuto al contributo positivo dell’aumento di capacità in esercizio (+873 GWh) che ha compensato il minor irraggiamento (-33 GWh). In diminuzione invece la fonte idrica (-30,4%), termica (-6,9%) e geotermica (-2,2%). Da gennaio a luglio, la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 3.705 MW (di cui 3.354 MW di fotovoltaico), mentre negli ultimi dodici mesi, la capacità installata di fotovoltaico ed eolico è aumentata di 6.868 MW (+14,6%), raggiungendo i 53.781 MW complessivi. Al 31 luglio 2025, secondo il database di Terna, si registrano in Italia 17.132 MWh di capacità di accumulo (valore in aumento del 68,7% rispetto allo stesso mese del 2024), che corrispondono a 6.991 MW di potenza nominale, per circa 828.000 sistemi di accumulo.

Quanto ai consumi, nel mese di luglio il fabbisogno di energia elettrica in Italia è stato pari a 30 miliardi di kWh, in calo del 3,5% rispetto a luglio 2024. “La variazione negativa, che si confronta con il dato record di 31 TWh di luglio dello scorso anno (+4,6%), è stata raggiunta con lo stesso numero di giorni lavorativi (23) e una temperatura media mensile leggermente inferiore rispetto a luglio 2024 (-0,4°C)”, spiega la nota della società, ricordando che il picco massimo di domanda, pari a circa 56,2 GW, è stato registrato nella giornata di martedì 1 luglio tra le ore 14 e le 15. Il dato della domanda elettrica corretto dal solo effetto temperatura, porta la variazione a -2% rispetto a luglio 2024. A livello territoriale, la variazione tendenziale di luglio è risultata ovunque negativa: -3,7% al Nord e al Centro, -2,9% al Sud e nelle Isole. Nei primi sette mesi dell’anno, il fabbisogno nazionale è sostanzialmente stazionario (-0,3%) rispetto al corrispondente periodo del 2024 (-0,6% il valore rettificato). Lo scorso mese la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per l’84,6% dalla produzione nazionale e per la quota restante (15,4%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. Il valore del saldo estero mensile risulta pari a 4,6 TWh, l’8,1% in più rispetto a luglio 2024. A livello progressivo, da gennaio a luglio 2025, l’import netto è in diminuzione del 10% rispetto ai primi sette mesi del 2024.

L’indice Imcei (Indice Mensile dei Consumi Elettrici Industriali) elaborato da Terna, che prende in esame i consumi industriali delle imprese cosiddette ‘energivore’, ha fatto registrare una flessione del 2,1% rispetto a luglio 2024. In particolare, positivi i comparti di ceramiche e vetrarie, siderurgia, cemento calce e gesso e meccanica. In flessione, chimica, cartaria, metalli non ferrosi e alimentari; stazionari i mezzi di trasporto. In termini congiunturali, la variazione della richiesta elettrica destagionalizzata e corretta dagli effetti di calendario e temperatura è negativa (-4,8%) rispetto a giugno 2025. In diminuzione anche la variazione congiunturale dell’indice Imcei (-1,2%).

In Italia 2 mln rinnovabili. Pichetto: “Cambiamento rapido in atto”

Una crescita continua e senza freni quella delle fonti rinnovabili in Italia. A giugno gli impianti nel nostro Paese hanno toccato i due milioni e a fare la parte del leone sono i fotovoltaici (99%). Appena un quarto di secolo fa, nel 1999, gli impianti termoelettrici o con rinnovabili erano poco più di quattromila. E di questi, appena otto erano fotovoltaici. “Sono numeri importanti. Vuol dire che in 25 anni siamo passati da quattromila impianti a due milioni”, col sistema di generazione elettrica che è slittato “da concentrato a distribuito”, “è un sistema sempre più complesso da gestire ma l’Italia lo sta facendo bene”, spiega Paolo Arrigoni, presidente del Gestore dei servizi energetici (Gse).

Occasione è un docufilm presentato nella sede a Roma alla presenza del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. ‘La transizione possibile‘, il titolo del documentario. E che sia possibile ripensare l’energia del futuro lo dicono i numeri, sempre più incoraggianti. “E’ in corso un cambiamento talmente rapido e forte che va oltre la sensazione. A questa velocità era impensabile”, ammette il ministro. Il Gse si reputa “osservatorio privilegiato” in questo senso, grazie all’attività di soggetto attuatore per la promozione di rinnovabili, efficientamento energetico e sviluppo sostenibile, ma anche per il monitoraggio nazionale. “I progetti crescono sempre di più – sottolinea Arrigoni – e così anche le rinnovabili, specialmente nel trasporto elettrico e termico. Oggi centinaia di migliaia di cittadini e imprese si sono trasformati, da semplici consumatori sono diventati produttori e consumer”.

Simbolo dello sviluppo è il boom delle comunità energetiche rinnovabili, sono oltre 1.700 tra le configurazioni operative e quelle che lo saranno prossimamente. “Sono il simbolo di un cambio di paradigma in atto, uno strumento eccezionale di diffusione di questa cultura. La transizione è un cambiamento sociale, culturale ed economico che chiede il coinvolgimento di tutti”, chiosa il presidente Gse. “Ci sono milioni di famiglie coinvolte – prosegue Pichetto Fratin – ormai è un fatto economico ma anche di pelle industriale”.

La transizione oggi viene vista come strumento “per restare tra i primi dieci al mondo. Per riuscirci dobbiamo costruire quelle condizioni economiche affinché si percepisca che se mi autoproduco energia ho un beneficio, un guadagno”. Altro obiettivo che si può raggiungere attraverso la transizione energetica è risolvere il problema delle aree interne, sfiancate dallo spopolamento progressivo. “Possiamo creare le condizioni per una competitività diversa e mantenere la presenza delle persone. Questo è uno dei percorsi per creare vantaggio competitivo nelle aree interne”, assicura il ministro per cui però bisogna pianificare bene il futuro. Oggi consumiamo infatti 305 miliardi di kilowattora di energia elettrica e “gli analisti prevedono un’esplosione della domanda energia”, si stima un raddoppio nei prossimi 15 anni. “L’unica possibilità che oggi la tecnologia ci offre è il nucleare, non abbiamo al momento una valutazione alternativa. E’ l’unico percorso verso cui si sta indirizzando tutto il mondo, anche chi aveva fatto altre scelte per ragioni ideologiche ora le sta rivalutando, a partire da Spagna. Il futuro è quello”. Infine, sul decreto aree idonee per le rinnovabili, a prescindere da quale sarà l’esito del ricorso al Consiglio di Stato, Pichetto assicura che una revisione del testo sarà effettuata “nel più breve tempo possibile”.

Eolico

Energia, Aie: 3.300 mld di investimenti nel 2025, Cina ed energie green in testa

Gli investimenti nel settore energetico dovrebbero raggiungere i 3.300 miliardi di dollari nel 2025 nonostante le incertezze economiche, con la Cina che consolida la sua posizione di primo investitore mondiale, mentre le energie “pulite” dovrebbero attrarre il doppio dei capitali rispetto a quelle fossili, secondo un rapporto dell’AIE pubblicato giovedì.

“In un contesto di incertezze geopolitiche ed economiche che offuscano le prospettive del mondo energetico, vediamo emergere la sicurezza energetica come un motore chiave della crescita degli investimenti globali quest’anno”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE). “Oggi la Cina è di gran lunga il maggiore investitore mondiale nel settore energetico, con una spesa doppia rispetto all’Unione europea e quasi pari a quella dell’UE e degli Stati Uniti messi insieme”, aggiunge, ricordando che nel 2015 superava di poco gli Stati Uniti in questo settore.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili e nucleare, nello stoccaggio e nei combustibili a basse emissioni, ma anche nell’efficienza energetica e nell’elettrificazione dovrebbero raggiungere il record di 2.200 miliardi di dollari, secondo l’AIE. “Le attuali tendenze di investimento mostrano chiaramente che si sta avvicinando una nuova era dell’elettricità”, sottolinea l’AIE: gli investimenti in questo settore dovrebbero essere circa il 50% superiori al totale degli investimenti in petrolio, gas naturale e carbone. Dieci anni fa, gli investimenti nei combustibili fossili erano superiori del 30% rispetto a quelli nella produzione e nelle reti elettriche, ricorda l’agenzia.

Petrolio, gas naturale e carbone dovrebbero quindi rappresentare 1.100 miliardi di dollari, con una concentrazione della spesa nell’esplorazione di petrolio e gas in Medio Oriente. L’AIE stima che il calo dei prezzi del petrolio e della domanda dovrebbe portare alla prima contrazione degli investimenti nel settore dal Covid nel 2020, principalmente a causa di una forte riduzione della spesa per lo shale oil negli Stati Uniti. Al contrario, gli investimenti in nuovi impianti di gas naturale liquefatto (GNL) cresceranno fortemente. “Tra il 2026 e il 2028, il mercato mondiale del GNL dovrebbe registrare la più grande crescita di capacità di sempre”, stima l’AIE. Secondo l’Agenzia, gli investimenti nel solare dovrebbero raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2025 a livello mondiale, posizionandosi al primo posto, mentre quelli destinati all’energia nucleare dovrebbero ammontare a circa 75 miliardi di dollari, con un aumento del 50% negli ultimi cinque anni. L’AIE è tuttavia preoccupata dal fatto che gli investimenti nelle reti elettriche (cavi, tralicci…), attualmente pari a 400 miliardi di dollari all’anno, “non riescano a tenere il passo con la spesa per la produzione e l’elettrificazione”, il che costituisce un “segnale preoccupante per la sicurezza elettrica”.

Gli investimenti nelle reti dovrebbero aumentare per raggiungere la parità con la spesa per la produzione entro l’inizio degli anni ’30, ma “ciò è frenato da lunghe procedure di autorizzazione e da catene di approvvigionamento tese per i trasformatori e i cavi”. Infine, la forte crescita della domanda di elettricità avvantaggia anche il carbone, soprattutto in Cina e in India. Nel 2024, la Cina ha avviato la costruzione di quasi 100 gigawatt (GW) di nuove centrali elettriche a carbone, portando le approvazioni globali di centrali a carbone al livello più alto dal 2015, sottolinea l’AIE.

Nasce Pioneer, il maxi-sistema stoccaggio Enel-Adr che riutilizza batterie auto elettriche

Un sistema innovativo che immagazzina energia rinnovabile per usarla anche quando il sole non c’è, valorizzando batterie usate di veicoli elettrici e donando loro una seconda vita. Il più grande sistema di stoccaggio energetico italiano che utilizza batterie di auto elettriche è stato presentato questa mattina all’aeroporto internazionale di Roma Fiumicino. Si tratta del progetto Pioneer, realizzato da Enel e Adr con l’obiettivo di applicare concretamente i principi di economia circolare e sostenibilità ambientale nel rispetto della decarbonizzazione dell’hub.

Cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito dell’Innovation Fund, il progetto sfrutta le potenzialità delle fonti rinnovabili e dell’economia circolare riutilizzando 762 batterie esauste, provenienti da tre grandi brand automobilistici (Nissan, Mercedes e Stellantis) grazie all’allacciamento con l’impianto fotovoltaico realizzato in parallelo alla pista 3 dell’aeroporto di Fiumicino.

Pioneer consentirà dunque di alimentare l’infrastruttura con energia pulita prodotta localmente, riducendo la dipendenza dalla rete. I moduli sono stati riconvertiti in un grande sistema di accumulo da 10 megawattora, capace di immagazzinare energia e restituirla quando necessario. Grazie a Pioneer, che sta per ‘airPort sustaInability secONd lifE battEry stoRage’, verranno abbattute 16mila tonnellate di anidride carbonica nell’arco di dieci anni.

Innovazione, sostenibilità ed eccellenza europea sono i tratti distintivi del progetto Pioneer. Gli storage sono infatti ritenuti ormai imprescindibili per la transizione energetica e il sistema realizzato da Enel e ADR accelera il percorso di decarbonizzazione del “Leonardo da Vinci”, recentemente incluso nella Top10 dei migliori scali al mondo da parte di Skytrax, dando nuova vita a batterie ormai inutilizzabili in campo automotive ma ancora molto preziose per applicazioni stazionarie. Il risultato è un progetto di dimensioni industriali che accumula l’energia verde prodotta, per poi rilasciarla quando se ne abbia necessità. “Progetti come questo dimostrano come l’Italia sia in grado di coniugare sostenibilità ambientale e competitività produttiva: una sfida cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa”, ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il progetto appartiene ad un modello virtuoso e innovativo di economia circolare riconosciuto anche a livello europeo, che ha visto il progetto Pioneer selezionato tra i vincitori del bando Innovation Fund SSC-2020 promosso dall’Agenzia Europea per il Clima, l’Ambiente e le Infrastrutture (Cinea). Pioneer “mostra che l’innovazione è la prima alleata della transizione energetica, accelera l’elettrificazione su larga scala grazie a un modello di economia circolare che dà nuova vita alle batterie esauste”, ha aggiunto Francesca Gostinelli, Head of Enel X Global Retail di Enel. Si tratta “di un simbolo concreto della nostra strategia – ha dichiarato Marco Troncone, amministratore delegato di Aeroporti di Roma – perché in esso convergono il nostro forte impegno nella sostenibilità ambientale, la capacità di valorizzare l’innovazione tecnologica e la determinazione di fare efficacemente sistema con le eccellenze del Paese, come Enel”.

Eolico

Energia, nel 2024 in Italia 74.303 MW di rinnovabili: +267% rispetto al 2004

In Italia negli ultimi 20 anni le rinnovabili, così come le buone pratiche energetiche, registrano una lenta ma importante crescita e diffusione. La conferma arriva dai dati del nuovo report di Legambiente ‘Comuni Rinnovabili’– realizzato in collaborazione con il Gse e arrivato alla sua XX edizione – ricavati dalle oltre 350 esperienze virtuose censite in questi anni e dalle cinque realtà vincitrici del Premio Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (C.E.R.S), premiate oggi dall’associazione ambientalista e da Generali Italia a Roma.

I numeri parlano chiaro: nella Penisola dal 2004 al 2024 le rinnovabili sono passate da 20.222 MW a 74.303 MW di potenza efficiente netta installata, con una media pari a 2.704 MW l’anno, e facendo registrare un incremento di 54.081 MW, + 267%. In 20 anni è cresciuto anche il numero degli impianti: se nel 2004 erano appena 2.452, nel 2024 si arriva a oltre 1.893.195 milioni di installazioni. Solare fotovoltaico, eolico ed idroelettrico sono le tre fonti rinnovabili cresciute maggiormente in questi venti anni. Il solare fotovoltaico dal 2004 ad oggi ha registrato una crescita di 37.085 MW distribuiti in 1,8 milioni di impianti, di cui 276mila solo nel 2024 e i Comuni dove sono state installate queste fonti pulite sono passati nell’arco di vent’anni da 74 a 7.873. L’eolico nello stesso periodo è cresciuto di 11.890 MW e gli impianti sono passati dai 120 del 2004 ai 6.130. Inoltre, ben 685 MW di eolico sono stati realizzati nel 2024 grazie alla realizzazione di 84 nuovi impianti che, nonostante le tante opposizioni, hanno coinvolto ben 66 Comuni.

L’idroelettrico è passato da 17.055 MW del 2004, distribuiti su 2.021 impianti, a 18.992 MW su 4.907 installazioni nel 2024. Più stabile ma comunque in crescita, anche la geotermia ad alta entalpia che dal 2004 al 2024 è cresciuta di 136 MW, mentre le bioenergie sono passate da 1.346 MW a 3.802 MW distribuiti in almeno 3.054 Comuni. “Dati sicuramente importanti”, spiega Legambiente, ma su cui “è fondamentale accelerare il passo visti i ritardi accumulati rispetto all’obiettivo 2030 e gli importanti benefici, tra cui quelli occupazionali e sulle bollette che genera questo settore”. L’Italia con 212mila persone è in Europa al secondo posto, dopo la Germania, per persone occupate nel settore delle rinnovabili. Oltre la metà, 135 mila, sono impiegate nel settore delle pompe di calore nel quale la Penisola detiene il primato assoluto per impiego tra i paesi dell’Ue. Eolico e fotovoltaico in Italia valgono invece, rispettivamente, 9mila e 26,5mila posti di lavoro.

“Nel 2024, a livello mondiale, il mercato delle fonti pulite ha fatto registrare maggiori investimenti di quelli delle fossili. Un dato importante che, insieme a quello di Comuni Rinnovabili, indica chiaramente quale sia la strada da seguire. Per contrastare la crisi climatica e ridurre il costo delle bollette, è fondamentale che l’Italia acceleri la realizzazione di impianti a fonti pulite, ma anche di reti, accumuli, efficienza energetica, elettrificazione dei consumi termici e di quelli legati alla mobilità”, commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Servono, inoltre, “politiche nazionali, regionali e comunali – dice Ciafani – in grado di accogliere la trasformazione in corso, lavorando anche sull’accettabilità sociale e su una maggiore partecipazione dei territori, snellendo gli iter autorizzativi e rimuovendo quegli ostacoli burocratici e i decreti sbagliati che ad oggi ne frenano lo sviluppo, come quello sulle Aree idonee che la recente sentenza del TAR del Lazio ha sostanzialmente smontato. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica non faccia ricorso al Consiglio di Stato e corregga speditamente il decreto per recuperare il tempo perso nell’ultimo anno”. 

Fukushima

Clima, il Giappone punta a ridurre le emissioni del 60% entro il 2035 rispetto al 2013

Il Giappone si è impegnato a ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2035 rispetto al 2013, nell’ambito di un piano climatico con obiettivi ambiziosi, accompagnato da una revisione della strategia energetica. La quarta economia mondiale, ancora molto dipendente dai combustibili fossili e accusata di avere il mix energetico più inquinante tra le potenze del G7, si è già posta l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

L’impegno annunciato oggi fa parte del nuovo “contributo determinato a livello nazionale” (NDC) che Tokyo, come tutti i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, avrebbe dovuto presentare all’Onu entro il 10 febbraio. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo dieci dei quasi 200 paesi interessati lo hanno fatto in tempo.

L’obiettivo deve essere raggiunto nel corso dell’esercizio finanziario giapponese 2035, che si concluderà alla fine di marzo 2036. L’arcipelago mira inoltre a ridurre le proprie emissioni del 73% entro il 2040, sempre rispetto al 2013, ha precisato il Ministero giapponese dell’Ambiente. “Questi ambiziosi obiettivi sono in linea con l’obiettivo globale” previsto dall’Accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale a meno di 1,5°C rispetto all’era preindustriale, e rientrano nella prospettiva della “neutralità carbonica”, ha sottolineato il ministero.

Nel suo precedente contributo nazionale presentato all’Onu nel marzo 2020, il Giappone si era impegnato a ridurre le proprie emissioni solo del 26% entro il 2030, suscitando aspre critiche da parte di Ong ed esperti del clima. Di conseguenza, un piano più ambizioso, presentato nell’ottobre 2021, ha fissato un obiettivo di riduzione del 46% entro il 2030 rispetto al 2013.

Il nuovo obiettivo “è una grande opportunità mancata per mostrare al mondo la leadership del Giappone nella lotta contro il cambiamento climatico”, ha spiegato all’AFP Masayoshi Iyoda, responsabile per il Giappone dell’Ong ambientalista 350.org. “Gli scienziati hanno avvertito che il Giappone deve ridurre le sue emissioni dell’81% entro il 2035 per allinearsi all’ obiettivo di 1,5 °C. Il primo ministro Shigeru Ishiba ha ceduto alle pressioni dell’industria, che deve molto agli interessi dei combustibili fossili”, si è rammaricato, denunciando “un grave fallimento per una transizione verso un futuro di energia rinnovabile giusto ed equo”.

Le sfide per il Giappone sono enormi. Nel 2023, quasi il 70% del suo fabbisogno di elettricità era soddisfatto da centrali termiche a carbone e idrocarburi. Le importazioni di combustibili fossili, pari al 23% delle importazioni totali del Giappone, costano al Paese l’equivalente di circa 470 milioni di dollari al giorno, secondo i dati doganali giapponesi per il 2024. Per porre rimedio a questa situazione, il governo di Shigeru Ishiba ha annunciato a metà dicembre un progetto preliminare volto a rendere le energie rinnovabili la prima fonte di elettricità del paese entro il 2040, aumentando al contempo il ricorso al nucleare.

Tanto più che Tokyo punta a un aumento del 10-20% della produzione di elettricità del Paese entro il 2040, rispetto al 2023, a fronte di una domanda crescente legata in particolare all’intelligenza artificiale (IA) e alla produzione di semiconduttori. Questo ‘Piano strategico energetico’ è stato perfezionato e dettagliato martedì. Entro il 2040, secondo gli obiettivi adottati, le centrali termiche dovranno rappresentare solo tra il 30 e il 40% del mix elettrico giapponese. Al contrario, la quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità sarà aumentata fino a raggiungere il 40-50%, rispetto al solo 23% nel 2023. L’obiettivo precedentemente fissato era del 38%. Il contributo del solare al mix elettrico dovrebbe salire al 23-29% entro il 2040, quello dell’eolico al 4-8% e quello dell’idroelettrico all’8-10%, secondo le fasce dettagliate.

Inoltre, il nucleare dovrebbe rappresentare il 20% della produzione elettrica entro il 2040, più o meno l’obiettivo già fissato per il 2030, ma al di sotto del 30% che il nucleare civile rappresentava prima del 2011. Quattordici anni dopo la catastrofe di Fukushima, il Giappone vuole che l’energia nucleare svolga un ruolo importante nel soddisfare il crescente fabbisogno energetico. Il governo aveva chiuso tutte le centrali nucleari dell’arcipelago dopo questa tripla catastrofe (terremoto, tsunami, incidente nucleare) ma le ha gradualmente rimesse in funzione, nonostante le proteste, e prevede che tutti i suoi reattori esistenti saranno attivi entro il 2040.

energia

Le rinnovabili nei trasporti in Ue

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, la quota percentuale di energia da fonti rinnovabili utilizzata nel settore traporti dei Paesi Ue. Secondo Eurostat, ha raggiunto il 10,8% nel 2023, con un aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al 2022 (9,6%) ma comunque inferiore di 18,2 punti rispetto all’obiettivo del 29% per il 2030. Per raggiungere l’obiettivo sarebbe necessario un aumento medio annuo di 2,6 punti percentuali entro 5 anni. La Svezia è stato il Paese Ue con la quota più alta di energie rinnovabili nei trasporti e l’unico Paese ad aver già raggiunto l’obiettivo del 2030 (33,7%). Al secondo posto si è classificata la Finlandia (20,7%), seguita dai Paesi Bassi (13,4%) e dall’Austria (13,2%). L’Italia ha registrato il 10.2%. Al contrario, le quote più basse sono state registrate in Croazia (0,9%), Lettonia (1,4%) e Grecia (3,9%). I maggiori incrementi nell’uso di energia da fonti rinnovabili nei trasporti tra il 2022 e il 2023 sono stati registrati in Svezia (+4,9%), Austria e Portogallo (entrambi +2,5%), mentre i maggiori cali sono stati registrati in Lettonia (-1,7%), Croazia (-1,5%) e Romania (-0,9%)
offshore

Davanti alle coste di Trapani il più grande parco eolico offshore flottante nel Mediterraneo

Si chiama Med Wind ed è il più grande progetto di parco eolico offshore flottante nel Mediterraneo. Sorgerà a oltre 80 km dalla costa siciliana, a largo di Trapani, ed è già considerato un modello nelle strategie di sviluppo di una giusta transizione energetica per l’Italia. I numeri sono importanti: l’investimento complessivo è di circa 9,3 miliardi di euro ed è prevista la creazione di oltre tremila nuovi posti di lavoro, molti dei quali ad alta specializzazione con l’obiettivo di rafforzare la filiera nazionale delle energie rinnovabili. Med Wind, di fatto, coniuga lo sviluppo delle rinnovabili con la tutela degli ecosistemi terrestri, marini e l’ascolto delle comunità locali. Lo Studio di Impatto Ambientale è stato presentato questa mattina all’Università Luiss Guido Carli di Roma in un evento promosso da Fondazione UniVerde, Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli e Renexia all’Università Luiss Guido Carli di Roma.

L’area idonea ad ospitare l’impianto galleggiante, progettato da Renexia, è stata individuata grazie alle preliminari indagini ambientali condotte con il supporto della Marina Militare e con il coinvolgimento della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, unitamente alle indagini geofisiche, geotecniche e archeologiche. La mappa tridimensionale, elaborata dalle indagini batimetriche, ha poi reso possibile pianificare con la massima cura il posizionamento delle turbine e garantire così la salvaguardia dell’ambiente circostante. Inoltre, grazie all’innovativa tecnologia “floating”, l’installazione delle strutture eoliche non comporta trivellazioni del fondale marino ma impiega un sistema di ormeggi.

Soddisfatto Gilberto Pichetto Fratin. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ribadisce come si debba “accompagnare il percorso di queste grandi tecnologie in evoluzione, che possono anche creare le condizioni per la piena tutela delle aree marine e della biodiversità del nostro Paese. Dobbiamo coniugare innovazione e sostenibilità, unendo la tutela della biodiversità con lo sviluppo delle rinnovabili”. Riccardo Toto, direttore generale di Renexia, sottolinea l’investimento complessivo della società: circa 42 milioni di euro, “uno dei più rilevanti in assoluto in questo ambito. È fondamentale porre delle basi solide per concretizzare un parco da 3 GW come Med Wind che assicurerà il 3% del fabbisogno energetico nazionale, evitando milioni di tonnellate di emissioni climalteranti”.

Secondo Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde, “le transizioni ecologica e digitale sono una priorità assoluta per affrontare la crisi climatica, superare i combustibili fossili e percorrere l’obiettivo dell’indipendenza energetica per l’Italia. Proprio la diffusione, attenta e sostenibile, dell’eolico offshore può conciliare l’esigenza di costruire impianti a mare, lontano dalle coste, cogliendo l’opportunità di creare in quelle zone aree protette che favoriscano il ripopolamento e il recupero degli habitat”. Roberto Danovaro, docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente del Comitato Scientifico della Fondazione UniVerde, ricorda come l’eolico offshore galleggiante rappresenti “un’opportunità unica per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza energetica per il nostro Paese. Questa tecnologia è in grado di coniugare la produzione di energia pulita a basso costo con la protezione dell’ambiente”.