siccità

Ore di lavoro perse costano all’Italia 4,4 miliardi all’anno: il prezzo nascosto del riscaldamento globale

Non solo ambiente e non solo salute. Il riscaldamento globale ha un prezzo, o meglio, un costo nascosto che danneggia l’economia. Nel 2023 in Italia è stata pari a 4,4 miliardi di dollari la perdita potenziale di reddito dovuta alla riduzione della capacità lavorativa a causa del caldo. Lo rivela il rapporto annuale ‘The Lancet Countdown on Health and Climate Change’, che fa il punto sull’evoluzione dei legami tra salute e cambiamenti climatici attraverso oltre 50 indicatori peer-reviewed. “L’esposizione al calore – si legge nel documento – limita la produttività del lavoro, compromettendo i mezzi di sussistenza e i determinanti sociali della salute”. Inoltre, nel nostro Paese oltre 250 milioni di ore di lavoro potenziali sono state perse a causa dell’esposizione al caldo nel 2023, con un aumento del 90% rispetto alla media annuale del periodo 1990-1999. I lavoratori del settore edile sono stati i più colpiti, con il 38% delle ore potenziali perse e il 36% delle perdite di reddito potenziali nel 2023.  A livello globale, le perdite economiche medie annue dovute a eventi estremi legati al clima sono aumentate del 23% dal 2010-2014 al 2019-2023, raggiungendo i 227 miliardi di dollari.

Nell’analisi globale, il nostro Paese è uno di quelli più a rischio su ogni fronte. Basti pensare che la mortalità prematura dovuta all’inquinamento atmosferico di origine antropica è costata all’Italia 145 miliardi di dollari nel 2021. Mortalità che, in cifre, fa impallidire: tra il 2013 e il 2022 l’aumento medio complessivo dei decessi dovuti al caldo in Italia è stato stimato in 30 per 100.000 abitanti, passando da circa 129 nel 2003-12 a 159 nel 2013-22. Secondo uno studio dell’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal), nel 2022 l‘Italia, tra i Paesi europei, detiene il record di vittime: delle 18.758 causate dal caldo, 13.318, cioè il 71%, sono state dovute al riscaldamento antropico. Nella classifica il nostro paese è seguito da Spagna, Germania, Francia e Grecia.

Nel nostro Paese, si legge nel rapporto di The Lancet, “le tendenze in materia di calore e salute sono particolarmente preoccupanti, con le popolazioni che sperimentano un aumento dell’esposizione alle alte temperature, compromettendo i mezzi di sussistenza e minacciando la salute e il benessere delle persone”. Dal 2014 al 2023, ogni neonato e adulto italiano di età superiore ai 65 anni è stato esposto in media a 18 giorni di ondate di calore all’anno. Solo nel 2023, gli stessi gruppi sono stati esposti a oltre 26 giorni di ondate di calore all’anno.

L’inflazione dei beni alimentari a rischio impennata con il riscaldamento globale

Il riscaldamento globale potrebbe portare a un aumento dell’inflazione dei beni alimentari fino a 3,2 punti percentuali all’anno e di quella complessiva fino a 1,2 punti percentuali annui, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035. A rivelarlo è un articolo pubblicato su Communications Earth & Environment, secondo il quale sebbene sia i Paesi ad alto sia a basso reddito sperimenteranno un’inflazione determinata dal clima, quelli del sud del mondo saranno maggiormente colpiti.

L’economia globale è sensibile ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche estreme a causa dell’impatto sulla produzione alimentare, sul lavoro, sulla domanda di energia e sulla salute umana. E’ necessario, quindi, come suggeriscono gli autori, capire come il clima possa influire sull’inflazione anche per comprendere il ruolo dei futuri cambiamenti sull’economia globale.

Maximilian Kotz del Potsdam Institute for Climate Impact Research e colleghi hanno analizzato gli indici dei prezzi al consumo nazionali mensili e i dati meteorologici di 121 Paesi tra il 1991 e il 2020, combinando i risultati con le proiezioni di un modello climatico per stimare l’impatto sull’inflazione in caso di riscaldamento futuro tra il 2030 e il 2060. Le loro ricerche suggeriscono che, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035, il riscaldamento globale porterà a un aumento dell’inflazione alimentare compreso tra 0,9 e 3,2 punti percentuali all’anno, con un aumento dell’inflazione generale compreso tra 0,3 e 1,2 punti. Gli autori prevedono che questo fenomeno interesserà sia i Paesi ad alto che a basso reddito, ma in generale avrà un impatto maggiore sul Sud del mondo, in particolare Africa e e in Sud America.
Le proiezioni indicano che l’aumento delle temperature spinge l’inflazione durante tutto l’anno nelle regioni a bassa latitudine, mentre questo effetto si verifica solo in estate alle latitudini più elevate. Inoltre, gli autori stimano che gli estremi di calore estivi del 2022 hanno aumentato l’inflazione alimentare in Europa di 0,67 punti percentuali, e questo aumento potrebbe essere amplificato tra il 30 e il 50% negli scenari di riscaldamento del 2035.

Gli autori suggeriscono che il cambiamento climatico probabilmente aumenterà il prezzo dei prodotti alimentari in futuro, ma la mitigazione delle emissioni di gas serra e gli adattamenti basati sulla tecnologia potrebbero limitare sostanzialmente questo rischio per l’economia globale.

Olimpiadi invernali a rischio: solo 10 Paesi potranno ospitarle nel 2040

Solo dieci Paesi saranno ancora in grado di ospitare i Giochi Olimpici e Paralimpici invernali entro il 2040, rispetto ai circa quindici di oggi. Questo, secondo il presidente del Cio Thomas Bach, costringe il Comitato a riflettere sul futuro della competizione. I Giochi invernali sono da tempo considerati come uno dei principali eventi sportivi più minacciati dal riscaldamento globale, con una crescente dipendenza dalla neve artificiale e un minor numero di candidature da un’area geografica già limitata. Tanto che il CIO già alla fine del 2022 aveva rinviato l’elezione della città ospitante dei Giochi del 2030, originariamente prevista per la 141a sessione che si aprirà domenica a Mumbai, per chiedere alla futura commissione ospitante di condurre uno studio più ampio sulla “sostenibilità degli sport invernali“.

Secondo i “risultati iniziali di questo studio” presentati oggi, “15 Comitati Olimpici Nazionali (CNO) in tre continenti hanno attualmente almeno l’80% delle strutture necessarie” per i Giochi invernali, ha spiegato Thomas Bach alla stampa. Secondo il leader, dieci di questi 15 CNO “hanno ospitato i Giochi di recente o sono interessati a ospitarli in futuro“. Tra questi, Svezia, Francia e Svizzera, in lizza per i Giochi del 2030, e la città americana di Salt Lake City, in lizza per il 2034. Tuttavia, Thomas Bach ha avvertito che il riscaldamento globale significa che “entro il 2040“, due di esse “non avranno più l’affidabilità climatica richiesta” per i Giochi, cifra che sale a cinque se si tiene conto “dei Giochi paralimpici organizzati a marzo” nello stesso sito.

Il capo del movimento olimpico ha quindi inserito l’argomento all’ordine del giorno della sessione di domenica, suggerendo diverse strade: “una doppia assegnazione” dei Giochi nel 2030 e nel 2034 per darsi tempo, seguita da un possibile “sistema di rotazione” tra le città ospitanti e da una revisione degli eventi su neve e ghiaccio. Per il momento, ha confermato Thomas Bach, la commissione della città ospitante deve proporre “entro la fine di ottobre/novembre” di aprire un “dialogo mirato” con una o più delle candidate per il 2030 o addirittura per il 2034. La scelta sarà poi convalidata dal Comitato esecutivo nella sua prossima riunione dal 28 novembre al 1° dicembre.

Una volta completata questa fase, l’organizzazione olimpica punta a un’assegnazione ufficiale entro la sua sessione del prossimo anno: o a Parigi, poco prima delle Olimpiadi del 2024, o in un altro Paese se la Francia sarà ancora in corsa per l’edizione del 2030.

Crisi climatica ‘minaccia esistenziale’: Biden all’Onu esorta all’impegno globale

E’ stata l’estate più torrida della storia. E’ stata l’estate degli incendi boschivi e dei disastri naturali, tra temperature più alte di sempre, uragani e inondazioni record. E’ stata l’estate in cui gli effetti della crisi climatica si sono resi evidenti a tutti. Una vera “minaccia esistenziale” per tutta l’umanità. A dirlo è Joe Biden, presidente degli Stati Uniti (uno dei maggiori Paesi inquinatori insieme alla Cina), dal palco della 78esima Assemblea generale delle Nazioni Uniti, che si è aperta ieri a New York. “Fin dal primo giorno della mia amministrazione, gli Usa hanno trattato la crisi climatica come la minaccia esistenziale che rappresenta, non solo per noi, ma per tutta l’umanità”, ha detto Biden citando ondate di caldo da record negli Stati Uniti e in Cina, gli incendi in Nord America ed Europa meridionale, la siccità nel Corno d’Africa e la tragica alluvione in Libia. Nel loro insieme, “queste istantanee raccontano una storia urgente di ciò che ci aspetta se non riusciamo a ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e iniziamo a rendere il nostro mondo a prova di clima”. Per questo, per Biden, è necessario aderire “tutti insieme” allo stesso impegno per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

Nei giorni scorsi, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva avvertito più volte: “Siamo entrati nell’era dell’ebollizione globale” e “l’umanità è sulla sedia elettrica”. Per mercoledì 20 settembre ha convocato, sempre a New York, un summit sull’ambizione climatica, a margine dell’Assemblea Onu. Non si sa ancora chi vi parteciperà: Guterres, infatti, ha posto l’inedita condizione che solo i politici che porteranno soluzioni efficaci e concrete saranno ammessi sul palco. Per le Nazioni Unite questo vertice ‘parallelo’ rappresenta una “pietra miliare politica” per dimostrare la volontà collettiva di accelerare gli sforzi per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. In un rapporto sul clima sempre dell’Onu, pubblicato questo mese, gli esperti internazionali prevedono che le emissioni di gas serra dovrebbero raggiungere il picco nel 2025 – seguito da un netto calo in seguito – se l’umanità si ponesse la finalità di limitare il riscaldamento globale, in conformità con gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Questo fa seguito all’appello lanciato da Guterres ai Paesi – in particolare ai membri del G20 – affinché cooperino per accelerare l’azione per il clima. La lista delle cose da fare include la discussione su come passare dai combustibili fossili all’energia pulita, tagli rapidi alle emissioni e l’impegno ad agire su base scientifica. I tre pilastri fondamentali del vertice sono l’ambizione, la credibilità e l’attuazione. “Dobbiamo essere determinati ad affrontare la minaccia più immediata per il nostro futuro: il nostro pianeta surriscaldato. Le azioni stanno precipitando, il caos climatico sta battendo nuovi record, ma non possiamo permetterci lo stesso vecchio disco rotto di trovare capri espiatori e aspettare che altri si muovano per primi”, ha esordito Guterres in apertura dell’Assemblea Onu. “I paesi del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra – ha aggiunto – Devono guidare“.

Nel suo discorso di apertura, Guterres ha dipinto un quadro molto cupo di un “mondo sottosopra”, dove le tensioni geopolitiche “stanno peggiorando” e il riscaldamento globale “sta minando più direttamente il nostro futuro”. Simbolo di questa “serie” di crisi, l’alluvione di Derna in Libia,triste istantanea dello stato del nostro mondo, trascinato dal torrente di disuguaglianze e ingiustizie, e paralizzato di fronte alle sfide da raccogliere“. Le migliaia di persone che hanno perso la vita “sono state vittime di diversi flagelli. Vittime di anni di conflitto. Vittime del caos climatico. Vittime di leader, che, lì e altrove, non sono riusciti a trovare la via della pace”. Tra queste, emblematica è la guerra in Ucraina. Il presidente americano Biden ha invitato tutti i paesi a “opporsi all’aggressione russa”, perché “noi e Kiev vogliamo la pace, è solo la Russia a sbarrare il cammino”. Mosca “crede che il mondo si stancherà e lascerà che brutalizzi l’Ucraina senza conseguenze” ma “se permettiamo che l’Ucraina venga smembrata, l’indipendenza delle nazioni sarà ancora garantita? La risposta è no“, ha insistito tra gli applausi del pubblico.

Un anno fa il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj era stato eccezionalmente autorizzato a parlare tramite videomessaggio. Ieri era presente di persona, oggi parteciperà a una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza mentre domani sarà a Washington per essere accolto alla Casa Bianca, giovedì.

Prima volta all’Assemblea generale dell’Onu anche per la premier italiana Giorgia Meloni che ieri ha avuto un breve scambio con il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, e con la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola. L’intervento della presidente del Consiglio è in programma oggi alle 19 ora locale, l’una di notte in Italia. 

Oceano

Oceani mai così caldi: superati i 20°C. Scienziati in allarme

Martedì 1° agosto la temperatura media globale della superficie degli oceani ha raggiunto i 21 gradi (20,96 °C per la precisione). È la temperatura più alta mai misurata da quando esistono analisi accurate: il record precedente risaliva al 29 marzo 2016 con 20,95 °C, secondo il servizio sui cambiamenti climatici dell’Ue Copernicus. E gli scienziati lanciano l’allarme: gli oceani sono un regolatore climatico vitale, assorbono il calore, producono metà dell’ossigeno terrestre e guidano i modelli meteorologici. Le acque più calde hanno meno capacità di assorbire anidride carbonica, il che significa che più di quel gas che riscalda il pianeta rimarrà nell’atmosfera. Accelerando lo scioglimento dei ghiacciai che sfociano nell’oceano, portando a un ulteriore innalzamento del livello del mare. Inoltre, oceani più caldi e ondate di caldo disturbano le specie marine come pesci e balene costretti a spostarsi alla ricerca di acque più fresche, sconvolgendo la catena alimentare. Gli esperti avvertono che gli stock ittici potrebbero risentirne. Alcuni animali predatori, inclusi gli squali, possono diventare aggressivi man mano che si confondono con temperature più calde.

L’acqua sembra un bagno quando ci si tuffa”, afferma Kathryn Lesneski, che sta monitorando un’ondata di caldo marino nel Golfo del Messico per conto della National Oceanic and Atmospheric Administration. “C’è un diffuso sbiancamento dei coralli nelle barriere coralline poco profonde in Florida e molti coralli sono già morti“. “Stiamo sottoponendo gli oceani a uno stress maggiore di quanto abbiamo mai fatto in qualsiasi momento della storia“, afferma Matt Frost, del Plymouth Marine Lab nel Regno Unito, riferendosi al fatto che anche l’inquinamento e la pesca eccessiva modificano gli oceani. Gli scienziati sono preoccupati per l’accelerazione del riscaldamento degli oceani. Samantha Burgess, del Copernicus Climate Change Service, afferma che marzo dovrebbe essere il momento in cui gli oceani a livello globale sono più caldi, non agosto. “E’ preoccupante vedere che questo cambiamento sta avvenendo così rapidamente“, conferma Mike Burrows, che sta monitorando gli impatti sulle coste marine scozzesi con la Scottish Association for Marine Science.

Gli scienziati stanno indagando sul motivo per cui gli oceani sono così caldi in questo momento: una risposta è che il cambiamento climatico sta rendendo i mari più caldi poiché assorbono la maggior parte del riscaldamento dalle emissioni di gas serra.Più bruciamo combustibili fossili, più calore in eccesso verrà assorbito dagli oceani, il che significa che ci vorrà più tempo per stabilizzarli e riportarli al punto in cui si trovavano“, spiega Burgess. Il nuovo record di temperatura media batte quello stabilito nel 2016, quando la fluttuazione climatica naturale di El Niño era in pieno svolgimento e nella sua forma più potente. Il fenomeno si verifica quando l’acqua calda sale in superficie al largo della costa occidentale del Sud America, aumentando le temperature globali. Un altro El Niño è iniziato in questi mesi, ma gli scienziati ritengono sia ancora debole, il che significa che le temperature degli oceani dovrebbero aumentare ulteriormente al di sopra della media nei prossimi mesi.

I nostri oceani hanno premuto il pulsante rosso, hanno appena registrato la temperatura media giornaliera più calda della superficie del mare. I mari più caldi assorbono meno anidride carbonica e accelerano lo scioglimento dei ghiacci e le nostre vite dipendono da questo delicato equilibrio. Con una finestra ristretta per agire, il Green Deal europeo distribuisce le azioni di cui abbiamo bisogno“, ha scritto su twitter il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius

Clima, allarme Onu: “La temperatura è in aumento, i piani dei governi sono insufficienti”

La temperatura sale ancora, con una media di 1,2°C. E presto, tra il 2030 e il 2035, il riscaldamento globale raggiungerà +1,5°C, rispetto all’era preindustriale. Questo decennio che verrà sarà dunque ‘cruciale’ per garantire un futuro vivibile al pianeta.
La pubblicazione del rapporto di sintesi (Syntesis Report) del Sesto Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu rappresenta una revisione completa, per la quale centinaia di scienziati hanno lavorato otto anni, di tutto ciò che l’uomo sa rispetto alla crisi climatica in atto. La fotografia è chiara: siamo al punto di non ritorno, ma le soluzioni sono ancora possibili, a patto di intervenire ora. “Il ritmo e la dimensione di ciò che è stato fatto negli ultimi cinque anni e i piani attuali sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico“, bollano gli esperti. Di fatto, se nel 2018 l’Ipcc aveva lanciato l’allarme su cosa sarebbe accaduto se non si fosse riuscito a contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C tagliando le emissioni globali di circa il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010, cinque anni dopo la sfida è diventata ancora più grande a causa della continua crescita di emissioni di gas serra. “Ogni aumento della temperatura si trasforma rapidamente in una escalation di pericoli” aggiungono gli scienziati ricordando che “ondate di calore più intense, nubifragi e altri eccessi meteo aumentano i rischi per la salute umana e gli ecosistemi“. “L’insicurezza per cibo e acqua legata a fattori climatici è stimata in crescita con l’aumento di calore. E quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o guerre, diventano più difficili da gestire“, avverte l’Ipcc. “Questo Rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti” ha dichiarato il presidente dell’Ipcc Hoesung Lee. “La bomba climatica scandisce i secondi, ma il rapporto Ipcc è una guida pratica per disinnescarla. Il limite di 1,5° C è realizzabile, ma ci vorrà un salto di qualità nell’azione per il Clima” ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

La sintesi per i decisori politici è stata elaborata ad Interlaken, in Svizzera, la settimana scorsa nella 58/a sessione dell’Ipcc. Dopo una settimana di trattative, che hanno sforato andando oltre due giorni interi rispetto alla conclusione programmata venerdì e hanno comportato deliberazioni 24 ore su 24, i delegati hanno approvato il testo di 37 pagine che offre ai responsabili politici una panoramica dello stato delle conoscenze sulla scienza del cambiamento climatico. Nel rapporto infatti non ci sono di fatto novità di rilievo dal punto di vista scientifico, ma riunisce appunto le evidenze scientifiche in una forma più breve ed è diretto ai decisori politici, per indicare una strada da percorrere per limitare il riscaldamento globale. Inoltre, il documento è la base di partenza per gli accordi che si discuteranno a fine novembre a Dubai durante il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul Clima, Cop28, quando verranno valutati i progressi compiuti dalle nazioni per ridurre le emissioni di gas serra in seguito all’accordo sul Clima di Parigi del 2015. “Esistono molte opzioni per ridurre i gas serra e frenare il cambiamento climatico provocato dall’uomo e sono già disponibili”, spiega l’Ipcc, secondo cui “le scelte dei prossimi anni saranno decisive per decidere il nostro futuro e quello delle future generazioni“. E anche l’attivista ambientalista Greta Thunberg avverte: “Il fatto che coloro che sono al potere vivano ancora nella negazione e vadano attivamente nella direzione sbagliata, alla fine sarà visto e ricordato come un tradimento senza precedenti”.

La questione delle “perdite e danni” causati dal riscaldamento globale e già subiti da alcuni Paesi, in particolare i più poveri, sarà uno dei temi di discussione della COP28. “La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito di meno al cambiamento climatico sono colpiti in modo sproporzionato”, ha affermato Aditi Mukherji, uno degli autori della sintesi. Per questo arriva l’appello di Guterres ai paesi ricchi, perché continuino nell’impegno di raggiungere la neutralità da carbonio entro il 2040, in modo che le economie emergenti possano arrivarci entro il 2050. “Ci sono sufficienti capitali per ridurre rapidamente i gas serra se vengono ridotte le barriere esistenti e la chiave per farlo sono i fondi pubblici dei governi e chiari segnali agli investitori. Finanza, tecnologia e cooperazione internazionale possono accelerare l’azione climatica. Investitori, banche centrali e regolatori finanziari possono fare la propria parte“. Cambiamenti nei settori alimentare, elettrico, dei trasporti, industriale, edile e nell’uso del suolo, aggiungono gli esperti di Clima dell’Onu, possono tagliare i gas serra e rendere più facile avere stili di vita a bassa impronta di carbonio che migliora salute e benessere. “Una migliore comprensione delle conseguenze del sovraconsumo può aiutare le persone a fare scelte più consapevoli”, aggiungono.

Il rapporto analizza anche diverse soluzioni: la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili, la gestione sostenibile delle foreste e dell’agricoltura, la protezione delle foreste. “Spesso assistiamo ai dibattiti che prendono in considerazione, come alternative, le possibilità di assorbimento delle emissioni (tramite rimboschimenti o tecnologie CCS – Carbon Capture and Storage) o la loro riduzione – commenta Lucia Perugini ricercatrice  di CMCC-Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climaticioppure che creano una competizione tra una fonte di energia rinnovabile e l’altra. Ma scienza è chiara: dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione e dobbiamo farlo ora”. Come sottolinea Elena Verdolini, senior scientist del Cmcc e autrice del rapporto Ipcc sulla mitigazionenon siamo in linea con gli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi, ma le evidenze scientifiche dimostrano che già oggi abbiamo a disposizione tecnologie e soluzioni per raggiungere quanto concordato nell’accordo di Parigi”. Tecnologie e innovazioni, però, da sole non bastano: “Sono invece necessari anche cambiamenti comportamentali”, oltre al fatto che “le politiche climatiche sono veramente efficaci solo se coordinate con quelle industriali, sanitarie, finanziarie, fiscali”.

ghiacciaio

Ghiacciai in ritirata in Antartico: febbraio 2023 quinto più caldo

Il mese di febbraio 2023 è stato il quinto più caldo a livello globale, chiudendo così un inverno considerato il secondo più caldo mai registrato in Europa. Temperature così alte da provocare la riduzione dei ghiacciai: infatti il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua estensione mensile più bassa nel record di dati satellitari, al 34% al di sotto della media di febbraio, battendo il precedente record di febbraio 2017. Anche l’estensione giornaliera del ghiaccio marino antartico ha raggiunto un minimo storico, superando il record precedente stabilito in febbraio 2022. Sono i dati elaborati dal Copernicus Climate Change Service (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell’Ue.

Le condizioni più calde della media più notevoli sono state riscontrate nel nord della Norvegia e in Svezia, in tutta la Russia nordoccidentale nelle aree circostanti il mare di Kara e nella regione delle Svalbard. Anche il Regno Unito ha avuto il suo quinto febbraio più caldo in un record che risale al 1884. Al contrario, sono state riscontrate temperature mensili più fredde della media nella penisola iberica, in Turchia e in parti del Caucaso. In Europa, la temperatura media da dicembre 2022 a febbraio 2023 è stata 1,44 C sopra la media della stagione 1991-2020: si tratta, sottolinea Copernicus, del secondo valore invernale più caldo mai registrato in Europa. L’inverno del 2019/2020 è stato di quasi 1,4 C più caldo e questa stagione invernale è stata di 0,03 C rispetto al 2016 e al 2007.

Il ghiaccio marino, che si scioglie in estate e si ricostruisce in inverno, ha raggiunto “la sua estensione più bassa nei 45 anni in cui sono stati registrati i dati satellitari” il 16 febbraio, ha dichiarato Samantha Burgess, vicecapo dell’Osservatorio del cambiamento climatico di Copernicus. “L’estensione minima giornaliera del ghiaccio marino in Antartide è stata raggiunta il 16 febbraio 2023 con un’estensione totale di 2,06 milioni di km²”. Questi dati confermano quelli dell’osservatorio americano di riferimento, il National Snow and Ice Data Center (NSIDC), che aveva annunciato di aver misurato a febbraio un’estensione minima record del ghiaccio marino antartico. L’NSIDC ha infatti fatto notato un’estensione minima di “1,79 milioni di chilometri quadrati” raggiunta il 21 febbraio, specificando che si trattava di una cifra “preliminare”. Da confermare, già ben al di sotto il record di febbraio 2022. Lo scioglimento del ghiaccio marino non ha un impatto immediato sul livello del mare, perché si forma congelando l’acqua salata già presente nell’oceano. Ma il suo scioglimento sottopone la calotta glaciale all’assalto delle onde. Tuttavia, questa calotta glaciale – uno spesso ghiacciaio d’acqua dolce che ricopre l’Antartide – è particolarmente monitorata dagli scienziati perché contiene abbastanza acqua da provocare un catastrofico innalzamento del livello degli oceani se mai dovesse sciogliersi. “Le calotte polari sono un indicatore della crisi climatica ed è importante monitorare da vicino i cambiamenti che stanno avvenendo lì“, ha spiegato Burgess. Per Copernicus, si tratta dell’ottavo anno consecutivo che questa banchisa si è sciolta più del minimo medio del mese di febbraio (3,4 milioni di chilometri quadrati nel periodo 1991-2020). Questa osservazione fa temere che al Polo Sud si stia verificando per la prima volta un trend significativo di riduzione del ghiaccio marino, mentre era relativamente stabile nei quattro decenni precedenti nonostante forti variazioni annuali, a differenza del Polo Nord dove lo scioglimento è molto marcato.

Limitare il riscaldamento globale favorisce la biodiversità delle montagne

Limitare il fenomeno del riscaldamento globale – a 1,5 °C e 2 °C rispetto ai livelli preindustriali – così come stabilito con l’accordo di Parigi del 2015 – potrebbe favorire anche la salvaguardia dei mammiferi delle aree montane. È quanto emerge da un nuovo studio, condotto da Chiara Dragonetti e Valeria Y. Mendez e coordinato da Moreno Di Marco del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza. In particolare, i ricercatori hanno analizzato la situazione dei carnivori e degli ungulati di montagna nel 2050, proiettando al futuro le loro nicchie climatiche, cioè l’insieme delle condizioni climatiche che permettono la sopravvivenza di una determinata specie.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Conversation Biology, dimostrano che il rischio per la sopravvivenza dei carnivori e degli ungulati di montagna globalmente non è elevata, e che nessuna specie ha una probabilità di riduzione della propria nicchia climatica superiore al 50%. Il raggiungimento degli impegni dell’accordo di Parigi diminuirebbe però sostanzialmente l’instabilità climatica per le specie montane. Infatti, limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C comporterebbe una diminuzione della probabilità di contrazione di nicchia del 4% rispetto a uno scenario ad alte emissioni.

“A livello globale i mammiferi di montagna potrebbero essere in media meno in pericolo rispetto ad altri mammiferi – spiega Chiara Dragonetti, prima autrice dello studio – ma ci sono importanti eccezioni da tenere in considerazione, come per tutte le specie altamente endemiche, che non potranno trovare climi adatti altrove”. Le montagne hanno fornito un rifugio a numerose specie durante i cambiamenti climatici del passato e potrebbero offrirlo anche in futuro, soprattutto a quelle specie che vivono immediatamente ai margini delle catene montuose. Ma le specie endemiche già a rischio di richiedono comunque imminenti misure di conservazione.

“Per proteggere la biodiversità montana saranno quindi necessari – aggiunge Dragonetti – sia una forte politica di mitigazione del clima, sia rapidi interventi di conservazione che abbiano come target le specie già vulnerabili. Inoltre, azioni mirate per un uso più sostenibile del suolo dovrebbero far parte delle politiche internazionali per preservare le montagne tropicali, soprattutto in Africa, Sud-est asiatico e Sud America. Queste sono infatti le zone del mondo con la più alta biodiversità montana, ma anche quelle che affrontano le sfide più grandi in termini di sviluppo e crescita della popolazione”.
“Gli obiettivi climatici definiti dall’accordo di Parigi – conclude Moreno Di Marco, coordinatore del laboratorio Biodiversity & Global Change della Sapienza – derivano da negoziazioni politiche che non sempre trovano riscontro scientifico per quanto riguarda i sistemi biologici. Con questo lavoro dimostriamo che non raggiungere l’accordo di Parigi comporta rischi seri per la biodiversità e per i delicati equilibri ecosistemici degli ambienti montani”.

ghiacciai

Ghiacciai in pessima salute. L’esperto: “In trent’anni perso il 50% della superficie alpina”

Un cubetto di ghiaccio posto sul bancone della cucina e che, dunque, è destinato inesorabilmente a fondere, scomparendo. Renato Colucci, glaciologo dell’Istituto di scienze polari del Cnr, utilizza questa metafora per descrivere lo stato dei ghiacciai, in Italia e non solo, in un’intervista a GEA.

Dottor Colucci, qual è lo stato di salute dei ghiacciai?

“Pessima, fa troppo caldo. Certo, non a dicembre perché in generale fa più freddo, però il problema principale è che le temperature sono quasi costantemente sopra la media. In una situazione ideale, le temperature dovrebbero oscillare intorno alla media e gli estremi dovrebbero essere equamente distribuiti: 50% delle temperature al di sopra della media, 50% al di sotto della media. Invece siamo di fronte a uno sbilanciamento di queste percentuali, con un tangibile rialzo delle temperature”.

Quali sono le aree geografiche più a rischio?

“Partiamo dal presupposto che nessun ghiacciaio del pianeta sta vivendo una fase positiva perché sono tutti, in forma variabile, in riduzione. I piccoli ghiacciai hanno iniziato a reagire prima perché è insito nella loro natura rispondere prima a un input di cambiamento climatico. I grandi ghiacciai, come per esempio l’Adamello e il ghiacciaio Dei Forni, hanno subito contraccolpi impressionanti e visibili non solo da un anno all’altro ma, addirittura, da una stagione all’altra. Va ricordato inoltre che il 2022 è l’hannus orribilis per i ghiacciai, senza precedenti. Sulle Alpi infatti non si erano mai osservate riduzioni così importanti e neppure si era registrato questo caldo eccessivo che non appartiene alle nostre latitudini ma che è tipico, invece, delle zone del Nord Africa. Negli ultimi trent’anni, abbiamo perso il 50% della superficie glaciale alpina ed entro 20-30 anni tutti ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri saranno scomparsi”.

Quali sono state le strategie errate, dal punto di vista politico e umano, che hanno generato questa situazione drammatica?

“Negli ultimi trenta, quarant’anni si è dato maggior rilievo agli aspetti economici, a discapito dell’ambiente; i comportamenti umani, il progresso della civiltà hanno richiesto una produzione smodata di energia, la quale ha causato una serie di inconvenienti tra cui, ovviamente, proprio la riduzione dei ghiacciai. I cambiamenti climatici attuali si concretizzano in estati sempre più lunghe e calde in contrapposizione a inverni sempre più corti e meno freddi, caratterizzati da una minore quantità di neve che cade sui ghiacciai. Temperature elevate che, ribadisco, non possono che nuocere alla salute dei ghiacciai”.

La situazione è dunque irreversibile. Ci sono strategie che potrebbero però essere adottate per poter arginare questo drammatico fenomeno?

“Si sarebbe dovuto intervenire, in forma preventiva, almeno trenta, quarant’anni fa. Adesso, anche un cambio di rotta senza precedenti e compiuto a una velocità straordinaria non sarebbe sufficiente per ripristinare la situazione originaria. Alcuni comportamenti, come la riduzione del riscaldamento globale, potrebbero comunque arginare questo fenomeno che porta a ulteriori pericolose conseguenze, come nel caso dell’innalzamento del livello del mare che interesserà tutti, indistintamente. Per fare un esempio pratico, se si versa dell’acqua in una bacinella, l’acqua si alza su tutta la superficie liquida, e non solo dove la verso”.

Clima, in Svezia +1,9° dal 1800 e -2 settimane di neve all’anno

La temperatura media della Svezia è aumentata di quasi due gradi Celsius dalla fine del XIX secolo e la copertura nevosa è diminuita di due settimane, mentre le precipitazioni sono aumentate.

La foto la scatta un nuovo rapporto sui cambiamenti climatici dell’Istituto meteorologico e idrologico svedese (SMHI). Secondo il dossier, tra il 1991 e il 2020 la temperatura media del Paese è stata superiore di 1,9 gradi rispetto al periodo compreso tra il 1861 e il 1890.

Lo SMHI ha osservato che la variazione è circa il doppio dei quella delle temperature medie globali nello stesso periodo. L’agenzia meteorologica ha dichiarato di non aver mai effettuato prima un’analisi così estesa, prendendo in considerazione così tanti indicatori diversi del cambiamento climatico. I risultati “mostrano chiaramente che il clima della Svezia è cambiato“, osserva Semjon Schimanke, climatologo e responsabile del progetto presso lo SMHI, in un comunicato.

Il clima più caldo con maggiori precipitazioni in Svezia è legato al riscaldamento globale osservato che deriva dall’influenza umana“, ha aggiunto Erik Kjellstrom, professore di climatologia allo SMHI. Non tutte le serie di osservazioni coprono lo stesso periodo, ha precisato l’agenzia meteorologica, notando che le precipitazioni sono aumentate dal 1930, passando da circa 600 millimetri a quasi 700 millimetri dal 2000. Al contrario, la copertura nevosa invernale nel Paese è diminuita in media di 16 giorni tra il 1991 e il 2020 rispetto al periodo 1961-1990.

Lo SMHI sottolinea che queste osservazioni sono medie annuali e che il quadro diventa più complesso se si considerano regioni o stagioni specifiche. “Ad esempio, l’aumento delle precipitazioni è legato principalmente all’aumento delle precipitazioni in autunno e in inverno, mentre non ci sono tendenze evidenti in primavera e in estate“, ha detto lo SMHI, aggiungendo che “i cambiamenti negli estremi sono generalmente più difficili da identificare“.

Il vertice delle Nazioni Unite sul clima (COP27) si è concluso in Egitto questo fine settimana. Se da un lato ha prodotto un accordo storico sulle misure di finanziamento per aiutare i Paesi vulnerabili a far fronte agli effetti del cambiamento climatico, dall’altro è stato criticato per la sua mancanza di ambizione nella riduzione delle emissioni.