Covestro

Allarme tedesco: collasso senza gas. Pronte esenzioni a sanzioni

Covestro è uno dei principali gruppi chimici tedeschi. Qualche giorno fa, nel comunicato che accompagnava la trimestrale, la società scriveva che “a causa degli stretti legami tra l’industria chimica e i settori a valle, è probabile che un ulteriore deterioramento della situazione provochi il crollo di intere catene di approvvigionamento e produzione“. Tradotto: se la fornitura di gas sarà razionata in autunno, “questo potrebbe comportare il funzionamento a carico parziale o la chiusura completa dei singoli impianti di produzione, a seconda del livello del taglio“, ha specificato il colosso tedesco. Le industrie chimiche e di altro tipo in Germania sono già state costrette a ridurre o considerare di ridurre la produzione a causa dei prezzi dell’energia alle stelle e delle minori forniture di gas dalla Russia. Da notare che l’industria chimica è il terzo settore industriale più grande della Germania, dopo quello automobilistico e dei macchinari, ed è il principale fruitore di gas, consuma il 15% dello stock.

Come molti altri grandi mangia-gas del settore, non solo della Germania ma anche nel resto d’Europa, Covestro ha varato diverse misure per ridurre il proprio fabbisogno di gas, tra cui il passaggio a generatori di vapore a base di petrolio e lavora continuamente per migliorare le tecnologie di produzione esistenti o lanciarne di nuove per ridurre ulteriormente il consumo di gas ed energia. Tuttavia, la crisi del gas avrà – ha sottolineato ancora Covestro – “impatti continui sulle catene di approvvigionamento globali, livelli dei prezzi dell’energia molto elevati, inflazione elevata e crescita più debole nell’economia globale“.

Che succede se si avvereranno i cattivi presagi di Covestro? La Germania, già in crescita zero, subirà una profonda recessione. E se il Pil di Berlino crollerà, di conseguenza finirà in rosso l’intera Europa e una bella fetta di mondo. La Gran Bretagna andrà in rosso già fra pochi mesi, come ha sentenziato la Banca d’Inghilterra. Ecco perché proprio in Europa la musica sta cambiando sul fronte sanzioni alla Russia.

La Ue infatti ha deciso di aggiungere esenzioni alle misure punitive, che consentirebbero ai Paesi al di fuori del blocco di trattare con entità russe sanzionate, comprese banche e società statali come Rosneft. Secondo il rapporto Bloomberg, queste esenzioni riguardano entità “ritenute essenziali per le spedizioni di prodotti alimentari, prodotti agricoli e petrolio verso paesi terzi al di fuori della Ue“, come si legge in un comunicato del Consiglio d’Europa, che sottolinea come “più in generale, la Ue si impegna a evitare tutte le misure che potrebbero portare all’insicurezza alimentare in tutto il mondo. Nessuna delle misure adottate oggi o in precedenza alla luce delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina riguarda in alcun modo il commercio di prodotti agricoli e alimentari prodotti, tra cui grano e fertilizzanti, tra paesi terzi e Russia“. Inoltre secondo un rapporto Reuters il G7 starebbe prendendo “in considerazione meccanismi di mitigazione per garantire che i Paesi più vulnerabili e colpiti mantengano l’accesso ai mercati energetici, compresi dalla Russia”.

In pratica potrebbe accadere questo: l’India compra petrolio russo, lo gestisce attraverso le sue raffinerie e vende “prodotti raffinati indiani“… all’Europa.

Niente è deciso ancora, però la paura di rimanere al freddo e di varare un lockdown energetico nella zona economica più ricca del mondo sta accelerando le soluzioni per evitare il dramma.

Varato dl Aiuti: 17 miliardi contro siccità e rincari di energia e gas

Dal disbrigo degli affari correnti ‘allargati‘ nasce il nuovo decreto Aiuti. Un provvedimento corposo, da ben 17 miliardi, di cui 15 dal testo varato ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri, più altri 2 miliardi per effetto di norme collegate. Dunque, dopo giorni di attesa è arrivato il via libera alle misure di protezione contro i rincari di luce, gas, acqua e carburanti, oltre alle norme su lavoro e welfare. In realtà si tratta di proroghe della legislazione già in vigore, che comunque finora ha prodotto decreti per un ammontare di 35 miliardi, il costo di almeno una, se non due, manovre finanziarie. “Il metodo che abbiamo utilizzato è quello della condivisione: con le parti sociali, i sindacati, le forze di maggioranza ma anche quelle di opposizione, oltre ovviamente ai ministri. A tutti loro vorrei dire grazie“, esordisce Mario Draghi in conferenza stampa dopo la riunione di Palazzo Chigi.

Il premier tocca diversi argomenti, che hanno un unico filo conduttore: la situazione geopolitica internazionale. “Ci sono nuvole all’orizzonte dovute alla crisi energetica, all’aumento del prezzo del gas e al rallentamento del resto del mondo. Le previsioni sono preoccupanti per il futuro“, spiega. Perché “non bisogna sottacere i problemi: il caro vita, l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e di altri beni, le difficoltà di approvvigionamento, l’incertezza politica non solo nostra ma geopolitica“. Ed è la ragione per cui, pur dimissionario, ha rimesso il governo al lavoro per trovare le risorse utili a rifinanziare molte misure anche nel quarto trimestre dell’anno: dalle riduzioni sulle bollette di luce e gas, al taglio di 25 centesimi sulle accise dei carburanti (anche se soltanto fino al 20 settembre), compreso il gasolio per i mezzi agricoli. Una scelta salutata con soddisfazione da Coldiretti. Che accoglie positivamente i primi 200 milioni per mitigare gli effetti negativi della siccità sulla produzione. Peraltro, con il nuovo dl Aiuti arriva anche la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza anche in maniera preventiva rispetto al calcolo dei danni effettivi.

Restano anche i prelievi sugli extraprofitti delle aziende energivore. In questo caso la norma è stata allungata fino al 30 giugno del 2023. Sul punto ha battuto molto Draghi, svelando che “il gettito degli acconti pagati finora è inferiore a quello che sarebbe dovuto essere se gli importi fossero stati tutti pagati“. Per l’ex Bce “non è tollerabile che con le famiglie in difficoltà e il sistema italiano in difficoltà un settore eluda le disposizioni del governo“, ma la sua intenzione è ferma: “Paghino tutto“. Ragion per cui “in questo decreto ci sono provvedimenti che aumentano fortemente le sanzioni e gli obblighi al pagamento“. E se l’antifona non fosse già chiara, il presidente del Consiglio avvisa: “Non escludo che se non avremo una risposta dalle grandi società di produzione elettrica l’esecutivo possa prendere altri provvedimenti“.

Il discorso è inevitabilmente caduto anche sulle grandi sfide in corso. Come quella degli stoccaggi di gas, che “proseguono, vanno avanti e molto bene“, assicura Draghi. Anzi, l’Italia “ha diversificato rapidamente l’offerta, quindi oggi la nostra posizione è decisamente migliore rispetto ad altri Paesi europei per stabilità delle forniture. Tanto è vero che il livello dei nostri stoccaggi è tra più alti in Europa“. Il dato è confermato anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Siamo intorno al 74%“. Il responsabile del Mite spiega che “il trend di stoccaggio procede secondo la curva ideale, quella secondo cui ci dovrebbe portare al 90% entro l’inizio del periodo più freddo, orientativamente ottobre-novembre“, garantendo al Paese “una quantità di circa 80-90 milioni di metri cubi al giorno“. Tutto ciò nel bel mezzo di una sostituzione dei 30 miliardi di metri cubi importanti dalla Russia con 25 miliardi da nuovi contratti di fornitura “manteniamo la rotta di decarbonizzazione“. Tra l’altro, “la dipendenza dal gas russo è calata dal 40 al 15% in poche settimane“.

Resta però aperta la questione Piombino. “Metà del nuovo gas è Gnl, che va rigassificato subito“, dice Cingolani. Che torna a ribadire, sempre con forza che “non si può mettere a rischio la sicurezza nazionale perché non si vuole un rigassificatore“.

Draghi si concede anche due battute sulla politica, non di più però. Racconta, con il suo classico sorriso, di aver augurato “buone vacanze ai ministri che non saranno impegnati nella campagna elettorale e ho augurato che si verifichino i loro sogni e i loro desideri a chi, invece, dovrà farla. Sono molto vicino a loro“. Su una sua disponibilità futura a guidare altri altri governi glissa: “Ho già risposto tante volte. Io un nonno al servizio delle istituzioni? Beh, un nonno lo sono… quello è innegabile“. A chi gli chiede numi sulla ormai famigerata ‘Agenda Draghi‘, risponde invece: “Quando sono arrivato non è che ne avessi una, dovevo fare alcune cose. Per cui, questa ‘agenda’ è fatta di risposte pronte ai bisogni dell’economia, ai bisogni delle famiglie più povere e di credibilità, interna e internazionale“. E qui batte il ferro: “Il credito di cui gode l’Italia oggi è la componente più importante del perché l’Italia cresce“. Le luci su Palazzo Chigi si spengono, ma Draghi ancora non chiude la porta dell’ufficio alle sue spalle.

norvegia

La Norvegia sta salvando l’Europa sul gas. E non solo

La Norvegia sta salvando l’Europa. Il 27% degli approvvigionamenti di metano arrivano infatti dallo Stato nordico. Oslo è diventato il principale fornitore dell’Europa, dopo il crollo di pompaggio di gas da parte della Russia. I numeri diffusi martedì dall’Indipendent Commodity Intelligence Services (Icis) sono significativi. In sintesi, la fornitura di gas naturale nel Vecchio continente a luglio è arrivata solo per il 10% dai tubi di Gazprom, con 3,7 miliardi di metri cubi consegnati. Un altro 5% viene sempre da Mosca, il Gnl di Yamal. Il gas liquefatto statunitense ha coperto il 13% della fornitura, mentre i gasdotti norvegesi sono stati i fornitori numeri uno, appunto con il 27%.

La Norvegia, ricordiamolo, è il terzo esportatore mondiale di gas naturale dopo Russia e Qatar, inoltre ha una capacità per sostenere una produzione significativa di idrocarburi offshore per altri 50 anni. L’avevano capito alla Ue già nel 2014, anche all’epoca alle prese con la guerra in Ucraina-Crimea, quando l’allora commissario europeo per l’Energia, Guenther Oettinger, aveva suggerito che la Norvegia avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzare le forniture energetiche dell’Unione. Ahinoi quell’intuizione non è stata esplorata a dovere. Fino allo scorso 23 giugno.

Un mese fa infatti il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans, il commissario all’Energia Kadri Simson e l’attuale ministro norvegese del petrolio e dell’energia, Terje Aasland, si sono impegnati a “rafforzare ulteriormente la stretta cooperazione tra l’UE e la Norvegia nel campo dell’energia, non tanto e non solo per il conflitto ucraino ma per le sfide sempre più gravi poste dal cambiamento climatico. In effetti Oslo non è solo gas o petrolio.

Bruxelles è molto desiderosa di rafforzare i vari partenariati a basse emissioni di carbonio dell’Ue con la Norvegia, che è ampiamente considerata un leader mondiale nello sviluppo di energia rinnovabile offshore e di idrogeno, soprattutto in virtù degli obiettivi ambiziosi inseriti nel piano RePowerEU pubblicato a maggio, dalla cattura del carbonio allo stoccaggio. Il target sarebbe quello di aumentare di dieci volte la capacità di produzione di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate di energia rinnovabile a idrogeno entro il 2030. E Nel Hydrogen, con sede a Oslo, sta già lavorando al processo di selezione del sito per nuovi impianti di produzione in Europa. Senza dimenticare che, sul fronte rinnovabili, il Paese nordico da pochi mesi ha aperto all’eolico off-shore, pianificando 30 GW al 2040.

La ‘fortuna’ europea è che la Norvegia, benché fuori dall’Unione, è integrata nel mercato energetico europeo attraverso il cosiddetto accordo SEE, lo Spazio economico europeo che riunisce gli Stati membri della Ue e i tre dell’EFTA, ovvero Islanda, Liechtenstein e appunto Norvegia. Infine, particolare non di poco conto in un contesto di guerra come quello attuale, l’attuale segretario della Nato è il norvegese Jens Stoltenberg.

(Photo credits: Carina Johansen / NTB Scanpix / AFP)

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Grano in partenza: riaprono tre porti in Ucraina

L’accordo per il grano inizia a far intravedere i suoi effetti. I tre porti ucraini destinati all’esportazione di cereali hanno ripreso a funzionare. Si tratta di quelli di Odessa, Chornomorsk e Yuzhny (Pivdenny), come ha annunciato la marina militare ucraina. Un passo avanti, visto che il governo ucraino si aspetta che i primi carichi possano lasciare i porti del Mar Nero, dove sono bloccati dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio, “già questa settimana“, in un contesto di impennata dei prezzi alimentari a livello mondiale. “L’uscita e l’entrata delle navi nei porti marittimi avverrà formando un convoglio che accompagnerà la nave capofila“, si legge in una nota della marina. Lo stesso Cremlino ha dichiarato di non vedere alcun problema nella ripresa delle esportazioni, ostacolate anche dalla presenza di mine marine posate dalle forze ucraine per difendersi da un assalto anfibio russo. Lo sminamento avverrà solo “nel corridoio necessario per le esportazioni, ha dichiarato il governo di Kiev.

Kiev e Mosca hanno concordato a Istanbul, con la mediazione turca e sotto l’egida delle Nazioni Unite, di consentire la consegna all’estero di circa 25 milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti ucraini. Tuttavia, i funzionari ucraini hanno ripetutamente affermato di non fidarsi di Mosca per garantire la sicurezza dei convogli e hanno puntato il dito contro i missili russi che sabato hanno colpito il porto di Odessa. E, in effetti, proprio nel giorno della riapertura dei porti, a imporre una mezza frenata è il viceministro degli Esteri russo Andrei Rudenko. Che non preclude la possibilità di un’interruzione dell’accordo: “Nulla può essere escluso nella nostra vita, perché non dipende solo dalla Russia, ma dipende anche da altre circostanze. Speriamo sempre per il meglio e ci aspettiamo che i nostri partner adempiano a due componenti di questo accordo sul grano, ovvero la consegna di grano dall’Ucraina e la revoca delle restrizioni all’esportazione di grano russo in generale“.

In applicazione degli accordi firmati per quattro mesi il 22 luglio a Istanbul, contestualmente alla rimessa in funzione dei porti è stato ufficialmente inaugurato nella città turca il Centro di coordinamento congiunto (CCM) incaricato di controllare il trasporto di grano ucraino attraverso il Mar Nero. Il centro, ospitato in un’accademia militare, sarà gestito da un numero uguale – cinque – di “rappresentanti della Russia, dell’Ucraina e delle Nazioni Unite, oltre che della Turchia, sia militari che civili“, circa 20 in totale, ha dichiarato il ministro della Difesa turco Hulusi Akar.

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Oggi a Istanbul apre il centro di coordinamento grano

Oggi viene inaugurato il centro di coordinamento per la supervisione del trasporto del grano dall’Ucraina a Istanbul. È nell’accordo firmato il 22 luglio da Kiev, Mosca, Ankara e sotto l’egida dell’Onu per consentire la ripresa delle esportazioni dei cereali bloccati nei porti ucraini dall’inizio dell’invasione russa.

Il CCC sarà responsabile dell’ispezione delle navi in partenza e in ritorno dal Mar Nero, come richiesto da Mosca. Tuttavia, l’attacco russo di sabato al porto di Odessa sul Mar Nero, vitale per il commercio di cereali, ha messo in dubbio l’attuazione dell’accordo.

La ripresa delle esportazioni dovrebbe dare sollievo ai Paesi che dipendono dai mercati russo e ucraino, che insieme rappresentano il 30% del commercio mondiale di Grano. “La crisi è la riprova di come la guerra in Ucraina si ripercuota anche sui Paesi del Mediterraneo e su tutto il continente africano“, ricorda il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nel corso delle comunicazioni nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato sulle missioni italiane nel mondo. Un’aggressione che è “uno spartiacque destinato a produrre ripercussioni sistemiche“.

La guerra, osserva, ha sconvolto la catena alimentare globale“, ma l’accordo firmato a Istanbul “apre uno spiraglio positivo”, nonostante l’attacco al porto di Odessa. Quei missili dimostrano per il titolare della Farnesina quanto sarà importante vigilare sull’azione dell’accordo: “È indispensabile che tutta la comunità internazionale offra sostegno allo sforzo delle Nazioni unite e all’impegno delle parti per l’attuazione degli impegni operativi“.

(Photo credits: STRINGER / AFP)

ucraina grano

Grano ucraino ripartirà in settimana nonostante attacco Odessa

Le esportazioni di grano ripartiranno dall’Ucraina “già questa settimana, nonostante sabato l’esercito russo abbia lanciato dei missili sul porto di Odessa. “Ci aspettiamo che l’accordo inizi a funzionare nei prossimi giorni e che venga presto istituito un centro di coordinamento a Istanbul“, spiega il ministro ucraino delle Infrastrutture, Oleksander Kubrakov.

Il principale ostacolo alla ripresa delle esportazioni è il rischio di bombardamenti russi. Mosca però giustifica gli attacchi come mirati ai soli obiettivi militari (una nave da guerra e i rifornimenti missilistici inviati dagli Stati Uniti e stoccati nel porto). Il bombardamento, rivendica il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, “non è assolutamente legato alle infrastrutture utilizzate per l’attuazione dell’accordo sull’esportazione di cereali” che, assicura, “non sarà ostacolata“. Il ministro ucraino alle Infrastrutture, Oleksander Kubrakov, invita i garanti dell’accordo, la Turchia e le Nazioni Unite, a vigilare sulla sicurezza dei convogli ucraini. “Se le parti non garantiscono la sicurezza, l’operazione non funzionerà“, avverte. Il suo vice, Yuri Vaskov, fa sapere che il porto sudoccidentale di Chornomorsk sarà il primo a funzionare per le esportazioni, seguito da Odessa e poi da Pivdenny.

L’accordo firmato venerdì a Istanbul tra Mosca e Kiev, sotto l’egida dell’Onu, prevede corridoi di navigazione sicuri per la circolazione delle navi mercantili nel Mar Nero. Dovrebbe consentire l’esportazione di 20-25 milioni di tonnellate di grano bloccate in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio e facilitare le esportazioni agricole russe, riducendo così il rischio di una crisi alimentare nel mondo. Il 90% delle esportazioni ucraine di grano, mais e girasole avveniva via mare, soprattutto attraverso Odessa, il principale porto ucraino sul Mar Nero, che rappresentava il 60% dell’attività portuale del Paese. L’Ucraina e la Russia rappresentano circa il 30% delle esportazioni mondiali di grano e la guerra ha portato a un’impennata dei prezzi che ha colpito in modo particolare il continente africano.

Intanto, il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, è impegnato in un tour africano per rassicurare i Paesi fortemente dipendenti dal grano ucraino: “Nulla negli impegni presi dalla Russia, in particolare nel quadro degli accordi firmati il 22 luglio a Istanbul – insiste, parlando in conferenza stampa in Congo – ci vieterebbe di continuare l’operazione militare speciale, distruggendo le infrastrutture militari ucraine“.

Firmato accordo Kiev-Mosca per sblocco grano, Onu e Turchia garanti

Mosca e Kiev firmano a Istanbul l’accordo per lo sblocco di circa 25 milioni di tonnellate di grano e cereali, bloccati da mesi nei porti del Mar Nero a causa della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. L’intesa, duramente negoziata da aprile, arriva a cinque mesi dall’inizio del conflitto e porta la firma del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dei ministri della Difesa turco e russo, Hulusi Akar e Sergei Shoigu, e del ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov.

Si tratta di due testi perfettamente identici ma separati, su richiesta proprio degli ucraini, che si sono rifiutati di siglare qualsiasi documento con i russi. Con l’intesa raggiunta grazie alla mediazione di Ankara, e il sostegno di tutta la comunità internazionale, si risolve una situazione che rischia pericolosamente di creare una crisi alimentare a livello mondiale.

L’accordo prevede un centro di coordinamento a Istanbul gestito da delegati delle parti coinvolte: un rappresentante ucraino, uno russo, uno turco e uno delle Nazioni Unite, assistiti dai rispettivi team. Questa ‘cabina di regia’, secondo Guterres, sarà costituita entro pochi giorni e sarà responsabile della programmazione della rotazione delle navi nel Mar Nero. “Non posso darvi una data precisa. Ma al massimo tra quindici giorni“, ha fatto sapere il segretario generale. Inoltre, ci saranno ispezioni (in mare) delle navi che trasportano il grano alla partenza e all’arrivo in Turchia, come richiesto da Mosca, per garantire che non vengano contemporaneamente consegnate armi all’Ucraina. Altro punto è la garanzia di un corridoio di navigazione sicuro attraverso il Mar Nero, libero da attività militari.

Le navi partiranno da tre porti ucraini: Odessa, Pivdenny (Yuzhne) e Chornomorsk, e i ‘piloti ucraini’ apriranno la strada alle navi da carico nelle acque territoriali.

L’accordo è valido per 120 giorni. Le circa 25 milioni di tonnellate di grano attualmente ferme nei silos dei porti ucraini, saranno portate a destinazione con cadenza di otto milioni di tonnellate al mese, dunque quattro mesi dovrebbero essere sufficiente a smaltire le scorte, anche se praticamente a ridosso del nuovo raccolto. È stato poi raggiunto un’intesa per facilitare l’esportazione di prodotti agricoli e fertilizzanti russi, su richiesta di Mosca, che voleva proteggerli dalle sanzioni occidentali. Conditio sine qua non del Cremlino per dare il via libera al documento. Nel dossier c’è anche il capitolo dedicato allo sminamento delle acque che proteggono i porti, operazione per la quale la Turchia si è offerta di dare il proprio contributo come soggetto terzo, “se necessario“.

La notizia, ovviamente, ha fatto il giro del mondo. “Milioni di tonnellate di grano disperatamente necessarie bloccate dalla guerra russa lasceranno finalmente il Mar Nero per aiutare a sfamare le persone in tutto il mondo“, twitta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ringrazia Guterres per gli “instancabili sforzi” profusi nella trattativa. Breve ma incisivo il commento di Paolo Gentiloni: “Finalmente una buona notizia“. Anche per l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, “l’accordo di Istanbul è un passo nella giusta direzione, chiediamo la sua rapida attuazione“.

In Italia è il premier, Mario Draghi, a far sentire la sua voce: “Un’ottima notizia per tutta la comunità internazionale“, dichiara in una nota. Sottolineando che “lo sblocco è essenziale per permettere a questi carichi di raggiungere i cittadini di molti Paesi a medio e basso reddito e evitare una crisi alimentare mondiale“. Avvertendo, allo stesso tempo, che “il successo di questo piano dipenderà dalla rapida e piena attuazione” delle intese. Auspicando che siano “un primo passo verso concrete prospettive di pace” ma “in termini accettabili per l’Ucraina“.

Kiev, però, continua a credere poco nelle buone intenzioni della Russia. “Contiamo sull’Onu per l’attuazione dell’accordo per le esportazioni, perché di Mosca “non ci si può fidare della Russia“. Il ministro della Difesa di Putin, però, assicura: “Non approfitteremo del fatto che questi porti ucraini siano stati liberati dalle mine e aperti, abbiamo preso l’impegno“. La situazione, dunque, resta sempre complicata, ma il passo avanti di oggi fa tirare almeno un piccolo sospiro di sollievo. Senza illusioni, la convinzione generale è che la strada sia ancora molto lunga prima che le armi finalmente tacciano.

nave grano

Via libera al grano. C’è l’accordo Russia-Ucraina su sblocco navi

Via libera al grano. Nel pomeriggio, a Istanbul, Russia e Ucraina firmeranno un accordo sulle esportazioni di cereali che permetterà, alle navi ferme nei porti, di uscire attraverso il Mar Nero e di alleggerire le barriere all’esportazione di grano e fertilizzanti russi.

Una mossa tra i due Paesi in conflitto che sarà in grado di dare sollievo all’economia del Pianeta. Anche perché, nonostante il calo dei raccolti, Kiev resta uno dei principali produttori e rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero destinato alla panificazione ma anche il 15% del granoturco per gli allevamenti.

Secondo la Coldiretti, all’Italia è prevista la fornitura di quasi 1,2 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero per la panificazione e olio di girasole. Si tratta di un provvedimento vitale per il Paese dal momento che il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame viene importato dall’estero.

Ulteriori numeri indicano che, per Italia, l’Ucraina rappresenta il secondo fornitore di granoturco con una quota di poco superiore al 13% (785 milioni di chili), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili) senza dimenticare gli arrivi di ben 260 milioni di chili di olio di girasole.

L’accordo raggiunto è importante per salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione”, afferma Coldiretti. Ma non solo, lo è anche per i Paesi più sviluppati “costretti ad affrontare una crescente inflazione spinta dal carrello della spesa e favorita dalla crisi energetica ma anche dai cambiamenti climatici che con caldo e siccità hanno tagliato i raccolti”, la sottolineatura.

Draghi

Draghi ha chiuso ma il dossier energia resta pericolosamente aperto

Mario Draghi ha terminato la sua esperienza a Palazzo Chigi e non è più a capo del governo se non per il disbrigo degli affari correnti, ma i suoi dossier – tutti delicatissimi – restano aperti. E, a stretto giro, andranno chiusi. La fretta di indire nuove elezioni per scongiurare l’esercizio provvisorio ma anche molte altre grane deriva proprio da questo. Cioè da quei dossier di cui sopra che, metaforicamente, l’ex premier ha ‘scaricato’ sulla scrivania del presidente della Repubblica nell’istante in cui si è dimesso.

Sono in stand by le riforme di fisco, giustizia e concorrenza, c’è la grana del superbonus, ci sono i provvedimenti da adottare per ridurre l’impatto sociale dei rincari di bollette e benzina. C’è la rata del Pnrr da 19 miliardi da riscuotere. E poi c’è il piano energia, che rappresenta un problema di portata non inferiore agli altri e che rischia di essere trascurato con conseguenze deleterie per aziende (già sul piede di guerra, ovviamente) e famiglie. Ma qualcuno ci ha pensato? Il sospetto è no, che nessuno ci abbia pensato. Il guasto lo percepiremo nella sua drammatica totalità al ritorno dalle vacanze, quando si affaccerà l’inverno. Allora lì capiremo i pericoli a cui stiamo scelleratamente andando incontro nella speranza che non sia troppo tardi.

Draghi, nel discorso al Senato, ha posto l’accento su alcune priorità: l’indipendenza dal gas russoentro un anno e mezzo”, le alleanze da stringere con nuovi partner, la spinta sulle rinnovabili con un occhio ai rigassificatori di Piombino e Ravenna che vengono etichettati come “questioni di sicurezza nazionale”. Come faremo adesso? E chi lo farà? Chi si occuperà di portare avanti il discorso del price cap sul gas che era stato un cavallo di battaglia dell’ex Presidente del Consiglio e del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani? Mentre gli altri Paesi della Ue si stanno muovendo per allestire un piano emergenziale sotto il profilo energetico, l’Italia sarà costretta a rallentare almeno fino ad inizio autunno, sempre che le elezioni si tengano – come sembra – a settembre. La sensazione è che non ce lo possiamo permettere, che l’interesse dei partiti abbia prevaricato l’interesse nazionale anche se qualcuno (che ha straccato la spina al Governo) va raccontando che si tratta di allarmismi ingiustificati. Niente di nuovo sotto il sole e in questo caso l’eolico non c’entra…

Ue clima

Ue si prepara a inverno senza gas russo. “Situazione grave”

Ci si prepara ad un inverno senza il gas russo”. Data la situazione questa possibilità non può essere ignorata, e “bisogna essere pronti” a tutto. Thierry Breton riassume con pragmatismo le incertezze e le tensioni che investono il mercato dell’energia, e il commissario per l’Industria spiega con la crisi potenziale le misure di risposta della Commissione europea, inclusa l’estensione delle deroghe sugli aiuti di Stato. L’esecutivo comunitario autorizza gli Stati a sostenere la produzione di energie da fonti rinnovabili e le misure utili a ridurre le emissioni di CO2 del settore industriale.

C’è la consapevolezza che staccarsi dal gas russo è una scelta non più rinviabile e per questo da attuare il più rapidamente possibile, e Bruxelles decide di agevolare questo processo allentando ulteriormente le maglie sulle regole di sostegno pubblico. Si prosegue lungo le scelte compiute dopo la crisi sanitaria, per puntellare ancora di più la tenuta dell’economia a dodici stelle.

Il quadro temporaneo di crisi modificato amplia dunque i tipi di sostegno esistenti che gli Stati membri possono fornire alle imprese che ne hanno bisogno. Ad esempio, consente ora agli Stati membri di concedere aiuti di importo limitato alle imprese colpite dalla crisi attuale o dalle successive sanzioni e controsanzioni fino all’importo aumentato di 62 mila euro e 75 mila rispettivamente nei settori dell’agricoltura, della pesca e dell’acquacoltura, e fino a 500 mila euro in tutti gli altri settori. Una finestra che per ora resterà aperta fino al 30 giugno 2023 , e che riguarderà anche il gas. Qui si procederà a valutazioni “caso per caso”, ma possibili a determinate condizioni, spiega Margrethe Vestager, la vicepresidente esecutiva responsabile per la Concorrenza. Con le nuove modifiche e l’estensione delle deroghe agli aiuti di Stato si prevede la possibilità di sostegno per le imprese interessate dalla riduzione obbligatoria o volontaria del gas, e sostegno per il riempimento degli stoccaggi di gas.

La situazione è grave”, riconosce anche Vestager, come già ammesso dal collega Breton. Per cui “dobbiamo intensificare i nostri sforzi per eliminare gradualmente i combustibili fossili su cui abbiamo fatto grande affidamento fino ad ora”. Il capo dell’Antitrust comunitario sa bene che “la guerra ingiustificata della Russia contro l’Ucraina continua a farsi sentire, anche sull’economia dell’Ue”, e per questo, con la proposta che permette di sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili e la decarbonizzazione delle industrie, “ aiuteremo ad accelerare” la transizione verde e rispondere a questo momento di difficoltà e incertezze. Il tutto, “ in linea con gli obiettivi di REPowerEU”, la strategia per affrancarsi dalla dipendenza da Gazprom.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)