Sostenibilità, Gallo (Italgas): Se fatta bene porta anche benefici economici

“Noi trattiamo un chilo di Co2 come trattiamo un euro. Nei nostri report mensili che discutiamo nel Comitato esecutivo c’è anche un report mensile che si chiama Sustainability business Review che approccia il tema delle emissioni di Co2, di consumi di energia elettrica e di gas e il trattamento dei rifiuti esattamente nello stesso modo in cui trattiamo un conto economico o una valutazione di costi o la produzione finanziaria”. Così Paolo Gallo, ad di Italgas, in una intervista a GEA. “Questo approccio molto pesante anche per quanto riguarda l’organizzazione stessa ci ha permesso di cogliere quanto l’efficienza energetica e la sostenibilità in generale, se fatta bene, in profondità dalle aziende, dà benefici economici ed ambientali”.

Balzan (ARB): L’impatto zero non esiste, ecco il metodo per essere sostenibili

Ada Rosa Balzan (nella foto) è sociologa ambientale, docente per numerose università e business school, nonché fondatrice di Arb, società benefit per azioni in grado di misurare la sostenibilità. In poche parole, è una delle maggiori esperte italiane sui temi della sostenibilità e il suo ultimo libro ‘L’impatto zero non esiste’ (Este libri, 207 pp, 20 euro) è una vera e propria bussola, rivolta soprattutto a imprenditori e manager, per orientarsi nell’economia presente e futura basandosi su un metodo scientifico a 360 gradi.
Nel volume finalmente si fa chiarezza su una parola, sostenibilità, che è entrata nel vocabolario quotidiano ma che talvolta è travisata, o per meglio dire utilizzata in modo limitante, come racconta l’autrice a GEA.

Dottoressa, servirà un salto culturale per passare dall’estemporaneità di singole azioni, anche virtuose, a un approccio, come sostiene lei, scientifico?
Serve una cultura della sostenibilità, che sembra una parola astratta ma è uno strumento di gestione dell’azienda. Intanto bisogna dire che cos’è. Primo non c’è solo l’aspetto green, sarebbe riduttivo. Mi spiego meglio con un altra parola: biologico. Può essere sostenibile, ma anche no. Biologico è solo inerente la procedura che si deve rispettare per arrivare a certificare il prodotto come tale, ma se manca l’aspetto sociale, ad esempio faccio lavorare persone in nero, il prodotto è biologico ma non sostenibile. Quindi sostenibilità include sempre aspetti sociali, di gestione aziendale e l’ambiente”.

Il titolo del libro, scritto da una sociologa ambientale, è forte se pensiamo a come l’argomento green sia diventato quasi politicizzato…
Ma è così. Ogni nostra azione produce un impatto ambientale, sociale, e sulla governance. Io magari butto la bottiglia di plastica nel cestino, tuttavia se non c’è un sistema che valorizza il recupero della plastica, si ferma il valore della sostenibilità. Serve un’ottica a 360 gradi che guardi all’ambiente, al territorio, a come si trattano i lavoratori. Abbiamo fatto campagne ‘plastic free’ prima del Covid, facendo passare il messaggio che se avessimo levato la plastica avremmo risolto i problemi mondiale dell’ambiente, e poi siamo andati al monouso per la tutela della nostra salute, soprattutto nella sanità, penso al materiale presente in sala operatoria o alle sacche ematiche, è quasi tutto monouso. Non si possono generalizzare e appiattire temi del genere, riducendoli a uno slogan ma studiare e analizzare ogni aspetto. Torno a ribadire l’importanza di fare cultura della sostenibilità, un contenitore di plastica non arriva in autonomia sul marciapiede ma qualcuno lo ha gettato. Anche quando sentiamo dire ‘Salviamo il pianeta’ per cui dobbiamo riuscire a non far alzare ulteriormente le temperature, c’è qualcosa che non va nell’impostazione del messaggio stesso, stiamo dando un’informazione sbagliata: se la temperatura aumentasse o diminuisse anche di 20 gradi, il pianeta ci sarebbe lo stesso, non gli esseri umani. Siamo noi che ci estinguiamo”.

Nel libro sostiene che c’è un nesso tra rispetto dei criteri Esg e buone performance economiche. E lei cita una decina di casi aziendali. Ma è sempre così?
Guardi, Banca d’Italia, nel maggio 2019, nel sostenere la necessità di dare valore a investimenti sostenibili, citò 2.220 ricerche accademiche che dimostrano la diretta correlazione fra rispetto dei criteri Esg e performance economica. C’è un altro passaggio poco conosciuto dai più: la sostenibilità è analisi e misurazione dei rischi. Quando facciamo l’analisi con SI rating portiamo spesso a evidenza cose che l’imprenditore non sapeva o sottovalutava. Se riconosci i pericoli, sbagli meno e dunque migliori il risultato aziendale”.

Nel libro parla di quattro C: capire, costruire, concretizzare, comunicare. È questo il percorso da fare?
Il nostro algoritmo indica la strada che una azienda deve poter fare. Otto volte su 10 nelle aziende con cui ci confrontiamo, mi dicono ‘non pensavo che fosse anche un tema sociale’ la sostenibilità. Si inizia dunque col capire, col conoscere il perimetro in cui muoversi e le parole chiave tipo neutralità climatica, tassonomia europea, ad esempio per la parte ambientale. Poi entriamo nei temi sociali e quindi welfare personalizzato, parità di genere. E nel costruire mettiamo a terra come applicare ad esempio un sistema di gestione ambientale-sociale. Esempio: valutando se si può utilizzare una materia prima recuperata o usarne semplicemente meno o invece di un certo prodotto, se ne può utilizzare uno simile magari realizzato da un laboratorio di ragazzi disabili della zona… In 3 microparagrafi cerchiamo di dare una cassetta degli attrezzi per imprenditori e manager, che col libro possono farsi un’idea di come concretizzare la sostenibilità nella propria realtà. Solo dopo questo percorso si può comunicare“.

Il tema sostenibilità è stato forse un po’ ideologizzato e qualcuno non l’ha compreso e per questo prova a combatterlo?
Non deve infatti diventare una ideologia, ma deve essere un nuovo paradigma dell’economia e della sua evoluzione. Crescita e quantità non funzionano più per un problema di ipergestione della produzione, meglio invece produzione minore ma di qualità. Torniamo al significato delle parole: qualità e non quantità, sviluppo e non crescita. Non si parla più di profitto ma di prosperità, cioè di un qualcosa che ricade su tutti gli stakeholder”.

Lei aveva capito tutto negli anni ’90 culminato con una tesi sul turismo sostenibile a Sociologia a Trento. Un lavoro che – come racconta nel libro – era stato apprezzato dai docenti, che però le dissero: di questa tesi non se ne farà niente. Adesso si sta prendendo numerose rivincite, vede anche il resto del sistema economico sulla retta via o siamo ancora lontani?
C’è stata una accelerazione con il Covid. Fino a 6 anni fa, quando ho fondato la mia start up innovativa, mi dicevano: ‘Algoritmo per calcolare la sostenibilità????’… Infatti mi sono autofinanziata. Ora però la sostenibilità a 360 gradi, non è più ‘nice to have’, ma ‘must to have’. Il Pnrr dà e darà una grande spinta, con i suoi obiettivi, e un grande contributo arriva dalla finanza: anche nel mondo bancario-finanziario si finanziano sempre più solo progetti sostenibili perché hanno maggiore contezza dei rischi”.

A Brescia nasce Kilometro verde, per un’agricoltura attenta al risparmio di acqua e suolo

Il risparmio di acqua e suolo, nonché il recupero di aree urbane dismesse sono alcuni tra i benefici della tecnica di coltivazione in verticale anziché in orizzontale. Il ‘Vertical Farming’ – questo il nome della tecnica – viene considerata la nuova frontiera dell’agricoltura, come spiega a GEA Giuseppe Battagliola, ideatore della start up bresciana ‘Kilometro verde’ basata, appunto, su questo concetto. “II Vertical Farming nasce come evoluzione dell’agricoltura idroponica, tecnica di coltivazione fuori suolo in cui le piante crescono in una soluzione di acqua e sali minerali. È un tipo di coltura al chiuso, in cui si sfrutta lo spazio in verticale per far crescere le piante in un ambiente protetto in cui tutti gli elementi sono sotto il controllo dei nostri agronomi. Questo ci permette di creare le condizioni ottimali per le diverse specie, sfruttando le conoscenze relative alle biodiversità e agli habitat. Il Vertical Farming – prosegue l’imprenditore è ritenuto la principale innovazione nel settore ortofrutticolo perché consente di risparmiare il 95% di acqua rispetto alle colture tradizionali, di coltivare 365 giorni all’anno, annullando le stagionalità, di risparmiare suolo e di recuperare aree urbane dismesse. Il prodotto finale è incontaminato, già pronto al consumo e con una qualità e una salubrità superiori”.

Nonostante questa attività sia considerata la nuova frontiera del settore agricolo, in Italia si è ancora in una fase di sviluppo embrionale, mentre si possono trovare diversi esempi in altri Paesi del mondo. “È però verosimile – commenta Giuseppe Battagliola – pensare che l’ulteriore valore aggiunto delle Vertical Farms sarà quello di far fronte a problematiche demografiche e legate al clima ostile che caratterizzano alcuni paesi. Il Vertical Farming non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità, specialmente per quanto riguarda le fonti energetiche, colonna portante di questa attività. Kilometro Verde, consapevole di questo, ha in essere un accordo con un primario produttore/distributore di energia per la creazione di un campo solare di 10 Megawatt. La riduzione del carbon footprint è perseguita anche attraverso la mitigazione ambientale, il riciclo inteso nel suo concetto più ampio, per creare un’azienda basata sull’economia circolare”. Come imprenditore di questo settore – risponde l’imprenditore – sentivo la necessità di soddisfare le esigenze di una popolazione che è sempre più alla ricerca di un prodotto ‘più pulito’ e che, allo stesso tempo, ha una sensibilità sempre maggiore verso le dinamiche ambientali e sostenibili, il tutto in una logica di economia circolare. Uno dei grandi vantaggi del Vertical Farming è appunto quello di poter risparmiare grosse porzioni di suolo, sfruttando lo spazio in verticale e permettendo così di moltiplicare la superficie produttiva, liberando terra per i contadini e massimizzando la qualità dei prodotti. Diamo così una risposta ad una grande problematica, quella della graduale riduzione del terreno coltivabile. Il Vertical Farming permette anche di riavvicinare le coltivazioni ai centri urbani e di creare una vera logica di “km zero”, riducendo le distanze della filiera distributiva e sfruttando aree dismesse per riqualificare, anche dal punto di vista socio-economico, centri abitati che soffrono della decadenza del settore manifatturiero e commerciale. Preciso che non tutte le colture sono adatte ad essere coltivate nelle Vertical Farms, dato che un elemento caratterizzante di questo tipo di coltura è lo sviluppo in altezza di più strati di coltivazione; quindi, piante troppo alte sono difficilmente adattabili a tali strutture”.

Giuseppe Battagliola, già imprenditore nel settore ortofrutticolo della IV gamma (frutta e verdura confezionata fresca e pronta per il consumo, come per esempio le insalate in busta), conclude consigliando a chiunque di mettersi in gioco rispetto
 a un'esperienza di questo genere. “Posso dire che è un percorso tanto difficile quanto appassionante. Difficile, perché la transizione verso un’economia più sostenibile, etica e che coniughi le mutate esigenze del clima, dell’ambiente 
e del consumatore è una sfida per l’intera l’umanità. Appassionante, perché il Vertical Farming crea un connubio tra elementi apparentemente contrastanti da cui si genera valore per le persone e per il territorio: scienza e tecnologie innovative
da una parte, agricoltura dall’altra”.

 

Sostenibilità in Germania: stoviglie di porcellana nei vagoni ristorante dei treni della Deutsche Bahn

Dal primo gennaio 2023, i passeggeri della compagnia ferroviaria tedesca Deutsche Bahn potranno bere il caffè acquistato a bordo dei treni e consumare i pasti in stoviglie di porcellana o vetro, per una maggiore “sostenibilità”.
L’obiettivo, come spiega l’azienda in un comunicato, “è di ridurre i rifiuti sostituendo le stoviglie monouso in plastica o cartone”. Bicchieri, piatti e ciotole “riutilizzabili” saranno “gratuiti, senza deposito, e disponibili su richiesta per tutti gli ordini” sui treni a lunga percorrenza.

Deutsche Bahn è dunque in linea con le nuove norme entrate in vigore il primo gennaio di quest’anno in Germania e che obbligano ristoranti, pub e caffè a offrire i loro prodotti da asporto in confezioni riutilizzabili; gli imballaggi monouso non saranno vietati, ma dovrà essere offerta una variante riutilizzabile senza costi aggiuntivi. Da marzo 2022, il vettore offre già “il 50% di piatti vegetariani o vegani e il 100% di prodotti biologici”, spiega nel comunicato Michael Peterson, direttore del trasporto passeggeri dell’azienda. E ricorda che “Deutsche Bahn sta accelerando la sua transizione ecologica nella ristorazione a bordo”.
Più in generale, Deutsche Bahn, la più grande consumatrice di energia della Germania, si è posta l’obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2040. Secondo un portavoce, attualmente il 62% del traffico ferroviario gestito dalla società è alimentato da energie rinnovabili.

 

I consigli di Legambiente per un Natale 2022 ecosostenibile

È iniziato il conto alla rovescia per il Natale e, di conseguenza, la corsa ai regali. Ma come fare per vivere un 25 diccembre ecosostenibile? I suggerimenti arrivano da Legambiente che ha stilato una serie di consigli e accorgimenti che contribuiscono a dare alle festività un‘impronta più eco-friendly, dagli addobbi alla tavola, dal cibo alla scelta dei doni. Per quest’ultimo punto l’associazione propone le sue confezioni di prodotti coltivati nei terreni confiscati alle mafie, il cui ricavato va a sostegno delle attività di salvaguardia delle specie a rischio e minacciate nelle aree di Legambiente Natura, oppure di adottare una tartaruga marina o di donare per salvare le api regine. Di seguito, invece, il decalogo per un Natale ecofriendly.

Addobbi. Scegliere quelli sostenibili: illuminazioni a led per adornare l’albero e la casa e decorazioni ‘di recupero’ riutilizzando tappi di sughero, legno, cartoncini, tessuti e oggetti di uso comune da trasformare in segnaposto, ghirlande e centrotavola 100% green.

La tavola. Scegliere prodotti a filiera corta provenienti dalla propria regione: si potrà risparmiare, riscoprire cibi tradizionali e, al contempo, sostenere piccole realtà imprenditoriali del territorio
Abbigliamento. Se si desidera regalare capi d’abbigliamento o accessori, scegliere prodotti sostenibili o il ‘pre-loved’, un’espressione internazionale che fa riferimento a oggetti che sono già appartenuti a qualcuno che li ha scelti e amati prima di noi. Usati, quindi, ma che meritano una seconda possibilità di impiego.

Tecnologia. Sì, ma rigenerata. Sono sempre più le opportunità di acquisto di regali hi-tech usati ma ricondizionati: costano meno e con la garanzia della stessa durata di oggetti nuovi.

Alimentazione. Che sia vegetale e a zero sprechi: spesso l’abbondanza accompagna la tavola delle feste. Recuperare gli avanzi dei pasti e utilizzarli come ingredienti per nuove ricette.

No all’usa e getta. Per allestire la tavola frugare nei pensili e nei cassetti di casa: troverete sicuramente complementi d’arredo e stoviglie sottoutilizzate che potranno dare una svolta vintage alle feste. Non avete piatti e bicchieri coordinati? Niente paura: mescolare stili diversi, sposando la filosofia del Mix&match, è di tendenza.

Doni fai da te. Recuperate vecchi barattoli e, dopo averli opportunamente sanificati, riempiteli di ingredienti utili a realizzare biscotti e dolci, corredando il dono di un biglietto con la ricetta per cucinarli, o riutilizzateli per contenere piccole piante grasse, adatte anche a chi non ha il pollice verde.

Regali di troppo. Avete ricevuto regali poco graditi? Organizzate una tombola di riuso.

Esperienze green. Regalate un’esperienza green. Un viaggio sostenibile o per un’iniziativa in natura, magari a pochi chilometri da casa tua: dal corso per il riconoscimento delle erbe spontanee, al weekend fuori porta, passando per laboratori di cucina organizzati da agriturismi e associazioni del territorio, è pieno di iniziative che potrebbero fare al caso vostro.

Regalarsi del tempo. Per quello che è tra i momenti più attesi, e a volte stressanti, dell’anno, perché non concedersi un momento di auto-gratificazione? Un libro, una passeggiata o una piccola coccola potranno rendere ancora più belle le feste che stanno per arrivare.

Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Ghini (Anpam): Stiamo lavorando per industria delle armi sostenibile

Da un anno e mezzo alla guida di Anpam, l’associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni civili e sportive, Giovanni Ghini ha chiara la strada da percorrere per tutelare il suo settore anche nel segno della sostenibilità. “Lo stiamo facendo, ma ci vuole tempo. Abbiamo performance da rispettare, non si può cambiare dalla sera alla mattina”, ha detto intervistato da GEA nel corso dell’evento ‘How we can governe Europe?’, tenutosi martedì e mercoledì a Roma, nella cornice della nuova sede di Commissione e Parlamento europeo.

Presidente Ghini, l’Europa è in fase di discussione sulle strategie della difesa. Dal suo punto di vista questo percorso si sta svolgendo nel modo giusto o manca ancora qualcosa?

“Io credo che debba essere presa in considerazione l’evoluzione che c’è stata in questo ultimo anno. E credo che il conflitto russo-ucraino abbia creato delle nuove priorità. E a queste nuove priorità l’Europa e l’insieme delle nazioni devono dare una risposta. Per quello che riguarda l’industria, deve dare una risposta compatibile con quelli che sono i tempi dell’industria. Non sempre i piani che l’Europa propone possono essere seguiti dall’industria così come un piano quinquennale di nota memoria”.

Sul piano ambientale e della sostenibilità che progressi ha fatto l’industria delle armi?

“In generale l’industria si sta muovendo verso una completa sostenibilità. Ci sono studi e ricerche per sostituire con materiali sostenibili quelli che sono sempre stati i materiali utilizzati nel tempo. Però ci vuole pazienza perché noi abbiamo delle performance da rispettare e non possiamo dalla sera alla mattina, o nel giro di poco tempo, dare le risposte tecniche che il committente, come può essere l’esercito, si aspetta. In questo caso noi abbiamo bisogno di tempo per lavorare, anche se il nostro sforzo è cominciato ad esempio per sostituire le plastiche con materiale biodegradabile o compostabile”.

Dal punto di vista pratico, il reperimento delle materie prime per la produzione è un problema o il vostro settore non sta vivendo queste difficoltà?

“Diciamo che all’inizio è stato un problema, l’industria delle munizioni si è dovuta adeguare con tempi non propri. Nel senso che era abituata ad avere un canale che riforniva in continuazione e invece si è ritrovata a disagio per la crescita degli ordini e per la difficoltà a reperire materie prime. Il vero problema oggi è di natura strategica. Ovvero da dove le prendiamo queste materie prime, perché oggi le troviamo ma le stiamo prendendo sostanzialmente per più della metà quelle tradizionali fuori dall’Europa e quasi integralmente per quelle non tradizionali, che dovrebbero sostituire, fuori dall’Europa. Quindi siamo al 100% di dipendenza straniera”.

Clima, Vigliotti (Bei): Diventare banca ‘green’ dell’Ue, scelta strategica

La nuova missione è quella della sostenibilità, quella vera. Tanto da ripensare il mandato di un organismo sempre strategico, e oggi ancora di più. “Quella di diventare la banca per il clima dell’Ue è una scelta strategica”. Così Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), porta alla nona edizione di ‘How Can We Govern Europe’, l’evento organizzato da Eunews e GEA, la questione della green economy e del suo finanziamento, perché non più rinviabile. Oggi più che mai sono “sempre più urgenti azioni per tutela dell’ambiente, il cui degrado può essere fonte di nuove malattie”. La pandemia di Covid ha acceso i riflettori sull’aspetto della salute legato ai modelli di vita e di produzione. Mentre il conflitto russo-ucraino ricorda che “sono sempre più urgenti azioni per una maggiore efficienza energetica e per le rinnvoabili”.

La Bei tutto questo l’ha compreso molto bene e non è rimasta a guardare. Vigliotti tiene a sottolineare come la scelta di promuovere finanziamenti verdi “è condivisa dai nostri azionisti”, vale a dire i 27 Stati membri. L’obiettivo che si è posto l’istituto di credito di Lussemburgo è quello di raggiungere “investimenti per mille miliardi per il clima entro il 2030”, e già oggi la Bei “è la principale fonte di finanziamento di progetti verdi in tutto il mondo”. Un impegno che, a detta della vicepresidente, non è che l’inizio di un percorso. “Eventi come desertificazione, alluvioni, siccità, sottolineano la necessità immediata di strutture di difesa” al fenomeno dei cambiamenti climatici e ai fenomeni meteorologici estremi che ne derivano. Una sfida non semplice né scontata, poiché serviranno “ingenti risorse finanziare per evitare che i costi del cambiamento climatico si traducano in rischi per la stessa sopravvivenza”. Diventare la banca europea per il clima è dunque una scelta per certi aspetti obbligata, che la Banca europea per gli investimenti ha preso prima di molti. Vigliotti ricorda che la Bei ha già iniziato a emettere Green Bond, che in Italia sono serviti, tra le altre cose, a potenziare l’alta velocità ferroviaria.

L’impegno della Bei per la sostenibilità non finisce qui. “Neutralità climatica vuol dire indipendenza energetica”, sottolinea, e non a caso. Il riferimento è ai fatti che dal 24 febbraio di quest’anno restano di continua attualità. “Dobbiamo uscire dalla dipendenza che abbiamo avuto dalla Russia”. Qui, voler essere la banca per il clima dell’Ue vuol dire “contribuire agli obiettivi di RepowerEu”, il piano per l’indipendenza energetica lanciato dalla Commissione von der Leyen. In tal senso “i nostri finanziamenti saranno destinati a rinnovabili, efficienza energetica, strutture di ricarica elettrica e nuove tecnologie come l’idrogeno”.

Agronomo apre locale green: la filosofia della ristorazione educativa per salvare il pianeta

Avvicinare le persone a tematiche quali sostenibilità e crisi climatica attraverso il cibo e scelte imprenditoriali green. È la scommessa dell’agronomo Tito Ippolito, che apre le porte del suo ‘Respeat’, a Torino. Un luogo scelto non a caso, ma individuato “sapendo che è stata riconosciuta miglior città vegan friendly, quindi sicuramente aperta alla sfida che intendo proporre: salvare il pianeta un boccone alla volta, perché è nella semplicità che possiamo ritrovare la serenità di guardare al futuro“, confessa a GEA ricordando le esperienze maturate in ambito umanitario tra Africa e Centro America, dove ha aiutato le comunità rurali a ottenere il massimo dalla loro terra con le poche risorse disponibili.

Il progetto di “ristorazione educativa“, come il titolare ama definire la propria creatura, ha alcuni punti cardine: l’azzeramento della plastica, l’utilizzo di detergenti naturali e stoviglie compostabili per limitare i cicli di acqua per il lavaggio, un arredamento realizzato con materiali naturali. “Punteremo a un’offerta stagionale di cibi, nel rispetto del ciclo della natura; inoltre, intendiamo collaborare con fornitori che abbiano una filiera certificata, senza limitarci all’etichetta di biologico. La nostra cucina, curata dalla chef Imma Ferraro, è di ispirazione vegetariana – precisa Ippolito – poiché siamo consapevoli del dramma degli allevamenti intensivi. Ci concentreremo sulla dieta mediterranea, mescolando rievocazioni della tradizione piemontese con i classici della pasticceria del sud Italia“.

L’offerta culinaria sarà arricchita da serate di degustazione a tema, incontri con esperti e una biblioteca dedicata al tema, dalla quale i clienti potranno attingere e prendere in prestito testi, in un’ottica di abbinare l’informazione al cibo. “Troppo spesso – commenta Tito Ippolito – la ristorazione ha, sui temi della sostenibilità e dell’attenzione all’ambiente, un approccio passivo: io ritengo invece che questo settore debba veicolarli e promuoverli“.

Il locale di via Bertola, a Torino, accoglierà i commensali (15 coperti che raddoppieranno con il dehors esterno, in estate) al mattino con il servizio di caffetteria, a pranzo e per un aperitivo fino alle 20.30, orario di chiusura. “La pausa pranzo sarà per noi una sfida nella sfida. Vogliamo infatti dimostrare che si può mangiare rapidamente consumando cibi di qualità, sfatando il mito del fast food sinonimo di cibo pessimo“, conclude Tito Ippolito.

Torna il tempo delle mele: dalle bucce alle eco-sneakers

Moda e sostenibilità, ci prova anche il mondo del calzaturificio italiano. Alcuni brand vegani sperimentano ed emergono negli ultimi anni: Acbc, Womsh e Id.Eight.

Bucce di mela, uva, foglie d’ananas. Così gli scarti diventano eco-sneakers. I brand coinvolgono gli influencer, che le indossano e creano un bisogno indotto sì, ma sostenibile.

Per le Id.Eight, dal design ricercato che richiama gli anni ‘90, vengono utilizzati solo residui e scarti della frutta non commestibili. Materiali che derivano dalla polimerizzazione di bucce e raspi d’uva, foglie dell’ananas, cotone, poliestere riciclato e la similpelle di Frumat, ricavata dagli scarti delle mele attraverso un processo innovativo. Nessun materiale poliuretanico. Ogni componente della scarpa è realizzato con materiali a basso impatto ambientale, a partire da tomaia, suola, lacci, fodera ed etichetta, fino alla scatola che contiene le sneakers ed alla busta che usiamo per l’imballaggio. Id sta per Identità e Eight incarna l’infinito, la capacità di rigenerarsi e quindi l’eco-sostenibilità. Id.Eight è il progetto di sneakers ecosostenibili, realizzate con scarti dell’industria alimentare e materiali di riciclo. Il progetto nasce dall’unione tra il designer coreano Dong Seon Lee e la product manager italiana Giuliana Borzillo. I due sono una coppia anche nella vita:  la passione per le calzature li fa incontrare nel 2017 durante una fiera, ed è amore a prima vista.

Crediamo nel ‘cambiamento in meglio’, è per questo che viviamo“, spiegano i fondatori di Acbc, che sta per ‘Anythig can be changed’. Il team affianca le aziende per produrre calzature econologiche e lavora non solo su processi, prodotti e analisi, ma aiuta le imprese a “cambiare mentalità“. “Abbiamo un approccio scientifico alla sostenibilità. Partiamo dall’LCA o dall’analisi della CO2 per avere dati reali da cui partire“. L’obiettivo è la trasformazione profonda del modello di business: “I nostri clienti sono seriamente intenzionati a ridurre il loro impatto ambientale e a catalizzare il cambiamento nei loro settori. Insieme, definiamo un’ambizione e una strategia coraggiose che trasformano l’impegno in azione e producono risultati reali e duraturi“.

Womsh parte nel 2014. E’ l’acronimo di word of mouth shoes: il nome racconta di scarpe che “sanno parlare e che hanno un messaggio, che usano il passaparola per diffondere il rispetto per l’ambiente“. Progetta, fabbrica e confeziona scarpe in Italia selezionando i materiali e le aziende partner: “Cerchiamo soluzioni che possano lasciare un segno positivo.
Abbiamo occhi grandi per scambiarceli, per immaginare più vita, per trovare nuovi punti di vista. Siamo appassionati, entusiasti, curiosi: dalla diversità e dal rispetto abbiamo imparato tutto quello che sappiamo oggi“. Anni di prove, test, ricerche, mestiere, fino ad arrivare a un prodotto “in cui crediamo molto perché ben fatto, bello e amico dell’ambiente, pronti a comunicare quello che per noi conta di più: la bellezza sostenibile.

 

(Photo credits: id-eight)