Giorgetti: “La Manovra sarà complicata, non si può fare tutto. La parola chiave è sostenibilità”

La parola chiave è sostenibilità. A ripeterlo – più volte – è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, partecipando al Meeting di Rimini. Il responsabile del Mef, come suo solito, resta abbottonato, ma qualche indicazione la fornisce comunque. Linee di massima che, per un “decisore”, un “politico”, per usare le sue stesse parole, sono comunque messaggi. In primis alla sua maggioranza, ma anche all’opposizione, perché alle porte c’è il lavoro sulla prossima legge di Bilancio. Giorgetti non usa giri di parole: “Sarà complicata come tutte le manovre, siamo chiamati a decidere delle priorità, non si può fare tutto”. A buon intenditor, poche parole insomma. Perché “dovremo certamente intervenire a favore dei redditi medio bassi” con la decontribuzione per frenare gli effetti dell’inflazione, ma allo stesso tempo “dovremo anche utilizzare le risorse a disposizione per promuovere la crescita” e “promuovere e premiare chi lavora, siano essi lavoratori o imprenditori”.

Ed ecco il punto cruciale del suo ragionamento: la sostenibilità. Perché “nulla è gratis, quando si fa debito o deficit dobbiamo sempre pensare anche a questo concetto”. Il ministro passa in rassegna alcuni grandi cambiamenti, che ovviamente toccano anche l’economia, annotando che ad oggi gli strumenti di misurazione non sono adeguati. “Tutti gli indicatori a livello internazionale ed europeo fanno sempre riferimento a questo benedetto Pil, che noi sappiamo benissimo essere nato come una misurazione nazionale, ma si può gonfiare anche facendo spese totalmente assurde o spese pubbliche che non promuovano lo sviluppo economico”, dice con rimpianto.

Ma “è quello che abbiamo e che dobbiamo utilizzare”, aggiunge con un pizzico di rassegnazione. Non troppa, però, visto che il Prodotto interno lordo “non ci permette di cogliere fenomeni importanti”, come “il degrado dell’ambiente, che oggi è diventato veramente un tema centrale”.

Giorgetti consiglia di “non leggere” le soluzioni che si trovano sui giornali o nel dibattito quotidiano, dai quali “da qualche giorno le proposte più o meno corrette o strampalate fioccano”. Serve realismo, per questo motivo sostiene che “non c’è nessuna riforma o misura” legata alle pensioni “che tenga nel medio e lungo periodo” con la “denatalità che abbiamo oggi in Italia”.

Il responsabile del Mef parla anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche in questo caso chiarendo con molta precisione quale sia la sua visione. “Non c’è semplicemente il puntuale rispetto, il fare in fretta, ma anche fare bene”, sottolinea, e per questo garantisce che “la responsabilità del governo è massima, così come l’impegno”. Ma “se fare in fretta significa fare male, è meglio valutare attentamente le situazioni, perché è un’occasione unica per promuovere la crescita, lo sviluppo e anche la conversione di tante imprese nel nostro Paese”. Inoltre, “queste risorse che solo parzialmente sono gratis, mentre altre pagano i loro interessi, quindi non possono essere sprecate anche per questo motivo”. Ergo “devono essere usate nel modo migliore possibile”. L’antipasto d’autunno è servito alla tavola della politica.

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Batterie, entra in vigore il regolamento Ue per una catena di valore più sostenibile

“Le batterie sono strategiche per la transizione dell’Ue verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico”. Lo scrive la Commissione Europea su X annunciando che dal 17 agosto “il Regolamento sulle batterie garantirà che le batterie siano sicure, circolari e sostenibili durante il loro intero ciclo di vita”. Il via libera definitivo al Regolamento presentato nel 2020 dalla Commissione Ue – sulla base dell’accordo tra i co-legislatori del 9 dicembre 2022 – era arrivato lo scorso 14 giugno dall’Eurocamera e il 10 luglio dal Consiglio dell’Ue.

Il nuovo Regolamento rafforza le norme di sostenibilità per le batterie e ne disciplina l’intero ciclo di vita, dalla produzione al riutilizzo, fino al riciclo dei rifiuti. Sono incluse tutte le batterie e i relativi rifiuti: batterie portatili, industriali, per i veicoli elettrici, per l’avviamento, l’accensione e la fulminazione (utilizzate principalmente per veicoli e macchinari) e per mezzi di trasporto leggeri (biciclette elettriche, monopattini elettrici ed e-scooter).

Al centro della legislazione comunitaria c’è lo sforzo di ridurre gli impatti ambientali e sociali durante l’intero ciclo di vita delle batterie, con regole stringenti per gli operatori che devono verificare l’origine delle materie prime utilizzate per le batterie immesse sul mercato. Per questo motivo sono previsti requisiti di etichettatura e informazione sui componenti e sul contenuto riciclato, anche attraverso un “passaporto della batteria” elettronico (entro il 2026) e un codice QR (entro il 2027).

Per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti di batterie portatili da parte dei produttori, è stato stabilito l’obiettivo del 45 per cento entro la fine del 2023, del 63 entro il 2027 e del 73 entro il 2030, con un target specifico per i rifiuti di batterie per mezzi di trasporto leggeri al 51 per cento entro la fine del 2028 e al 61 entro il 2031. Sul piano dei livelli minimi di litio recuperato dai rifiuti di batterie è previsto l’obiettivo del 50 per cento entro la fine del 2027 e dell’80 entro il 2031. Per cobalto, rame, piombo e nichel è invece pari al 90 per cento entro il 2027 e al 95 entro il 2031.

Tra le introduzioni del nuovo Regolamento Ue c’è anche l’obbligo entro il 2027 per cui le batterie portatili incorporate negli apparecchi siano rimovibili e sostituibili dall’utente finale, lasciando agli operatori il tempo sufficiente per adattare la progettazione dei loro prodotti a questo requisito.

Entro l’anno la riforma dei porti: verso un’agenzia nazionale

Entro l’anno sarà presentata la riforma dei porti, infrastrutture fondamentali per l’Italia da dove passa il 39% dell’import-export per un valore di 377 miliardi. Un interscambio via nave che ha mostrato una ripresa solida nel 2022, con un + 38%, 10 punti percentuali in più rispetto alla performance dell’interscambio nel suo complesso, come fa sapere l’ultimo report di Intesa Sanpaolo e Assoporti.
Per anticipare le linee guide della riforma, il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, ha sempre sottolineato che sarà messo “al centro l’interesse di ogni singolo scalo, nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali. Inoltre, abbiamo chiesto uno screening per tutti gli interventi che riguardano il Fondo complementare per permettere una immediata riprogrammazione dei fondi in modo che si possano utilizzare tutte le risorse Pnrr dedicate al settore marittimo“. Il testo che arriverà per dicembre, come ha più volte spiegato il ministro Matteo Salvini, sarà inserito in una apposita legge delega. E, tecnicamente, la riforma dovrebbe prendere il buono del cosiddetto modello spagnolo. “Con il suo Puertos del Estado abbinato a una autonomia locale di alcuni porti” è la rotta che il governo intende seguire, ha spiegato Rixi a Shippingitaly.it, sottolineando però come alla base di questo processo di rinnovamento serva “una visione nazionale”, con “lo Stato che deve mantenere il controllo pubblico sugli scali portuali”.

In Italia il ruolo e la funzione rappresentata da Puertos del Estado iberico – ipotizza Shippingitaliy.it – “potrebbe essere assunta da Assoporti (se ne saranno ampliate risorse e competenze) e non sarebbe troppo diversa dalla missione pianificatoria e di coordinamento svolta in ambito aeroportuale da Enac (ente nazionale per l’aviazione civile)”. Attualmente le autorità di sistema portuale sono enti pubblici di personalità giuridica che – come spiega il sito del Mit – hanno, “tra gli scopi istituzionali, la gestione e l’organizzazione di beni e servizi nel rispettivo ambito portuale”. Nel 2016 l’allora ministro Graziano Delrio riordinò le Autorità portuali ridisegnando il sistema di governance. Di fatto i 58 porti di rilievo nazionale sono coordinati da 15 Autorità di sistema portuale, cui viene affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area, con le Regioni che possono chiedere l’inserimento nelle Autorità di Sistema di ulteriori porti di rilevanza regionale. Per garantire la coerenza con la strategia nazionale si prevede l’istituzione di una Conferenza nazionale di coordinamento delle authority, però manca una vera e propria agenzia capace – come punta la riforma – a decidere una strategia nazionale basata sugli interessi del Paese.

Di fatto ogni ente è indipendente nella gestione e nella fissazione dei canoni. Una mole di dati che paradossalmente non è nelle disponibilità del ministero dei Trasporti, proprio perché ogni authority è autonoma, creando magari contrapposizioni o addirittura arrivando a farsi concorrenza. Nelle intenzioni del governo c’è comunque – come diceva Rixi – la tutela delle “vocazioni specialistiche e territoriali”, in vista anche di una possibile aumento dell’autonomia delle regioni, che potranno avere eventualmente un ruolo maggiore nella governance del porto. “Stato forte, struttura del ministero forte e solida e visione politica che ha in mano il ministero delle infrastrutture e del Trasporti”, chiede Stefano Messina, presidente di Assarmatori. La nascita di una agenzia nazionale permetterebbe anche di integrare le altre infrastrutture necessarie per il transito di merci nelle terraferma, decidendo investimenti mirati ed evitando doppioni costosi.

A proposito di costi. Per i porti è previsto un cospicuo capitolo del Pnrr. La cabina di regia ieri ha varato le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza e le proposte per il capitolo aggiuntivo del RePowerEu dedicato alla transizione energetica. La revisione prevede lo spostamento di alcuni progetti, che andranno rifinanziati con fondi differenti da quelli previsti dal Pnrr e una ricalibrazione degli obiettivi, fra questi 400 milioni dovrebbero andare ai porti con l’obiettivo è il potenziamento dell’elettrificazione delle banchine portuali per la riduzione delle emissioni delle navi nella fase di stazionamento in porto (cold ironing). Risorse che si aggiungono ai 9,2 miliardi previsti che andranno andranno a finanziare interventi in 47 porti di 14 regioni diverse e di competenza di 16 differenti Autorità di sistema portuale. Metà dei fondi va ai porti del Mezzogiorno, il 37,7% a quelli del Nord e il restante 15,4% a quelli del Centro Italia. Saranno finanziate opere per la “resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici” e per l’efficientamento energetico delle banchine, ma anche misure per il dragaggio e la realizzazione di nuovi moli. Tutti interventi che, secondo la riforma, dovranno essere coordinati per sfruttare le previsioni del trasporto marittimo mondiale, segnalato in crescita in termini di tonnellaggio: +1,6% per il 2023 e +2,8% per il 2024. Oil & Gas sono le commodities che incontreranno le prospettive più favorevoli, spinte dalla necessità di trasporto conseguenti alla guerra in corso. In particolare le stime per l’area del Mediterraneo sono di +3,5% per la movimentazione media annua dei container nei prossimi 5 anni contro il 2,8% del mondo.

Sestriere, il campo da golf dove i green sono sempre più green

E’ il campo da golf più alto d’Europa con i suoi 2035 metri, abbarbicato tra le montagne che hanno ospitato le Olimpiadi del 2006 e molte gare di coppa del mondo di sci, ma adesso è anche il più sostenibile. Fareway e green del percorso di Sestriere sono infatti trattati senza l’uso di fitofarmaci come recita un grande cartello all’ingresso della club house ‘a cielo aperto’. Significa che la cura dei greenkeeper, ovvero degli addetti alla manutenzione delle spettacolarissime 18 buche, avviene nel modo più ‘sano’ possibile, evitando la contaminazione del terreno e preservando la salute dei giocatori. “E’ un nostro motivo di orgoglio”, dice Donatella Bertrand, la manager del Sestriere golf club. Sarebbe più facile e meno rischioso usare sostanze chimiche ma tutto questo mal si accompagna con la policy che si è voluta dare la direzione operativa del campo.

Verde, verdissimo, mai così tirato a lucido grazie anche alle abbondanti piogge di giugno, il percorso che ha come presidente l’ex gloria dello sci Paolo De Chiesa, ha l’ambizione di staccare un altro record: quello della sostenibilità ambientale, un viaggio virtuoso intrapreso anche durante l’inverno quando le buche sono in realtà piste e il sistema neve fa divertire migliaia di appassionati. “Tutti i trattamenti sono in linea con le prerogative green che ci siamo imposti”, ricorda ancora Bertrand. E gli appassionati rispondono. Nella pro am che si è disputata domenica scorsa, oltre centoventi partecipanti si sono dati battaglia in una giornata di sole e di vento. Ad aggiudicarsi il primo premio lordo è stata la quadretta di Filippo Armand, mentre il 1° netto al team di Emanuele Bolognesi, il 2° netto a quello di Marco Brizzolara. Terzo posto per Guido Jacopo.

Radici Group, storia dell’abito da sera che nasce da un fagiolo

Un abito da sera plissettato, ricamato, con le maniche a sbuffo, compare, completo, direttamente da una macchina. Non ha cuciture, non ha scarti. In più, viene da un fagiolo. Sembrerebbe un remake di Cenerentola, in chiave moderna, invece è quello che Radici Group è riuscito a realizzare con il Biofeel Eleven e che ha portato in passerella nei Mercati dei fori di Traiano a Roma, per il Phygital Sustainability Expo, gli stati generali della sostenibilità della moda.

Presentiamo un abito davvero speciale“, racconta a GEA Chiara Ferraris, head of corporate communication and external relations del gruppo, che produce in tutto il mondo poliammidi, fibre sintetiche e tecnopolimeri.

Come nasce un filato da un fagiolo?

“II piccolo fagiolo nasce in India, da una pianta che si chiama Eranda. Dal fagiolo si ricava un olio che dà origine a un biopolimero al 100% naturale, che dà vita a questo filato che si chiama Biofeel Eleven. Oltre a essere 100% naturale, ha una impermeabilità naturale, è estremamente duttile e può essere utilizzato in molteplici applicazioni. E’ uno splendido abito da sera quello che presentiamo, ma utilizziamo il filato tranquillamente anche per abiti sportivi. L’abbiamo tra l’altro realizzato con una tecnologia grazie alla quale la macchina produce l’abito completo, senza dover fare assolutamente nulla, nessuna cucitura. Ma è estremamente articolato. Ha delle forme particolari ma totalmente senza gli scarti. In più, essendo materiale con caratteristiche termoplastiche, è al 100% recuperabile, per essere trasformato in qualcosa di nuovo nella sua seconda vita, con un altro valore. Zero scarti, impatto ambientale bassissimo e performance elevate per un abito davvero bello esteticamente”.

Come funziona un gruppo internazionale che vuole essere sostenibile?
“Radici è di proprietà italiana ma conta tremila persone nel mondo, più della metà in Italia. Abbiamo delocalizzato, sì, ma produciamo in America quello che vendiamo in America, in Asia quello che vendiamo in Asia e in Europa quello che vendiamo in Europa. Il nostro tessile è europeo”.

Il settore della moda però è tra i più inquinanti…
“In realtà, oggi è al quarto-quinto posto, non è più considerato tra i primissimi settori inquinanti. Detto ciò, è vero: il mondo dell’abbigliamento genera tantissimi capi e questo è dovuto soprattutto al nostro modo di acquisto. Noi, come Radici, in questo ambito abbiamo una storia molto lunga: quest’anno pubblichiamo il nostro 19esimo bilancio di sostenibilità. Significa che sono già 19 anni che rendicontiamo in modo trasparente la nostra sostenibilità. Se ci si misura si può capire come attivarsi per essere ancora più sostenibili e noi ci rendicontiamo a livello di bilancio, ma costruiamo anche gli Lca su tutti i nostri prodotti. Misuriamo per ogni filato quale sarà e come si è generato l’impatto ambientale. Il primo tema per essere sostenibili è imparare a misurarsi e capire come poter attivarsi per poter cambiare le cose”.

Misurare la propria sostenibilità ha costi importanti. Ne vale la pena?
“Ne vale sicuramente la pena. Per completare un Life Cycle Assessment ci vogliono da 1 a 2 mesi, se il prodotto è semplice, ma arriviamo anche a sei mesi. Sono sicuramente attività che occupano tanto tempo e tante risorse. Però solo in questo modo possiamo capire come essere davvero performanti in ambito ambientale. Noi come gruppo ogni anno investiamo milioni di euro in risparmio ambientale. Avendo una storia così lunga di rendicontazione, posso dire che dal 2011 a oggi abbiamo ridotto di più del 70% le nostre emissioni di C02, come gruppo mondo. Per farlo, ci sono voluti decine di milioni di investimento. Ma se non ci crediamo non possiamo fare la differenza. Spero che il consumatore capisca sempre di più che deve scegliere in modo responsabile. Una scelta responsabile ha un costo, ma cambia il mondo”.

I 60 anni di Philip Morris in Italia: focus su sostenibilità e contro inquinamento ambientale

Philip Morris celebra sessant’anni in Italia. Anni durante i quali l’impegno nel Paese è sempre cresciuto, arrivando a realizzare una filiera integrata che oggi coinvolge in tutta Italia oltre 38.000 persone impegnate verso un unico obiettivo: realizzare un futuro senza fumo. È proprio alle persone che hanno reso l’Italia protagonista di questa trasformazione che l’azienda dedica la campagna di comunicazione ’60 anni di Philip Morris in Italia. Una storia di innovazione’.

Pochi avrebbero immaginato che da una fabbrica di filtri per sigarette sarebbe nata una delle più grandi trasformazioni industriali volta a rendere le sigarette un ricordo del passato, anche attraverso la sostituzione delle sigarette con prodotti senza combustione per quei fumatori adulti che altrimenti continuerebbero a fumare. Una trasformazione attenta a generare valore condiviso per la società, con ricadute positive su tutta la filiera, dal tessuto sociale a quello economico e occupazionale. Tutto questo è stato possibile grazie alle persone, a partire dalle 35 con le quali abbiamo iniziato nel 1963 alle oltre 38 mila di oggi impegnate in tutta la filiera”, ha commentato Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia e presidente Europa Sud-Occidentale di Philip Morris International.

Una storia, quella di Philip Morris in Italia, che ha visto costanti investimenti accompagnati da un’attenzione sempre crescente ai temi di sostenibilità ambientale e sociale, per dare un contributo concreto alla transizione verso il modello di sviluppo sostenibile delineato dall’Agenda 2030 e sviluppare una strategia ESG di lungo periodo.

LA STORIA. La storia dell’azienda nel Paese inizia nel 1963, negli anni del “miracolo economico italiano”, a Zola Predosa, in provincia di Bologna, con l’apertura del sito produttivo di Intertaba S.p.A., specializzato nella produzione di filtri ad alto contenuto tecnologico per il Monopolio italiano. Negli anni successivi l’azienda continua a crescere, ponendo le basi per la svolta che renderà l’Italia il centro della trasformazione dell’intero gruppo Philip Morris a livello mondiale. Dai primi anni duemila Philip Morris inizia un percorso volto a sostenere lo sviluppo di una filiera agricola che metta al centro i coltivatori. Un percorso che grazie agli accordi pluriennali con il ministero dell’Agricoltura e Coldiretti genera investimenti per oltre 2 miliardi di euro a favore di 1.000 imprese agricole e oltre 22.000 agricoltori in Campania, Umbria, Veneto e Toscana. Una filiera corta che negli anni è diventato un modello internazionale di sostenibilità, digitalizzazione e competitività. Nel 2014 l’annuncio della realizzazione, sempre in provincia di Bologna, del primo polo produttivo al mondo per la realizzazione di prodotti innovativi del tabacco senza combustione: Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna diventa il centro internazionale per “costruire un futuro senza fumo”, anche mediante la sostituzione delle sigarette con prodotti innovativi senza combustione per quei fumatori adulti che altrimenti continuerebbero a fumare. Un investimento di oltre 1,2 miliardi di euro reso possibile grazie alle competenze sviluppate sui filtri ad alto contenuto tecnologico e alla collaborazione instaurata con i partner locali della filiera agricola, del packaging e della meccatronica.

SOSTENIBILITA’ INDUSTRIALE. L’Italia acquisisce così centralità nella strategia di Philip Morris International a livello globale, aprendo la strada a un flusso di investimenti che arricchiscono la filiera dell’azienda nel Paese: nel 2021 viene annunciata la realizzazione, presso il polo di Bologna, del Centro per l’Eccellenza Industriale, il più grande al mondo del gruppo per innovazione di prodotto, di processo e per le buone pratiche di sostenibilità industriale; nel 2022 l’azienda inaugura il suo centro per l’alta formazione e lo sviluppo delle competenze legate all’Industria 4.0: il Philip Morris Institute for Manufacturing Competences; l’inaugurazione di tre DISC (Digital Information Service Center) a Taranto, Caserta e Terni, centri avanzati di assistenza sui prodotti innovativi senza combustione, completa la filiera dal seme fino ai servizi al consumatore. Nell’ambito della dimensione sociale, nel corso di questi anni l’azienda si è concentrata sulla popolazione della propria filiera con progetti che garantissero salute, sicurezza, pari opportunità e benessere. Le certificazioni ‘Top Employer’ e ‘Equal Salary’, conseguite da anni, dimostrano la grande attenzione dell’azienda ed il suo continuo impegno per creare un contesto di lavoro giusto ed inclusivo.

I COMPORTAMENTI AMBIENTALI. Dal 2019 l’azienda si è impegnata per coinvolgere i propri consumatori verso comportamenti ambientali più consapevoli e responsabili: ‘CAMBIAGESTO’, la più grande campagna di sensibilizzazione per prevenire l’inquinamento da mozziconi mai realizzata in Italia, ne è un esempio di grande successo. Del 2021 la sottoscrizione del Codice di Autoregolamentazione promosso da Eurispes per la comunicazione e vendita attenta e responsabile dei prodotti senza combustione. L’azienda ha inoltre dimostrato in questi anni un impegno continuo e costante verso le tematiche di sostenibilità ambientale, affrontate sia in ambito agricolo che manifatturiero. La certificazione ‘Alliance for Water Stewardship (AWS)’, ottenuta per la prima volta nel 2019 e giunta ormai al suo livello GOLD per il sito produttivo di Bologna, ha testimoniato l’utilizzo responsabile delle risorse idriche del territorio, riconfermando l’impegno dell’azienda a favore di uno sviluppo sostenibile. Dal punto di vista energetico l’azienda ha messo in atto un piano congiunto di iniziative volte a minimizzare il proprio impatto ambientale, come la realizzazione di un parco fotovoltaico a copertura del 75% del sito di Crespellano e l’importante progetto ‘Zero Carbon Tech’, ancora in corso per garantire il raggiungimento della Carbon Neutrality del sito produttivo entro il 2025. In ambito agricolo in tutti questi anni l’azienda ha investito non solo in progetti di ricerca ed innovazione, come il Leaf Innovation Hub, per favorire la transizione green della filiera tabacchicola, ma anche direttamente in progetti per promuovere la biodiversità e la tutela delle risorse naturali (BeeLeaf).

Insetticoltura business del futuro, l’intuizione geniale di Bef Biosystems

A volte basta un’intuizione per cambiare un destino, purché geniale. È proprio quello che è successo ai fondatori della Bef Biosystems, startup torinese che recupera scarti alimentari, ricchi di elementi nutrizionali ma destinati al macero, per rimetterli nel ciclo della vita e renderli cibo per insetti e larve, che poi a loro volta diventano mangime per animali. Un cerchio perfetto, sostenibile e redditizio.

La storia la racconta a GEA il ceo dell’azienda piemontese, Beppe Tresso (nella foto, credit: Linkedin). “E’ un’idea di una semplicità disarmante, ma nuova. Nessuno ci ha pensato perché l’allevamento degli insetti è un’intuizione che nasce grazie alla Fao, con il documento (che esiste ancora) ‘Edible insects: future prospects for food and feed security‘, che di fatto teorizzava lo sviluppo dell’insetticoltura come risposta alla produzione di carne, per questioni ambientali. Quando iniziai ad occuparmene io era il 2014, dopo aver ricevuto da un mio collaboratore gli atti di un convegno a cui aveva partecipato in Olanda, durante il quale erano state analizzate prospettive legate sia alla produzione alimentare che ai mangimi. Così mi sono messo a studiare e andando a leggere i documenti tra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo mi sono reso conto che la Commissione Ue aveva deciso di spingere sulla produzione di nuove proteine, soprattutto per i mangimi. Ed è lì che è scattato l’interesse. Non vedendo la produzione di proteine per consumo umano significativa nemmeno sotto il profilo business, capii che il mercato per i mangimi sarebbe invece esploso.

E’ interessante capire il ragionamento da cui è partito il manager. “Ogni anno nel mondo si mangiamo 70 miliardi di animali, questo significa filiere di approvvigionamento di mais, soia e farina di pesce per alimentarli. Quindi, di colpo mi sono reso conto che si stava aprendo un mercato incredibile. Così, con alcuni amici, nel 2015 abbiamo iniziato ad allevare le larve, dopodiché abbiamo costruito i primi prototipi e studiato i vari modelli”.

L’esperienza della Bef è un’ennesima dimostrazione pratica che la sostenibilità conviene sempre. Anzi, ci si guadagna. “Mamma mia se è così. A livello medio nazionale, recuperare uno scarto organico per trasformarlo in compost o biogas ai consorzi costa, in media, circa 40 centesimi al chilo. Per fare un chilo di farina di insetto abbiamo bisogno di 16 chili di scarti organici, che non possono avere altre destinazioni. Questo vuol dire che per un chilo di farina proteica da immettere sul mercato, il risparmio è di 8 euro. La sostenibilità è ‘schifosamente’ mercenaria, perché spendiamo di meno. In più, recuperiamo sostanze nutritive che altrimenti andrebbero sprecate”.

Allevare insetti può servire anche alla produzione di altri elementi. Ma anche i biocarburanti? Secondo Tresso “a livello tecnico sì, a livello pratico non ha senso”. Perché “è un problema di energia contenuta in una certa unità di misura. E’ difficile pensare, almeno per qualche anno, che la produzione di larve di insetto costi meno di 2-2,5 euro al chilo. Visto che da un chilo di larve, se va bene, estrai 30, 40 o 50 grammi di biodiesel, quanto ti viene a costare poi alla fine?“.

Parlando di cifre, da questo mercato il guadagno non è da poco. “Con un debito supporto bancario per l’acquisto delle tecnologie, un imprenditore agricolo può, effettivamente, a fine anno, con un’attività di una persona, una persona e mezza, mettersi in casa, puliti, circa 100mila euro. Cose che non si vedono in agricoltura. Poi, è chiaro che serve un supporto finanziario, perché l’acquisto degli impianti è importante e oneroso. Però stiamo parlando di un sistema, come quello italiano, che ha 1.300 imprenditori agricoli che hanno costruito e investito milioni di euro per gli impianti di biogas“.

Un’altra curiosità che Tresso soddisfa è sulla biologicità del prodotto finale, visto che sempre di alimentazione degli animali si tratta. “L’integrazione alimentare con le larve fa sì che oltre ad avere uova (ad esempio, ndr) più buone, effettivamente, possono anche rispondere a logiche di sostenibilità non banali. Ci sono una serie di elementi che giustificano questo nuovo settore. E’ un’idea che sta funzionando, abbiamo prospettive che solo due anni fa mi sarei sognato”.

Mattarella

Mattarella: Sostenibilità, finanza, innovazione per futuro del Pianeta

Il futuro del Pianeta passa da una “governance adeguata“, che resta lo “strumento per vincere le sfide globali“. Lo dice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua Palermo, per la sedicesima edizione del Simposio Cotec Europa, dedicata al tema ‘Innovazione nella finanza sostenibile’, assieme al Re di Spagna, Felipe VI, e al presidente della Repubblica del Portogallo, Marcelo Rebelo de Sousa. Il discorso del capo dello Stato è ad ampio raggio, ma con un preciso punto di partenza: “Sostenibilità, finanza e innovazione” sono “parole chiave” che “trovano largo spazio nell’agenda internazionale e interpellano i Governi“. Per questo la riflessione sul potere trasformativo dell’innovazione tocca tutti i settori “anche quello della finanza e sul ruolo di quest’ultima nel mobilitare risorse per obiettivi di inclusione e crescita“. Mattarella guarda a quelle che definisce “trasformazioni gemelle“, la transizione digitale e quella ecologica e “al significato che assumono per una gestione responsabile dell’avvenire del pianeta e un modello di sviluppo equo“.

Perché “si tratti dell’ambiente, della salute, dell’istruzione, della lotta alla povertà, della tutela dei diritti fondamentali, il combinato di tali sfide appare immane e certamente tale da necessitare non solo la mobilitazione di risorse di matrice pubblica ma anche il coinvolgimento della società civile“. Gli effetti del cambiamento climaticosono sotto gli occhi di tutti“, dunque, alla “pressante esigenza di fornire risposte attendibili e durature” si aggiunge la “necessità di porre riparo a disuguaglianze che accrescono, in molteplici aree del globo“. Equità è un termine che ricorre spesso negli interventi pubblici del presidente della Repubblica, anche per questo motivo rileva come “pandemia e rinnovate tensioni internazionali, a partire dalla guerra scatenata dalla Federazione Russa contro l’indipendenza dell’Ucraina, hanno provocato un rallentamento delle economie, con una contrazione delle capacità di spesa in tutti i Paesi, soprattutto in quelli a più basso reddito“.

Tra l’altro, avverte, “le tensioni geopolitiche rischiano di alimentare progressive fratture nei rapporti internazionali, tali da compromettere il contesto degli accordi raggiunti in sede globale nello stesso sistema delle Nazioni Unite“. Con il rischio di “riproporre la narrativa di un mondo diviso tra un ‘club’ di Paesi agiati e arroccati nel loro egoismo, di Paesi protagonisti, come i Brics, di un impetuoso, talvolta contraddittorio, ciclo di sviluppo e, infine, di Paesi del sud abbandonati a un destino di povertà“. Una lettura respinta da Italia, Spagna e Portogallo, che non vogliono “arrendersi a una deriva di questo tipo“. Però, spiega Mattarella, “non possiamo farci guidare soltanto dalle emergenze“, quindi “l‘impegno nella realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite richiama a un’azione ad ampio raggio, in grado di coinvolgere più attori possibili“. Ergo “La sola mobilitazione di risorse pubbliche, come è stato osservato, risulterebbe in ogni caso insufficiente” e diventa “vitale dar vita a un processo virtuoso con il coinvolgimento del settore privato in partenariati che moltiplichino le capacità di spesa“. Ma “il sistema finanziario deve applicare meccanismi e regole efficaci per indirizzare sempre più risorse private verso settori e progetti sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale“.

Il capo dello Stato, inoltre, considera “del tutto incongruo” che i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo “accettino di pagare il prezzo ambientale e sociale che ha pesato sui Paesi di più remota industrializzazione nel loro percorso di crescita“. In questo scenario si inserisce il monito sulla “riforma dell’architettura finanziaria internazionale” che Mattarella considera “una prima sfida per rendere disponibili maggiori risorse per lo sviluppo, principalmente attraverso riforme mirate ad una migliore efficienza delle banche multilaterali di settore“, non dimenticando che “la diplomazia della crescita sostenibile identifica anzitutto nel capitale umano la forza trainante di un futuro fatto di sostenibilità, innovazione e inclusività“.

L’Italia “è chiamata a fare la sua parte“, ricorda ancora il presidente della Repubblica, elencando i prossimi appuntamenti multilaterali: il secondo vertice Onu sui Sistemi Alimentari di luglio, il G20 e la Cop28. Ma allo stesso tempo “occorre proseguire una riflessione condivisa sulle innovazioni che effettivamente possano sostenere un’agenda di accelerazione verso gli obiettivi delineati in sede Onu” e su questi temi “Spagna, Portogallo, Italia, con l’Unione europea, possono assolvere a un ruolo importante“, come quello di “favorire il consolidamento e l’integrazione delle finanze pubbliche dei Paesi emergenti, anche per aumentare la loro capacità di attrarre finanziamenti internazionali destinati all’ammodernamento sostenibile“. E poi l’innovazione, cogliendo “l’opportunità di finanziare la formazione, la ricerca e l’applicazione di nuove tecnologie nei Paesi partner“. Perché il domani passa anche da questi fattori.

isole minori

Piena sostenibilità ferma al 40% per le isole minori: bene Tremiti

In Italia le isole minori sono ancora molto lontane dalla piena sostenibilità: su 27 piccole isole marittime abitate prese in esame, l’indice di sostenibilità medio calcolato per la prima volta dall‘Osservatorio di Legambiente e Cnr-Iia (Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche) tenendo conto delle performance su consumo di suolo, rifiuti, acqua, energia, aree protette, mobilità e regolamenti edilizi, “è fermo al 40%“. E’ quanto emerge dal V rapporto ‘Isole Sostenibili – Le sfide della transizione ecologica nelle isole minori’ curato dall’Osservatorio presentato oggi. Tra le isole più virtuose nel percorso di sostenibilità le Tremiti (53%), le Egadi (Favignana, Marettimo, Levanzo), le Eolie (Lipari, Vulcano, Stromboli, Panarea, Filicudi e Alicudi), le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa) che raggiungono il 49% e dall’isola di Capraia che si attesta al 47%. Secondo il rapporto, sono in ritardo, invece, La Maddalena, con un indice pari al 21%, l’Elba (26%) e Ischia (29%). Sette, secondo Legambiente e Cnr-Iia, gli obiettivi che le isole minori si devono prefiggere dal coordinamento con i ministeri a zero consumo di suolo e quattro le azioni pratiche da mettere in campo dall’istituzione di una cabina di regia presso il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica alla redazione di piani di sviluppo sostenibile, alla creazione di un coordinamento unico sulla gestione dei fondi del Pnrr.

Obiettivo del report, spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente , era “tentare di ‘quantificare’ gli sforzi fatti delle amministrazioni e lo stato attuale di sostenibilità di ogni isola. I valori non sono pienamente soddisfacenti, accanto ai punti di forza sono emersi tanti punti di debolezza”. Serve, quindi, un cambio di passo attraverso obiettivi ambiziosi e azioni efficaci. Anche perché, le isole sono dei paradisi di biodiversità, “ecosistemi unici ma allo stesso tempo fragili e stressati da flussi turistici condensati nei periodi estivi”. “Si presentano come laboratori ideali per lo sviluppo di idee innovative nella direzione della transizione ecologica e all’incremento della tutela dei propri territori”, commenta  Francesco Petracchini, Direttore del Cnr-IIA convinto che fondi del PNRR isole verdi rappresentino “un’opportunità unica da cogliere nei prossimi anni per mettere in cantiere progetti virtuosi nel percorso verso la sostenibilità”.
Rispetto alle singole tematiche che vanno a comporre l’indice di sostenibilità complessivo, come rifiuti, perdite di rete, consumo di suolo, emergono le diverse velocità delle isole. Da un lato si evidenziano le buone performance di raccolta differenziata delle isole di San Pietro e Sant’Antioco, in Sardegna, che hanno raggiunto rispettivamente l’84% e l’82%, seguite dalle isole Egadi (80%) e Pantelleria (78%). Indietro nella raccolta differenziata Ponza, Lampedusa e il Giglio, con rispettivamente 9%, 20% e 30%.

Sul fronte delle perdite di rete le isole Tremiti fanno registrare il tasso più basso (9%), seguite da Lampedusa (17%), isola del Giglio (25%), Ischia e Procida (rispettivamente 26% e 27%). La dispersione idrica più alta si registra a Ponza (68%), Maddalena (62%), Sant’Antioco e l’Elba (58% e 54%), e San Pietro (52%). Sul lato della mobilità, il più basso tasso di motorizzazione spetta a Capri (31 auto ogni 100 abitanti), seguita da Procida (46/100), Ponza e Ventotene (entrambe con 51 macchine ogni 100 abitanti). Il parco auto più nuovo spetta all’isola d’Elba e San Pietro con il 49% delle auto con classe emissiva pari o superiore all’Euro5. Le maggiori installazioni di fotovoltaico in termini assoluti si trovano ad Ischia, l’Elba, Sant’Antioco, San Pietro e alle Egadi che da sole rappresentano circa il 73% della potenza installata.
Per quanto riguarda il consumo di suolo, i dati Ispra evidenziano, ad esempio, un’accelerazione a una perdita di superficie agricola pari al 2,6%.  Per questo, secondo Cnr e  Legambiente, “è importante che si rivedano e si integrino i sistemi di pianificazione e controllo territoriale tesi alla lotta all’abusivismo e alla promozione di un uso efficiente del suolo, attraverso il recupero di aree già urbanizzate, la tutela e la valorizzazione delle zone agricole di pregio e la fondamentale tutela delle risorse naturali, passando per il necessario coinvolgimento delle comunità locali”.

Infine, secondo l’Osservatorio CittàClima di Legambiente dal 2010 al 22 maggio di quest’anno sulle isole minori si sono registrati ben 14 eventi climatici estremi di cui 5 allagamenti e alluvioni da piogge intense, 3 danni da mareggiate, 2 frane da piogge intense e un caso ciascuno per danni da trombe d’aria, danni alle infrastrutture, siccità prolungata e danni da grandinate violente. Da sottolineare anche il costo in termini di vite umane con 14 vittime, 12 legate alla tragedia di Casamicciola, a Ischia nel 2022, e 2 alla tromba d’aria di Pantelleria. Per questo “è fondamentale puntare su politiche di adattamento e azioni di mitigazione delle emissioni climalteranti”, spiegano da Legambiente e Cnr.

Il 5 e 6 luglio tornano a Roma gli Stati generali moda sostenibile

Un abito realizzato in ‘Biofeel eleven‘, filato di origine naturale con performance tecniche, estetiche e ambientali elevate; una ‘Id Shirt‘, camicia prodotta con un cotone coltivato interamente in Puglia, in campi biologici, senza alcun uso di prodotti chimici e con musica a frequenze benefiche per la pianta (il polsino è frutto di una tecnologia intelligente che permette alla camicia di comunicare con chiunque tramite Nfc); coloranti prodotti da microbi e microrganismi derivanti da comunità ricche di biodiversità, che possano rappresentare una fonte alternativa per i colori realizzati a partire da combustibili fossili. Sono solo alcune delle novità in tema di moda che saranno presentate il 5 e 6 luglio, nei mercati di Traiano a Roma, al Phygital Sustainability Expo.

La kermesse è esclusivamente dedicata alla transizione ecosostenibile dei brand di moda e di design ed è giunta alla quarta edizione. Panel, momenti di dibattito, una ‘Sfilata Narrata’ e attività interattive: l’obiettivo è coinvolgere e sensibilizzare il pubblico verso una cultura sostenibile nella moda e nel Made in Italy. L’evento sarà premiato alla Cop28 di Dubai.

Una iniziativa indispensabile, considerando che ogni anno, nel mondo, vengono prodotti 150 miliardi di capi di abbigliamento, il 20% rimane invenduto e meno dell’1% viene riciclato in nuovi indumenti. Il settore della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, che si stima aumenteranno del 60% nei prossimi dieci anni. Per questo, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso invoca una “rivoluzione verde” per “rivedere il modo di produrre, raccogliere le materie prime e ripensare i modelli a noi familiari“.

Per Valeria Mangani, presidente di Sustainable Fashion Innovation Society, si tratta dell'”evento di riferimento per il settore perché riunisce istituzioni, imprese e territorio in modo da valorizzare il sistema produttivo, creativo e manifatturiero del Made in Italy, accelerando così il processo della transizione ecosostenibile nella moda e nel design”.

Un format trasversale con una ‘Sfilata Narrata‘, in cui i brand potranno esibire i loro capi più all’avanguardia e sostenibili, raccontati da una voce fuori campo che ne descrive le innovazioni tecnologiche e ne stima la carbon footprint. Nella cornice dei Mercati di Traiano si snoderà poi un’esposizione museale immersiva sulla via Biberatica: ogni brand esporrà i propri prodotti ecosostenibili, spiegandone le caratteristiche e i punti di forza nell’ambito tutela ambientale. Inoltre, saranno suddivisi per aree tematiche e per Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda ONU 2030. L’esposizione sarà accompagnata da una componente di deep technology: gli occhiali Lenovo e il codice QR. Questi strumenti daranno la possibilità agli ospiti di vedere attraverso immagini riprodotte in modo realistico e immersivo, l’impatto negativo dell’acquisto compulsivo e del fast fashion, proiettando i visitatori in varie aree del mondo, degradate a causa dei rifiuti generati dal fast fashion shopping.