Ambiente, Preinvel: il filtro che con l’aria abbatte micropolveri industriali

Quando sarà superata l’urgenza sociale di mantenere viva la produzione dell’Ex Ilva, si riaprirà quella ambientale di abbassare drasticamente le emissioni. Una soluzione la propone la startup pugliese Preinvel, che ha brevettato un filtro in grado di eliminare le micro e nano polveri da combustioni e lavorazioni industriali.

Volevamo fare qualcosa di concreto, era giusto dare un nostro contributo perché nessuno potesse più essere vittima dell’inquinamento industriale, le cui prime vittime sono, purtroppo, le fasce più deboli della popolazione”, spiegano gli sviluppatori. Un’intuizione che punta a una transizione industriale pulita e scardina il mito dell’incompatibilità tra diritto alla salute e quello al lavoro. Il sistema di filtraggio fluidodinamico risolve in “maniera efficiente, efficace e totalmente ecocompatibile“, assicura Preinvel, il problema delle emissioni industriali inquinanti.

L’osservazione della natura e delle sue leggi ha permesso alla tecnologia di sfruttare il più efficiente, economico ed eco-compatibile dei sistemi filtranti: l’aria. Utilizzando il principio di Bernoulli, il filtro crea gradienti di pressione e definisce aree di alta depressione capaci di catturare in maniera definitiva tutte le micropolveri inferiori a 0.5 micron prodotte nelle lavorazioni industriali. In questo modo si annullano le emissioni nocive garantendo efficienze filtranti altissime, costanti nel tempo e assicurando costi di manutenzione vicini allo zero, data l’assenza di componenti che necessiterebbero di periodiche manutenzioni o sostituzioni per usura o saturazione.

L’invenzione ha recentemente vinto il premio miglior startup innovativa del PNICube e il grant di Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi ‘Encubator‘. Ma ha anche vinto il primo premio dell’Apulian Sustainable Innovation Award 2021 ed è stata selezionata da Zero, l’Acceleratore di startup Cleantech della Rete Nazionale Acceleratori di Cdp, che promuove la crescita del Paese ha come Partner Eni, la holding LVenture Group e la cooperativa sociale Elis e come Sponsor la multiutility Acea, Vodafone, la multinazionale dei computer Microsoft e Maire Tecnimont, leader del comparto di impiantistica

Dalle autostrade rivoluzione della sostenibilità. Tomasi: Traghettiamo rete nel futuro

Autostrade più sostenibili, dal punto di vista ambientale, economico e sociale. E’ l’obiettivo di Aspi, che presenta il dossier ‘La Rivoluzione della mobilità sostenibile parte dalle autostrade. Sicure, digitali, decarbonizzate’.
Un testo che dimostra come questa sfida sia realizzabile solo attraverso la combinazione di più soluzioni, che vanno dagli interventi di digitalizzazione, allo sviluppo di vettori energetici alternativi con un approccio di neutralità tecnologica, fino ai non meno rilevanti comportamenti sostenibili da parte di ciascuno di noi.

La rete autostradale italiana in questo 2024 compie un secolo di vita ed entra, con il Paese, in una nuova ‘rivoluzione’ della mobilità, una trasformazione che, partendo dalla consapevolezza della strategicità della rete stradale e autostradale per il nostro sistema economico, la renda protagonista della transizione ecologica, adeguata ai bisogni attuali del Paese e sempre più sicura.

Il parco auto italiano è rappresentato da circa 40 milioni di veicoli. Oggi circa il 30% degli spostamenti quotidiani di merci e persone avviene in autostrada, che rappresenta soltanto il 3% dell’intera rete stradale nazionale. Numeri che confermano da un lato la strategicità della rete autostradale per il tessuto economico del Paese, dall’altro l’esigenza di una riflessione generale sulla modernizzazione e rigenerazione della rete, per allungarne la vita utile e la sua capacità di resistere allo stress a cui viene sottoposta quotidianamente. Un patrimonio complesso senza eguali nel panorama europeo, fatto di 6.000 km di autostrade a pedaggio gestiti da più concessionari, oltre 1.200 km di ponti e viadotti, 500 km di gallerie, con una vita media tra i 50 e i 70 anni.

I numeri dimostrano chiaramente la crucialità della rete autostradale nel nostro Paese, un’infrastruttura capillare attorno alla quale si sono sviluppati i principali settori industriali italiani“, spiega l’ad Roberto Tomasi. “Un orgoglio della nostra ingegneria negli anni del boom economico – rivendica – che oggi ci offre la possibilità di vincere una nuova grande sfida. Una rivoluzione positiva per traghettare la rete nel futuro, rendendola verde, digitale, sempre più sicura e performante: un impegno che come Autostrade per l’Italia stiamo affrontando, ma che bisogna mettere a sistema con tutti gli attori del settore per tracciare insieme un percorso lineare in cui definire gli investimenti disponibili, i profili tecnico professionali necessari e poter contribuire positivamente all’evoluzione del sistema normativo anche a livello europeo”.

Per Tomasi, la sostenibilità ambientale “non può prescindere da quella economica e sociale, per questo è necessario monitorare i trend territoriali tramite l’istituzione di un Osservatorio che consenta di valutare gli effetti di qualsiasi azione nell’ambito della transizione ecologica, facendo sistema a supporto del Governo e del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture”, rileva.

La rete autostradale è soggetta a un costante incremento di traffico, in alcune tratte prossimo al livello di saturazione. Questo patrimonio necessita quindi di un investimento in ammodernamento e potenziamento stimabile tra i 60 e i 120 miliardi. Solo nel 2019 il settore dei trasporti, in Italia, ha contribuito per circa il 27% delle emissioni totali e di queste, oltre l’80% è attribuibile al solo trasporto stradale; un dato che – visto il target fissato nel programma Fit for 55 dell’Unione Europea per il nostro Paese che impone una riduzione delle emissioni di CO2 del 43% – conferma l’inderogabilità di rendere sostenibile il trasporto su gomma.

Ma il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, avverte: “Rischiamo di farci del male nel nome dell’ideologia”. “La sostenibilità ambientale non può essere disgiunta da quella economica e sociale o rischiamo l’effetto Bce”, affonda il vicepremier, che confessa di non volere un Paese “sostenibile disperato e disoccupato“. La soluzione, insiste, è la neutralità tecnologica, senza concentrarsi solo l’elettrico.

Ad Amsterdam una ‘biblioteca dell’abbigliamento’

C’è una nuova “biblioteca” di Amsterdam in cui non si prendono in prestito libri, ma abiti, camicette e giacche: un’iniziativa per limitare l’impatto ambientale dell’industria della moda.
Si chiama ‘Lena, la biblioteca dell’abbigliamento’ ed è un luogo in cui i clienti hanno la possibilità di cambiare continuamente armadio, noleggiando nuovi capi. Il negozio ne offre a centinaia, regolarmente rinnovati e disponibili anche per l’acquisto. Su ogni capo, un’etichetta indica il prezzo, spesso caro, e il costo del noleggio al giorno, che va da 50 centesimi a pochi euro.
L’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo“, ricorda Elisa Jansen, che ha co-fondato l’iniziativa nel 2014 con le sue due sorelle e un’amica.

Secondo le Nazioni Unite, nell’era del fast-fashion una persona media acquista il 60% di vestiti in più rispetto a quindici anni fa, mentre ogni capo viene conservato per la metà del tempo. Per la Fondazione Ellen MacArthur, ogni secondo l’equivalente di un carico di vestiti in un camion viene bruciato o sepolto in discarica.

Abiti sempre nuovi. Fa del bene al pianeta. Sperimenta il tuo stile. Prova prima di comprare‘, recita un manifesto. La “biblioteca” offre la sua collezione anche online e ha punti di consegna e raccolta in altre grandi città olandesi. Jansen ha “sempre lavorato nel riutilizzo dei vestiti”, racconta, in particolare nei negozi vintage. “È allora che è nata l’idea di condividere i vestiti in un grande guardaroba comune“, spiega.

Ogni cliente paga dieci euro per diventare membro. Più di 6.000 persone hanno una tessera, ma la regolarità del prestito varia. La qualità degli abiti è “la cosa più importante” nella scelta della collezione, aggiunge la co-fondatrice, e vengono privilegiati anche i marchi sostenibili.

Qui non troverete fast-fashion“, precisa. Nove anni fa, “siamo stati davvero tra i primi“, rivendica Jansen. Esistevano altre iniziative simili in Scandinavia, ma molte poi sono scomparse.
Trovare un modello redditizio ha richiesto tempo, spiega, ma l’iniziativa in questo quartiere alla moda di Amsterdam sta convincendo, soprattutto “le donne di età compresa tra i 25 e i 45 anni, che vogliono fare scelte consapevoli ma che ritengono importante anche avere un bell’aspetto – fa sapere -. Credo sinceramente che questo sia il futuro, non possiamo continuare a consumare e produrre in questo modo“.

Lvmh, la sfida del colosso del lusso: anche i fornitori green

Settantacinque marchi di lusso, da Louis Vuitton a Dior, passando per Moët Hennessy e Guerlain, 62 miliardi di euro di fatturato nel 2023, senza però perdere di vista la strategia ambientale. Il colosso Lvmh ora traccia la strada della sostenibilità non solo per le aziende, ma anche per i suoi fornitori e i cuoi clienti.

La missione non è impossibile, garantisce il gruppo. Basta avere “strategie ben ponderate e documentate, che siano solide come le proiezioni finanziarie“, spiega l’amministratore delegato Bernard Arnault. Il tema è complesso, perché “sconvolge l’equilibrio dei mercati“, osserva. Ma la transizione è necessaria mai come ora, “soprattutto nel nostro settore”, sottolinea Antoine Arnault, responsabile dell’immagine e dell’ambiente.

L’impronta ambientale di clienti e fornitori rappresenta il 90% dell’impatto di Lvmh. Per questo la multinazionale lancia il programma ‘Life 360 business partners‘, progettato per aiutare i fornitori di servizi nella transizione. “Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi, sia in termini di emissioni di carbonio che di impatto sull’acqua e sulla biodiversità, è essenziale mobilitare i fornitori“, conferma Hélène Valade, direttore dello Sviluppo Ambientale, della società.

L’obiettivo è ridurre le emissioni di gas serradel 55% per unità di valore aggiunto entro il 2030” e di ridurre il consumo di acqua del 30% entro il 2030. Dati i volumi di produzione relativamente bassi, l’industria dei beni di lusso non è considerata uno dei settori a più alto tasso di emissioni, quindi le sue leve di azione sono le materie prime e il trasporto dei prodotti in tutto il mondo.

‘Life 360 business partners’, presentato durante una giornata dedicata al programma ambientale di Lvmh nella sede UNESCO a Parigi, è pensato per “sostenere” fornitori e partner. In pratica, il gruppo mette a disposizione dei fornitori le proprie risorse e condivide le proprie esperienze. “L’azione sul cambiamento climatico e sulla biodiversità – riconosce Arnault – sarà efficace solo se sarà vista come una vera e propria strategia industriale“.

ambiente

Sostenibilità, allarme Asvis: Regioni arretrano e crescono i divari

Il gap tra Nord e Sud sugli obiettivi di sostenibilità è ancora drammatico. “La politica di coesione va reimpostata con l’obiettivo di ridurre drasticamente i divari del Mezzogiorno e raggiungere chiari traguardi al 2030, utilizzando l’Agenda 2030 come riferimento comune“, evidenzia il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini, presentando il Rapporto Territori 2023, nella sede del Cnel a Roma.

Loda la scelta del Governo di unificare la programmazione del Pnrr e quella dei fondi europei e nazionali del ciclo 2021-2027 ma, precisa, “deve assumere in modo esplicito, come quadro di riferimento, le Strategie nazionale e regionali per lo sviluppo sostenibile elaborate in questi anni dalle Regioni, anche con l’assistenza dell’Asvis, e superare i suoi tre limiti atavici e ben noti: la mancanza di complementarità con le politiche ordinarie, la polverizzazione degli interventi e la cattiva qualità delle strutture di governo nazionali e regionali”.
Eppure, per Raffaele Fitto, mettere insieme il Pnrr con la Politica di coesione, ha avuto “ragioni ovvie“: “Parliamo di due grandi programmi, la coesione complessivamente vale 75 miliardi di euro. Il paradosso sarebbe stato avere nello stesso periodo e nello stesso territorio due programmi che non si parlassero. Il Pnrr è un programma per performance, noi abbiamo non solo voluto mantenere le 59 riforme previste, ma ne abbiamo aggiunte altre 7“, rivendica.

Secondo il Rapporto dell’Asvis, tra il 2010 e il 2022 gran parte delle Regioni italiane non hanno fatto passi avanti soddisfacenti rispetto ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu. Peggiorano le condizioni di quasi tutte le Regioni per quattro Obiettivi (povertà, qualità degli ecosistemi terrestri, risorse idriche e istituzioni), a fronte di una sostanziale stabilità per gli altri. Eccezione positiva la Valle d’Aosta e la Toscana, le peggiori performance le fanno il Molise e la Basilicata, che arretrano rispetto al 2010 su ben sei obiettivi.

Il dossier fa il punto sulla prima metà del percorso trascorso dalla firma dell’Agenda 2030 nel 2015 e indica cosa dovrebbe succedere per raggiungere i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile riducendo le gravi disuguaglianze territoriali esistenti. In base alla dichiarazione politica approvata al Summit dell’Onu del 18-19 settembre dedicato allo stato dell’Agenda 2030, il Governo italiano deve predisporre urgentemente un ‘Piano nazionale di accelerazione’ in grado di migliorare decisamente i risultati, molto insoddisfacenti, conseguiti finora dall’Italia. “Per questo, l’ASviS propone di definire il Piano entro marzo 2024, in modo da poter influenzare la predisposizione del prossimo Documento di Economia e Finanza. Su questi argomenti portiamo oggi all’attenzione delle forze politiche numerose proposte”, fa sapere il presidente, Pierluigi Stefanini.

Il Rapporto affronta anche diverse questioni da cui dipende la possibilità di migliorare significativamente la sostenibilità dei territori italiani dal punto di vista economico, sociale e ambientale, colmare le fortissime disuguaglianze che li caratterizzano e affrontare i numerosi rischi che insistono su persone e imprese, tra cui quelli sismici, vulcanici, idrogeologici, siccità e desertificazione, incendi e ondate di calore, incidenti in impianti industriali. Ad esempio, sono oltre 621mila le frane censite sul territorio italiano, il 66% di quelle complessivamente rilevate in Europa, mentre gli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante sono 970, molti dei quali si trovano in zone sismiche e di fragilità idrogeologica.

Senza un deciso cambiamento delle politiche, molti degli Obiettivi dell’Agenda 2030 non saranno raggiunti“, avverte l’Asvis. Per gli obiettivi a carattere ambientale, ad esempio, il 25% di suolo agricolo destinato a coltivazioni biologiche è raggiungibile da 11 territori su 21. Tra gli obiettivi con forti criticità, l’agenzia segnala l’efficienza idrica, la riduzione del 20% dell’energia consumata e l’azzeramento del consumo di suolo, per i quali in circa due terzi dei territori la situazione sta peggiorando, fermo restando che nessuna Regione o Provincia autonoma sembra avere la possibilità di raggiungerli entro il 2030. Situazione critica per la riduzione di rifiuti urbani: in 15 territori, infatti, questa produzione sta aumentando e in nessuna area si registrano miglioramenti significativi.

Prosegue quindi un malfunzionamento dei tanti piani di intervento adottati per colmare le distanze tra i territori, un prerequisito per affermare uno sviluppo equo e sostenibile dell’Italia: “Invitiamo il Governo ad attuare subito la nuova Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, approvata a settembre“, scandisce la presidente di Asvis, Marcella Mallen. La strategia si pone l’obiettivo di migliorare la coerenza delle politiche attraverso un modello di governance multilivello. Un modello alla cui realizzazione l’agenzia contribuisce, ricorda “insieme alle reti della società civile, mettendo a disposizione anche la propria esperienza, maturata anche nell’assistenza fornita in questi anni a diverse Regioni e Città Metropolitane, tra cui Emilia-Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto e Bologna”.

Enav, Monti: Carbon neutrality traguardo importante portato avanti negli anni

Enav è carbon neutral: “E’ un traguardo molto molto importante, fatto da tutta la squadra portato avanti negli anni e che oggi si è finalmente concretizzato. Per l’80% acquistiamo e produciamo energia da fonti rinnovabili, abbiamo trasformato tutta la nostra flotta garantendo alimentazione elettrica, accelerato i processi che consentono di recuperare un 20% su iniziative internazionali”. Lo ha detto a GEA Pasqualino Monti, ad di Enav, a margine del 5th Sustainability Day che si è svolto a Roma.

Enav, Monti: Parte importante del piano industriale dedicata a sostenibilità

“Sono molto interessato a portare avanti tutte le iniziative che abbiamo programmato, a metterle a terra, così come la realizzazione del piano industriale, del quale parte importante sarà proprio la sostenibilità”. Così l’amministratore delegato di Enav, Pasqualino Monti, a margine del quinto Sustainability Day.

Pnrr, ok Ue a quarta rata e RePowerEu. Meloni esulta: “21 miliardi, una seconda manovra”

Era nell’aria, ma ora è ufficiale. La Commissione approva le modifiche presentate dal governo al Pnrr italiano legato alla quarta rata e, contestualmente, anche il capitolo aggiuntivo del RePowerEu. Proprio il documento strategico per l’indipendenza energetica, secondo Bruxelles, “copre in modo completo i sei pilastri dello strumento” di rilancio economico, vale a dire transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, sanità e resilienza economica, sociale e istituzionale e politiche per le generazioni future.

Ci sono anche altre novità legate al RePower, perché “aumenta di dimensioni” in termini di risorse, spiega il ministro titolare del dossier, Raffaele Fitto, passando dai 2,7 miliardi di euro iniziali a 2,88 miliardi grazie all’aggiunta di “una piccola unità di calcolo di altri 100 milioni di euro”; e aumenta come contenuti: “Ora esistono sette nuove riforme che si aggiungono alle cinque già previste”. Il surplus, però, non avrà effetti immediati. “Non cambia l’importo della quarta rata” da 16,5 miliardi di euro, chiarisce l’esecutivo comunitario: “Le modifiche del totale da destinare all’Italia riguardano gli importi dalla quinta rata in poi”.

La sostanza comunque non cambia, perché tirando le somme, il governo “mette a disposizione della crescita economica italiana altri 21 miliardi di euro”, in pratica “una seconda manovra economica in gran parte destinata allo sviluppo e alla competitività del tessuto produttivo italiano”, dice la premier, Giorgia Meloni, alle associazioni datoriali, convocate a Palazzo Chigi per illustrare la legge di Bilancio 2024. “Abbiamo lavorato a una manovra consapevoli che parallelamente stavamo trattando con la Commissione europea la revisione del Pnrr”, spiega ancora la presidente del Consiglio. Lasciando intendere che la strategia dell’esecutivo è sempre stata quella di viaggiare su un doppio binario: “Abbiamo verificato le criticità e le abbiamo superate, abbiamo fatto in modo che tutti i soldi del Pnrr venissero spesi nei tempi e quindi abbiamo concentrato le risorse sulla crescita e la modernizzazione della nazione e mi pare che il risultato, sul quale in pochi scommettevano, dice che non era una scelta sbagliata”, rivendica ancora Meloni. Che ringrazia Bruxelles: “La Commissione è stata sicuramente rigida per certi versi, ma molto aperta alla possibilità che queste risorse fossero spese nel migliore dei modi”.

Entrando nel concreto, ci sono “12,4 miliardi di euro assegnati al sistema delle imprese, 6,3 miliardi alla transizione 5.0, 320 milioni per il supporto alle pmi per l’autoproduzione di energia e fonti rinnovabili e 2 miliardi per i contratti di filiera in agricoltura”, elenca Fitto. E ancora: “2,5 miliardi di euro per il supporto al sistema produttivo, 850 milioni di euro per il parco agrisolare e 308 milioni per il fondo tematico per il turismo”. Inoltre, “un’altra proposta molto qualificante è quella della rimodulazione, d’intesa con la struttura commissariale, di 1,2 miliardi destinati nella gestione destinati all’alluvione in Emilia-Romagna, Marche e Toscana. Esistono poi investimenti per 5,2 miliardi sul fronte delle reti delle Infrastrutture, 1,8 miliardi per la realizzazione e il rafforzamento strategico delle reti elettriche e del gas, oltre 1 miliardo agli interventi per la perdita e la riduzione idrica, oltre 1,1 miliardi per l’acquisto di nuovi treni ad emissioni ridotte, 400 milioni per l’elettrificazione delle banchine portuali e 920 milioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e la realizzazione di nuove scuole”.

Nella rimodulazione ci sono anche “1,380 miliardi destinati alle famiglie a basso reddito per l’efficientamento energetico e l’edilizia abitativa”. Fitto assicura che “nei prossimi giorni definiremo gli ultimi aspetti per giungere alla definizione del pagamento della quarta rata del Pnrr entro il 31 dicembre”, stessa data entro cui il governo è convinto di poter “raggiungere i target della quinta rata” e quindi “fare la richiesta di pagamento”.

A esultare è tutta la squadra di Meloni. “Con la riprogrammazione del Pnrr sono ulteriori 12,4 i miliardi per le imprese, di cui quasi 10 miliardi sui progetti del Mimit”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che vede lievitare al 30% la quota di fondi per il suo dicastero. “Quasi 10 miliardi che si aggiungono ai 19 miliardi già assegnati e agli 8 del fondo complementare, per un totale di 37 miliardi in dotazione al Mimit – riepiloga Urso -. Risorse decisive per sostenere la competitività del sistema produttivo. Destineremo così altri 6.4 miliardi a transizione 5.0 per un totale di 13,3 miliardi per l’innovazione tecnologica tra fondi Pnrr e nazionali (6.8 miliardi) già in Bilancio nel biennio 2024/2025“.

Più alberi, auto elettriche, welfare sartoriale. Ferrario (Jakala): “La nostra sostenibilità a 360 gradi”

Chi la chiama tempesta perfetta forse non ha tutti i torti. Prima la pandemia, con lo stop alla produzione e le conseguenze legate alle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e la scoperta che lavorare in un altro modo è possibile, conciliando al meglio vita privata e quella professionale. Poi la guerra in Ucraina, che ha portato alla luce la dipendenza del nostro Paese dai combustibili fossili, rendendo necessario spingere sulle energie rinnovabili. E, ancora, gli eventi meteo estremi, frutto di un cambiamento climatico che ha messo – finalmente – l’ambiente al centro dell’agenda politica nazionale e globale. Nel mezzo ci sono le persone, le imprese, le aziende di servizi, e un concetto – non certo nuovo, ma finora sottovalutato, che è quello della sostenibilità. Non solo un’idea, ma una visione che sempre di più sta modellando il sistema economico. Ecco allora che concetti come working balance e well being diventano il fulcro di un nuovo modo di intendere il lavoro.

E poi c’è un coccodrillo, uno dei personaggi de ‘Il libro della giungla’, un ‘mostro’ contro cui Mowgli combatte per una notte intera, che ha ispirato Matteo de Brabant (che nei boy scout aveva proprio questo nome) a dare vita nel 2000 a Jakala, la prima azienda a combinare marketing e tecnologia applicati al mondo dell’engagement e della fidelizzazione. E che oggi, a distanza di 23 anni, è diventata un impero che punta a chiudere il 2023 non solo con 500 milioni di fatturato, ma anche con una vision – e una mission – che sventolano la bandiera della sostenibilità a 360 gradi, integrando e rafforzando quella sociale e quella ambientale.

TREMILA MANGROVIE IN MADAGASCAR. In che modo? In occasione della Giornata degli Alberi, Jakala rafforza la sua green experience, con due iniziative dedicate all’ambiente. La prima è realizzata in collaborazione con Green Future Project, una climate tech certificata e B Corp che supporta le organizzazioni nell’implementazione di strategie sostenibili, con cui, dice a GEA Gioia Ferrario, direttrice HR dell’azienda, “portiamo avanti alcuni progetti di compensazione, come iniziative di riforestazione, protezione e produzione di energia rinnovabile”. Lo scorso anno erano state piantate 1600 mangrovie, come il numero dei dipendenti del gruppo. “Quest’anno – spiega Ferrario – ne pianteremo 2962, perché il team è cresciuto. La piantumazione avverrà sulla costa nord-occidentale del Madagascar, nel sito di Marovolavo”.

Le mangrovie, oltre ad essere essenziali per l’ecosistema marino, poiché forniscono un habitat per moltissime specie, fungono da foreste costiere, estremamente efficaci nel filtrare l’acqua, prevenire l’erosione del suolo e immagazzinare il carbonio. Ma non solo, perché, spiega la responsabile delle risorse umane di Jakala, “hanno un ruolo determinante anche per gli insediamenti umani, fornendo fonti alimentari e servizi ecosistemici”. La realizzazione della messa a dimora viene fatta dal climate partner Eden Reforestation Projects.

UNA DRIVER EXPERIENCE GREEN. Ma c’è di più, perché Jakala punta ad anticipare gli obiettivi europei per diventare una compagnia a zero emissioni entro il 2028, eliminando dal proprio parco auto tutte quelle con motori a combustione, per i quali Bruxelles ha stabilito lo stop dal 2035. “E’ la nostra driver experience – dice Ferrario – che nasce da una decisione coraggiosa, quella di anticipare di sette anni i target europei. Per tutti i neopromossi e i neoassunti, che hanno diritto all’auto, la car list sarà completamente composta da mezzi full electric. E il passaggio all’elettrico è previsto per tutti gli altri al momento della scadenza dei contratti di leasing”. Un progetto a cui si aggiungono colonnine per la ricarica elettrica presso le sedi di Nichelino (To) e Montecassiano (Mc), una policy di guida sicura ed ecosostenibile e l’introduzione di una piattaforma online con indicazione dei distributori più convenienti. E se un dipendente fa rifornimento al prezzo più basso di mercato in quel giorno, Jakala pianta un albero.

IL WELFARE SARTORIALE. E se qualcuno non desidera un’auto aziendale? “Chi rinuncia pur avendone diritto – dice Ferrario – in sostituzione può usufruire di ulteriori servizi di welfare, il cui valore economico cresce di anno in anno, per premiare il dipendente che resta in Jakala e rafforzare così la nostra forza lavoro”. Un sistema che punta tutto sul working balance: “abbiamo un approccio di grande attenzione, di riconoscimento del tipo di valore che ciascuno porta in azienda”, spiega, tanto è vero che le iniziative in questa direzione “sono costruite sulle esigenze di ciascuno”. Così, ad esempio, se un dipendente ha in programma una trasferta all’estero ma svolge il ruolo di caregiver per un familiare, l’azienda può aiutarlo a gestire la situazione in sua assenza, magari cercando soluzioni di assistenza domiciliare o agevolazioni per le visite mediche. O, ancora, è previsto l’allargamento della formazione alla famiglia dei dipendenti: così, figli o nipoti, possono partecipare a summer school che, magari, normalmente sarebbero inaccessibili per ragioni economiche.

FOCUS SULLA SALUTE MENTALE. La sostenibilità, quindi, si fa anche sociale e non solo ambientale. Basti pensare che in Jakala la questione della salute mentale è determinante. “Ovunque, ma soprattutto in un’azienda come la nostra – dice Ferrario – le attività sono intense e quindi offriamo ai dipendenti la possibilità di prendersi cura della loro salute mentale, grazie ad attività di supporto psicologico”. Un benessere che, naturalmente, viene rafforzato anche dall’hybrid working – un po’ a casa e un po’ in ufficio – a seconda delle esigenze personali e di quelle dell’azienda.

PARITA’ DI GENERE E INCLUSIVITA’. Niente, ricorda la responsabile delle risorse umane di Jakala, viene lasciato al caso. Si va dall’attenzione alla parità di genere“ci assicuriamo di averla anche dal punto di vista salariale” – al tema dell’inclusione. “Il fatto di inserire nelle aziende persone appartenenti alle categorie protette – spiega Ferrario – passa attraverso una progettualità, ma non è l’obbligo di legge che ci deve spingere in questa direzione”, quanto piuttosto un’idea che fa dell’inclusione un punto di forza. “Prepariamo molto bene chi si occupa della selezione perché vogliamo aiutare i nostri dipendenti a sviluppare al meglio le loro competenze e a trovare mansioni adatte a loro”.

Da qui, non si può tornare indietro. Lo chiedono l’ambiente e il clima, lo chiedono le persone. “Rispondiamo alle richieste dei singoli – conclude Ferrario – favorendo una cultura di maggiore responsabilità personale e di rispetto sia dell’ambiente sia della salute e sicurezza”.

E’ davvero possibile fare un grande evento sostenibile?

Concerti, fiere e festival possono essere davvero a impatto zero? E la sostenibilità – intesa come soddisfazione dei bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri – è davvero a portata di mano? Secondo Research and Markets, le dimensioni del settore degli eventi dovrebbero crescere da 1.135,4 miliardi di dollari rilevate nel 2019 a 1.552,9 miliardi di dollari nel 2028. In Italia, secondo la Siae, il 2022 ha visto oltre 3 milioni di eventi e ha generato una spesa di 3 miliardi (+183% rispetto all’anno precedente). In questo contesto, la questione della sostenibilità è aperta: se consideriamo solo la produzione di rifiuti, ad esempio, un’indagine della Bbc sull’impatto ambientale dei festival musicali mostra che soltanto nel Regno Unito ogni anno questi producono circa 23.500 tonnellate di rifiuti, circa lo stesso peso di 78 aerei Boeing 747 a pieno carico.

A dire il vero, qualcuno ci ha provato davvero ad avvicinarsi all’impatto zero. E’ il caso di band come i Coldplay che nel 2022 hanno organizzato un tour riducendo le emissioni di CO2 del 50% rispetto a quello precedente. Anche la società di intrattenimento Live Nation da diversi anni è impegnata a ridurre l’impatto – sia all’interno della coalizione globale Green Nation Touring Program sia con la creazione di un reparto Green Nation – attraverso iniziative concentrate sull’uso di energia e acqua, sui trasporti (facendo partnership con Trenitalia) e sull’efficientamento complessivo delle risorse. E alcuni grandi festival si stanno muovendo in questa direzione, tra cui il Boom Festival, tra Italia, Austria e Slovenia, che ha ricevuto la certificazione europea GSTC per il turismo sostenibile.

Come spiega Valeria De Grandis, Account Director di Superstudio Events, “purtroppo oggi ancora non è possibile organizzare un evento totalmente a impatto zero, in quanto non è praticabile eliminare o compensare tutte le emissioni e i rifiuti generati”. Esistono però, dice, “diverse best practices, che si possono adottare e che il comparto sta già adottando, guidato dalla richiesta del pubblico ma anche dalla sensibilizzazione che arriva da parte delle associazioni di categoria. Certamente si tratta di un processo complesso, a volte lungo, che richiede impegno da parte di chi organizza gli eventi”.

Secondo l’esperta, intanto è necessario partire dalla consapevolezza, perché “spesso non si ha ben chiaro in cosa non si è sostenibili”. Perciò, la prima cosa da fare “è un’analisi approfondita che identifichi le principali fonti di impatto di un evento. In genere, le criticità più diffuse riguardano il consumo di energia, l’uso di acqua, il trasporto dei partecipanti, la produzione e lo smaltimento dei rifiuti”. In secondo luogo, “tra gli aspetti più impattanti vi è senz’altro la scelta della venue: alcuni luoghi sono intrinsecamente più sostenibili di altri”. Quindi è meglio preferire luoghi industriali dismessi da ristrutturare “per raccoglierne l’eredità e restituire valore alla comunità locale”. Fondamentali poi, dice De Grandis, “gli impatti dei mezzi di trasporto – idealmente, accertarsi di organizzare l’evento vicino a una qualche fermata del trasporto pubblico oppure predisporre dei collegamenti con le stazioni –, la scelta di fornitori a loro volta sostenibili e il più prossimi possibile alla sede l’evento, l’utilizzo di materiali riciclabili, l’ottimizzazione dell’illuminazione e il riciclo dei rifiuti prodotti durante l’evento”.

Insomma, conclude l’esperta, “non sarà possibile realizzare l’evento perfetto dal punto di vista della sostenibilità ma si possono certamente creare dei processi misurabili e concreti, che rispondono a dei parametri condivisi e certificati, per rendere sempre meno impattanti tutte le manifestazioni che organizziamo, a livello pratico e molto più a fondo di qualsiasi slogan di marketing”.