Stoccolma sperimenta una ‘barca volante’ 100% elettrica per il trasporto urbano

Un’imbarcazione elettrica che vola a un metro dall’acqua e non produce quasi alcuna turbolenza: una società svedese sta testando un traghetto elettrico che dovrebbe trasportare i primi passeggeri a partire da ottobre a Stoccolma. Dotato di tre ali in fibra di carbonio posizionate sotto lo scafo – i ‘foil’ – e alimentato da una batteria al litio, questo aliscafo “è in grado di volare sopra l’acqua” una volta raggiunta una velocità sufficiente, spiega Andrea Meschini, che sta conducendo i test di ricerca e sviluppo sul Candela P-12, dell’omonima azienda svedese. L’imbarcazione mantiene la sua stabilità automaticamente grazie a sensori che regolano costantemente i foil.

Levitando sopra l’acqua, la navetta “consuma fino all’80% di energia in meno rispetto a un’imbarcazione convenzionale”, ha dichiarato il suo pilota durante la dimostrazione del prototipo al largo dell’arcipelago di Stoccolma. Poiché elimina l’attrito e la resistenza alle onde dello scafo, l’imbarcazione è in grado di andare molto più veloce dei modelli convenzionali: fino a 55 km/h. A Stoccolma, il P-12 servirà una rotta molto trafficata tra il centro della città e un’isola a ovest dell’arcipelago. La traversata dovrebbe durare 35 minuti, la metà del tempo richiesto via terra. Il contratto con SL – l’autorità per il trasporto pubblico della capitale svedese – prevede l’introduzione di un unico modello, che da ottobre potrà trasportare fino a 30 passeggeri.

È incredibile, siamo nel futuro”, si meraviglia Meschini, manovrando l’imbarcazione con un semplice joystick, che paragona a un ‘tappeto volante’. Nonostante le onde e i vortici prodotti dalle altre imbarcazioni che navigano nelle vicinanze, a bordo della navetta non si sente praticamente nulla. La barca è “piccola, veloce, non inquina e non fa quasi rumore”, si vanta il capitano. “La nostra missione principale è sempre stata quella di rendere il trasporto marittimo efficiente, sostenibile e privo di combustibili fossili”, afferma Meschini. L’impatto ambientale della costruzione della navetta non è però nullo: l’estrazione del litio che alimenta la batteria dell’imbarcazione richiede molta acqua. Sebbene la tecnologia fosse già pronta da diversi anni (Candela produce imbarcazioni volanti da diporto), questa navetta più grande doveva “soddisfare una serie di standard per essere sicura per i passeggeri”, ha dichiarato all’AFP Karin Hallén, responsabile del programma presso Candela. Sviluppando questo tipo di modello, Candela mira a conquistare il mercato internazionale del trasporto pubblico marittimo a zero emissioni. Secondo Meschini, questo settore ha “un grande potenziale perché la maggior parte delle grandi città del mondo è costruita intorno all’acqua”. “Eppure non viene utilizzato e sviluppato in termini di trasporto pubblico. Noi vogliamo colmare questa lacuna”.

Il trasporto marittimo è responsabile del 3% delle emissioni mondiali di gas serra. A marzo, Candela ha chiuso un round di raccolta fondi di quasi 25 milioni di euro. Il gruppo francese Beneteau, uno dei maggiori costruttori di barche in Europa, è uno dei nuovi investitori.

Un thermos gigante riscalderà la città svedese di Vasteras

A Vasteras, in Svezia, il gruppo Mälarenergi sta convertendo un ex deposito di petrolio in un impianto di stoccaggio di acqua calda per riscaldare la città. Le tre camere sotterranee, scavate negli anni ’70, rappresentano un volume di 300.000 m3, utilizzato per lo stoccaggio del petrolio fino all’abbandono del sito nel 1985. “Stiamo per convertirle in un gigantesco thermos per immagazzinare acqua calda“, spiega Rickard Svensson, responsabile del progetto per il gruppo Mälarenergi energy and heating di Vasteras, 100 km a ovest di Stoccolma. Il sito “consentirà di immagazzinare energia, a volte in eccesso, da utilizzare in caso di carenza“, aggiunge.

Questi depositi sotterranei si trovano vicino alla centrale termoelettrica, che fornisce elettricità e soprattutto riscaldamento ai 130.000 abitanti della città. Centinaia di metri di tubi sono installati accanto a scambiatori di calore, in modo che il calore in eccesso possa essere utilizzato per riscaldare l’acqua immagazzinata, che verrà poi utilizzata nei periodi di carenza. In un’altra stanza, centinaia di barre d’acciaio sono state installate per formare una parete che servirà da presa elettrica. “L’idea è quella di poter immagazzinare l’energia, che a volte abbiamo in eccesso, e utilizzarla nei periodi di carenza. Usarla come una grande batteria per ridurre la nostra impronta climatica“, dice il direttore.

Una volta terminati i lavori, il sito verrà allagato e chiuso. Al momento della chiusura non era mai stato completamente decontaminato. L’impianto dispone già di serbatoi di stoccaggio del calore fuori terra, ma di capacità molto inferiore. Secondo Mälarenergi, il nuovo impianto dovrebbe essere in grado di fornire 13 gigawattora (GWh).

Durante i periodi di freddo, questo nuovo impianto di stoccaggio del calore consentirà al gruppo di limitare la necessità di attingere alle attuali riserve dell’impianto, alcune delle quali alimentate da combustibili fossili. “In alcuni giorni potremo addirittura interrompere la produzione e utilizzare questa cavità“, prevede Magnus Eriksson, vicepresidente dell’azienda. La conversione di impianti di stoccaggio sotterranei non è un concetto nuovo, ma Mälarenergi ritiene di aver creato il più grande sito di questo tipo al mondo. Nel 2021, il gruppo finlandese Helen ha completato un progetto simile sull’isola di Mustikkamaa, vicino a Helsinki, con una capacità di 11,5 GWh.

Anche Vantaa Energy, un altro gruppo finlandese, sta preparando la costruzione di un sito da un milione di metri cubi, che sarà in grado di fornire 90 GWh di elettricità dall’acqua calda, secondo la società. Lo stoccaggio dell’energia è da tempo una sfida per i produttori di energia, che cercano di limitare la perdita di energia prodotta. “Per l’elettricità e il riscaldamento, lo stoccaggio dell’energia è fondamentale per adattarsi ai picchi di produzione e di domanda“, ha dichiarato Filip Johnsson, professore specializzato in questioni energetiche presso la Chalmers University of Technology di Göteborg.

L’energia eolica, ad esempio, si trova ad affrontare una sfida simile, con diverse soluzioni che non hanno ancora fatto progressi: immagazzinare l’elettricità prodotta in batterie o convertirla in idrogeno tramite elettrolisi dell’acqua, osserva Johnsson.

Lezione nei boschi: l’esperienza scandinava degli asili all’aperto

Con qualsiasi tempo, i bambini trascorrono la giornata correndo nei boschi o costruendo capanne, e alcuni fanno anche un pisolino all’aperto: nel Nord Europa, la scuola per i più piccoli si fa spesso all’aperto. Nella foresta, seduti su un telone sul terreno innevato, Agnes e i suoi amici, di cinque anni e poco più, allineano bastoncini di legno per una lezione di matematica improvvisata. “Usiamo pezzi di legno per mostrare loro che si può usare qualsiasi cosa in natura per fare matematica“, spiega la loro insegnante, Lisa Byström. È una scena, per noi italiani, improbabile: i bambini tagliano i pezzi di legno con grandi coltelli, ma questo non desta alcuna preoccupazione. “A scuola si siederanno con un foglio di carta e una penna, ma qui pensiamo che possano farlo in modo più divertente“, spiega l’insegnante.

In Svezia, come in Danimarca, la scuola non è obbligatoria fino all’età di sei anni e questo metodo di prescolarizzazione è molto apprezzato dai genitori, che sono felici che i loro figli imparino a capire la natura. “Al giorno d’oggi la tecnologia è quasi ovunque, quindi per me è necessario andare nella natura fin da piccoli per imparare come comportarsi e rispettare l’ambiente“, dice Andreas Pegado, uno degli assistenti all’infanzia la cui figlia frequenta l’asilo.

Ogni giorno i bambini pranzano intorno a un fuoco di legna su piccole panche, a meno che non piova troppo e debbano rientrare. Dopo, i piccoli dormono all’aperto nei sacchi a pelo, anche quando la temperatura scende ben al di sotto dello zero. “Prendono molta aria fresca, dormono più a lungo e meglio“, dice Johanna Karlsson, direttrice dello stabilimento ‘Ur&Skur’ (letteralmente ‘In tutte le stagioni’), che non si lascia spaventare dai 5°C.

Nella vicina Danimarca, molti asili urbani utilizzano ‘autobus forestali’ che ogni mattina portano le classi dal marciapiede alla campagna. Ogni giorno, ad esempio, un gruppo di Stenurten, uno dei 78 asili su mezzo migliaio di Copenaghen che offre queste escursioni quotidiane, parte dal quartiere di Nørrebro, nel centro della città, per un viaggio di 30 minuti. Lì, accanto a una casetta dove possono ripararsi, un grande campo che si affaccia sul bosco permette loro di variare l’apprendimento e sviluppare l’autonomia.

Tutti indossano una tuta da sci, sia i bambini che gli adulti. Un detto nordico dice che non esiste il cattivo tempo, ma solo un cattivo abbigliamento. Stare all’aperto tutto il giorno, anche quando ci sono -10°C? I professionisti concordano sul fatto che i bambini piccoli che trascorrono del tempo all’aperto stanno meglio e hanno meno probabilità di ammalarsi. Negli anni ’20, un medico islandese consigliava di far dormire i bambini all’aperto per rafforzare il loro sistema immunitario, un’abitudine che da allora è stata adottata in tutto il Nord Europa senza essere rinnegata dalla classe medica. Uno studio britannico pubblicato nel 2018 sul British Educational Research Journal suggerisce che insegnare ai bambini piccoli a stare all’aperto migliora le capacità di collaborazione, incoraggiandoli a lavorare con gli altri, soprattutto attraverso il gioco.

La sostenibilità di H&M non convince: tonfo nel quarto trimestre 2022

Non sono bastate le azioni e la campagne per ridurre l’impatto ambientale e attirare, così, una generazione di giovani attenti all’ambiente e al clima. H&M, colosso svedese della fast fashion e secondo al mondo dopo Zara, ha chiuso in rosso il quarto trimestre del 2022, alla fine di un anno complicato, appesantito dalla decisione di chiudere tutti i punti in vendita in Russia e da una combinazione di altri fattori sfavorevoli. Tra questi, l’aumento del prezzo delle materie prime e del dollaro alto che, insieme all’impennata dei prezzi dell’energia, si sono tradotti in costi di acquisto più elevati. Dopo l’annuncio dei conti in discesa, le azioni del gruppo hanno registrato un calo quasi del 7% alla Borsa di Stoccolma.

La nostra decisione di cessare l’attività in Russia, che era un mercato importante e redditizio, ha avuto un effetto negativo significativo sui nostri risultati”, ha sottolineato l’amministratrice delegata Helena Helmersson. “Piuttosto che scaricare l’intero costo aggiuntivo sui nostri clienti, abbiamo scelto di rafforzare ulteriormente la nostra posizione” nel tentativo di guadagnare quote di mercato. Insomma, i prezzi al pubblico di abbigliamento e accessori non sono aumentati, ma sono cresciuti i costi di produzione e dell’intera filiera.

L’ultimo trimestre del 2022 è stato caratterizzato da una perdita netta di 864 milioni di corone (77 milioni di euro). Un dato inaspettato per gli analisti, che scommettevano su profitti nettamente positivi superiori a 2 miliardi, secondo le stime di Bloomberg e Factset. Nell’intero anno finanziario, il fatturato del gruppo è aumentato del 12%, a 223,5 miliardi di corone, ma solo del 6% escludendo gli effetti valutari. Allo stesso tempo, l’utile netto annuo è sceso del 68% a poco meno di 3,6 miliardi di corone.

H&M, che vede buone prospettive per il 2023, spiega che l’accumulo di fattori sfavorevoli ha avuto un effetto negativo di 5 miliardi in totale sui suoi profitti. Dalla chiusura dell’esercizio, a fine novembre, “le vendite sono partite bene. I fattori esterni sono ancora difficili ma stanno andando nella direzione giusta“, secondo lad. Il numero dei negozi del gruppo si è ridotto a 4.465 a fine novembre, ovvero 336 in meno rispetto al 2021, con quasi la metà dell’impatto legato a il ritiro da Russia e Bielorussia (175 negozi chiusi).

Da anni H&M lotta per dare vita a un nuovo modello, più attento alla sostenibilità e all’ambiente, ma i profitti sono diminuiti costantemente negli ultimi 10 anni, a parte un rimbalzo nel 2021 al termine delle restrizioni legate alla pandemia. Ieri il gruppo ha annunciato di aver firmato un nuovo accordo con i sindacati con l’obiettivo di proteggere ulteriormente la salute e la sicurezza dei lavoratori dell’abbigliamento in Pakistan, dove viene prodotta buona parte dei prodotti venduti in Occidente.

Il bio made in Italy conquista il nord Europa: Scandinavia è la nuova frontiera

Il bio made in Italy conquista il nord Europa. Danimarca e Svezia, infatti, sono tra i mercati più promettenti del settore, nonché due Paesi in cui il biologico ha avuto un incremento rispettivamente del +183% e del +176% negli ultimi 10 anni e un tasso di penetrazione del bio dell’87%. E’ quanto emerge dalla survey originale sui consumatori danesi e svedesi presentata oggi in occasione del quarto forum ITA.BIO, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico made in Italy curata da Nomisma e promossa da Ice Agenzia e FederBio.

Molto positiva la performance dell’export agroalimentare bio: nel 2022 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del +16% (anno terminante a giugno) rispetto all’anno precedente. Per altro, il riconoscimento del bio Made in Italy sui mercati internazionali è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere made in Italy, con un peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022. La gran parte delle esportazioni riguarda il food ma è rilevante anche il ruolo del vino. Negli ultimi 10 anni, spiega Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, “le esportazioni di biologico made in Italy sono letteralmente esplose (+ 181%), facendo diventare l’Italia il principale esportatore di alimenti bio a livello internazionale dopo gli Usa“. I Paesi Scandinavi, aggiunge, “sono mercati dove la richiesta di prodotti biologici made in Italy è in crescita, prodotti che uniscono attenzione alla sostenibilità con la qualità elevata delle produzioni agroalimentari italiane e incorporano valori culturali, sociali e ambientali riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo”.

Tutti i numeri del bio in Scandinavia sono positivi. La Danimarca è l’ottavo mercato al mondo per valore delle vendite di prodotti bio sul mercato interno con 2.240 milioni di euro e una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare pari a ben il 13% (quasi raddoppiata rispetto al 2010). Segue a pochissima distanza la Svezia – nono consumatore mondiale di prodotti bio – con un valore di 2.193 milioni di euro e un peso del bio che sfiora quasi il 9%. Alta anche la spesa pro-capite per prodotti bio: 384 euro in Danimarca e 212 euro in Svezia che fanno sì che i due Paesi si collochino ai vertici della classifica mondiale, rispettivamente al secondo e quinto posto. Nel confronto internazionale, nel percepito dei consumatori danesi, l’Italia si posiziona al primo posto tra i Paesi che producono i prodotti bio di maggiore qualità: a pensarla così è il 38% degli user bio. Nel caso della Svezia, il nostro Paese si contende la leadership con la Danimarca: in tal caso la quota di user che indica l’Italia quando pensa ai prodotti bio di maggiore qualità è pari al 37%. Olio extra vergine d’oliva, formaggi, conserve di pomodoro, salumi, formaggi e vino sono i prodotti italiani a marchio bio più acquistati dai consumatori scandinavi ma anche le categorie per i quali il consumatore è più interessato al binomio bio-Made in Italy.

Dal rapporto presentato da Nomisma risulta anche che il vino è uno dei prodotti bio più diffusi sul mercato scandinavo. In Svezia, l’Italia è leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume nel 2021; un successo da ricondurre in primis all’ottimo posizionamento di alcuni territori come Veneto (grazie al Prosecco che rappresenta la denominazione a marchio bio più venduta in Svezia), Sicilia e Puglia.

Simson: “Se ci saranno più rischi che benefici, Ue pronta a sospendere ex ante il price cap”

A distanza di quasi un mese dall’accordo difficile sul tetto al prezzo del gas, l’Unione europea guarda alle priorità energetiche dei prossimi mesi e si prepara a un’ampia riforma del mercato elettrico per disaccoppiare i prezzi del gas e dell’elettricità. Una riforma necessaria, ne è convinta la commissaria europea all’energia, Kadri Simson (nella foto), che in un’intervista a GEA assicura che la Commissione Ue “sta lavorando a pieno ritmo per presentare le proposte entro la fine di marzo” e presto avvierà una consultazione pubblica per avviarne le discussioni.

Gli Stati membri hanno faticato a trovare un accordo per introdurre un tetto massimo del prezzo del gas dopo mesi di discussioni. Secondo lei, l’accordo raggiunto lo scorso 19 dicembre dai ministri dell’energia è stato il miglior compromesso possibile?

“L’accordo che abbiamo raggiunto è un passo coraggioso per rispondere con unità alla crisi energetica e in cui tutti hanno dovuto scendere a compromessi. L’importante è che ora disponiamo di uno strumento per prevenire episodi di prezzi del gas eccessivi in ​​Europa che non riflettono i prezzi del mercato mondiale. I prezzi del gas elevati ed estremamente volatili sono dannosi per la nostra economia, per le nostre persone e le nostre imprese. Non potevamo semplicemente stare a guardare e aspettare. Ora abbiamo un altro importante strumento nella nostra cassetta degli attrezzi per proteggere i nostri cittadini e le nostre imprese dai picchi dei prezzi dell’energia”.

Quali saranno i vantaggi, in concreto?

“Con un tale meccanismo in atto, l’Europa sarà meglio preparata per la prossima stagione invernale e per un nuovo ciclo di riempimento dei depositi, che sarà più impegnativo di quanto non sia stato quest’anno. Penso che il modo in cui il mercato ha reagito alla nostra decisione sia un buon indicatore del fatto che abbiamo imboccato la strada giusta e che è positivo semplicemente prendere una decisione. Come tutte le misure adottate nel 2022, stiamo offrendo stabilità e certezza al mercato, e questo di per sé aiuta a ridurre al minimo la volatilità. I prezzi potrebbero risalire una volta che i nostri livelli di stoccaggio scenderanno e se il clima invernale si farà più rigido, ma credo che l’accordo raggiunto fosse necessario per evitare il ripetersi di episodi di prezzi eccessivi”.

La misura non è ancora in vigore ma è già stata criticata non solo dalla Russia ma anche da altri fornitori di gas dell’Ue, come l’Algeria. La Commissione è in contatto con i partner per fornire rassicurazioni?

“Durante l’intero processo di accordo su un meccanismo di correzione del mercato, siamo stati trasparenti con i nostri partner e ovviamente siamo stati in contatto con loro. Il meccanismo è concepito in modo da mantenere l’attrattiva dell’Europa come mercato per i fornitori. È fondamentale continuare a collaborare con partner affidabili per diversificare le nostre forniture”.

Il primo rapporto preliminare di Esma e Acer sul meccanismo di correzione del mercato è atteso entro gennaio 2023. Lei ha detto che se i rischi del meccanismo supereranno i benefici, la Commissione è pronta a sospenderne ex ante l’attivazione. Questo significa che il tetto al prezzo del gas potrebbe non essere mai implementato?

“La Commissione è sempre stata molto chiara sul fatto che questo meccanismo porta benefici ma non è privo di rischi. Per questo prevede presidi specifici per attrarre l’approvvigionamento di GNL, assicurare liquidità sui mercati finanziari ed evitare aumenti dei consumi di gas. Prima dell’entrata in vigore del meccanismo il 15 febbraio, ACER ed ESMA presenteranno un rapporto, per informare sui possibili effetti negativi. Ascolteremo gli esperti, compresa anche la Banca centrale europea. Nel caso in cui le condizioni per l’attivazione siano soddisfatte, ma i rischi superino i benefici, la Commissione è pronta a sospendere ex ante l’attivazione del meccanismo”.

Il 2023 sarà un anno importante sul fronte energetico, a breve è attesa la prima consultazione sulla riforma del mercato elettrico. Cosa dovremmo aspettarci da questa riforma, oltre al disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità e del gas?

“L’attuale struttura del mercato dell’energia elettrica ha prodotto un mercato efficiente e ben integrato, consentendo all’Europa di raccogliere i vantaggi economici di un mercato unico dell’energia, garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento e sostenendo il processo di decarbonizzazione, in tempi normali. Tuttavia, durante la crisi energetica, abbiamo anche assistito alla vulnerabilità dell’attuale struttura del mercato dell’elettricità dell’UE”.

Quali sono le criticità e quando arriverà la proposta?

“Dipendiamo troppo dal gas, anche nella produzione di energia. Pertanto, nonostante la crescente quota di energie rinnovabili nel mix energetico, i consumatori non vedono ancora, in misura sufficiente, i vantaggi in termini di costi della transizione energetica. L’attuale struttura del mercato ha garantito la sicurezza dell’approvvigionamento, anche durante la crisi. Ma dobbiamo fornire prezzi prevedibili per i consumatori sulla base di tecnologie pulite e convenienti, e allo stesso tempo certezza degli investimenti e ricavi sostenibili e prevedibili per le imprese. Stiamo lavorando a pieno ritmo per presentare le nostre proposte entro la fine di marzo e presto avvieremo una consultazione pubblica per consentire a tutte le parti interessate di esprimere le proprie opinioni. Dobbiamo rendere il nostro mercato dell’elettricità pienamente adatto a un sistema energetico decarbonizzato e facilitare l’adozione di energia rinnovabile. L’obiettivo principale della riforma sarà quello di mettere a disposizione di tutti i vantaggi di una produzione di energia pulita ed economica”.

Sulla riforma del mercato elettrico le posizioni degli Stati membri sono distanti quanto lo erano sul price cap. Vede il rischio di ripetere lunghe trattative anche sul disaccoppiamento tra prezzi gas ed energia elettrica?

“Stiamo lavorando duramente a una proposta volta a offrire i vantaggi della transizione verso l’energia pulita ai consumatori di tutti gli Stati membri dell’Ue. Il 2022 ha chiaramente dimostrato che la cooperazione ti porta oltre il fare le cose da soli o, peggio ancora, l’uno contro l’altro. Ho visto una notevole disponibilità al compromesso attorno al tavolo dei ministri dell’energia dell’Ue, non solo sul meccanismo di correzione del mercato, ma su tutti gli strumenti che abbiamo introdotto quest’anno per affrontare questa crisi energetica senza precedenti. Perché i ministri capiscono il motivo per cui lo stiamo facendo e quali sono le conseguenze geopolitiche. Mi aspetto che una riforma cruciale per il nostro futuro energetico, come la revisione del disegno del mercato elettrico, sarà gestita con lo stesso spirito”.

Un ruolo importante sarà svolto dalla nuova presidenza di Svezia alla guida dell’Ue dal primo gennaio…

“Sono già stata in contatto con la ministro svedese dell’Energia (Ebba Busch, ndr) che presiederà le riunioni del Consiglio Energia durante la sua presidenza, e credo che trovare un compromesso adeguato su tale questione sarà in cima alla loro lista di priorità”.

Basterà per affrontare la crisi dei prezzi? È ancora viva l’idea di una soluzione più strutturale alla crisi, come un nuovo ‘Sure’ finanziato dal nuovo debito comune, come suggerito dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton?

“Il 2022 è stato un anno straordinario per la politica energetica dell’Ue. Abbiamo agito su molti fronti per affrontare questa crisi. Non solo affrontandone i sintomi e sostenendo finanziariamente coloro che lottano per pagare le bollette, ma anche affrontandone le cause alla radice, in particolare lo squilibrio tra domanda e offerta sui mercati globali del gas. Abbiamo diversificato le nostre forniture, ridotto la domanda di energia in modo coordinato, creato uno stoccaggio comune nell’Ue e accelerato la diffusione delle energie rinnovabili. Quest’anno avremo a disposizione anche altri strumenti, come l’acquisto in comune del gas, nuove regole per la solidarietà e un meccanismo di correzione del mercato per evitare impennate del prezzo del gas. Inoltre, continueremo con l’attuazione del nostro piano REPowerEU, che ci aiuterà a riconquistare la nostra indipendenza energetica con investimenti nella sicurezza dell’approvvigionamento, nonché nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica. Potenzieremo la sua potenza di fuoco finanziaria. È in corso una valutazione delle necessità”.

Parlando di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi, l’Ue sta cercando di compensare il gas russo affidandosi a Paesi come Israele o il Qatar, che, finito al centro dello scandalo di presunta corruzione di eurodeputati e funzionari del Parlamento Ue, ha minacciato un impatto negativo sui negoziati in corso con Bruxelles. La Commissione non vede il rischio di spostare la dipendenza energetica dell’Ue verso altri partner inaffidabili?

“Per troppo tempo l’Ue è stata oltremodo dipendente dalle importazioni russe di combustibili fossili. Vediamo l’impatto dell’eccessiva dipendenza da un fornitore con i consumatori che ne pagano il prezzo. Penso che con questa crisi senza precedenti, stimolata dall’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo imparato la lezione. Questo è il motivo per cui abbiamo rapidamente diversificato le nostre rotte di approvvigionamento, in modo che nessun fornitore possa mai più danneggiarci in questo modo. Quest’anno abbiamo notevolmente aumentato i volumi di gas in arrivo nell’Ue da Stati Uniti, Norvegia, Egitto, Azerbaigian e altri paesi. E siamo molto grati per questa collaborazione. Ma dobbiamo assicurarci di non dipendere troppo da una linea di approvvigionamento o da una rotta e, infine, eliminare gradualmente la nostra dipendenza dai combustibili fossili tutti insieme. Questo è il motivo per cui stiamo anche ponendo molta enfasi sulla promozione di soluzioni rinnovabili autoctone, che possono essere diverse in ogni stato membro, ma ci aiutano proprio là dove sono necessarie”.

In Svezia il più grande giacimento di terre rare in Europa: essenziali per transizione ‘green’

Il più vasto ‘deposito conosciuto’ di terre rare in Europa. Si trova nella regione mineraria di Kiruna, nell’estremo nord della Svezia, ed è stato scovato dal gruppo minerario LKAB. Oltre un milione di tonnellate che fanno ben sperare verso una maggiore autonomia del Vecchio Continente ansioso di ridurre la sua dipendenza dalla Cina per i metalli essenziali per la transizione verde. “Questo è il più grande deposito conosciuto di elementi di terre rare nella nostra parte del mondo, e potrebbe diventare un elemento importante per la produzione delle materie prime fondamentali assolutamente cruciali per la transizione verde“, ha infatti dichiarato Jan Moström, CEO dell’azienda svedese.

Al momento resta ancora da stabilire l’esatta estensione del deposito ma, secondo le stime attuali, rappresenterebbe meno dell’1% delle riserve mondiali, stimate finora in 120 milioni di tonnellate dall’US Geological Survey. La scoperta è comunque una buona notizia per un’Unione Europea la cui industria ha bisogno di metalli per fabbricare veicoli elettrici o più turbine eoliche. Attualmente, il 98% delle terre rare utilizzate nell’Ue viene importato dalla Cina, che ha quindi un monopolio virtuale nel settore.

Il nostro fabbisogno di terre rare da solo aumenterà di cinque volte entro il 2030“, aveva affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione lo scorso settembre. “Dobbiamo evitare di ritrovarci di nuovo in una situazione di dipendenza, come per petrolio e gas“, aveva avvertito, annunciando per l’occasione lo sviluppo di un regolamento europeo sulle materie prime critiche.

Nei suoi sforzi per frenare il riscaldamento globale, l’Ue ha anche posto fine alle vendite di nuove auto a benzina e diesel a partire dal 2035, da sostituire con modelli elettrici. “L’elettrificazione, l’autosufficienza e l’indipendenza dell’Ue nei confronti di Russia e Cina partiranno dalla questa miniera“, ha affermato la vicepremier svedese e ministra dell’Economia e dell’energia, Ebba Busch. Oltre ai magneti permanenti delle turbine eoliche e delle auto elettriche, alcuni di questi metalli rari sono utilizzati nella composizione di schermi televisivi, droni o persino dischi rigidi.
Per sostituire gli idrocarburi e raggiungere la neutralità del carbonio nel 2050, l’Ue avrà bisogno di 26 volte più terre rare entro quella data rispetto ad oggi, ha calcolato l’Università KU Leuven.
E non è un caso che l’annuncio di LKAB, un gruppo pubblico, si avvenuto durante una visita a Kiruna della delegazione della Commissione Europea. A breve termine, Busch ha sottolineato l’importanza per l’Ue di “diversificare” l’origine delle sue importazioni. “Ma a lungo termine, non possiamo fare affidamento esclusivamente su accordi commerciali“, ha detto.

Tuttavia, secondo LKAB, resta da percorrere “un lungo cammino” prima che il giacimento possa essere sfruttato. Alla domanda sulla data prevista, l’ad Moström ha risposto che dipenderà dalla richieste delle case automobilistiche e dalla velocità di ottenimento delle necessarie autorizzazioni che, secondo la sua esperienza, richiedono “tra i 10 e i 15 anni“. “Sono fiducioso che questo avrà un impatto considerevole” per ridurre la dipendenza dalla Cina, ha spiegato, stimando che il giacimento di Kiruna consentirebbe di fabbricare “una parte significativa” dei magneti utilizzati nei motori delle auto elettriche prodotte in Europa entro il 2035.

La Svezia aveva già un deposito di questo tipo, ma più piccolo, a Norra Kärr, nel sud del paese, attualmente inutilizzato. In Europa, comunque, non esiste alcuna miniera di terre rare.

La Svezia alla guida della presidenza del Consiglio Ue: sul tavolo la crisi energetica

Europa più verde, più sicura e più libera. Dal primo gennaio (e per i successivi sei mesi) la Svezia è alla guida semestrale del Consiglio Ue e dovrà confrontarsi con la sfida dei prezzi dell’energia e le nuove iniziative che la Commissione europea ha previsto per il 2023 sul fronte energetico. Sicurezza e unità, competitività, transizione verde ed energetica, valori democratici e stato di diritto. Sono i quattro pilastri della presidenza di Stoccolma, che nel logo del semestre sceglie di mettere in relazione le parole “Svezia”, “2023” e “UE” a simboleggiare “la solidarietà e la comunità”, di cui gli Stati membri dovranno dar prova nei prossimi dodici mesi. Per la Svezia si tratta della terza volta alla testa della presidenza (la prima risale al 2001, la seconda al 2009) e dal primo luglio lascerà il testimone alla Spagna.

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, riconosce che la Svezia assume la presidenza del “Consiglio in un momento cruciale”, così come cruciale dovrà essere la “leadership per preservare la nostra unità europea a sostegno dell’Ucraina. Potete contare su di me per portare avanti la vostra ambiziosa agenda per la nostra Unione”, ha scritto in un tweet.

Nel documento programmatico che illustra quali saranno le priorità del semestre, Stoccolma assicura che continuerà “a impegnarsi per affrontare i prezzi elevati e volatili dell’energia, affrontando al contempo la riforma a lungo termine del mercato energetico”, raccogliendo dunque il testimone della presidenza ceca (che si è chiusa il 31 dicembre). Una proposta di riforma strutturale del mercato elettrico, che dovrebbe includere anche il disaccoppiamento dei prezzi dell’energia, è attesa da parte della Commissione europea nel primo trimestre 2023. La proposta della Commissione Ue sarà centrale nella prima parte dell’anno, ma sulla riforma del disegno del mercato elettrico gli Stati hanno aspettative diverse: alcuni (come l’Italia e la Francia) vogliono una riforma di tipo strutturale, altri (come Germania) evocano piccole modifiche. La presidenza dovrà iniziare a conciliare le posizioni dal momento che l’idea è quella di arrivare a fine legislatura, nel 2024, con un accordo politico sul tema.

Da una parte, affrontare le sfide urgenti della crisi energetica; dall’altra, portare avanti il lavoro di rivoluzione ‘verde’ del Green Deal. Sul piano legislativo, la promessa di Stoccolma è quella di mettere “in atto il pacchetto sul clima ‘Fit for 55’”, l’ambizioso pacchetto climatico presentato a luglio 2021 dalla Commissione europea come tabella di marcia per abbattere le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) come tappa intermedia per la neutralità climatica al 2050. Priorità di Stoccolma sarà chiudere i negoziati con l’Europarlamento sugli ultimi dossier rimasti in sospeso nel ‘Fit for 55’, come la revisione della direttiva sull’efficienza energetica e la revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (entrambe del 2018).

Nella sua agenda verde, Stoccolma prevede di portare avanti anche i lavori per un accordo con l’Eurocamera (che ancora non ha adottato la posizione negoziale) sulla proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (Energy Performance of Building Directive – Epbd) e sulla seconda metà di proposte legislative del ‘Fit for 55’ presentata a dicembre 2021, ovvero il pacchetto che riguarda il mercato dell’idrogeno e del gas decarbonizzato su cui gli Stati membri devono trovare la loro posizione negoziale. Dovrà lavorare inoltre a un accordo politico con l’Eurocamera sulle norme per la riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico.

La Svezia riconosce di assumere le redini dell’Ue in un momento di sfide storiche particolarmente difficile per gli Stati membri e per l’Unione nel suo complesso. “L’invasione illegale, inaccettabile e non provocata della Russia dell’Ucraina è una minaccia per la sicurezza europea, con conseguenze disastrose per la migrazione, nonché per le forniture globali di cibo ed energia”, si legge sul sito della presidenza. Sebbene siano state intraprese “azioni decisive” per fronteggiare la crisi, “è imperativo rimanere saldi nella nostra transizione verso l’economia verde e salvaguardare le basi del nostro modello economico per una crescita a lungo termine”. Per questo, Stoccolma ha fissato tra i quattro pilastri del suo semestre di presidenza l’obiettivo di mantenere la rotta sulla transizione verde, affrontando allo stesso tempo l’aumento dei prezzi dell’energia.

“Durante un inverno freddo, l’UE deve restare unita per far fronte al duplice compito di realizzare la transizione energetica e riscaldare le case europee”, ha sottolineato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, in un intervento al Parlamento del 14 dicembre in cui ha indicato le priorità della presidenza. Dalle parole del primo ministro emerge che priorità andrà ad accelerare l’elettrificazione dell’UE, e a portare “avanti i lavori sulle proposte del pacchetto sul mercato del gas per sostituire l’energia fossile russa con altre fonti energetiche a basse emissioni di carbonio”.

Anche sul fronte ambientale, la presidenza di turno si prende l’impegno di chiudere i dossier rimasti aperti del pacchetto ‘Fit for 55’ e portare avanti i negoziati tra gli Stati Ue sulla proposta di un quadro di certificazione della rimozione del carbonio e sulla direttiva sugli imballaggi, entrambi presentati dalla Commissione Ue il 30 novembre scorso.

Il semestre di presidenza è ufficialmente iniziato, ma la prima riunione ufficiale della presidenza si terrà nella piccola città Kiruna, e non nella capitale Stoccolma, dal 12 al 13 gennaio. Kiruna è la città più settentrionale della Svezia e ospiterà, come da tradizione, il primo incontro della Commissione Europea, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, con il primo ministro Kristersson e il governo svedese.
La visita della Commissione europea nel paese che detiene la Presidenza all’inizio del semestre è una tradizione consolidata. Insolita la scelta di ospitare la presentazione del programma in una città che non è la capitale, ma la futura presidenza dell’Ue spiega la scelta dal momento che Kiruna “è all’avanguardia nell’innovazione, nella ricerca spaziale e nella transizione verde” e ospita la miniera sotterranea di ferro più grande del mondo, dove ogni giorno vengono estratte 75.000 tonnellate di minerale di ferro a una profondità di 1.600 metri. “Abbiamo scelto di tenere questo incontro a Kiruna per presentare un’area unica della Svezia, una regione unica dell’UE in cui è attualmente in corso una transizione industriale verde di portata storica”, afferma Kristersson. Kiruna non è solo una città mineraria, è anche una città spaziale. Ospita l’unico centro spaziale della Svezia, che – si legge ancora – è stato fondato oltre 50 anni fa e uno degli unici due centri spaziali in tutta Europa. Oggi il centro spaziale è utilizzato principalmente per la ricerca sulla microgravità e sulle condizioni atmosferiche.

 

(Photocredit: AFP)

Dall’Eeb l’agenda verde per la prossima presidenza svedese del Consiglio europeo

Sei mesi per cercare di imprimere un deciso cambio di passo nella politica verde e sostenibile e fare del Green Deal europeo le fondamenta della nuova Unione europea. Sei mesi complicati perché carichi di sfide non facili, ma che hanno nella Svezia un Paese che, per tradizione e attenzione ai temi ambientali, può fare la differenza. Il mondo ecologista ripone grandi aspettative nella presidenza di turno che si apre il primo gennaio. Le 180 sigle riunite European Environmental Bureau (Eeb) invitano quindi a focalizzare l’attenzione sull’agenda verde dell’Ue, con un documento rivolto proprio al governo di Stoccolma, che per sei mesi avrà il compito di dirigere i lavori in sede di Consiglio dell’Ue. Certo le preoccupazioni non mancano, come dimostra Patrick ten Brink, segretario generale dell’ Eeb, che nell’introduzione alla relazione non può fare a meno di interrogarsi: “La domanda è: la Presidenza svedese faciliterà i passi avanti e l’ascesa alla sfida storica che l’Europa e il mondo devono affrontare?”.

L’auspicio è quello di “avanzare con ambizione nei fascicoli sotto la presidenza svedese del Consiglio dell’Ue”. Per cercare di trovare quelle risposte che il mondo dell’associazionismo vorrebbe, si stila innanzitutto il ‘decalogo’ delle cose da fare, una lista dei dieci ambiti di intervento. Avanti con il Green Deal, garantire la sicurezza energetica, e poi ancora proteggere la biodiversità e promuovere un’agricoltura più sostenibili. L’ombrello delle associazioni ecologiste chiede quindi alla Svezia, come quinta cosa, di “affrontare le pressioni sulle acque superficiali e sotterranee e garantire acqua pulita per tutti”. Azione numero sei: politiche per una migliore qualità dell’aria. Quindi politiche di contrasto alla diffusione delle sostanze chimiche, “passare a un’industria a inquinamento zero”,cogliere tutto il potenziale dell’economia circolare” e rafforzare e promuovere la giustizia ambientale.
Alla presidenza ormai prossima si offrono anche suggerimenti su come declinare questa agenda. Sul fronte dei trasporti si esorta a occuparsi degli spostamenti marittimi. Per dare impulso al Green Deal europeo occorre “decarbonizzarlo, rimuovendo l’esenzione fiscale per i combustibili marini” attraverso la direttiva sulla tassazione dell’energia (ETD). Ed è sempre in quest’ottica che si invita a “concordare uno standard per i combustibili a intensità di carbonio (EUFuelMaritime) e ridimensionare l’infrastruttura dei combustibili rinnovabili nei porti attraverso il regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi”.

Capitolo rinnovabili, essenziale per l’indipendenza energetica e la transizione verde. Qui si insiste sulla necessità di “accelerare in modo significativo l’adozione” dei permessi “semplificando i processi amministrativi senza compromettere le salvaguardie ambientali e fornendo una forte certezza giuridica sia per gli sviluppatori di progetti che per le autorità di autorizzazione”. Si chiede inoltre di garantire “la pianificazione territoriale per accelerare la realizzazione di infrastrutture per le energie rinnovabili”. Più in generale, però, si invita la presidenza svedese di turno del Consiglio dell’Ue a “sostenere e promuovere obiettivi più elevati per andare oltre la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, poiché una maggiore ambizione creerà nuovi posti di lavoro e ridurrà le bollette energetiche”. In tal senso si chiede dimantenere un obiettivo del 45% per la quota di energia rinnovabile nel consumo finale di energia entro il 2030” nella revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, e procedere a “l’adozione di un obiettivo di efficienza energetica del 40% nel consumo finale di energia” nella revisione della direttiva sull’efficienza energetica. Ancora, si chiede di “negoziare solidi criteri di sostenibilità per l’approvvigionamento e l’uso della biomassa”, compreso un meccanismo di limitazione e riduzione graduale per ridurre significativamente l’uso di biomassa legnosa primaria nell’Ue”. Il documento non manca di toccare il tasto del conflitto russo-ucraino, e gli impegni assunti dall’Ue e dai suoi Stati membri per la ricostruzione. Quest’ultima andrebbe realizzata essendo guidati “dagli obiettivi del Green Deal europeo in particolare neutralità in termini di emissioni di carbonio, inquinamento zero, e una transizione giusta”. Non certo un impegno di poco conto. Ecco perché, scandisce il segretario generale dell’Eeb, “i prossimi sei mesi saranno essenziali per dimostrare e migliorare l’impegno dell’U e nell’affrontare la tripla crisi climatica, della biodiversità e dell’inquinamento e contribuire a rendere il Green Deal l’agenda di trasformazione di cui l’Europa ha bisogno”. L’European Environmental Bureau offre il proprio contributo all’azione politica. La parola ora al governo svedese.

Tra price cap e Fit for 55, si chiude la presidenza di Praga alla guida dell’Unione europea

Non c’è dubbio che il semestre di presidenza della Repubblica ceca alla guida dell’Ue che si concluderà il 31 dicembre sarà ricordato per la risposta che l’Unione europea ha dato alla crisi dell’energia e dei prezzi innescata dalla guerra di Russia in Ucraina. Dall’ultimo (in ordine di tempo) difficile accordo sul price cap raggiunto a dicembre, allo sblocco dei principali dossier del pacchetto climatico ‘Fit for 55’ che porterà l’Ue ad abbattere le emissioni del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) come tappa intermedia per la neutralità climatica al 2050.

Otto Consigli Ue dell’Energia (due ordinari, uno informale e cinque straordinari), cinque pacchetti di emergenza contro il caro prezzi adottati nel giro di sei mesi, sei accordi politici con l’Europarlamento sui file del ‘Fit for 55’, oltre che centinaia di riunioni e incontri informali. I numeri del semestre ceco alla guida dell’Ue danno la misura della gravità dell’emergenza che l’Unione europea si è trovata ad affrontare, in genere si convocano due o al massimo tre riunioni a livello ministeriale durante una sola presidenza. Il ministro ceco dell’Industria e del commercio, Jozef Síkela, che ha presieduto tutte le riunioni, lo aveva detto fin dall’inizio sposando il motto diventato celebre a Bruxelles del “Convocherò tutti i Consigli Energia straordinari che saranno necessari” per affrontare la crisi. E così ha fatto.
L’Ue ha assistito a tensioni sui mercati dell’energia già alla fine del 2021, con la ripresa post-Covid che ha spinto al rialzo i prezzi del gas e dell’elettricità, una situazione aggravata dalla Russia che ha mantenuto provocatoriamente bassi i suoi flussi di gas verso l’Europa. Nulla in confronto all’impatto che poi l’invasione russa dell’Ucraina e la successiva manipolazione delle risorse hanno avuto sul sistema energetico dell’Ue.

Sei mesi fa, Praga assumeva la guida dell’Ue scegliendo il motto ‘Rethink, Rebuild, Repower’ (Ripensare, rinnovare e “ripotenziare” l’UE) vista la necessità per il Paese di concentrarsi sull’attuazione del pacchetto energetico ‘RePowerEU’, presentato il 18 maggio dalla Commissione Europea come una tabella di marcia per liberare l’Unione dalla dipendenza dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027. La presidenza è riuscita a raggiungere un’intesa con gli Stati membri lo scorso 14 dicembre sul piano per l’indipendenza energetica, che ora dovrà essere attuato dalla futura presidenza di Svezia che sarà alla guida dell’Ue dal primo gennaio e fino a giugno.
L’eredità di Praga alla testa dell’Ue sarà però l’accordo raggiunto in extremis lo scorso 19 dicembre sul tetto al prezzo del gas, quel meccanismo di correzione del mercato proposto dalla Commissione europea il 22 novembre (dopo mesi di pressione e insistenza da parte dei governi, in particolare l’Italia) che per mesi ha diviso l’Europa ed è stato un nodo difficile da sbrogliare, con l’opposizione di Germania e Paesi Bassi. In attesa di capire se il cap verrà mai attivato (sarà in vigore dal 15 febbraio), Praga è riuscita a trovare un’intesa tra i governi anche su una serie di misure di emergenza proposte dalla Commissione europea per affrontare la riduzione delle forniture in arrivo da Mosca e i prezzi alti dell’energia: la riduzione dei consumi di gas del 15% (rispetto alla media dei consumi degli ultimi cinque anni) tra il primo agosto 2022 e il 31 marzo 2023; la riduzione della domanda di elettricità e l’introduzione di un tetto massimo a 180 euro/MWh sui ricavi dei produttori di elettricità a costi bassi (i cosiddetti inframarginali) oltre che un contributo di solidarietà pari al 33% dei profitti per le aziende del settore dei combustibili fossili.

Poi, ancora, lo scorso 19 dicembre l’accordo sul price cap ha ‘sbloccato’ anche il via libera dei ministri dell’energia alle nuove regole sulla solidarietà, gli acquisti congiunti di gas (che dovrebbero partire nel 2023 per l’acquisto congiunto di 13,5 miliardi di metri cubi di gas), un nuovo indice di riferimento per il Gnl complementare al TTF olandese (anche questo atteso a inizio 2023) e l’accelerazione delle autorizzazioni per le rinnovabili, gli ultimi due regolamenti di emergenza proposti da Bruxelles rispettivamente il 18 ottobre e il 9 novembre.
Sul fronte ambientale e climatico, il più grande successo della presidenza ceca è legato all’approvazione di tutte le sezioni climatiche del ‘Fit for 55’. Tra queste, l’accordo raggiunto il 18 dicembre con l’Eurocamera per riformare il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’Ets – Emission Trading System) – il mercato europeo del carbonio -, l’intesa per creare un Fondo sociale per il clima per ammortizzare i costi della transizione e la tassa sul carbonio alle frontiere. A fine ottobre, raggiunta anche l’intesa con l’Eurocamera per porre fine a partire dal 2035 alla vendita delle auto a combustione, diesel e benzina. Poi ancora, accordo raggiunto sull’aumento della capacità delle foreste e dei suoli di assorbire le emissioni di CO2 (il cosiddetto regolamento LULUCF) e limiti più severi alle emissioni di CO2 da trasporti, edifici, rifiuti e agricoltura (il regolamento sulla condivisione degli sforzi). Resta in eredità alla presidenza svedese la revisione delle direttive di efficienza energetica ed energie rinnovabili (entrambe del 2018), su cui però ora il Consiglio Ue ha una posizione negoziale per avviare i colloqui con l’Europarlamento. Fuori dal ‘Fit for 55’, la presidenza ceca ha raggiunto un accordo con gli Stati membri anche sulle norme per le batterie sostenibili e sulla revisione delle reti TEN-T, che dovrebbe tradursi in viaggi di migliore qualità e maggiori finanziamenti per la costruzione dei trasporti.

Alla presidenza svedese, che ha posto la transizione energetica tra le sue priorità, resta l’attuazione di parte degli accordi che Praga ha contribuito a realizzare. Così come nuovi interventi di cui la Commissione europea ha già annunciato la presentazione nella prima parte del 2023, dalla riforma del mercato elettrico – che dovrebbe includere il disaccoppiamento dei prezzi del gas e dell’elettricità – al nuovo indice di riferimento per il gas naturale liquefatto che sarà complementare al TTF olandese.