Distrutta la diga Kakhova in Ucraina. Kiev: “Rischi ambientali enormi, è un ecocidio”

Decine di villaggi allagati, migliaia di persone evacuate, una centrale idroelettrica completamente distrutta, un danno ambientale impressionante e il rischio che la centrale di Zaporizhzhia non riceva più l’acqua necessaria per il suo raffreddamento. Sono le devastanti conseguenze del crollo parziale della diga di idroelettrica di Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud dell’Ucraina. Un crollo dovuto ad attacchi multipli, di cui Ucraina e Russia si accusano a vicenda. L’esercito di Kiev punta il dito contro Mosca, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky denuncia un “crimine di guerra”.

Anzi, qualcosa di più: “Un ecocidio”, “una bomba di distruzione ambientale di massa”. Che, dice Zelensky all’inviato speciale di Papa Francesco, il cardinale Matteo Zuppi, in visita a Kiev, avrà “conseguenze terribili per la vita delle persone e per l’ambiente“. L’Ucraina ha già annunciato l’evacuazione di “oltre 17.000” civili dalle aree allagate intorno alla diga, ma più di 40.000 persone sono a rischio di inondazione. E, oltre agli allagamenti, la situazione ambientale è peggiorata dalle 150 tonnellate di olio motore che si sono riversate nel fiume Dnepr, mentre secondo la presidenza ucraina c’è il la possibilitàdi fuoriuscita di altre 300 tonnellate.

Sullo sfondo, anche l’allarme nucleare. Perché l’acqua della diga è necessaria affinché la centrale di Zaporizhzhia, a 150 km di distanza, riceva energia per i condensatori delle turbine e i sistemi di sicurezza. Secondo l’Aiea non esiste nessun rischio immediato, ma Kiev sottolinea che il pericolo  di un “disastro nucleare” alla centrale di Zaporizhzhia “aumenta rapidamente“. “Il mondo è di nuovo sull’orlo di un disastro nucleare, perché la centrale nucleare di Zaporizhzhia ha perso la sua fonte di raffreddamento. E questo pericolo sta aumentando rapidamente“, dice un consigliere della presidenza ucraina. Secondo il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, Rafael Mariano Grossi, martedì mattina l’acqua nel serbatoio utilizzato per fornire acqua di raffreddamento alla centrale era a circa 16,4 metri, “ma se scendesse sotto i 12,7 metri” non potrebbe più essere pompata per raggiungere l’impianto. Una soluzione ‘tampone’ sarebbe il bacino di raffreddamento che si trova accanto al sito. Ma è fondamentale “che questo bacino di raffreddamento rimanga intatto. Nulla deve essere fatto per minare potenzialmente la sua integrità. Chiedo a tutte le parti di garantire che non venga fatto nulla per indebolirlo“, sottolinea Grossi.

Intanto tutto il mondo osserva la situazione a distanza. Il capo del Consiglio europeo, Charles Michel, chiama Mosca a rispondere di questo “crimine di guerra“, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg lo denuncia come “un atto oltraggioso”. Germania, Francia e Regno Unito condannano l’azione. Arriva indignazione anche dall’Italia, dove il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani condanna il bombardamento che “sta mettendo a rischio migliaia di persone e sta provocando un disastro ecologico, aggravando ulteriormente l’emergenza umanitaria in atto. Seguo con la massima attenzione e preoccupazione gli sviluppi, anche in relazione alle possibili conseguenze sulla sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzia“. “Siamo al fianco degli amici ucraini e di tutti i civili che stanno subendo le conseguenze di questo ulteriore e brutale attacco“, conclude.

Meloni e Mattarella al fianco dell’Ucraina: “Sostegno in ogni ambito e finché sarà necessario”

Per ricostruire l’Ucraina, nei prossimi 10 anni, serviranno almeno 411 miliardi di dollari. E’ la stima della Banca Mondiale, che la vicepresidente Regionale Europa e Asia centrale ricorda durante la conferenza bilaterale sulla ricostruzione del Paese ospitata da Roma. Nel Palazzo dei Congressi 700 persone, fra rappresentati del mondo imprenditoriale, delle principali istituzioni finanziarie internazionali e delle associazioni di categoria raccolgono notizie sui fabbisogno del Paese direttamente dalle autorità ucraine. Un modo per Governo, enti e imprese italiane di avanzare proposte e rispondere alle necessità di Kiev, non solo in termini di breve, ma anche di medio e lungo periodo. Per questo, l’Italia si candida a ospitare nel 2025 la Ukraine Recovery Conference.

Vengono siglati una serie di memorandum: sulla protezione dell’ambiente (“colpito gravemente a causa dell’aggressione russa”, denuncia il primo ministro di Kiev, Denys Shmyhal), ma anche sull’industria (tra le ferrovie ucraine e l’azienda Mermec), sul settore agroalimentare e per la ricostruzione delle centrali idroelettriche.

Sostegno pieno dell’Italia all’Ucraina, “in ogni ambito e finché sarà necessario“, garantisce il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che prima della conferenza riceve al Quirinale il primo ministro dell’Ucraina, Denys Shmyhal, il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, e una delegazione diplomatica. “L’Italia esprime il forte convincimento favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea nel più breve tempo possibile e apprezziamo l’impegno del suo governo per il cammino di riforme intraprese per rispettare i parametri comunitari“, afferma.

Italia in prima fila, dunque, con un ruolo di primo piano “non solo dal punto di vista politico, ma anche coinvolgendo i privati, le nostre imprese, il nostro know-how“, spiega la premier Giorgia Meloni. Agli imprenditori italiani chiede di “non avere paura“, perché investire sulla ricostruzione dell’Ucraina “non è azzardato, è uno degli investimenti più oculati e lungimiranti che si possono fare“. Investire, costruire, ricostruire e “saper guardare oltre i difficili mesi che stiamo attraversando“, ribadisce la premier, significa “scommettere sulla vittoria dell’Ucraina e sull’integrazione europea di questo paese”.

Di “incontro molto concreto” parla Shmyhal, che ringrazia Roma per il sostegno a 360 gradi, in particolare per l’invio di generatori che hanno consentito al Paese di “superare l’inverno“. “Quello che sta facendo la Russia, colpendo sistematicamente le infrastrutture strategiche, vuol dire cercare di piegare la popolazione con il freddo e la fame. Noi abbiamo difeso la popolazione e l’Italia deve esserne fiera“, rivendica Meloni.

La Russia ha iniziato una aggressione vera e propria sul settore energetico“, conferma il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in video collegamento. Ricorda come anche l’Unione europea abbia subito la crisi energetica, ma abbia “tenuto, rispondendo in modo degno“. Per il futuro Zelensky guarda alle energie verdi, “un sistema più resiliente” e all’aiuto dell’Italia soprattutto per le smart grid, le reti intelligenti. Ma l’Ucraina, garantisce, è utile al mondo in molti modi: “La comunità internazionale ha capito il nostro potenziale dell’agroindustria ucraino. Siamo in grado di fornire cibo a milioni di famiglie nel mondo. Senza cibo c’è il caos, questo significa più migranti, in Europa in particolare“, osserva. Ma non solo, Kiev possiede il litio, il gas, materie prime: “Possiamo sostituire le aziende russe in moltissimi settori“, assicura il presidente ucraino.

La ricostruzione “è parte fondamentale dell’azione di solidarietà e vicinanza che noi europei e italiani vogliamo dimostrare“, commenta il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Un passo importante, perché, ne è convinto, il Paese “sarà presto parte dell’Ue, quindi è giusto si cominci fin da adesso a lavorare insieme”.

La Banca Europea di Investimenti è molto attiva in Ucraina già dal 2007, spiega la vicepresidente, Gelsomina Vigliotti. Gli interventi sono stati intensificati poi dal 2014, sono state investite risorse per più di 200 progetti di rinnovamento delle infrastrutture. Il lavoro è continuato durante la guerra, a seguito dell’invasione russa. “Ci siamo concentrati su investimenti con rendimenti sociali efficaci, ci siamo mossi velocemente e non rallenteremo. E’ più di un imperativo morale“, assicura Vigliotti. Ora i finanziamenti si concentrano sugli interventi in energia, crescita, ferrovie. Aree cruciali per lo sviluppo del Paese. “La stima è che siano necessari 14 miliardi di dollari per gli interventi più urgenti“, fa sapere.

La Bei è chiamata a giocare un ruolo fondamentale” nella ricostruzione, conferma il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, che annuncia che il nostro contributo al fondo di garanzia Bei “è una garanzia di 100 milioni di euro“. Il sostegno della Banca all’economia ucraina, riflette Giorgetti, è “coerente con la futura prospettiva di adesione all’Unione“.

La ricostruzione richiede uno sforzo corale di tutti, sostiene il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini: “L’Italia può e deve rappresentare un valore aggiunto“, scandisce.

La gratitudine di Kiev arriva anche dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba: “I contatti tra i nostri governi sono più dinamici che mai”, dice, considerando la guerra non un ostacolo per gli investimenti, perché “stiamo rendendo il nostro paese ancora vitale e attrattivo“.

Photo credit: profilo Twitter Denys Shmyhal @Denys_Shmyhal

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L’Ue prepara il secondo pacchetto di aiuti per l’import del grano da Kiev

La Commissione europea lavora a un secondo pacchetto di aiuti per i Paesi confinanti con l’Ucraina, dopo che Polonia, Ungheria e ora anche Slovacchia hanno deciso di chiudere le frontiere all’import di grano e altri cereali in arrivo da Kiev.

Lo scorso 20 marzo la Commissione ha proposto un primo pacchetto di aiuti pari a 56,3 milioni di euro finanziati dalla riserva agricola per tre Paesi: 29,5 milioni di euro alla Polonia, 16,75 milioni di euro alla Bulgaria e 10,05 milioni di euro alla Romania, dandogli la possibilità di integrare questo sostegno fino al 100% con fondi nazionali che ammonterebbero a un aiuto finanziario totale di 112,6 milioni di euro per gli agricoltori interessati. “Ora stiamo valutando un secondo pacchetto, ma è ancora in discussione”, ha dichiarato la portavoce della Commissione Ue per l’agricoltura e il commercio, Miriam García Ferrer,, senza però fornire ulteriori dettagli sulle risorse che potrebbero essere mobilitate e per quali Paesi.

Questa volta potrebbe riguardare più Stati membri oltre a Polonia, Bulgaria e Romania. “Siamo consapevoli che ci sono anche altri Paesi che possono essere colpiti, è importante sottolineare che stiamo prendendo in considerazione l’impatto di questo aumento delle importazioni sui Paesi in prima linea”. Prima Polonia e Ungheria, ora anche Slovacchia. Salgono a quota tre i Paesi europei ad aver annunciato di aver chiuso le frontiere al grano e altri cereali in arrivo dall’Ucraina. E Bruxelles è “in contatto con le autorità competenti dei Paesi che hanno annunciato queste misure e con le autorità di Kiev per capirne lo scopo e la loro base legale, perché non abbiamo chiarezza di questo punto”, ha dichiarato la portavoce.

Da quando l’invasione della Russia ha bloccato alcuni porti del Mar Nero, grandi quantità di grano ucraino sono finite nei Paesi confinanti dell’Europa centrale, a volte rimanendo bloccate lì a causa di colli di bottiglia logistici. L’accumulo di grano e cereali nei silos ha avuto per mesi ripercussioni sulle vendite per gli agricoltori locali, con una svalutazione del prezzo dei beni agricoli. Non solo Polonia, ma anche altri Paesi dell’Europa centrale come Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria stanno lamentando la stessa pressione dell’aumento del grano in arrivo da Kiev per essere trasferito in altre parti del mondo.

Varsavia è stata la prima capitale ad annunciare sabato di aver varato un pacchetto – ribattezzato scudo agricolo contro la guerra – con una serie di azioni per sostenere gli agricoltori polacchi dagli effetti di questo eccesso di importazioni, che prevede tra le altre cose l’acquisto comune di grano immagazzinato in silos e di vietare l’importazione di alcuni prodotti agricoli in Polonia. Poco dopo è seguito lo stesso annuncio di Budapest, a cui si è aggiunta questa mattina anche la Slovacchia.

La nostra reazione a questa situazione potrebbe essere drastica, ma questa è una decisione per questi momenti, quando c’è una guerra, quando dobbiamo proteggere i polacchi, il mercato polacco, l’agricoltore polacco. Questo è il nostro dovere”, ha motivato il nuovo ministro polacco dell’Agricoltura, Robert Telus. Proprio le tensioni sociali e le proteste degli agricoltori hanno portato nelle scorse settimane alle dimissioni del precedente ministro Henryk Kowalczyk costrette dalla crescente pressione degli agricoltori che per settimane hanno protestato in tutto il Paese minacciando di bloccare anche i valichi di frontiera.

Contatti in corso tra Bruxelles e le Capitali che hanno agito in questi termini, dal momento che azioni unilaterali nel contesto della politica commerciale non sono ammesse. Durante il briefing con la stampa, la portavoce ha ricordato che l’area commerciale è competenza esclusiva dell’Unione europea e quindi viene gestita a livello comunitario. “Per questo azioni unilaterali da parte dei Paesi Ue nel quadro della politica commerciale non sono consentite”, ha spiegato, senza però entrare nel merito degli strumenti in capo alla Commissione europea per rispondere a queste azioni.

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Grano, Mosca: Estensione dell’accordo si complica. A Ginevra incontro con l’Onu

Il rinnovo dell’accordo sul grano si complica. Sergei Lavrov inizia a preparare il terreno per un nuovo braccio di ferro con la comunità internazionale a pochi giorni dalla scadenza del patto che ha permesso la ripresa delle esportazioni di cereali dai porti ucraini, nonostante l’offensiva di Mosca.
Se l’accordo è attuato a metà, allora la questione della sua estensione diventa piuttosto complicata“, è l’affondo del ministro degli Esteri russo, secondo il quale le clausole destinate a favorire la Federazione non sarebbero state attuate “affatto“.

La ‘Black Sea Grain Initiative’, il nome ufficiale dell’accordo, deriva da un patto siglato il 22 luglio che ha contribuito ad alleviare la crisi alimentare globale causata dall’attacco russo all’Ucraina. Vitale per le forniture alimentari globali, l’accordo è stato rinnovato a metà novembre per i quattro mesi invernali e scade il 18 marzo.

Il prossimo 13 marzo a Ginevra si tengono nuove consultazioni sull’accordo, al quale parteciperà anche la delegazione interdipartimentale russa, con i rappresentanti delle Nazioni Unite. Ieri il segretario generale, Antonio Guterres, ha lanciato un nuovo monito da Kiev: estendere l’accordo è “cruciale“, ha ricordato, invitando a “creare le condizioni per utilizzare al meglio l’infrastruttura di esportazione“. L’intesa ha permesso di sbloccare 23 milioni di tonnellate di grano dai porti ucraini. L’accordo “ha contribuito ad abbassare il costo globale del cibo e ha fornito un’assistenza cruciale alle persone che stanno pagando un prezzo pesante per questa guerra, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo“, ha precisato il capo delle Nazioni Unite.Il grano e i fertilizzanti ucraini e russi sono “essenziali per la sicurezza alimentare globale e per i prezzi dei prodotti alimentari“, in un contesto di inflazione diffusa in molti Paesi del mondo.

Martedì l’Ucraina ha invocato l’impegno della comunità internazionale per mantenere aperte le rotte marittime del Mar Nero e, al vertice del G20 di inizio marzo, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha cercato la mediazione con la Russia nel tentativo di far andare avanti i negoziati. Mosca, da parte sua, sostiene che la parte dell’accordo che avrebbe dovuto consentirle di esportare fertilizzanti senza le sanzioni occidentali non viene pienamente rispettata. “I nostri colleghi occidentali, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, dicono pateticamente che non ci sono sanzioni su cibo e fertilizzanti, ma questa non è una posizione onesta“, scandisce Lavrov. Di fatto, spiega, “le sanzioni vietano alle navi russe che trasportano Grano e fertilizzanti di entrare nei porti appropriati e vietano alle navi straniere di entrare nei porti russi per prendere questi carichi”. “Il prezzo dell’assicurazione per le navi – fa sapere – è quadruplicato a causa delle sanzioni“.

Un anno di guerra in Ucraina: le conseguenze fra energia e inflazione

Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022-24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa Unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.

Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra, la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automaticamente un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporanee: quando il prezzo del la risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.

E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.

Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.

La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.

Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia , con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.

Meloni a Kiev: “Lavoriamo per conferenza ricostruzione ad aprile”

Una dichiarazione congiunta sulla pace, sull’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, sulla ricostruzione, per la quale Roma lavora a una conferenza che si terrà ad aprile. Giorgia Meloni torna da Kiev, Bucha, Irpin dopo aver toccato con mano il dolore, la devastazione, ma anche la voglia di rivalsa di un Paese che, giura, l’Italia e l’intera Europa non abbandoneranno.

Saremo con voi fino alla fine”, promette visitando i luoghi dei crimini di guerra a Bucha, al procuratore generale Andriy Kostin. Paragona lo spirito ucraino al risorgimento italiano, prima, al boom del dopoguerra poi: “Sono certa che nei prossimi anni potremo parlare di un miracolo ucraino“, è l’auspicio.

Parla accanto al presidente Volodymyr Zelensky, allontana lo spettro di divisioni interne alla maggioranza di governo per le posizioni filoputiniane espresse da Silvio Berlusconi. “Nessuno gli ha mai bombardato la casa“, fa notare Zelensky.

Rimane agli atti che c’è un aggredito e un aggressore, rimane agli atti che per paradosso è l’aggredito che cerca un negoziato di pace“, precisa Meloni e fino al negoziato assicura all’Ucraina ogni genere di supporto. Supporto politico, militare, per difendere le infrastrutture strategiche contro il “gioco sadico” di portare allo stremo la popolazione civile, supporto umanitario e finanziario. Il gruppo di lavoro ‘emergenza elettrica Ucraina‘, voluto fortemente proprio da lei, ha già inviato materiale per diversi milioni di euro. Un tentativo di sostenere il Paese in sofferenza elettrica dopo i bombardamenti. Partono per l’Ucraina trasformatori e gruppi di diversa taglia, cavi e accessori per cercare di ripristinare una fornitura di energia stabile a circa 3 milioni di persone.

La conferenza sulla ricostruzione di aprile continuerà e amplierà molto il lavoro: “C’è un know how che le imprese italiane possono offrire, lo metteremo a disposizione perché nella ricostruzione l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista“, afferma la premier. Si partirà dalle esigenze principali, con un “cambio di passo” sul lavoro fatto finora: “Io non concentrerei la ricostruzione sul futuro – spiega -. Un segnale molto importante è lavorare subito. L’Italia credo possa fare la differenza“. Pensa al settore dei trasporti, dell’energia, dell’agroalimentare. Ma c’è un sogno, che è anche un messaggio di speranza. Sia Roma sia Odessa sono candidate per l’Expo 2030: “Sarebbe straordinario che l’Expo tornasse in Europa, ma possiamo lavorare insieme per questa scadenza, è un segnale importante di come crediamo che le cose andranno bene domani“.

 

(Photo credit AFP)

Ue, Meloni: Inopportuno l’invito di Macron a Zelensky

“Mi è sembrato più inopportuno l’invito” di Macron “al (presidente ucraino, Volodymr) Zelensky di ieri. La nostra forza in questa vicenda è la nostra compattezza e la nostra unità. Capisco le questioni di politica interna, ma ci sono dei momenti in cui privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a scapito della causa”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in arrivo al Consiglio europeo straordinario a Bruxelles, in riferimento alla visita di ieri del presidente ucraino a Parigi, dove ha incontrato il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, alla vigilia del Vertice Ue in corso a Bruxelles oggi e domani.

Ecco perché nel 2023 il prezzo del gas tornerà a essere ‘normale’

Fare previsioni economiche affidabili con una guerra in corso è un arduo esercizio. E quindi il lettore mi perdonerà se farò ragionamenti un po’ generali e tendenziali, se parlerò di sentiment piuttosto che di numeri, sfruttando impressioni e sensazioni che mi vengono dall’osservatorio privilegiato rappresentato dal grande gruppo internazionale in cui opero, attivo in tre settori: energia, siderurgia e shipping. Si tratta di tre aree di business tipicamente legate ai trend macroeconomici e ai cicli dell’economia che spesso anticipano gli andamenti più generali.

Dopo il 2021 e il 2022, che sono stati anni di rilancio delle economie mondiali post-Covid segnati da tassi di crescita particolarmente elevati un po’ ovunque, e da un gigantesco ‘effetto molla’ che ha creato non pochi problemi di squilibrio tra domanda e offerta, la situazione sta rapidamente cambiando. Quali sono i fatti che stanno condizionando l’andamento economico della fine di questo anno e che condizioneranno il 2023?

Gli impulsi inflazionistici (soprattutto inflazione da costi delle materie prime e da scarsità di tutti i componenti elettronici) registrati nel 2021 e 2022 e causati dallo squilibrio temporale tra domanda e offerta conseguente alla violenta ripresa post pandemica delle economie mondiali, hanno provocato un rialzo dei tassi di interesse in tutto il mondo.

In Europa questi impulsi inflazionistici sono stati drammatizzati dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e in particolare dalla crisi energetica provocata dalla progressiva riduzione delle forniture di gas russo al nostro continente.

Le banche centrali, americana e europea, hanno reagito alla situazione provocando appunto il rialzo dei tassi di interesse e così ci siamo trovati in una situazione che non conoscevamo da tanto tempo: inflazione a due cifre (negli Usa si è parlato di una fiammata inflattiva che ha raggiunto il 15%, in Europa siamo intorno al 10%) e un costo del denaro che improvvisamente è tornato a crescere anche perché le banche, costrette per decenni a margini di intermediazione bassissimi, ne hanno un po’ approfittato per ricostruire la redditività perduta. Al riguardo è sufficiente guardare i profitti che le banche hanno fatto negli ultimi semestri.

È chiaro che una situazione del genere, aggravata come detto in Europa dalla crisi energetica, non favorisce la crescita. In molti si attendono una forte riduzione di consumi e degli investimenti e il rallentamento sensibile dell’economia degli ultimi mesi sembra già evidenziarlo.

Al riguardo i più pessimisti tra gli economisti sono arrivati ad evocare il pericolo di stagflazione e cioè l’incubo di una presenza simultanea di recessione e alti tassi di inflazione. Io non ho questa visione catastrofista e da un po’ di tempo vado dicendo sia in sedi pubbliche che private che sono convinto che la straordinaria, per le abitudini degli ultimi venti anni, inflazione attuale sia uno strappo improvviso ma non duraturo e che sia destinata a rientrare abbastanza rapidamente.

Tale convinzione nasce dal fatto che nei sistemi capitalistici e di mercato quando c’è uno squilibrio tra domanda e offerta come quello che si è creato nel periodo post-Covid (quello che abbiamo definito ‘effetto molla’) abbastanza rapidamente e automaticamente l’offerta, trainata dai prezzi alti provocati dalla scarsità si adegua alla domanda. Nel mondo delle materie prime e in genere di tutte le commodity avviene anzi che l’offerta oltre che adeguarsi alla domanda la sorpassa creando situazioni di eccesso che costituiscono potenti fattori deflattivi. È quella che si chiama over capacity, eccesso di capacità installata, che affligge molti settori dall’acciaio all’alluminio alle stive delle navi, settori ciclicamente colpiti da crisi e caduta di prezzi provocati dall’eccesso di offerta.

A mio giudizio succederà così anche per il gas che dopo essere stato scarso a causa della crisi russa tornerà ad essere abbondante e a basso prezzo perché tutti i Paesi che lo producono trascinati dai prezzi alti attuali stanno investendo per aumentare le quantità prodotte e vendute; basta guardare ciò che succede in Algeria, Egitto, Israele, Qatar, Norvegia e Usa.

Questa mia impressione, su un rientro relativamente rapido dell’inflazione, è confermata negli ultimi giorni dai dati che provengono da diversi paesi: Germania, Spagna, Stati Uniti d’America. In particolare negli Usa i prezzi al consumo a novembre sono aumentati meno delle aspettative più rosee degli analisti. Ci aspettava una crescita del 7,7% che era stata quella del mese di ottobre e invece il dato è del 7,1%, il minimo da un anno. È sempre troppo ma si consideri che a giugno era del 9,1%.

È calato di molto il prezzo della benzina, uno dei beni di consumo ai quali gli americani sono più attenti, che è passato da una media dei tre mesi precedenti novembre di 5 dollari al gallone ai 3,25 dollari a gallone del mese di novembre. Questa caduta dei prezzi al consumo comporterà una seria riflessione della Fed, la Banca Centrale Usa, a proposito della necessità di continuare o meno la stretta monetaria e il rialzo dei tassi con il rischio di provocare una recessione economica che invece si potrebbe evitare.

L’altro elemento che mi induce a un cauto ottimismo sono i dati italiani e il sentimento che riscontro parlando con gli industriali dei diversi settori.

La cosa quasi stupefacente è che nonostante la grave crisi energetica che ha fatto temere l’avvio di una recessione da noi e in Europa, l’Italia crescerà nel 2022 quasi del 4% (l’Istat prevede il 3,9%). Per la prima volta da una quarantina d’anni il nostro Paese crescerà quanto la Cina e molto di più di Francia e Germania. Si tenga presente che l’Italia era cresciuta più di tutti anche nel 2021 (6,7%). Molti analisti sostengono che, in questo contesto, l’obiettivo di una crescita intorno allo 0,5% nel 2023, malgrado il rallentamento in corso, non sia così impossibile come ci hanno detto i pessimisti.

Al di là dei numeri parlando con i colleghi industriali di molti settori sento aspettative non catastrofiche anche perché nella media gli impianti stanno ancora girando intorno all’80% della loro capacità massima. Ciò significa che la domanda c’è, gli ordini ci sono e l’industria continua a produrre ed esportare anche aiutata da un dollaro forte che, se ci aumenta il costo delle materie prime comprate all’estero, normalmente pagate in dollari, dall’altra parte favorisce di molto le esportazioni italiane ed europee nel gigantesco mercato degli Usa.

Le imprese italiane hanno guadagnato mediamente molto negli ultimi due anni e oggi grazie a ciò sono le meno indebitate del mondo avanzato. La buona patrimonializzazione consentirà all’industria italiana di continuare nei processi di investimento in innovazione tecnologica e digitalizzazione innescati e consentiti dai meccanismi di Industria 4.0 del Governo Renzi e dell’allora Ministro dello Sviluppo economico Calenda. Inoltre, se si riusciranno a spendere i soldi del Pnrr, ciò sarà un formidabile elemento di sostegno keynesiano della domanda, specie nelle settore delle infrastrutture. Le Ferrovie dello Stato con i loro svariati miliardi di investimenti previsti nei prossimi quattro anni sono la più grande stazione appaltante del Paese.

Certo permane la forte preoccupazione del costo dell’energia che colpisce sia le famiglie che le imprese. Finora gli interventi di mitigazione dei Governi Draghi prima e Meloni ora hanno ridotto l’impatto. Bisogna vedere se le finanze pubbliche riusciranno nel 2023 a reggere interventi di questo tipo, che sono molto costosi. Finora si sono spesi al riguardo più di 65 miliardi di euro e l’estensione di tali misure al primo trimestre del 2023 decisa dal governo attuale comporterà altri miliardi di spesa pubblica.

Ma anche su questo sono abbastanza ottimista. I prezzi dell’energia, in un quadro complessivo di forte volatilità, stanno scendendo. Probabilmente soffriremo ancora quest’estate quando ci saranno da riempire gli stoccaggi gas ma superata quella fase l’abbondanza di gas che nel frattempo arriverà da più parti ci aiuterà molto.

Pensare positivo aiuta a vivere. I pessimisti non sono mai riusciti a fare nulla.

Meloni: “Su energia da Ue risposta insoddisfacente e inattuabile”

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni  interviene alla Camera in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre e sottolinea come l’Italia sia “da mesi  in prima fila per un tetto dinamico dei prezzi. La posta in gioco per il Paese è alta perché si definisce la possibilità di difendersi senza prevaricazioni dei singoli a discapito di chi ha scarsa possibilità di spesa e che, dunque, potrebbe essere lasciato indietro”. E non usa mezzi termini per definire la proposta della Commissione europea sul price cap: “Insoddisfacente perché inattuabile”.
Nel discorso alla Camera, la presidente del Consiglio affronta il tema dell’elettrodotto Terna-Steg. “La nostra nazione è cerniera e ponte energetico naturale tra il Mediterraneo e l’Europa – ribadisce – in virtù della sua posizione geografica. L’obiettivo strategico che questo governo vuole realizzare è far diventare l’Italia uno snodo energetico che colleghi, tramite gasdotti – che in prospettiva dovranno traportare idrogeno verde -, ed elettrodotti la sponda Sud del Mediterraneo al resto d’Europa”. Giorgia Meloni fa riferimento al recente via libera della Commissione europea allo stanziamento di 307 milioni di euro per co-finanziare la nuova interconnessione elettrica tra Italia e Tunisia: “Un’opera che sarà realizzata da Terna e dalla società tunisina Steg e costituirà un nuovo corridoio energetico tra Africa ed Europa, favorendo la sicurezza di approvvigionamento energetico e l’incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili”. Un’azione che Giorgia Meloni definisce “un Piano Mattei per l’Africa, un modello virtuoso e di crescita tra l’Unione europea e i paesi africani”. Un Piano “che non sia predatorio ma collaborativo e che garantisca crescita, dignità e lavoro. E che garantisca il diritto a non dover emigrare”.

La premier ricorda inoltre l’impegno assunto nei confronti della Lukoil: “Questo governo ha approvato un decreto per la raffineria di Priolo, che è stata messa nella condizione di lavorare anche dopo il 15 settembre. Abbiamo difeso i livelli occupazionali, mettendo in sicurezza 10 mila lavoratori e abbiamo tutelato un nodo energetico”. Un doppio passaggio importante, sottolinea la premier, in quanto “non dobbiamo scaricare sui cittadini i costi delle sanzioni alla Russia”.


Rispetto al tema delle sanzioni, la premier sottolinea che “abbiamo ripreso i colloqui per il nono pacchetto di sanzioni europee alla Russia. Siamo impegnati con sanzioni dolorose ma efficaci”. E, aggiunge: “Abbiamo approcciato alla discussione con spirito aperto, i costi imposti alla Russia devono essere superiori a quelli europei”.
Nell’affrontare la questione, Giorgia Meloni ribadisce il pieno appoggio dell’Italia a Kiev. “Non abbiamo cambiato idea – afferma – perché le nostre convinzioni non mutano a seconda del fatto che siamo al Governo o all’opposizione. L’Europa è unita contro il conflitto russo, sosteniamo il cammino europeo dell’Ucraina e ribadiamo che il conflitto riguarda tutti”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ribadisce con forza l’appoggio italiano ed europeo all’Ucraina parlando alla Camera in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre. Un appoggio che non è “facile propaganda” ma “concreto, anche sul piano militare; l’Italia deve continuare a fare la propria parte, con le azioni inaccettabili russe contro le infrastrutture ucraine, lo spazio di manovra per un cessate il fuoco appare assai limitato. Il Consiglio Europeo ci ha chiamati alla ricostruzione dell’Ucraina: sono stati destinati 349 miliardi di euro, temo ne serviranno molti di più. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, sarà necessario un coordinamento inteso, internazionale, europeo ma, come ribadito ieri nel corso del G7, che coinvolgerà anche gli Stati terzi e settore privato”.

Giorgia Meloni ricorda che “non consentiremo che Putin utilizzi la carenza di cibo come arma” e sottolinea l’impegno umanitario dell’Italia che, ad oggi, ha consegnato 66 tonnellate di beni: “Siamo fieri della solidarietà italiana all’Ucraina. Molti Paesi hanno dimostrato un grande spirito di fratellanza, primo tra tutti la Polonia; anche l’Italia però ha contribuito a questo sforzo”.
Nel discorso della premier trova spazio anche la questione del Mediterraneo, divenuta per la prima volta “centrale” e inserita in un documento della Commissione europea “grazie alla posizione dell’Italia, nel rispetto della legalità internazionale e nella consapevolezza che ci sia la necessità di affrontare il fenomeno delle migrazioni in maniera strutturale, passando dalla ridistribuzione dei migranti alla difesa dei confini. Per raggiungere questo obiettivo, occorre un quadro di collaborazione basato su flussi legali, fermando le partenze e lavorando sulla gestione europea dei rimpatri”. La Meloni ricorda i “44 mila arrivi” che sta sostenendo l’Italia, che ha “l’onere maggiore della protezione delle frontiere europee dal traffico di esseri umani”. Chiede con fermezza di non fingere “che vada tutto bene, anche perché quando si leggono notizie di scafisti che buttano persone in mare mi convinco una volta di più che tutto questo non ha nulla a che fare con il concetto di solidarietà” .
Giorgia Meloni conclude il proprio intervento definendo l’Italia fondatrice di “un processo di integrazione, colonna indispensabile per la crescita economica dell’intera Europa. Questa è l’Italia che vogliamo rappresentare”. 

centrale Zaporizhzhia

Raid su Zaporizhzhia: a rischio costante di incidente nucleare

Bombardamenti in serie, ripetute interruzioni di corrente, personale ucraino sotto pressione: la centrale elettrica di Zaporizhzhia, situata nel sud dell’Ucraina e occupata dall’esercito russo, vive sotto la costante minaccia di un disastro nucleare.
Dopo un primo timore, quando Mosca ha preso il controllo del sito il 4 marzo, la situazione è peggiorata notevolmente dall’inizio di agosto. I raid, di cui Mosca e Kiev si accusano a vicenda, si susseguono in tutta l’area della centrale, a ridosso della linea del fronte.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che ha finito per lasciare esperti sul posto, ha parlato di aver sentito “una buona dozzina” di spari questo fine settimana. “Chiunque sia, la smetta con questa follia!”, ha esortato il direttore generale Rafael Grossi. “È un atto assolutamente deliberato e mirato.” Danni sono già stati registrati in varie località, anche se al momento il livello di radiazione è rimasto normale e l’alimentazione esterna non è stata influenzata. “Sebbene non ci sia stato un impatto diretto sui principali sistemi di sicurezza, il bombardamento è arrivato pericolosamente vicino. Stiamo parlando di metri, non di chilometri“, ha detto il capo dell’organismo delle Nazioni Unite. Il team di esperti dell’Aiea prevede di concludere oggi una valutazione dell’impatto dei bombardamenti degli ultimi due giorni sul sito.

Per l’amministratore delegato della società statale russa per l’energia atomica Rosatom, Alexei Likhachev, “l’impianto è esposto al rischio di un incidente nucleare” per volere degli ucraini. Allo stesso tempo, per Kiev “il bombardamento della centrale nucleare è la tattica russa per interrompere le forniture di energia agli ucraini, gli attacchi durante il fine settimana equivalgono a una campagna genocida per privare i cittadini dell’elettricità e far congelare gli ucraini fino a che muoiono“, come ha dichiarato il consigliere del Ministero della Difesa ucraino Yuriy Sak.
Le sei unità sovietiche dell’impianto, la più grande d’Europa, finora sono state risparmiate. Sono protette da “recinti di contenimento piuttosto robusti”, ha detto il consulente Tariq Rauf, ex funzionario dell’AIEA, “ma ovviamente non sono stati progettati per resistere a una guerra”.

L’altro rischio è quello di un’interruzione di corrente prolungata. Normalmente, i sistemi dell’impianto sono alimentati da quattro linee da 750 kilovolt (kV), che sono state ripetutamente danneggiate dai bombardamenti. In caso di guasto alla rete, la corrente può essere fornita da altre linee tramite una vicina centrale termica. Tuttavia, anche questa è regolarmente colpita.