Cop29, Ferri (Acea): Riutilizzo delle acque reflue il futuro in agricoltura

La Dichiarazione sull’Acqua per l’Azione Climatica è tra gli impegni della Cop29 di Baku, in Azerbaigian e l’Italia sul dossier gioca un ruolo importante. Nella giornata dedicata all’alimentazione, all’agricoltura e all’acqua, Fabrizio Ferri, presidente esecutivo Acea International, spiega a Gea qual è il ruolo del gruppo nella spinta verso lo sviluppo delle infrastrutture e cosa aspettarci dalle sperimentazioni in corso nel settore. “Acea è il principale operatore nel settore idrico in Italia e il secondo in Europa. Serviamo 10 milioni di abitanti in 6 diverse regioni italiane. Lo stesso numero di abitanti lo serviamo anche all’estero, in America Latina, attraverso le nostre società in Honduras, Perù, Repubblica Dominicana”, ricorda. Nel settore idrico, spiega Ferri, è “indispensabile un piano di ammodernamento delle infrastrutture, visto che in Italia il 60% della rete ha più di 30 anni”. Da qui, il ruolo di Acea, nella gestione e nello sviluppo: “Abbiamo un know how all’avanguardia nella realizzazione di progetti di ingegneria nell’idrico – rivendica -. A breve partirà una delle opere più importanti in Italia dei prossimi anni, la realizzazione del secondo tronco dell’acquedotto Peschiera, uno dei più complessi e importanti d’Europa, gestito da Acea”.

Qual è il futuro della gestione sostenibile dell’acqua in agricoltura?

Il riutilizzo delle acque reflue trattate per applicazioni agricole è una soluzione importante per ridurre il consumo di risorse naturali e per contribuire all’apporto di nutrienti alle colture, in linea con i principi dell’economia circolare. Consideriamo che l’agricoltura rappresenta quasi il 60% del consumo totale di acqua in Italia. Acea ha già sviluppato diversi progetti per il riutilizzo delle acque reflue trattate e la gestione delle risorse idriche non convenzionali (NCW), puntando sull’innovazione tecnologica. In un momento in cui la disponibilità della risorsa sta diminuendo è necessario fare in modo che l’acqua venga riutilizzata più possibile, alleggerendo la pressione sulle fonti.

Quanto è importante il “lavoro di squadra”, le collaborazioni con altre realtà, come banche, fondi, centri di ricerca?

Il lavoro di squadra è imprescindibile. Molti territori non dispongono delle risorse finanziarie per investire in tecnologie avanzate come gli impianti di trattamento delle acque reflue. Spesso mancano anche le competenze tecniche necessarie. La collaborazione è necessaria per garantire che si sviluppino queste conoscenze specifiche che servono per mantenere con efficacia questi sistemi. Dall’altra parte, gli accordi con banche e fondi possono facilitare gli investimenti nel settore. Su questo ad esempio Acea e Intesa Sanpaolo hanno siglato un’intesa che metterà a disposizione 20 miliardi di Euro per supportare iniziative sulla gestione sostenibile dell’acqua.

Quanto è urgente adeguare le normative in materia, in Italia e in Europa?

È fondamentale un’evoluzione del quadro normativo, adottando un approccio più flessibile al riutilizzo delle acque reflue in agricoltura. Questo soprattutto perché l’incertezza normativa rappresenta una barriera per gli investimenti. Per massimizzare la quantità d’acqua che si può riutilizzare sarebbe opportuno anche pensare a processi di trattamento non standard, in modo da abbinare le qualità dell’acqua alle esigenze delle colture circostanti.

Acea siede nella cabina di regia del Piano Mattei come water expert. Quali dei tanti progetti per la gestione dell’acqua è indispensabile esportare in Africa?

Acea partecipa attivamente all’attuazione del Piano Mattei nel continente africano, un programma del Governo italiano che mira a favorire la cooperazione in 5 diversi pilastri, uno dei quali è l’acqua. L’obiettivo è quello di creare sinergie che consentano un approccio globale alla gestione sostenibile dell’acqua, agendo su progetti specifici, politiche locali, infrastrutture verdi ed educazione alla gestione dell’acqua.

Siccità, Balla: In Marocco progetti importanti, da autostrada acqua a desalinizzazione

“La siccità è un problema comune a tutti, il cambiamento climatico e quindi lo stress idrico. Il Marocco ha avviato grandi piani per fare fronte a questa situazione. Certamente la gestione dell’acqua, una gestione razionale delle risorse, ma anche piani di infrastrutture. Il primo è l’autostrada e l’acqua, che permette il trasferimento dell’acqua da una zona all’altra ed è già operativa, la prima autostrada è di 580 km e permetterà trasferire una quantità di 580 milioni e metri cubi. Ma il Marocco ha anche avviato un piano per la desalinizzazione del mare. Sono in programma 20 centrali di desalinizzazione del mare, uno è la centralina di Casablanca, è i lavori sono già avviati, è la più grande centrale in Africa per la desalinizzazione dell’acqua. Queste centrali saranno la base per la produzione dell’idrogeno verde, perché tutte funzioneranno grazie alle energie rinnovabili”. Lo ha detto a Gea l’ambasciatore del Marocco in Italia, Youssef Balla, che ha ospitato presso la sua residenza l’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’.

Ambiente, Guterres lancia “Sos globale” su innalzamento acque nel Pacifico

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha lanciato un “Sos globale” sull’innalzamento del livello del mare nel Pacifico, in occasione del vertice del Forum delle Isole del Pacifico, presentando una ricerca che mostra come la regione si stia innalzando più velocemente della media globale. “Sono a Tonga per lanciare un ‘Sos’ globale – Save our Seas, ndr – sull’innalzamento del livello del mare. Una catastrofe globale sta minacciando questo paradiso del Pacifico”, ha detto Guterres.

Le isole del Pacifico, scarsamente popolate e con poche industrie pesanti, emettono collettivamente meno dello 0,02% delle emissioni annuali di gas serra del mondo. Ma questo vasto gruppo di isole vulcaniche e atolli corallini a bassa quota sta subendo duramente gli effetti del riscaldamento globale, soprattutto a causa dell’innalzamento del livello del mare. Secondo un nuovo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) presentato al Forum, negli ultimi trent’anni il livello del mare è aumentato in media di 9,4 cm in tutto il mondo. In alcune zone del Pacifico l’innalzamento raggiunge i 15 cm. “È sempre più chiaro che stiamo rapidamente esaurendo il tempo a nostra disposizione per arrestare la tendenza”, avverte Celeste Saulo, segretario generale di questa importante agenzia delle Nazioni Unite.

Le popolazioni, le economie e gli ecosistemi dell’intera regione del Pacifico sud-occidentale sono fortemente colpiti dagli effetti a cascata” del cambiamento climatico, sottolinea nella prefazione del rapporto. In alcuni luoghi, come Kiribati e le Isole Cook, le misurazioni dell’innalzamento del livello del mare sono pari o inferiori alla media globale. Ma altrove, in particolare nelle Samoa e nelle Figi, l’innalzamento osservato è tre volte superiore. A Tuvalu, la superficie terrestre è già così ridotta che i bambini usano l’asfalto dell’aeroporto internazionale come parco giochi.

Secondo gli esperti, anche se in futuro l’innalzamento del livello del mare sarà contenuto, Tuvalu potrebbe essere completamente sommersa entro 30 anni. “I disastri si susseguono e perdiamo la capacità di ricostruire, di resistere a un altro ciclone o a un’altra inondazione”, ha dichiarato a France Presse il ministro del Clima di Tuvalu, Maina Talia, a margine del vertice Ifp. “Per gli Stati insulari a bassa quota è una questione di sopravvivenza”, ha aggiunto. La situazione dei Paesi del Pacifico è stata ignorata in passato, soprattutto a causa del loro isolamento e del loro minor peso economico. Ma i ricercatori considerano la regione come un indicatore di ciò che potrebbe accadere in altre parti del mondo. “Questo nuovo rapporto conferma ciò che i leader del Pacifico dicono da anni”, ha dichiarato all’Afp il ricercatore australiano sul clima Wes Morgan. “Il cambiamento climatico è la loro più grande minaccia per la sicurezza. Le nazioni del Pacifico sono impegnate in una lotta per la sopravvivenza e fermare l’inquinamento climatico è essenziale per il loro futuro”, ha insistito.

Secondo le Nazioni Unite, la stragrande maggioranza degli abitanti dei Paesi del Pacifico meridionale vive a meno di cinque chilometri dalla costa. L’innalzamento del livello del mare, sommergendo la terra, riduce non solo lo spazio vitale ma anche le risorse idriche e alimentari delle persone, sottolinea l’organizzazione. L’innalzamento della temperatura dell’acqua provoca anche disastri naturali più violenti, mentre l’acidificazione degli oceani influisce sulla catena alimentare marina. Per Rosanne Martyr, esperta del Climate Analytics Institute di Berlino, “il prezzo da pagare aumenterà inesorabilmente se non si interviene con urgenza”. Paesi come Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Micronesia hanno già perso “più dell’1% del loro Pil a causa dell’innalzamento del livello del mare”, afferma l’esperta.

Le nazioni insulari del Pacifico sono logicamente “in prima linea nella battaglia contro il cambiamento climatico”, ha sottolineato il segretario generale dell’IFP Baron Waqa, dell’isola di Nauru, all’apertura del forum. Il ministro del Clima di Tuvalu, Maina Talia, ha esortato i “Paesi più inquinanti” a pagare i costi crescenti del cambiamento climatico, in linea con il principio “chi inquina paga”.

Il forum PIF, che riunisce 18 Stati e territori associati, tra cui la Nuova Caledonia e la Polinesia francese, durerà fino a giovedì 29 agosto.

Dai geni ai jeans: allo studio varietà di cotone resistenti alla siccità

Dalle morbide T-shirt ai comodi jeans fino alle accoglienti lenzuola. Il cotone è la principale fibra tessile rinnovabile del mondo e la spina dorsale di un’industria globale che vale miliardi. Con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici, i coltivatori di cotone si trovano ad affrontare sfide crescenti dovute alla siccità e al caldo. Tuttavia, una nuova ricerca offre la speranza di sviluppare varietà più resistenti, in grado di mantenere rese elevate anche in condizioni di stress idrico.

Un team interdisciplinare di ricercatori ha esaminato il modo in cui le diverse piante di cotone rispondono alla siccità a livello genetico in uno studio recentemente pubblicato sul Plant Biotechnology Journal. Hanno coltivato 22 varietà di cotone di montagna (Gossypium hirsutum L.) nella regione del basso deserto dell’Arizona, sottoponendo metà delle piante a condizioni di scarsità idrica. Analizzando i geni e i tratti fisici delle piante, gli scienziati hanno scoperto alcune affascinanti intuizioni sui meccanismi di gestione della siccità del cotone.

Due geni regolatori chiave svolgono un ruolo cruciale nell’aiutare le piante di cotone a gestire lo stress idrico mantenendo la produzione di fibre. Questi geni agiscono come direttori d’orchestra, coordinando l’attività di centinaia di altri geni coinvolti nella risposta alla siccità e nello sviluppo della fibra.

“Sembra che nel corso del tempo le piante di cotone abbiano evoluto questo meccanismo di regolazione che le aiuta a far fronte alle condizioni di siccità, pur continuando a produrre le fibre che sono così importanti dal punto di vista economico”, spiega Andrew Nelson, professore assistente presso il Boyce Thompson Institute.

Poiché il cambiamento climatico porta a siccità più frequenti e gravi in molte regioni produttrici di cotone, è fondamentale sviluppare varietà che possano prosperare con meno acqua. Questa ricerca fornisce preziose indicazioni e obiettivi genetici per guidare gli sforzi di selezione. Inoltre, la gamma di risposte alla siccità osservate tra i 22 tipi esaminati sottolinea quanto sia cruciale la diversità genetica per adattare le colture a condizioni mutevoli.

“In un mondo che si trova ad affrontare sfide ambientali crescenti – dicono i ricercatori – capire come le nostre piante più importanti rispondono agli stress a livello molecolare è più che mai vitale. Questo studio fa progredire le nostre conoscenze scientifiche e apre la strada a un’agricoltura più resiliente e sostenibile di fronte ai cambiamenti climatici”.

Parigi 2024, la Senna è di nuovo inquinata: a rischio le gare di triathlon. Test sospesi

Non è bastato il milione e mezzo di euro speso per migliorare la qualità dell’acqua e renderla balneabile: la Senna non ha retto due giorni di piogge e il suo livello di inquinamento è tale che, dopo quella di domenica, anche la sessione di lunedì degli allenamenti del triathlon è stata sospesa. Ma il Comitato organizzatore dei Giochi olimpici di Parigi rassicura: “Le gare di martedì e mercoledì si terranno”.

Dopo una riunione tra lo stesso comitato, le autorità locali e Météo-France, la Federazione internazionale di triathlon ha così preso la “decisione di annullare la parte di nuoto del triathlon di familiarizzazione” prevista per lunedì mattina, come il giorno precedente, perché i “livelli di qualità dell’acqua (…) non offrono sufficienti garanzie”. La colpa? Della “pioggia caduta su Parigi” venerdì, durante la cerimonia di apertura, e sabato.

Non è chiaro quale sia il livello di batteri E.Coli ed enterococchi riscontrato nella Senna, ma dal momento che “la priorità è la salute degli atleti”, si è scelto di non farli scendere in acqua. Evidentemente la soglia di sicurezza è stata superata. La decisione di permettere o meno agli atleti di nuotare nel fiume viene presa la sera prima dell’evento sulla base di una serie di fattori, tra cui le analisi della qualità dell’acqua effettuate il giorno precedente, che richiedono 24 ore per emettere il loro verdetto. Se la qualità dell’acqua fosse insufficiente il giorno 1, gli organizzatori hanno previsto dei “giorni di emergenza” per rinviare gli eventi.

Il triathlon è la prima disciplina olimpica a svolgersi nella Senna, prima del nuoto in acque libere nella seconda settimana delle Olimpiadi di Parigi. L’evento di triathlon individuale maschile dovrebbe iniziare martedì alle 8, prima dell’individuale femminile mercoledì alla stessa ora. Non ci sarà quindi una ricognizione preventiva del percorso di nuoto nel fiume, a partire dal ponte Alexandre-III. E questo in un momento in cui la portata della Senna, ingrossata dalle piogge delle ultime settimane, è tre volte superiore al suo livello estivo abituale (oltre 400 m3/secondo lunedì mattina, rispetto ai 100-150 in tempi normali).

Gli organizzatori sono “fiduciosi che la qualità dell’acqua tornerà al di sotto dei limiti prima dell’inizio delle gare di triathlon del 30 luglio”, cioè martedì, “viste le previsioni meteo per le prossime 36 ore”. “Domani la situazione tornerà alla normalità”, ha assicurato la sindaca di Parigi Anne Hidalgo a France Bleu Paris, sottolineando che “la pioggia di venerdì è stata eccezionale”. Ma attenzione ai temporali in vista della gara di mercoledì. Martedì sera sono previste forti piogge che si sposteranno dal centro della Francia alla regione parigina, rischiando quindi di compromettere di nuovo la qualità del fiume.

Si tratta del momento della verità per gli organizzatori delle Olimpiadi di Parigi: lo Stato e le autorità locali hanno investito 1,4 miliardi di euro per rendere la Senna e il suo principale affluente, la Marna, balneabili per le Olimpiadi e poi per il grande pubblico. “È grazie a tutti questi investimenti che la situazione si sta ripristinando molto rapidamente”, ha ribadito la sindaca.

A causa delle forti piogge, la qualità dell’acqua della Senna è stata scarsa per gran parte del mese di giugno, ma da allora è migliorata: le analisi della qualità dell’acqua sono state recentemente conformi agli standard sanitari per sei giorni su sette, dal 17 al 23 luglio.

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Ambiente, quanti litri di acqua servono per fare una T-shirt

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA sono riportati i numeri comunicati dalla Direzione generale ambiente della Commissione europea. “Per produrre una maglietta (T-shirt) – viene spiegato -, sono necessari 2.700 litri di acqua dolce. Pari a quanto beve una persona in 2 anni e mezzo”. Ad esempio, oltre alla T-shirt, la Dg Ambiente riporta che per 1 Kg di cioccolata sono necessari 17.196 litri di acqua; per 1 Kg di carne ne servono 15 mila, per una lampadina 1.301 litri.

La luce del sole danneggia bottiglie di plastica: rischi per la salute

La luce solare può danneggiare le bottiglie di plastica che contengono acqua, al punto da causare rischi per la salute. L’esposizione alla luce può portare questi contenitori a degradarsi e a emettere composti organici volatili (VOC), potenzialmente dannosi per l’uomo. E’ quanto emerge da uno studio condotto dal Guangdong Key Laboratory of Environmental Pollution and Health dell’Università di Jinan e pubblicata su Eco-Environment & Health. Il boom del mercato dell’acqua in bottiglia, dicono gli autori, “sottolinea l’urgenza” di trovare “alternative più sicure”, a partire dai materiali di produzione.

La ricerca ha analizzato i composti organici volatili rilasciati da sei tipi di bottiglie di plastica sottoposte a raggi UV-A e alla luce del sole. I risultati hanno mostrato che tutte le bottiglie testate hanno emesso una miscela complessa di alcani, alcheni, alcoli, aldeidi e acidi, con variazioni significative nella composizione e nella concentrazione dei VOC tra le bottiglie. In particolare, sono stati identificati composti altamente tossici, tra cui sostanze cancerogene come l’n-esadecano, evidenziando gravi rischi per la salute.

“I nostri risultati – spiega il primo ricercatore, Huase Ou – forniscono prove convincenti del fatto che le bottiglie di plastica, se esposte alla luce del sole, possono rilasciare composti tossici che comportano rischi per la salute. I consumatori devono essere consapevoli di questi rischi, soprattutto negli ambienti in cui l’acqua in bottiglia è esposta alla luce del sole per periodi prolungati”.

La ricerca non solo fa luce sulla stabilità chimica delle bottiglie in polietilene tereftalato (PET), ma ha anche implicazioni significative per la salute pubblica e le norme di sicurezza. La comprensione delle condizioni in cui questi VOC vengono rilasciati può guidare il miglioramento delle pratiche di produzione e la selezione dei materiali per i contenitori di acqua in bottiglia. Inoltre, sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori e di norme industriali più severe per ridurre l’esposizione a questi composti potenzialmente dannosi.

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Ambiente, i comportamenti eco-compatibili degli italiani

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, i comportamenti eco-compatibili, ovvero maggiormente rispettosi per l’ambiente, degli italiani. Secondo Istat nel 2023 aumenta la consapevolezza per la sostenibilità e i cittadini “sono sempre più attenti alla conservazione delle risorse naturali”. La quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia arriva al 72,8%, mentre il 69,8% presta attenzione a non sprecare l’acqua e il 50% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di limitare l’inquinamento acustico. Mostra attenzione ai temi della sostenibilità ambientale anche il 35,8% della popolazione che legge le etichette degli ingredienti e il 23,5% che acquista prodotti a chilometro zero.
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“Acque europee contaminate da sostanze chimiche pericolose”. Allarme degli ambientalisti

Le acque europee sono massicciamente contaminate da una sostanza chimica molto persistente, l‘acido trifluoroacetico (TFA). A lanciare l’allarme sono alcune associazioni, che denunciano “la più grande contaminazione conosciuta delle acque su scala europea da parte di una sostanza chimica prodotta dall’uomo”.

La Rete europea di azione sui pesticidi (PAN Europe) e i suoi membri, tra cui Générations Futures in Francia, hanno analizzato 23 campioni di acque superficiali e sei campioni di acque sotterranee di dieci Paesi dell’Ue alla ricerca di questo prodotto. Il prodotto deriva dalla degradazione dei PFAS, soprannominati “inquinanti eterni”, ma è anche utilizzato come materiale di partenza per la produzione di alcuni di questi. Di conseguenza, “la portata della contaminazione è allarmante e richiede un’azione decisiva”, scrivono le associazioni in un rapporto pubblicato lunedì.

Questi TFA possono provenire dalla degradazione dei pesticidi PFAS, utilizzati in agricoltura per la loro stabilità, ma anche da alcuni gas refrigeranti o dai rifiuti dell’industria manifatturiera dei PFAS, ampiamente utilizzati, ad esempio, per i rivestimenti antiaderenti delle padelle, le schiume antincendio o i cosmetici.

L’analisi, condotta dal Centro di tecnologia idrica di Karlsruhe, ha rivelato la presenza di TFA “in tutti i campioni d’acqua”, con concentrazioni che vanno da 370 nanogrammi per litro (ng/l) a 3.300 ng/l. Queste concentrazioni sono significative in fiumi come l’Elba in Germania, la Senna, l’Oise e la Somme in Francia e la Mehaigne in Belgio. Il rapporto rileva che “il 79% dei campioni mostrava livelli di TFA superiori al limite di 500 ng/l proposto dalla direttiva europea sull’acqua potabile per tutti i PFAS”.

Tuttavia, il TFA non è attualmente regolamentato in modo specifico: è classificato come “irrilevante” dalle autorità europee e quindi sfugge alla soglia limite (100 ng/litro) per alcuni pesticidi e prodotti derivati dalla loro degradazione nelle acque sotterranee. Una decisione che le associazioni deplorano, sottolineando la sua persistenza nell’ambiente, l’impossibilità di eliminarlo con i consueti processi di trattamento dell’acqua potabile e un “profilo tossicologico (che) lascia ancora molte domande senza risposta”. A questo proposito, citano uno studio che ha concluso che si sono verificate “malformazioni oculari” in conigli “che avevano ricevuto TFA”, ma non sono ancora state raggiunte conclusioni nell’uomo. “L’inquinamento aumenterà di giorno in giorno se non verranno adottate misure decisive per ridurre l’immissione di TFA, a partire da un rapido divieto dei pesticidi PFAS e dei gas fluorurati”, si legge nel rapporto.

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Per rimuovere il piombo dall’acqua basta…una birra

Ogni anno i birrifici producono e scartano migliaia di tonnellate di lievito in eccesso. I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e del Georgia Tech hanno ora trovato un modo per riutilizzare quel lievito per assorbire il piombo dall’acqua contaminata. Attraverso un processo chiamato biosorbimento, il lievito può assorbire rapidamente anche tracce di piombo e altri metalli pesanti dall’acqua. I ricercatori hanno dimostrato di poter confezionare il lievito all’interno di capsule di idrogel per creare un filtro che rimuove il piombo dall’acqua. Poiché le cellule di lievito sono incapsulate, possono essere facilmente rimosse dall’acqua una volta che è pronta da bere.

“Il fatto che i lieviti stessi siano biobased, benigni e biodegradabili è un vantaggio significativo rispetto alle tecnologie tradizionali”, spiega Patricia Stathatou, ex postdoc presso il MIT Center for Bits and Atoms, ora ricercatrice presso il Georgia Tech e prossima assistente alla School of Chemical and Biomolecular Engineering del Georgia Tech.

I ricercatori prevedono che questo processo possa essere utilizzato per filtrare l’acqua potabile che esce dai rubinetti delle case, o per trattare grandi quantità di acqua negli impianti industriali.

Le capsule sono fatte di un polimero chiamato polietilenglicole (PEG), ampiamente utilizzato nelle applicazioni mediche. Quando la miscela viene illuminata dai raggi Uv, i polimeri si legano tra loro formando appunto capsule con il lievito intrappolato all’interno.

Secondo i ricercatori, questo processo consumerebbe probabilmente meno energia rispetto ai processi fisico-chimici esistenti per la rimozione di tracce di composti inorganici dall’acqua, come la precipitazione e la filtrazione a membrana. Questo approccio, radicato nei principi dell’economia circolare, potrebbe ridurre al minimo i rifiuti e l’impatto ambientale, favorendo al contempo le opportunità economiche delle comunità locali. Questo approccio potrebbe avere un impatto particolarmente significativo nelle aree a basso reddito che storicamente hanno dovuto affrontare l’inquinamento ambientale e l’accesso limitato all’acqua pulita, e che potrebbero non essere in grado di permettersi altri modi per rimediare, dicono i ricercatori.

Gli esperti stanno ora esplorando le strategie per riciclare e sostituire il lievito una volta esaurito e sperano di capire se sia possibile utilizzare materie prime derivate dalla biomassa per produrre gli idrogel, invece di polimeri basati su combustibili fossili.

“In futuro, questa è una tecnologia che può essere evoluta per colpire altri contaminanti in traccia di interesse emergente, come i Pfas o persino le microplastiche”, dicono i ricercatori.