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Il Papa vola in Congo e Sud Sudan: sullo sfondo lo spettro delle carestie e dell’ambiente

Papa Francesco mantiene la promessa e vola in Africa. Un viaggio che era previsto dal 2 al 7 luglio scorsi, poi saltato a causa del ginocchio, all’epoca ancora troppo dolorante. Il Pontefice, che si sposta ancora spesso in sedia a rotelle e ha compiuto 86 anni il 17 dicembre, fa tappa in Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan da oggi al 5 febbraio.

Sullo sfondo, gli scontri armati, le violenze, gli sfruttamenti, ma anche il tema ambientale. Soprattutto in Repubblica democratica del Congo, Paese piegato da enormi problemi legati all’inquinamento e allo smaltimento della plastica. Sull’intero continente incombono poi la piaga della fame e lo spettro di nuove carestie, legate ai continui rinnovi dell’accordo con la Russia sulle esportazioni di cereali e fertilizzanti dai porti ucraini. Un tema che lo stesso Bergoglio ha tenuto a sottolineare nell’udienza annuale al corpo diplomatico. In quell’occasione, ha rinnovato l’appello per il cessate il fuoco di un conflitto “insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Francesco sarà a Kinshasa da oggi, 31 gennaio, al 3 febbraio, poi a Giuba dal 3 al 5 febbraio. Non sono pochi i rischi per la sicurezza. La tappa a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, preda di gruppi armati per più di 25 anni, viene eliminata.

Afflitto da un’instabilità cronica, anche il Sud Sudan presenta problemi di sicurezza, sprofondato in una sanguinosa guerra civile tra il 2013 e il 2018, che ha causato la morte di quasi 400mila persone. Nonostante un accordo di pace che prevede la condivisione del potere in un governo di unità nazionale, le faide tra i gruppi rivali continuano, seminando violenza. La Santa Sede ha giocato un ruolo di mediazione nei negoziati di pace: nel 2019, Francesco ha invitato Salva Kiir e Riek Machar in Vaticano, inginocchiandosi davanti a loro e implorandoli per la pace. Nel Sud Sudan il viaggio sarà fortemente ecumenico, perché con Francesco ci saranno anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields.

Ci sono due aspetti che caratterizzano la visita, sottolinea il segretario di Stato, Pietro Parolin ai media vaticani: “Uno è pastorale, di vicinanza alle Chiese locali e a queste comunità che sono comunità vive, attive, l’altro è socio-politico, e da questo punto di vista ci si aspetta che la presenza del Santo Padre, la sua parola, la sua testimonianza, possa aiutare a promuovere la cessazione delle violenze in atto e rafforzare i processi di pace e di riconciliazione in corso”.

Dalla sua elezione nel 2013, Francesco è stato in Africa quattro volte, visitando Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, Egitto e Marocco. Il suo ultimo viaggio in Africa risale al 2019, in Mozambico, Madagascar e Mauritius.

Idris Elba a Davos per l’Africa e contro il cambiamento climatico

La prima volta che Idris Elba ha partecipato a un incontro del World Economic Forum di Davos è stato nel 2014, come DJ a un party con la star dell’R&B Mary J. Blige. “Nel mio pubblico c’erano persone molto interessanti, ma non era niente in confronto a oggi“, racconta a Afp l’attore britannico. Questa volta, però, Elba è tornato a Davos con la moglie, la modella Sabrina Dhowre Elba, con una missione ben diversa, che l’attore definisce “una grande responsabilità“: convincere gli imprenditori occidentali che si possono fare affari con i piccoli agricoltori locali in Africa.

Le persone stanno ascoltando, i governi si stanno impegnando, ma non abbastanza. Per questo siamo qui a bussare alle porte e a dire a quante più persone possibile che dobbiamo impegnarci due, tre, quattro, cinque volte di più, perché ce n’è bisogno“, spiega Sabrina Dhowre Elba. “Il cambiamento climatico è alle porte dell’Africa. Sta già accadendo. Le persone devono adattarsi per sopravvivere“, insiste. Gli Elba sono Ambasciatori di buona volontà delle Nazioni Unite dal 2020 e collaborano con il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) in azioni legate alla sicurezza alimentare e al cambiamento climatico.

Credo che la prossima sfida sia quella di coinvolgere il settore privato“, afferma Idris Elba. Il presidente della Ifad, Alvaro Lario, che accompagna la coppia nella località sciistica svizzera, insiste sull’importanza di coinvolgere le imprese occidentali “non solo come sostegno o aiuto“, ma con veri e propri investimenti. “In realtà, ci sono opportunità di fare affari” nell’agricoltura, nella silvicoltura e nella pesca, che secondo lui è il secondo settore più promettente dopo la tecnologia. “Questo è il tipo di conversazione che vogliamo avere”.

L’impegno delle due celebrità a è valso loro un Crystal Award da parte del World Economic Forum, e intendono proseguire attraverso la propria fondazione (Elba Hope Foundation) creata alla fine dello scorso anno e finalizzata a sostenere iniziative legate alle stesse tematiche, ma anche rivolte alle donne e ai giovani. Lontano dai personaggi spesso spietati che ha interpretato nelle serie ‘The Wire’ o ‘Luther’, o nel film ‘Beasts of no Nation’, Idris Elba dice di essere motivato dalla “ingiustizia di avere metà del mondo che mangia e metà del mondo che non mangia. La metà del mondo che sta facendo danni enormi al nostro pianeta e l’altra metà che (…) sta morendo di fame e soffre di più per questi danni“. “Quando penso alla dialettica sul clima, e quando penso alle discussioni sul continente africano, mi sembra che ci stiamo dimenticando delle persone reali“, osserva anche la moglie. Ma i piccoli agricoltori hanno un ruolo cruciale “quando parliamo di sicurezza alimentare e anche di clima“. Perché le soluzioni basate sulla natura di cui tutti parlano, sono le persone stesse che le attuano: i conservatori del nostro pianeta.

Meloni: “L’Italia deve diventare la porta d’ingresso in Europa per le forniture di gas dall’Africa”

“Con risorse spese bene dall’Europa, si può ragionare prevalentemente con il Nord Africa per produrre l’energia che serve, diversificando e l’Italia può diventare la porta d’ingresso in Europa dell’energia prodotta in Africa”. La premier Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di fine anno, tocca la questione energetica e ritorna sulla definizione di ‘Piano Mattei per l’Africa’: “Ho citato Enrico Mattei non solo perché si parla di energia, ma perché l’atteggiamento che deve avere l’Italia nei confronti dell’Africa deve essere non predatorio. Noi non andiamo di solito in un’altra nazione per portare via qualcosa, ma per lasciare qualcosa e per costruire rapporti in cui c’è pariteticità. Il tema dell’energia offre l’occasione all’Italia e all’Europa di tornare a essere presente in Africa, in passato abbiamo indietreggiato. Ora abbiamo la possibilità di fare da Nazione capofila di questo nuovo approccio all’Africa, che ha interesse a investire in alta tecnologia in termini di approvvigionamento  energetico”. Rispetto a questo, la premier evidenzia che “il Sud Italia ha un potenziale enorme di produzione di rinnovabili, un pannello fotovoltaico può produrre il 30% di energia in più rispetto a uno puntato nel Nord” e ricorda che l’Italia sta “lavorando per risolvere i colli di bottiglia nelle forniture di gas nei nostri gasdotti all’altezza del centro Italia, azione che permetterebbe di valorizzare anche il Meridione”, senza dimenticare il procedimento – avviato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica – autorizzativo per la nuova interconnessione elettrica di Terna tra l’Italia e la Tunisia, il ponte energetico sottomarino da 600 MW in corrente continua che collegherà Europa e Africa. Non ci sono sviluppi, invece, rispetto all’investimento “importante e strategico” che la Intel potrebbe fare in Italia per un impianto di assemblaggio di semiconduttori in Italia: “Si tratta di un dossier che devo ancora concretizzare parlandone con le persone interessate. Stiamo seguendo, conosciamo il lavoro pregresso sul potenziale investimento strategico di Intel in Europa e in Italia. Da parte nostra c’è la massima disponibilità. Sto cercando di calendarizzare un incontro con i rappresentanti dell’azienda per capire come facilitare la decisione e favorire l’investimento. Tutto il resto dipende da questo. Bisogna capire se è confermata la volontà e quali sono i presupposti. Sarà una delle prime cose su cui lavorerò nei prossimi giorni”.

A livello internazionale, Giorgia Meloni afferma che il piano contro l’inflazione varato dal governo statunitense, l’Inflation Reduction Act (Ira), “rischia di produrre assenza di competitività per le nostre imprese. Di fronte a questi strumenti e a una concorrenza con Stati Uniti e Cina, non possiamo continuare con le norme che abbiamo oggi anche a livello europeo, ad esempio in termini di aiuti di stato”, ricordando che il dibattito a livello europeo su una risposta all’Ira statunitense è stata avviato all’ultimo Vertice Ue che si è svolto a Bruxelles il 15 dicembre “e deve continuare”. Sarà sul tavolo dei capi di stato e governo al prossimo Consiglio europeo del 9-10 febbraio. Per Meloni la situazione in cui l’Europa si trova “costringe a un cambio di passo, all’accelerazione e a una visione totalmente diversa, anche sul tema aiuti di stato”, dal momento che “siamo in un’Europa nella quale non abbiamo il controllo di niente”.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Giorgia Meloni fa riferimento anche al price cap: “Siamo in una situazione di grande emergenza. Oggi siamo in una realtà nella quale i provvedimenti a sostegno dell’energia costano 5 miliardi al mese. Con il price cap e con altre misure cambia il quadro, se dovesse effettivamente cambiare parte delle risorse potrebbe liberarsi per altri provvedimenti. Lavoreremo sempre – aggiunge – sulla priorità del saldo di bilancio. Mettere risorse da una parte significa toglierle da altre parti. Noi abbiamo scelto spostare il grosso delle risorse sul futuro: sui giovani, sulla nuova occupazione e sulle imprese, sulla capacità di produrre nuova ricchezza e occupazione. E abbiamo scelto da dove prendere: dall’indicizzazione delle pensioni molto alte, per spostarlo su famiglie, giovani e natalità. È una scelta politica che io considero di visione”.

Risorse che, per l’importo maggiore della legge di bilancio, sono state destinate alla priorità del caro bollette energia, con oltre 20 milioni, “ma siamo riusciti a mantenere gli impegni che avevamo preso; abbiamo messo tutte le risorse sulle grandi misure alle quali volevamo dedicarci e abbiamo fatto una manovra che è stata approvata con un giorno di anticipo rispetto agli ultimi anni”.  E fa un affondo sul mondo imprenditoriale: “Penso che gli industriali lo abbiano pienamente compreso, mi pare ci sia la piena consapevolezza di un governo amico di chi produce e delle aziende. Per quanto riguarda Carlo Bonomi, è portatore di un interesse legittimo e particolare, ma noi dobbiamo tenere insieme il quadro. Vogliamo spostare i soldi dell’energia dall’energia al cuneo fiscale? Sono disposta a parlarne, ma a me pare che a condizioni date certo non si possa dire che in questa manovra non ci sia niente per le imprese”. A proposito di risorse, un milione e mezzo di euro è invece stato destinato alla famiglia, in un’ottica di sostegno alla genitorialità e alla natalità.

Nel corso della conferenza, c’è spazio anche per affrontare il tema del PNRR“I 55 obiettivi raggiunti e previsti – dichiara Giorgia Meloni – dovranno tradursi in cantieri. Ora si entra nel vivo del piano, arriva la parte molto complessa e questo però comporta delle difficoltà dettate dal caro materie prime e dal caro energia, oltre al fatto che il Piano era stato scritto prima del conflitto ucraino per cui le priorità erano diverse”. E sottolinea con soddisfazione che “quando siamo arrivati al Governo gli obiettivi raggiunti erano 25, la staffetta con il Governo Draghi ha funzionato e il traguardo per richiedere la tranche di 19 miliardi di euro è stato raggiunto”.

Rispetto invece allo stop alla vendita di diesel e benzina entro il 2023, Giorgia Meloni lo etichetta come “irragionevole, lo considero profondamente lesivo del nostro sistema produttivo. E’ una materia su cui vedo che c’è una convergenza trasversale e intendo utilizzare questa convergenza per porre la questione con forza”.

Tra le altre tematiche affrontate durante l’incontro – durato tre ore – con i giornalisti, il conflitto in Ucraina, dove la premier ha intenzione di andare prima del 24 febbraio, il punto sulla situazione sanitaria relativa al Covid, “sotto controllo”, e il tema dei condoni “che non ci sono nella legge di bilancio; abbiamo invece fatto una norma che chiede a tutti di pagare il debito, maggiorato, dando la possibilità di rateizzarlo. Le uniche cartelle  che saranno stralciate sono quelle vecchie di oltre 7 anni e non superiori ai mille euro, perché allo Stato conviene di più rispetto alla riscossione” e l’aver mantenuto l’ergastolo ostativo.
Giorgia Meloni, infine, sostiene che tra le priorità di questa legislatura – “che mantiene l’obiettivo temporale dei cinque anni” – ci sarà la riforma delle istituzioni per “garantire ai cittadini servizi più efficienti e politici che siano davvero l’espressione della volontà popolare”.

 

zimbabwe

Tricicli a energia solare di Mobility for Africa per la svolta rurale dello Zimbabwe

Per anni, il modesto allevamento di pollame di Danai Bvochora in Zimbabwe è stato un fallimento. Quasi tutto il denaro guadagnato dalla vendita delle uova serviva a pagare il taxi collettivo per il mercato. Fino a quando un triciclo elettrico color ruggine, simile a un ciclomotore alloggiato in un rimorchio aperto, alimentato a energia solare, ha cambiato tutto questo. “Abbiamo un grande peso sulla testa. Il triciclo alleggerisce il peso“, sorride il 47enne agricoltore di Domboshava, vicino alla capitale Harare, prima di un percorso accidentato di otto chilometri sul mezzo.

Lo usiamo persino per andare a messa“, spiega entusiasta Danai, ricordando che un viaggio per andare a prendere il grano per i suoi polli costava l’equivalente di 12 dollari. Ora caricare il suo triciclo ogni quindici giorni costa l’equivalente di 2,5 dollari. “Adesso le mie galline mi fanno guadagnare“, dice la madre, che fa parte di un gruppo di donne di questa zona, nota per le sue colline panoramiche e le sue rocce giganti, che l’anno scorso ha ricevuto un triciclo finanziato dall’Unione Europea per aiutare i piccoli agricoltori.

Assemblati ad Harare dall’impresa sociale Mobility for Africa, i tre ruote esistono in Zimbabwe da tre anni, dice la fondatrice Shantha Bloemen. “All’inizio eravamo molto soli“, racconta, “e il team ha dovuto convincere gli investitori che il progetto era fattibile. All’epoca nessuno parlava di mobilità elettrica in Africa e ancor meno di aiutare le donne nelle campagne“, spiega.
Oggi punta a triplicare rapidamente la flotta di 88 veicoli e le tre stazioni a energia solare. Qui i conducenti possono sostituire la batteria al litio con una completamente carica e far riparare gratuitamente i tricicli in caso di rottura.

Alcuni dei veicoli, soprannominati Hamba o “andare avanti” nella lingua locale Ndebele, sono stati acquistati dall’Ue e poi dati alla popolazione, mentre altri vengono noleggiati per cinque dollari al giorno. Phyllis Chifamba, 37 anni, usa il suo ‘vas-y’ noleggiato come taxi. Accompagna i malati alla clinica, le donne incinte agli appuntamenti di controllo e i contadini a fare la spesa. “In questo modo posso sfamare la mia famiglia e pagare la scuola ai miei quattro figli”.

Mobility for Africa sogna di trasferirsi in altre zone del Paese. “Se riuscissimo a risolvere il problema dei trasporti, le economie rurali funzionerebbero. I piccoli agricoltori potrebbero andare sul mercato con più prodotti“, dice Shantha Boemen. L’economia dello Zimbabwe, gravemente depressa negli ultimi due decenni, soprattutto nelle aree rurali, è trainata principalmente dal settore informale, come queste contadine di Domboshava.

(Photo credits: Jekesai NJIKIZANA / AFP)

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Coltivare energia solare si può: lo fa la città sudafricana Orania

In questo remoto angolo del Sudafrica, un’enclave al 100% bianca fondata alla fine dell’apartheid, non potendo coltivare grano a causa del terreno paludoso si è convertita a coltivare energia solare per sfuggire alle incessanti interruzioni di corrente che affliggono il Paese. I 2.500 abitanti di Orania, nel mezzo del deserto del Karoo a più di 600 km a sud-ovest di Johannesburg, puntano all’autosufficienza a tutti i livelli per isolarsi da un Paese che ai loro occhi è diventato decadente.

Questi discendenti di ugonotti olandesi e francesi, arrivati sulla punta dell’Africa nel XVII secolo, hanno lanciato un ambizioso progetto solare che dovrebbe consentire loro di produrre più del necessario. I lavori di questo progetto, stimati in oltre 600.000 euro, sono iniziati nel giugno 2021. Oggi l’impianto produce 841 KW all’ora. Quasi sufficiente per rifornire la città e le fattorie circostanti. La città afrikaner punta alla completa autonomia entro tre anni, mentre il Paese è sprofondato in una grave crisi energetica da quasi quindici anni, a causa dell’invecchiamento delle centrali a carbone, degli scioperi e della corruzione all’interno di Eskom, l’azienda pubblica che produce il 90% dell’elettricità sudafricana.

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(Photo by MARCO LONGARI / AFP)

È stata la semplice idea dell’autosufficienza a spingerci a farlo“, ha dichiarato François Joubert, ideatore del progetto. “Qui non si può contare su nessuno per i servizi di base“, dice l’ingegnere 69enne. “Siamo lontani da Johannesburg e da Città del Capo, quindi dobbiamo prendere in mano la situazione. E a noi sta bene così”.

Il sito di 8.000 ettari sul fiume Orange dove Orania è stata fondata nel 1991, dopo l’abolizione delle leggi razziali, è stato acquistato dal genero di Hendrik Verwoerd, l’ex primo ministro considerato l’architetto dell’apartheid, e da alcune famiglie afrikaner. “L’operazione solare rappresenta per noi una svolta epocale. Porta stabilità energetica alla città“, afferma il sindaco Gawie Snyman. “Il nostro sogno sarebbe addirittura quello di esportare energia elettrica”.

Lunedì il Presidente Cyril Ramaphosa ha annunciato un pacchetto di misure urgenti, invitando il settore privato, privati e imprese, a investire nell’energia solare “su ogni tetto per alimentare la rete nazionale. Il prossimo passo nella produzione solare di Orania sarà l’installazione di batterie di accumulo tra qualche anno. Ciò consentirà alla città di affrancarsi finalmente dalla rete elettrica nazionale.

(Photo credits: STEPHANE DE SAKUTIN / AFP)

Elefanti

In Malawi il bracconaggio ha dimezzato gli elefanti

Circa 250 elefanti saranno trasferiti entro la fine di luglio nel Parco nazionale di Kasungu, nel Malawi centrale, dove la specie era quasi scomparsa con soli 50 esemplari rispetto ai 1.200 di circa 50 anni fa, soprattutto a causa del bracconaggio per l’avorio. “Il bracconaggio è diminuito e il numero di elefanti è aumentato, ora ce ne sono 120. Ma la popolazione è ancora troppo piccola per essere sostenibile. L’introduzione di altri 250 elefanti cambierà questo scenario“, afferma Patricio Ndadzela, del Fondo Internazionale per il Benessere Animale (IFAW) in Malawi.

I pachidermi saranno trasferiti dal Parco Nazionale di Liwonde, a più di 350 km a sud, tra il 27 giugno e il 29 luglio. Qui, infatti, il bracconaggio è quasi scomparso e gli elefanti sono ormai sovrappopolati. Verranno introdotti anche altri animali, come bufali, impala e facoceri. Nel 2016 e nel 2017, 520 elefanti sono stati trasferiti dal Parco Liwonde per alleviare la pressione sul loro habitat e ridurre il conflitto con l’uomo. “Il numero di elefanti sta aumentando, mettendo sotto pressione le risorse naturali del parco e creando situazioni di conflitto con le comunità locali“, afferma l’organizzazione per la conservazione African Parks.

Il Malawi ospita circa 2.000 elefanti e l’Africa meridionale conta il 70% della popolazione del continente. Alcuni Paesi della regione, come lo Zimbabwe, dove la popolazione è in crescita e gli incidenti mortali con gli esseri umani sono aumentati, chiedono l’abolizione del divieto globale sul commercio dell’avorio. In altri Paesi africani, tuttavia, la situazione rimane critica dopo decenni di bracconaggio. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l’elefante della savana (Loxodonta africana) è “in pericolo di estinzione, mentre il suo cugino più piccolo, l’elefante della foresta (Loxodonta cyclotis), è “in pericolo critico“.

(Photo credits: Yasuyoshi CHIBA / AFP)

Grande muraglia verde

In Africa la Grande Muraglia Verde contro la desertificazione

Un muro contro la desertificazione, gli effetti dei cambiamenti climatici e l’insicurezza alimentare. Oltre 8 mila chilometri che collegano il Senegal a Gibuti, passando per altri 18 Paesi delle regioni del Sahara, del Sahel e del Corno d’Africa, a costituire la Grande Muraglia Verde, l’iniziativa per affrontare le più urgenti minacce che incombono sul continente africano e – di conseguenza – su tutta la comunità globale: siccità, carestie, conflitti, migrazioni. Non è un caso se l’Unione Europea è tra i maggiori sostenitori e, attraverso la sua strategia globale per lo sviluppo di infrastrutture e interconnesioni sostenibili, è pronta a porre “un altro mattone nel muro verde“, con finanziamenti e sostegno economico.

Il progetto approvato dalla Conferenza dei capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara nel giugno del 2005 in Burkina Faso – e nato ufficialmente due anni più tardi – si pone l’obiettivo di attraversare per il verso della larghezza l’intero continente africano, da ovest a est, ripristinando 100 milioni di ettari di terreno degradato, sequestrando 250 milioni di tonnellate di carbonio dai terreni e creando 10 milioni di posti di lavoro verdi nelle aree rurali entro la fine del decennio. Una volta completata, la Grande Muraglia Verde sarà “la più grande struttura vivente del pianeta, tre volte più estesa della Grande Barriera Corallina“, come si legge nella presentazione del progetto guidato dall’Unione Africana.

Nel suo sforzo di combattere cambiamenti climatici e desertificazione, la Grande Muraglia Verde contribuirà direttamente anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) 2030 delle Nazioni Unite. A 15 anni dal via libera, è stato completato circa il 15 per cento del progetto, con risultati tangibili in almeno 11 Paesi che hanno aderito, dalla Mauritania all’Etiopia, dal Mali al Sudan, passando dalla Nigeria, il Chad, il Niger e l’Eritrea. La barriera verde svolgerà anche un ruolo cruciale nel garantire al continente africano la sicurezza alimentare che oggi è stata messa ancora più a rischio dal blocco russo delle esportazioni di cereali dall’Ucraina. E su questo punto l’Unione Europea è toccata direttamente.

Oltre a mobilitare 600 milioni di euro per rafforzare la produzione locale nei Paesi vulnerabili, in aggiunta al pacchetto già annunciato di 3 miliardi di euro per la sicurezza alimentare globale, la Commissione Ue è pronta a mobilitare la sua strategia per le infrastrutture sostenibili Global Gateway per alzare il “baluardo contro l’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico“. Lo ha messo in chiaro la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di apertura delle Giornate europee dello sviluppo 2022, spiegando che Bruxelles “aiuterà a completare il progetto di milioni di ettari per un’alimentazione sostenibile nel continente“, perché “la soluzione sul medio e lungo termine è la produzione e la resilienza in loco“.

africa

Giornata mondiale dell’Africa, Di Maio: “Futuro sostenibile solo se condiviso”

Una “robusta azione di diplomazia climatica e energetica” condotta dall’Italia con i partner africani, nella convinzione che “i destini delle due sponde del Mediterraneo siano inseparabili. Un futuro prospero e sostenibile potrà essere tale solo se condiviso dai popoli europei e africani”. Sono queste le parole che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha voluto pronunciare durante il suo intervento in occasione della 59esima Giornata dell’Africa, In questa occasione il DFAE, Dipartimento federale degli affari esteri, rivolge un messaggio di amicizia alle popolazioni e ai governi africani e ribadisce l’importanza della collaborazione con questo continente.

L’Italia ha, da poco, rafforzato i legami culturali ed economici con l’Africa al fine di portare benefici alle due parti. “Abbiamo innestato un partenariato paritario e a 360 gradi, volto a uno sviluppo condiviso e sostenibile con i Paesi dell’Africa”, ha sottolineato Di Maio. Che in merito alla situazione di emergenza dovuta dall’attacco della Russia all’Ucraina ha voluto spiegare quanto la cooperazione tra i due Paesi risulti fondamentale: “Rafforzare la collaborazione internazionale è fondamentale per affrontare le sfide globali che interessano il Continente con particolare severità e le drammatiche conseguenze della guerra, che si stanno ripercuotendo ben oltre l’Europa”, ha puntualizzato Di Maio, considerando, ad esempio, il terrorismo, l’impatto dei cambiamenti climatici e l’insicurezza alimentare. Problematiche che le ripercussioni economiche dell’aggressione russa in Ucraina stanno aggravando in maniera preoccupante.

Solare

desertificazione

Africa a rischio desertificazione. In arrivo la Grande Muraglia Verde

Misure concrete per fermare l’aumento della desertificazione. È l’obiettivo al quale mira la Cop15, la Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD). Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, si riuniscono oggi nove capi di stato africani, tra cui il presidente del Niger Mohamed Bazoum, il suo omologo congolese Felix Tshisekedi e Faure Gnassingbé del Togo, dovrebbero partecipare all’incontro con il presidente ivoriano Alassane Ouattara. Il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen parteciperanno ai dibattiti in videoconferenza.

TERRA. VITA. PATRIMONIO: DA UN MONDO PRECARIO A UN FUTURO PROSPERO

Il tema dell’evento è ‘Terra. Vita. Patrimonio: Da un mondo precario a un futuro prospero’ è “una chiamata all’azione per assicurare che la terra, che è la nostra fonte di vita su questo pianeta, continui a dare i suoi benefici alle generazioni presenti e future“, ha affermato l’UNCCD in una dichiarazione. “La conferenza presterà particolare attenzione al ripristino di un miliardo di ettari di terra degradata entro il 2030, assicurando la sostenibilità dell’uso della terra di fronte agli impatti del cambiamento climatico, e combattendo l’aumento dei rischi di disastri come siccità, tempeste di sabbia e polvere e incendi boschivi“, ha sottolineato l’agenzia delle Nazioni Unite.

GRANDE MURAGLIA VERDE

Il continente africano è particolarmente colpito dalla desertificazione, soprattutto nel Sahel. La questione della Grande Muraglia Verde, un progetto faraonico che mira a ripristinare cento milioni di ettari di terra arida in Africa entro il 2030 su una striscia di 8.000 km dal Senegal a Gibuti, dovrebbe essere affrontata durante la riunione, che si concluderà il 20 maggio.

ROBERTO CINGOLANI

Cingolani: “Con baricentro del gas in Africa, Italia hub per il Mediterraneo”

La missione africana porta in dote all’Italia nuove partnership per divincolarsi dalla morsa della Russia. In pochi giorni sono stati chiusi accordi importanti, a partire da quello firmato con l’Algeria, dalla quale prenderemo altri 9 miliardi di metri cubi di gas in più (rispetto agli attuali 22,6), a partire dal 2023-2024, che arriverà tramite il gasdotto TransMed/Enrico Mattei grazie alla Dichiarazione di intenti tra Eni e Sonatrach.

Il secondo tassello ha visto la delegazione composta dai ministri, Luigi Di Maio e Roberto Cingolani (il premier, Mario Draghi, ha dovuto declinare dopo essere risultato positivo al Covid-19) in Angola, lo scorso 20 aprile. “Si tratta di un importante intesa che dà impulso alla partnership fra i nostri Paesi nei settori delle rinnovabili, dei biocarburanti, del Gnl e della formazione in ambito tecnologico ed ambientale”, ha detto il responsabile del Mite. Spiegando che non si tratta “solo un passo avanti nella diversificazione delle sorgenti di gas, ma anche un’importante contributo al sostegno della transizione ecologica globale”. La terza tappa della missione italiana, poi, è avvenuta il 21 aprile in Congo e prevede l’accelerazione e l’aumento la produzione di gas, in primo luogo tramite lo sviluppo di un progetto di gas naturale liquefatto con avvio previsto nel 2023 e capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate all’anno (oltre 4,5 miliardi di metri cubi l’anno). In questo modo – sottolinea Eni – l’export di Gnl permetterà di valorizzare la produzione di gas eccedente la domanda interna congolese.

Nella trattativa sono state definite anche di iniziative di decarbonizzazione per la promozione della transizione energetica sostenibile nel Paese africano, in particolare negli ambiti delle energie rinnovabili, dell’agricoltura con lo sviluppo di una filiera agricola – non in competizione con la catena alimentare – per la produzione di feedstock per la bioraffinazione, la conservazione e la gestione sostenibile delle foreste, l’adozione di sistemi di clean cooking, la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della Co2. “Stiamo mettendo in atto con grande fatica una strategia di diversificazione di fornitura di gas, stiamo spostando il baricentro delle forniture in Africa – dice Cingolani al Tg1 -. E’ chiaro che si pone un’opportunità non solo per l’Africa, ma anche per l’Italia, che diventa un Hub per il Mediterraneo. E’ un’opportunità energetica e geopolitica importante per l’Italia. Stiamo sostituendo il gas che potrebbe venire a mancare dalla Russia, ma è importante ricordare che non bruceremo più gas, ci impegniamo a mantenere la rotta della decarbonizzazione“, chiarisce.

In questo scenario, si aggiunge anche un altro accordo quadro, quello raggiunto al Cairo lo scorso 13 aprile tra il presidente di Egas, Magdy Galal, e il direttore generale Natural resources di Eni, Guido Brusco, che consentirà di massimizzare la produzione di gas e le esportazioni di Gnl, promuovendo così l’esportazione di gas egiziano verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia. I due manager hanno pattuito di valorizzare le riserve di gas egiziane aumentando le attività gestite congiuntamente e identificando opportunità per massimizzare la produzione di gas a breve termine. Eni ottimizzerà inoltre le campagne esplorative nei blocchi esistenti e nelle aree di nuova acquisizione nelle regioni del Delta del Nilo, del Mediterraneo Orientale e del Deserto Occidentale. Questo accordo, insieme a quello firmato per il riavvio dell’impianto di liquefazione di Damietta lo scorso anno, fornirà carichi di Gnl per volumi complessivi fino a 3 miliardi di metri cubi nel 2022 per il portafoglio Eni di gas naturale liquefatto diretto in Europa e in Italia.

La strategia italiana, però, prosegue perché l’obiettivo del governo resta quello di rimpiazzare il 50% del gas russo entro il 2023. Ecco perché nelle prossime settimane verranno concretizzati gli accordi anche con Azerbaijan, Mozambico, Qatar. Mentre, a livello europeo, resta alto il pressing per varare il tetto massimo al prezzo del gas, “che – ribadisce Di Maio – consentirà alle famiglie di pagare di meno sia sulla bolletta energetica e alle imprese di non vedere intaccata la propria competitività”. Del tema il ministro degli Esteri ne ha parlato anche oggi alla Farnesina, nell’incontro con l’omologo spagnolo, José Manuel Albares. Italia e Spagna, infatti, “lavorano a un Trattato di cooperazione rafforzata per relazioni bilaterali sempre più solide”. Segno che i tempi diventano sempre più serrati e la determinazione a chiudere il dossier aumenta.