ETTORE PRANDINI

Allarme Coldiretti: “Per siccità a rischio crac 250mila aziende”

Energia, siccità, difesa del Made in Italy, fondi europei e battaglia contro il Nutriscore. Sono queste le parole chiave dell’assemblea nazionale di Coldiretti. La prima, grande occasione pubblica per mettere insieme le tessere le puzzle dopo la fine della legislatura, in seguito alle dimissioni del premier, Mario Draghi. Su cui, comunque, continuano a concentrarsi le aspettative dei coltivatori diretti, anche grazie al perimetro ‘allargato’ degli affari correnti cui solitamente sono chiamati gli esecutivi dimissionari. “Abbiamo chiesto, in questo momento particolarmente drammatico, il credito d’imposta per gli energetici, partendo dal gasolio agricolo“, dice il presidente, Ettore Prandini. Aggiungendo di essere “convinto che, proprio grazie a quella continuità che il governo sta dando, riusciremo a portarlo a casa“.

Il messaggio che parte dal palco di Palazzo Rospigliosi è chiarissimo: “È strategico non sederci e osservare la campagna elettorale: dobbiamo continuare a lavorare come se la crisi di governo non ci fosse“. L’obiettivo è difendere il piano strategico nazionale, perché “è la programmazione di quello che dovremo andare a fare nei prossimi 5 anni – avvisa ancora Prandini – e qualsiasi forma di rinvio diventa perdita economica per le nostre imprese“. Anche Draghi mostra sensibilità ai temi posti sul tavolo da Coldiretti, tant’è che nel messaggio di buon lavoro inviato all’assemblea lo scrive nero su bianco: “L’agricoltura è essenziale per la crescita del nostro Paese, la salvaguardia dei territori, la tutela dell’ambiente“. Ecco perché il premier assicura che nonostante il periodo di crisi, il l’esecutivo resterà “vicino al settore“. Anzi, “siamo impegnati a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti più drammatici, come la siccità” e “continuiamo ad aiutare imprese e famiglie ad affrontare le difficoltà dovute agli aumenti dei prezzi, soprattutto dell’energia“. Investendo in “un’Italia più moderna e solidale” e mettendo “aziende in condizione di poter lavorare e programmare il futuro con fiducia. Intendiamo fare la nostra parte“.

Certo, il tempo stringe. E non solo per le elezioni del 25 settembre prossimo che, praticamente, bussano alle porte. Ci sono altre criticità da affrontare con urgenza: “La campagna elettorale non fermi gli interventi necessari per garantire la sopravvivenza delle imprese agricole, gli investimenti per ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare a imprese e cittadini la possibilità di produrre e consumare prodotti alimentari al giusto prezzo“, è l’appello lanciato da Coldiretti. Che avvisa sul “rischio di perdere 35 miliardi di fondi europei per l’agricoltura italiana nei prossimi cinque anni“, ma anche “la necessità di attuare al più presto le misure previste dal Pnrr“. In questo contesto non deve fermarsi l’azione italiana in Europa: “Sulla Pac occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale“. Bisogna anche correre sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sul taglio al costo del lavoro.

I prezzi delle materie prime, poi, sono una vera e propria mannaia sulla testa di produttori e consumatori. I rincari sono oltre la soglia di guardia, con aumenti che sfiorano anche punte del 250%. E poi c’è la siccità che, in combinato disposto con gli effetti della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, costringe circa 250mila aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), a produrre in perdita. Facendo salire anche i rischi di un crac drammatico. Risposte che Coldiretti attende, almeno in prima battuta anche dal governo uscente, ma con un occhio rivolto al futuro. Perché, per dirla con le parole di Prandini, “di emergenza si muore, non si sopravvive. Anche chi verrà a Palazzo Chigi avrà solo una strada, per i coltivatori diretti: programmare e investire.

cambiamento climatico

Il grande Rinascimento o il grande deserto? A noi la scelta, ancora per poco

Ve li ricordate quelli che davano dei catastrofisti agli scienziati? C’erano quelli che, ancora 4-5 anni fa, ironizzavano sul fatto che facesse freddo a maggio a Milano fregandosene del fatto che la media della temperatura annuale continuasse a salire. Oggi invocano aiuti per l’agricoltura italiana, stremata.

In Gran Bretagna ci sono 40 gradi. Incendi devastanti nella Penisola Iberica. Siccità mai vista e zero termico a 4800 metri in Italia. La natura ce lo sta dicendo in maniera evidente: ‘Avete di fronte l’opportunità di avviare un grande Rinascimento globale. Oppure proseguire verso il disastro. Potete ancora scegliere, ma non per molto’.

Vanno fatte scelte immediate, con ricadute in tempi stretti (entro il 2030), oltre a quelle strategiche, per sostenere il cambiamento a medio e lungo termine. No, non basta quello che i governi hanno fatto sinora: significa trascurare la portata di quello che sta accadendo. Siamo in ritardo di molti anni e quindi non basta fare scelte normali, ma sono necessarie scelte più che straordinarie. Bisogna innanzi tutto agire sulla produzione energetica (subito, non tra 20-30 anni), anche favorendo con forti incentivi le comunità energetiche di autoproduzione (soprattutto solare) tra inquilini, condomini e piccole comunità. È possibile, a portata di mano. Soddisfare il fabbisogno civile in tempi brevi per concentrarsi sulla trasformazione più complessa del sistema produttivo (che deve comunque cambiare strutturalmente).

Ci sono alternative per la produzione di energia, così come per l’urbanistica (decisiva per adattamento e riduzione dell’impatto), per l’industria, per la gestione del territorio e di tutti gli ambienti, anche per l’agricoltura (quella intensiva contribuisce in maniera consistente alle emissioni): come ha ricordato Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food, produciamo ogni anno cibo sufficiente per 12,5 miliardi di persone e siamo meno di 8 miliardi; significa che un terzo del cibo viene gettato nell’immondizia e senza avere comunque risolto il problema della fame del mondo.

Non c’è bisogno di inventare granché. La maggior parte delle possibili soluzioni sono note, anche nel campo delle scienze economiche, per altre bisogna sostenere con forza la ricerca. E ridurre l’enorme spreco, in ogni settore.

Perché il cambiamento climatico uccide e distrugge l’economia. Lo dimostrano i fatti di questi giorni, inequivocabili. Ma allargando lo sguardo possiamo apprezzare l’intero, precipitoso evolversi dei fatti che in questi anni ci hanno (noi umani) colpiti come fortissimi schiaffi in pieno volto: incendi e caldo insopportabile in tutta Europa; siccità e carestie terribili in tutto il globo; inondazioni o trombe d’aria a ripetizione, come accaduto anche in Sicilia nel novembre 2021.

Sono fatti drammatici che mettono a rischio le vite umane e l’economia, ma anche la sicurezza globale, perché accelerano le tensioni geopolitiche per le risorse, a partire da cibo e acqua.

Sono, però, fatti che sono stati ampiamente previsti dagli scienziati delle varie discipline, dall’economia alla climatologia. Previsioni che vengono ripetute da decenni e che ovviamente non riguardano il singolo evento ma la tendenza, il quadro che va realizzandosi. Inascoltati a lungo, addirittura irrisi in alcuni casi, gli scienziati hanno anche indicato la via: li ascoltiamo, finalmente?

(Photo credits: THIBAUD MORITZ / AFP)

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, incontra il Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare Abdelmadjid Tebboune, per il IV Vertice intergovernativo italia-Ageria.

Draghi firma 15 nuovi accordi con l’Algeria. Ma la crisi di governo non è risolta

La firma sui 15 nuovi accordi tra Italia e Algeria potrebbe essere l’ultimo atto internazionale del governo di Mario Draghi. Il premier tiene fede agli accordi con il presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune, e prende parte al quarto Vertice intergovernativo Italia-Algeria, prima di rituffarsi nella crisi della politica italiana, per preparare le comunicazioni di mercoledì prossimo nei due rami del Parlamento. Sarà una vera e propria verifica di maggioranza, alla quale si presentano tutte abbastanza divise le varie forze di unità nazionale, qualcuna anche dilaniata al proprio interno, come il Movimento 5 Stelle, alle prese con una possibile, nuova scissione di ‘governisti’ in rotta con il leader, Giuseppe Conte. Anche il centrodestra non sembra remare nella direzione auspicata da chi spera ancora di convincere il premier a restare, facendo sapere che Lega e Forza Italia ci sono a patto che i Cinquestelle escano e tolgano il disturbo.

Draghi incamera informazioni e riflette, ma dal suo volto non traspare nulla. Il suo impegno è concentrato sull’Algeria, per portare a casa quei 4 miliardi di metri cubi di gas naturale che sono “un’accelerazione rispetto a quanto previsto” dagli accordi già firmati tra Eni e Sonatrach, ma anche un fondamentale “anticipo” di forniture “ancora più cospicue” che arriveranno nei prossimi anni. Perché qualunque sarà la decisione sulle dimissioni, il presidente del Consiglio vuole avere una rete di protezione già attiva in caso la Russia decidesse di chiudere i rubinetti e impedire così lo stoccaggio di gas. Eventualità non proprio remota, peraltro, visto che Gazprom continua a rimandare l’avvio di Nord Stream 1, dando le colpe ai ritardi sulla consegna della turbina da riparare della stazione di compressione di Portovaya.

Ecco perché l’Algeria assume sempre più il ruolo di “Paese chiave per le nostre forniture energetiche“. Draghi, però, porta a casa, assieme ai ministri della sua delegazione (Luigi Di Maio, Roberto Cingolani, Luciana Lamorgese, Marta Cartabia, Enrico Giovannini, Elena Bonetti) e vertici di aziende pubbliche e private che lo accompagnano ad Algeri, altre importanti intese in diversi campi: dall’agricoltura al bio-medico, dalla farmaceutica all’agricoltura, ma anche giustizia, sicurezza, agroindustria e lotta alla corruzione. Tutti segmenti che l’Italia – almeno quella disegnata da questo Governo – intende sviluppare con lo storico partner. Rafforzando la cooperazione nei settori strategici nei quali le relazioni sono già buone e stanno diventando ottime: “L’amicizia tra Italia e Algeria è essenziale – aggiunge l’ex Bce – per affrontare le sfide che abbiamo davanti, dalle crisi regionali alla transizione energetica”. La collaborazione si estende, dunque, “anche alle forniture e allo sviluppo di fonti rinnovabili, in particolare dell’idrogeno verde, dell’energia solare, eolica e geotermica“.

Altro capitolo importante degli accordi sottoscritti ad Algeri riguarda l’agricoltura. “Dobbiamo lavorare insieme – spiega Draghi – e contribuire alla sicurezza alimentare” nella regione africana, “oggi minacciata dall’aumento dei prezzi dovuto all’invasione russa dell’Ucraina“. Il Mediterraneo, infatti, è un asse geopolitico fondamentale, la cui instabilità è acuita dallo stop al grano fermo sulle navi nei porti del Mar Nero, a causa della guerra scatenata da Mosca. Italia e Algeria, però, si propongono come argine diplomatico a una crisi alimentare “catastrofica“. Sempre se mercoledì, prima al Senato e poi alla Camera, questa maggioranza confermerà l’appoggio al governo. Possibilmente con una certa convinzione. Altrimenti le dimissioni di Draghi sono già sul tavolo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: basterebbe solo cambiare data. Mentre l’Italia, molto probabilmente, cambierebbe obiettivi. Dopo le elezioni anticipate, ovviamente.

 

(Foto Palazzo Chigi)

Patuanelli

Patuanelli: “La siccità? Altro tassello di crisi per l’agricoltura”

L’agricoltura è un settore cardine per l’economia italiana. Lo dimostra anche la drammatica situazione di crisi che il comparto sta affrontando a causa della siccità che da settimane non da tregua al Paese. Il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Stefano Patuanelli, nel corso di un’informativa alla Camera, definisce questi mesi di aridità come “un altro tassello di un momento di crisi per i sistemi agroalimentari”, sottolineando poi come la siccità stia provocando enormi lacune alla capacità produttiva del comparto facendo emergere, ancora una volta, “quanto le sorti del settore agricolo siano strettamente connesse anche al benessere economico e sociale dell’intero Paese”.

Le proiezioni fornite da Ispra per il prossimo futuro non lasciano alcuna speranza: “È prevista, a livello nazionale, una riduzione della disponibilità della risorsa idrica che va dal 10 al 40%“, chiarisce Patuanelli. Mai come ora c’è bisogno di azioni concrete, ma soprattutto “non è più rinviabile il rafforzamento del coordinamento degli interventi strutturali volti alla mitigazione dei danni derivanti dal fenomeno della siccità e il potenziamento e adeguamento delle Infrastrutture idriche”. Sono diverse le Regioni alle quali è già stata deliberata la dichiarazione dello stato di emergenza: “È anche per questo motivo che – afferma il ministro – il Governo sta lavorando per inserire nel decreto legge a sostegno dei lavoratori delle imprese alcune disposizioni urgenti per affrontare l’emergenza idrica“.

Tra le misure per contrastare gli effetti deleteri dell’aridità c’è anche il rinnovo gli strumenti di gestione del rischio disponibili per gli agricoltori: “Dal 1 gennaio 2023 verrà istituito un Fondo mutualistico nazionale”, spiega Patuanelli. Per quanto riguarda la quantificazione dei danni economici, per adesso i dati non sono reperibili in quanto “c’è ancora una maturazione in corso e quindi bisogna capire il calo delle rese.

Se da una parte questo tempo imprevedibile ha messo – e continua a mettere – a rischio il Paese, dall’altra un po’ della colpa deve essere attribuita anche a noi. “Un dato preoccupante è la scarsa capacità di stoccaggio dell’acqua piovana, che in Italia ammonta a circa l’11%”, illustra il ministro. Dati che ci dicono, in modo chiaro, in che direzione intervenire per il futuro: “aumentare la capacità di conservazione di acqua, rendendo più moderni gli invasi esistenti realizzando nuove opere a livello territoriale e aziendale, rinnovare e rendere efficiente la rete idrica riducendo le perdite e garantendo un monitoraggio puntuale degli usi, promuovere un uso razionale della risorsa idrica nel settore agricolo e industriale, privilegiando le tecniche di agricoltura di precisione, l’agricoltura 4.0“. Più che un’affermazione, quella di Patuanelli, vuole essere un appello a “sensibilizzare anche i cittadini a un uso responsabile dell’acqua quale bene comune da preservare per le future generazioni“.

siccità

Petta (Enea): “Servono informazione, infrastrutture adeguate e stop sprechi”

Come si può affrontare la siccità che sta piegando non solo il settore agricolo italiano, ma mettendo in pericolo anche industria e settore civile? “Con informazione, digitalizzazione, infrastrutture adeguate e azzeramento degli sprechi“. Lo dice Luigi Petta, ingegnere e responsabile del laboratorio tecnologie per l’uso e la gestione efficiente di acqua e reflue dell’Enea con cui GEA ha parlato per avere un quadro della situazione che, pare, diventerà sistemica nel Paese.

Questo evento siccitoso – spiega Petta – è conseguenza di una carenza di precipitazioni registrata nel corso dell’anno e soprattutto nel periodo invernale. Quello che quest’anno ha inciso maggiormente è stata la mancanza di nevicate invernali e l’assenza, principalmente per il bacino padano, di uno stoccaggio in forma nevosa che avrebbe garantito una restituzione graduale di risorse idriche verso valle“. Essendo mancato tutto questo e considerata la carenza di precipitazioni, “siamo giunti a questo livello, con fiumi quasi in secca, a livelli tipici di fine agosto. Stiamo vivendo gli effetti dei cambiamenti climatici che stanno determinando sempre di più una minore regolarità delle precipitazione. Dall’assenza si piogge si passa poi a eventi estremi, come le bombe d’acqua che hanno colpito recentemente il centro Italia. Situazioni che portano ad alluvioni e a forte stress dei sistemi fognari“.

Secondo Petta il risultato netto di questa situazione è la “riduzione di fonti idriche da cui prelevare, le acque per l’agricoltura, l’industria o gli usi residenziali che principalmente vengono da corpi idrici superficiali o falde profonde. In quest’ultimo caso, il ricorso all’acqua di falda contraddistingue più le zone del Nord Italia rispetto al Meridione.

Ma come risolvere, o mettere per lo meno una toppa a questa situazione? “Innanzitutto azzerando lo spreco di acqua. L’Italia ha una rete di distribuzione inefficiente: preleviamo 100 per portare a destinazione poco meno di 60, con perdite idriche che si assestano nell’ordine del 41,2% con picchi locali anche di oltre il 60%. È un problema strutturale che arriva da decenni di mancati investimenti“. Anche se si interviene ora è chiaro che il beneficio non sarà immediato, ci sono decine di migliaia di km di rete idrica da ripristinare. “Poi – dice Petta – è inefficiente anche l’uso che facciamo dell’acqua. L’agricoltura assorbe la metà delle risorse idriche prelevate, ma non vengono applicati sistemi di razionalizzazione dell’acqua, si utilizzano ancora vecchie tecniche irrigue; ora ci sono sistemi a goccia o superficiali che portano a un deciso risparmio della risorsa idrica perché fanno arrivare l’acqua lì dove ce n’è più bisogno, senza sprechi“. Anche il settore dell’industria non brilla per risparmio idrico: “Spesso e volentieri le aziende non si curano di risparmiare – prosegue Petta – anche perché, è bene ricordare, l’acqua è un bene che costa poco e molti la maltrattano. L’ultimo ambito di uso dell’acqua è poi quello residenziale, che assorbe il 23% del totale del consumo. Qui ci sono abitudini da correggere per consumare di meno; innanzitutto si pone il problema di favorire la contabilizzazione dei consumi idrici. Molti cittadini infatti non hanno la misura del proprio consumo idrico, lo conoscono solo in generale a livello condominiale. C’è dunque una mancata consapevolezza di quanto si sta consumando e se non so dove sto sprecando, non posso fare nulla per porvi rimedio. Quindi è fondamentale fare educazione e informazione“.

Risparmiata l’acqua, quella che resta deve poi essere utilizzata al meglio. “Bisogna quindi intervenire a livello di infrastrutture cercando di intercettare le masse d’acque, realizzando ad esempio nuovi bacini di contenimento. Poi anche la tecnologia viene in soccorso, con sistemi digitali si possono controllare tutti i processi per efficientare il processo di raccolta e distribuzione“.

Infine, l’ultimo suggerimento che viene dall’Enea, utile in campo agricolo, è quello che Petta definisce “ricorso a fonti idriche non convenzionali“, ovvero le acque reflue depurate da destinare a uso irriguo. “In questo modo – spiega – si offrirebbe all’agricoltura una risorsa costante e sarebbe una boccata d’ossigeno per tutto il sistema in periodi di crisi come questo“. In Italia però attualmente questo recupero idrico di effluenti viene effettuato solo nel 4% dei casi. “Di 100 metri cubi di di effluenti depurati, solo 4 vengono usati per questo scopo“. Esempi ci sono a Cesena, con le acque reflue recuperate e depurate (grazie alla multiservizi Hera) e destinate all’irrigazione dei campi oppure in provincia di Reggio Emilia con una sperimentazione simile del gruppo Iren.

irrigazione

Troppa acqua per irrigazione: tecnologia in soccorso dell’agricoltura

È braccio di ferro in queste settimane tra agricoltori e Autorità di bacino per i prelievi dai fiumi del Nord, ridotti ormai ai minimi termini causa siccità, per irrigare i campi. La richiesta di acqua è costante anche per salvare il primo raccolto. Ma i sistemi di irrigazione utilizzati sono efficienti? Utilizzano bene l’acqua senza sprecarla inutilmente? Gea ne ha parlato con l’azienda ‘Scarabelli irrigazione‘ di Bologna, attiva dal 1977 nel campo dell’irrigazione in agricoltura (che genera circa il 40 % del loro fatturato), in quella ornamentale e in quella dello sport (campi da golf, calcio e tennis). “In agricoltura – spiega il responsabile dei sistemi di irrigazione in agricoltura dell’aziendai sistemi di irrigazione sono sostanzialmente tre: quello a goccia, che spreca meno di tutti, va infatti a segno il 92% dell’acqua utilizzata; poi quello pivot, che garantisce il 70-75% dell’acqua utilizzata e infine quello a pioggia tradizionale, con appena il 55-60% dell’acqua che finisce nei campi“.

Il sistema a goccia è in sostanza una rete di piccoli tubi che corre sul terreno a fianco delle piante; con questo sistema l’acqua finisce direttamente nella terra e nelle radici, sprecandone appena l’8%. I pivot sono invece quei grandi ‘castelli’ metallici con le ruote che spruzzano acqua dall’alto sprecandone circa il 25%. Infine i sistemi a pioggia sono una sorta di cannoni spara acqua che innaffiano dall’alto, ma poco precisi. A tutti infatti è capitato di vedere questi sistemi di irrigazione che sparano acqua sulla strada o getti deviati dal vento. Quelli a pioggia infatti disperdono circa il 45% dell’acqua che utilizzano.

Quindi, non si potrebbero utilizzare i sistemi a goccia per tutti i terreni e tutte le coltivazioni?
In teoria sì – continua l’esperto – non ci sono infatti coltivazioni che prediligono un sistema irriguo rispetto a un altro, quindi quello a goccia sarebbe ideale dal punto di vista del risparmio idrico. C’è da dire però che il sistema a goccia è fisso; una volta sistemato sul terreno, non si può spostare. I pivot e quelli a pioggia invece si possono spostare a piacimento. Alcuni agricoltori poi prediligono l’irrigazione dall’alto per determinate colture, penso ad esempio l’insalata, per poter bagnare anche le foglie“.

Per contribuire a evitare sprechi d’acqua anche in agricoltura viene però in aiuto la tecnologia. Scarabelli, infatti, ha studiato, tra le altre cose, due sistemi intelligenti per irrigare in modo quasi chirurgico. Il primo metodo è un sistema di sensoristica: in pratica ci sono dei sensori nei terreni che avvertono l’agricoltore sullo stato di salute del terreno e lo invitano ad irrigare determinate aree del campo. Questo sistema, però, dovrebbe essere posizionato in maniera capillare: “Il campo infatti – prosegue il dirigente – non è uniforme, cioè non è formato dappertutto dallo stesso tipo di terreno. I sensori dunque, per essere efficaci, dovrebbero essere sistemati in maniera adeguata e diffusa“.

L’altro sistema è invece ‘un occhio dall’alto’, ovvero il sistema Irreo, una startup innovativa, sul mercato da un anno e mezzo, realizzata dai soci Andrea Pomente e Luca Calacci, di cui Scarabelli è distributore in Italia. Si tratta di un monitoraggio satellitare dei campi agricoli; grazie a una app o a un sito internet, a sistemi software e hardware, l’agricoltore può monitorare lo stress delle colture dei propri campi, controllare le previsioni meteo e programmare l’irrigazione in maniera ottimale. Irreo è totalmente basato su dati satellitari e non necessita di alcun tipo di installazione, non servono sensori da predisporre e non va fatta manutenzione; basta avere a portata di mano un computer o uno smartphone. Questo sistema aumenta l’efficienza irrigua, eliminando sprechi d’acqua e riducendo gli stress idrici e in più l’agricoltore sarà in grado di analizzare lo stato di salute delle colture, il livello dell’umidità del suolo, l’evapotraspirazione e l’andamento bioclimatico sul terreno. In questo modo non servirà irrigare random il terreno, ma si procederà in maniera precisa per ottenere i migliori risultati, evitando lo spreco dell’acqua.

grano

Mercato instabile e prezzi alle stelle: l’agricoltura è sempre più cara

Il problema è noto da tempo e sia gli agricoltori, sia i consumatori lo stanno sperimentando direttamente: le conseguenze della guerra russa in Ucraina, con il blocco delle esportazioni dai porti del Mar Nero, sta avendo un impatto significativo sui prezzi dei prodotti agricoli e alimentari in tutto il mondo, e l’Europa non fa eccezione. Ma a certificare e quantificare questo rincaro con i dati dell’economia dell’Unione europea è Eurostat, che rileva “l’ulteriore instabilità dei mercati, con forti aumenti dei prezzi dei principali prodotti e input agricoli” a causa dell’invasione dell’Ucraina messa in atto dal Cremlino: “Ciò ha disturbato in modo significativo i mercati agricoli globali, soprattutto perché Russia e Ucraina sono stati grandi esportatori di cereali, grano, mais, semi oleosi e fertilizzanti“, si legge nella nota di Eurostat a corredo dei dati pubblicati il primo luglio.

A spiccare è l’aumento del prezzo medio della produzione agricola nei Paesi membri dell’Unione Europea, pari al 19,9% dal primo trimestre del 2021 allo stesso periodo di quest’anno, con particolare attenzione per i cereali (+41,5%), i semi oleosi (+51,7%), i bovini (+24,2%), il pollame (+22,2%) e il latte (+21,4%). La tendenza al rialzo dei prezzi era già stata rilevata nell’ultimo trimestre dello scorso anno, ma l’accelerazione è stata sensibile nei primissimi mesi di quest’anno, in particolare dopo il 24 febbraio: rispetto all’ultimo trimestre del 2021, sul territorio comunitario si è assistito a un ulteriore rincaro del 6%, con i picchi registrati in Lituania (+18,1%), Romania (+14,4%) e Paesi Bassi (+13,9%). L’Italia rimane invece in linea con la media Ue, al +5,4%.

A questo si deve aggiungere il parallelo aumento dei prezzi dei beni e servizi attualmente consumati in agricoltura (ovvero i fattori produttivi non legati agli investimenti). Comparati con i dati di un anno fa, nel primo trimestre 2022 è stato registrato un rincaro del 27%, causato dal quasi raddoppio dei prezzi dei fertilizzanti (+96,2%) e di poco più della metà per l’energia e i lubrificanti (+55,6%), senza dimenticare i mangimi (+22,9%). Che la tendenza sia esponenziale dal momento dello scoppio della guerra in Ucraina lo conferma il confronto con gli ultimi tre mesi del 2021. A livello Ue l’aumento è del 9,5% e tutti i Paesi membri l’hanno sperimentato in diversa misura: se in Italia si attesta al +8%, è ancora la Lituania a registrare il livello più alto (+24,5%), seguita da Lettonia (+18,9%) e Slovacchia (+14,6%), mentre i tassi di incremento più bassi sono stati registrati a Malta (+4,7%), Slovenia e Portogallo (entrambi +6,2%).

(Photo credits: Oleksandr GIMANOV / AFP)

Il settore agricolo è sempre più green e con donne ai vertici

Un’agricoltura sempre più giovane e dinamica, con tantissime imprese a conduzione femminile e con una crescente attenzione agli sviluppi della ricerca e alle sue applicazioni, ma anche alla digitalizzazione“. Le parole del presidente di Copagri, Franco Verrascina, inquadrano efficacemente i primi risultati del settimo censimento dell’agricoltura dell’Istat relativo all’annata 2019-2020 (in confronto con il 2010 e il 1982). Il report infatti fotografa un settore in buona salute, sia per quanto riguarda le coltivazioni sia per gli allevamenti, e conferma il sostegno al Pil nazionale da parte del Made in Italy agroalimentare. Tuttavia è il dato storico a preoccupare: a ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, ma nell’arco di 38 anni sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. Rispetto al 1982 c’è stata una flessione del 63,8% e la riduzione è stata più accentuata negli ultimi 20 anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era a circa 2,4 milioni.

Secondo il CensiAgri, inoltre, dal 2010 le aziende agricole sono in netto calo e soprattutto al Centro-Sud: almeno -22,6% in tutte le regioni, ad eccezione delle province autonome di Bolzano (-1,1%) e di Trento (-13,4%) e della Lombardia (-13,7%). Il calo più deciso si registra in Campania (-42,0%). Nel decennio la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%) mentre nelle altre ripartizioni geografiche si attesta sotto la media nazionale.

LE COLTIVAZIONI

Dal censimento emerge che oltre la metà della Superficie agricola utilizzata (Sau) continua a essere coltivata a seminativi (57,4%), seguono i prati permanenti e pascoli (25,0%), le legnose agrarie (17,4%) e gli orti familiari (0,1%). Più nel dettaglio, i seminativi sono coltivati in oltre la metà delle aziende italiane, ossia più di 700mila (-12,9% rispetto al 2010), per una superficie di oltre 7 milioni di ettari (+2,7%) e una dimensione media di 10 ettari. In Emilia-Romagna, Lombardia, Sicilia e Puglia è concentrato il 41,4% della superficie nazionale dedicata a queste colture. Tra i seminativi, i più diffusi sono i cereali per la produzione di granella (44% della superficie a seminativi). In particolare, il frumento duro è coltivato in oltre 135mila aziende per una superficie di oltre 1 milione di ettari.

ALLEVAMENTI

Quanto all’allevamento, la Sardegna primeggia in Italia con circa 24mila aziende (10% del totale italiano), seguita da Veneto (8,3%) e Lombardia (8,2%), con circa 20mila aziende, e dal Piemonte (7,6%) con 18mila. Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e Trentino, entrambe con circa 4mila aziende (il 2% del totale). All’1 dicembre 2020 in Italia si contano 213.9841 aziende agricole con capi di bestiame (18,9% delle aziende attive). In termini assoluti, i capi allevati in Italia sono 203 milioni, dei quali 8,7 milioni suini, 7 milioni ovini e 5,7 milioni bovini (a cui si aggiungono ovviamente galline, tacchini, conigli etc…). Il contributo maggiore di animali allevati spetta al Nord-est, dove si trova la metà di tutti i capi censiti (quasi un terzo nel solo Veneto).

DONNE E GIOVANI

Il CensiAgri Istat si concentra anche sulla demografia delle imprese agricole italiane. Spicca ad esempio il dato sulla presenza femminile, che in termini numerici diminuisce tra il 2010 (36,8%) e il 2020 (30%) mentre aumenta la partecipazione in ruoli manageriale: i capi azienda sono donne nel 31,5% dei casi (era il 30,7% nel 2010). A livello anagrafico, è ancora limitata la presenza di capi azienda nelle fasce di età più giovanili: nel 2020 i capi azienda fino a 44 anni sono il 13%, in calo rispetto al 2010 (17,6%). Ad ogni modo il CensiAgri sottolinea che le aziende con a capo un under45 sono 4 volte più informatizzate rispetto a quelle gestite da un capo over 64 (32,2% e 7,6%). E l’incidenza delle aziende digitalizzate è maggiore nel caso in cui esse siano gestite da un capo azienda istruito e ancora di più nel caso in cui il percorso di studi sia orientato verso specializzazioni di tipo agrario. A proposito di innovazione, l’11% delle aziende agricole coinvolte nel censimento ha dichiarato di aver effettuato almeno un investimento innovativo tra il 2018 e il 2020. I maggiori investimenti innovativi sono stati rivolti alla meccanizzazione (55,6% delle aziende che innovano), seguono l’impianto e la semina (23,2%), la lavorazione del suolo (17,4%) e l’irrigazione (16,5%).

INNOVAZIONE E TRANSIZIONE GREEN

In tema di innovazione e investimenti le aziende agricole guardano sempre di più alle fonti di energia alternative e pulite. Secondo un’analisi Coldiretti, dal 2010 è triplicato il numero di imprese del settore che producono energia, dal biometano al solare. La crescita è monstre: +198% nel giro di un decennio. “L’obiettivo – spiega la Coldiretti – è ridurre la dipendenza del Paese dall’estero e fermare i rincari che stanno mettendo in ginocchio famiglie e imprese, mentre il prezzo della benzina sale ancora arrivando a 2,073 al litro e al G7 si discute sul tetto al gas e al petrolio da Mosca”. Partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare le flotte del trasporto pubblico come autobus, camion e navi oltre alle stesse auto dei cittadini.

In questo modo – spiega una nota dell’associazione agricola – sarà possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green“. Gli impianti di biogas in Italia – spiega la Coldiretti – oggi producono 1,7 miliardi di metri cubi di biometano ma è possibile quadruplicare questa cifra in meno di dieci anni con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti. Ma un aiuto importante potrebbe venire anche dal fotovoltaico pulito ed ecosostenibile per il quale – ricorda Coldiretti – sono tra l’altro previsti 1,5 miliardi di euro di fondi nell’ambio del Pnrr. Secondo uno studio di Coldiretti Giovani Impresa solo utilizzando i tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole sarebbe possibile recuperare una superficie utile di 155 milioni di metri quadri di pannelli con la produzione di 28.400Gwh di energia solare, pari al consumo energetico complessivo annuo di una regione come il Veneto.

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Il 98% aziende del Food investe in sostenibilità: attenzione ai packaging

Il 2021 ha segnato una forte ripresa nel settore del food, con una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. È quanto emerge dal Food Industry Monitor (FIM), l’Osservatorio sul settore food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors. Giunto alla sua ottava edizione, l’Osservatorio è dedicato quest’anno all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business.

PREZZI MATERIE PRIME

La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023. I comparti delle farine e del caffè saranno interessati nel 2022 da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’olio, dei surgelati e del latte. Il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export.

PERFORMANCE DI SOSTENIBILITÀ

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni. “Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo”, ha precisato Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”, ha aggiunto.

SOCIETÀ FAMILIARI

Le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food. Il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia: “Un elemento su cui riflettere – sottolinea Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors – se si considera che circa il 65% delle aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In molti casi insomma non si considerano i benefici di un modello gestionale aperto, che preveda l’affiancamento di manager esterni a membri familiari, e questo è spesso una delle cause di forte freno allo sviluppo. In taluni casi può minare la continuità familiare dell’azienda”. In generale, comunque, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. “I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido”, conclude Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio.

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Siccità, l’Italia chiude i rubinetti: al via turnazione idrica

Le Regioni, i Comuni e i Consorzi lo chiedevano da tempo e ora la questione siccità è arrivata concretamente al tavolo dei piani alti. Per mettere in campo le competenze necessarie per affrontare la questione su più fronti – infrastrutturale, competenze regionali, eventuali ristori – è stato istituito un tavolo di coordinamento che comprende tutte le amministrazioni interessate, quindi la Protezione civile, il ministero delle Politiche agricole, della Transizione ecologica, degli Affari regionali, delle Infrastrutture e dell’Economia. “Il governo sta lavorando moltissimo“, assicura il ministro Roberto Cingolani.

L’azione ora è su più linee: da un lato il coordinamento ministeriale, dall’altro le Regioni, che sono al lavoro sull’individuazione dei criteri per poter dichiarare lo stato d’emergenza. Sarà poi compito della Protezione civile predisporre un Dpcm da trasmettere al Consiglio dei ministri. Per quanto concerne il settore agricolo, e sempre su proposta delle Regioni, come ricorda il Mipaaf, “si potrà proclamare lo ‘stato di eccezionale avversità atmosferica’ qualora il danno provocato dalla siccità superi il 30% della produzione lorda vendibile“.

E mentre le istituzioni lavorano e da più parti si invoca “una cabina di regia nazionale“, capace non solo di far fronte all’emergenza, ma di avviare un piano concreto di gestione delle acque, l’Italia chiude i rubinetti. Ormai sono centinaia i Comuni che hanno emesso ordinanze per limitare l’uso dell’acqua potabile alle necessità igieniche e domestiche e decine quelli che hanno sospeso l’erogazione durante le ore notturne. In 22 Comuni della Provincia di Frosinone è già stata avviata la turnazione idrica e molti altri hanno subito un abbassamento della pressione. Continuano a calare vistosamente anche fiumi e bacini laziali: l’Aniene ha portata dimezzata, il Tevere è ai livelli minimi in anni recenti, il Sacco è sempre più a secco.

Ma è al nord che la situazione è più drammatica. “La linea del Garda – dice l’Anbiè l’ultima speranza idrica per ristorare l’esangue fiume Po e contrastare la risalita del cuneo salino, che ormai sta pericolosamente marciando verso i 20 chilometri all’interno della pianura di Ferrara“. Il sale rende, di fatto, inutilizzabile l’acqua per l’agricoltura e rischia di trasformare le falde. I grandi bacini del nord sono ai livelli minimi: i laghi di Como (13,5% di riempimento) e d’Iseo sono ormai vicini al record negativo, già più volte superato invece dal lago Maggiore, oggi riempito al 20%. L’anno scorso i bacini settentrionali in questo periodo erano ancora oltre il 90% del riempimento e la neve sui monti era abbondante ben oltre la media.

Il Po continua a registrare una magra epocale lungo tutto il corso: al rilevamento finale di Pontelagoscuro, la portata si è dimezzata in 2 settimane, scendendo a poco più di 170 metri cubi al secondo, quando la soglia critica per la risalita del cuneo salino è fissata a 450 mc/s. In Piemonte, ad eccezione della Stura di Lanzo, decrescono tutti fiumi e il Tanaro è al 30% della portata di dodici mesi fa. In Valle d’Aosta, la Dora Baltea si attesta sui valori minimi in anni recenti ed è ormai Siccità estrema nelle zone centro-orientali della regione.

In Lombardia, le portate del fiume Adda, nel cui bacino idrografico le precipitazioni sono state finora di 270 millimetri contro una media di 460, sono inferiori del 67% al consueto, così come sono -54% sul Brembo, -63% sul Serio , -64% sull’Oglio. Sciolta in anticipo tutta la neve in montagna, la riserva idrica regionale è il 60% della media.

Non va meglio a nord-est dove, in Veneto, il fiume Adige ha un’altezza idrometrica inferiore di 2 metri e mezzo rispetto all’anno passato e di circa 20 centimetri rispetto al 2017. Anche la Livenza è a -2 metri rispetto al livello 2021. In Friuli, i serbatoi nei bacini della Livenza e del Tagliamento mantengono valori prossimi o inferiori ai minimi storici del periodo.

La Protezione civile, intanto, ha emesso l’allerta gialla per cinque Regioni (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e settori di Piemonte e Trentino Alto Adige), per il rischio di temporali. Pioverà, insomma, ma non abbastanza e non con le modalità necessarie a dare respiro ai terreni aridi: le grandinate previste rischiano di dare il colpo di grazia alle coltivazioni sofferenti.

(Photo credits: Piero CRUCIATTI AFP)