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Il 98% aziende del Food investe in sostenibilità: attenzione ai packaging

Il 2021 ha segnato una forte ripresa nel settore del food, con una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. È quanto emerge dal Food Industry Monitor (FIM), l’Osservatorio sul settore food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors. Giunto alla sua ottava edizione, l’Osservatorio è dedicato quest’anno all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business.

PREZZI MATERIE PRIME

La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023. I comparti delle farine e del caffè saranno interessati nel 2022 da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’olio, dei surgelati e del latte. Il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export.

PERFORMANCE DI SOSTENIBILITÀ

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni. “Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo”, ha precisato Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”, ha aggiunto.

SOCIETÀ FAMILIARI

Le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food. Il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia: “Un elemento su cui riflettere – sottolinea Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors – se si considera che circa il 65% delle aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In molti casi insomma non si considerano i benefici di un modello gestionale aperto, che preveda l’affiancamento di manager esterni a membri familiari, e questo è spesso una delle cause di forte freno allo sviluppo. In taluni casi può minare la continuità familiare dell’azienda”. In generale, comunque, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. “I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido”, conclude Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio.

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Gio Evan, cantautore green: “Condizioniamo il sistema”

Chi si immagina la vita dell’artista come un continuo ballo in maschera forse non ha mai conosciuto Gio Evan. Scrittore, poeta, cantautore, all’attivo persino una partecipazione al Festival di Sanremo. Ma la sua quotidianità è ben lontana dal glitterato mondo dello spettacolo. È fatto di spiritualità e, soprattutto, è molto ‘green’. Tanto che il cantautore vive in montagna e lì, racconta a GEA, “si pratica la tranquillità, è una terra contadina, si segue il calendario dell’agricoltura. Non ci interessa il giorno della settimana ma se piove, così non dobbiamo annaffiare, o se c’è il sole così possiamo arare. Noi pratichiamo la lentezza da ben prima che ci fosse la pandemia. E siamo contenti di continuare a esercitarla”.

Evan, però, non ha problemi a conciliare i due stili di vita. Anzi. “Quel che faccio al di fuori del mondo agricolo è che pratico arte e l’arte si sposa bene con tutto, è come un abito nero. Sono molto contento di essere un personaggio pubblico, vuol dire che c’è un interesse per persone come me che non c’entrano niente con questo ambiente. Dovrebbe essere così per tutti, più naturale”. L’indicazione del cantautore è chiara: “Bisognerebbe riavvicinarsi a una vita green, più ecosostenibile e più bella. Spesso quando vado in città vedo una marea di tristezza e penso: ‘Da quanto non vedete un bosco? Ma cavolo, vacci’. Siamo tristi perché non possiamo esercitare la natura che è fondamentale. Prendersi tempo per andare al fiume, in montagna, al mare: quello è riallacciarsi alla vita”.

E, forse anche per questo, Gio Evan non è contrario alla ‘moda’ della sostenibilità. “Certo – riflette -, c’è una strumentalizzazione. Ma la moda non è sempre un male. Anzi, a volte lascia un’impronta forte. Il sistema deve per forza seguire dove va il cliente e se tutti ci spostiamo possiamo dirigerlo. È un potere che dovremmo sfruttare di più, il sistema ci ascolterebbe”.

Il suo stile di vita, il cantautore lo porta anche nella musica. Come nel suo nuovo singolo, ‘Hopper‘, ispirato dal pittore che definisce “un perfezionista della solitudine”. Proprio come lui, che ama stare da solo in mezzo alla natura e praticare la lentezza. Ma che poi è anche bravissimo a radunare le persone che hanno la sua stessa visione. Come succederà con ‘Evanland’, il Festival Internazionale che si svolgerà al Carroponte il 1 luglio. Una giornata di workshop, incontri, laboratori, spettacoli, concerti e letture che spazieranno fra il gioco, la spiritualità, la sostenibilità e l’arte. “Perché – sintetizza Gio Evan – in un mondo dove i malvagi sono ben organizzati tra loro, occorre che i buoni si riuniscano e scendano dalle loro montagne per darsi appuntamento”.

(Photo credits: Valentina Ceccatelli)

Il coleottero giapponese minaccia la Francia

Il coleottero giapponese, un pericolo per centinaia di specie vegetali, potrebbe presto essere introdotto in Francia, ha avvertito l’Agenzia nazionale francese per la salute e la sicurezza (Anses), raccomandando una maggiore sorveglianza e vari mezzi di controllo. Il coleottero giapponese (Popillia japonica) è stato avvistato in Italia nel 2014 e in Svizzera nel 2017 e “la probabilità che entri in Francia è alta“, ha dichiarato l’Anses in un comunicato. “Questo insetto rappresenta una minaccia per centinaia di specie vegetali: l’adulto preferisce nutrirsi di foglie mentre le larve si nutrono di radici“, avverte l’Anses.

Si tratta di oltre 400 tipi di piante, tra cui “piante alimentari: prugna, mela, vite, mais, soia, fagioli, asparagi, ecc.; specie forestali, come l’acero piatto o il pioppo; piante ornamentali, ad esempio i cespugli di rose o alcune specie presenti nei prati e nei tappeti erbosi“. Per l’Anses è impossibile prevenire l’arrivo di questo coleottero in Francia. “È un insetto che si muove facilmente, le condizioni di temperatura e precipitazioni gli sono favorevoli e poiché può consumare molte specie di piante presenti sul territorio francese non avrà difficoltà a trovare fonti di cibo“, spiega Christine Tayeh, coordinatrice scientifica dell’Anses. È quindi necessario “intervenire non appena l’insetto viene individuato per la prima volta“, attraverso “trappole dotate di esche miste (una combinazione di feromoni sessuali e attrattivi floreali)” posizionate lungo il confine con i Paesi in cui è già presente e in prossimità dei punti di ingresso al territorio (porti, aeroporti, strade), sensibilizzando anche gli operatori dei settori interessati. La formula ha funzionato in Oregon e California, dice l’Anses.

In caso di rilevamento, l’Agenzia raccomanda di “delimitare una zona infestata” con una sorveglianza rafforzata e l’attuazione di diversi mezzi di controllo contro il coleottero, tra cui “la cattura di massa, l’uso di prodotti fitosanitari di sintesi e la lotta biologica“, a seconda della situazione. Anche l’irrigazione durante il periodo di deposizione delle uova o l’aratura del terreno in autunno possono essere utilizzati per ridurre la sopravvivenza delle larve e i danni alle piante. “Se tali azioni non vengono messe in campo il prima possibile dopo l’individuazione del coleottero giapponese, prevenire la sua diffusione una volta che si è insediato sul territorio può richiedere molto tempo e avere scarse possibilità di successo“, avverte l’Anses.

rifiuti smartphone

Gli smartphone inquinano quanto Paesi Bassi e Venezuela

Immaginiamo di riunire assieme tutti i 4,5 miliardi di smartphone presenti nel mondo e di misurarne in un anno l’impronta nociva sull’ambiente. Il risultato? Circa 146 milioni di tonnellate di CO2 (o CO2e, emissioni equivalenti), un quantitativo simile a quello generato da stati come i Paesi Bassi o il Venezuela. I numeri forniti da Deloitte nelle sue TMT Predictions 2022 fanno ben capire quanto operazioni all’apparenza innocue, come acquistare o utilizzare un telefonino (o un altro device elettronico), possano avere ripercussioni sull’ambiente.

Secondo il rapporto Digital Green Evolution di Deloitte, le emissioni sono collegate soprattutto alle prime fasi del ciclo di vita di uno smartphone. Ben l’83% del totale è collegato alla produzione, al trasporto e al primo anno di utilizzo. Solo l’11% delle emissioni riguarda l’utilizzo a partire dal secondo anno di vita, mentre risulta residuale l’impatto delle attività di ripristino di smartphone esistenti (4%) e i processi di fine-vita, riciclo incluso (1%). Questo scenario rende evidente che la strada maestra per ridurre l’impronta ambientale degli smartphone è quella di incidere sulla produzione, favorendo soprattutto l’utilizzo di materiali riciclati che limitino le attività di estrazione delle terre rare, particolarmente inquinanti. Fondamentale anche allungare il ciclo di vita dei prodotti, rendendo maggiormente vantaggiosa la riparazione rispetto alla sostituzione del dispositivi. E in tal senso potrà giocare un ruolo chiave l’eventuale estensione del diritto alla riparazione che attualmente non include gli smartphone e altri device quali tablet e pc portatili.

Diritto riparazione

Anche i consumatori però possono fare la loro parte, adottando comportamenti maggiormente consapevoli. Oggi la vita media degli smartphone è stimata tra i 2 e i 5 anni, ma la tendenza sembra essere quella di ritardare sempre più la sostituzione del device. Secondo Deloitte, nel 2016 due italiani su tre dichiaravano di aver acquistato nell’ultimo anno e mezzo uno smartphone, mentre nel 2021 questa quota si è abbassata a poco meno della metà. Trend simili sono stati rilevati anche in Paesi come Germania, Regno Unito, Austria e Belgio.

Questa tendenza è senza dubbio positiva per l’ambiente, anche se pare essere più legata a motivazioni di stampo economico che a un’effettiva coscienza green dei consumatori in fatto di smartphone. Sempre secondo la ricerca di Deloitte, solo il 14% di chi acquista uno smartphone considera la durata attesa del dispositivo come una caratteristica importante nella scelta del modello. Si bada molto più a caratteristiche tecniche come la durata della batteria (49%), la velocità del processore (32%), la qualità della fotocamera (27%) e la capacità della memoria (27%), piuttosto che al semplice richiamo del brand (24%). Inoltre, appena il 2% presta attenzione all’eventuale impiego di materiali riciclati. Stesse dinamiche anche per chi utilizza uno smartphone usato o ricondizionato, cioè appena il 7% dei partecipanti all’indagine Deloitte. Tra questi, solo il 9% afferma di aver compiuto questa scelta per la volontà di essere rispettosi dell’ambiente: la spinta principale invece arriva dalla maggior economicità rispetto a un cellulare nuovo e dalla possibilità di ‘ereditare’ il device da parenti o amici (41% per entrambe le motivazioni).

Simona Bonafé

Bonafé (Pd): “Riposizionamento economia e tech per transizione verde”

Il Parlamento europeo non riesce a far progredire, per ora, le proposte di riforma del mercato di certificati di emissioni (Ets) e l’introduzione di un meccanismo che possa far pagare per l’inquinamento prodotto nei processi industriali di prodotti realizzati fuori dall’Ue e poi venduti nel mercato interno. Niente è perduto, ma bisogna fare in fretta. Su questi dossier come su tutta l’agenda verde europea vanno evitati ripensamenti. “Non c’è solo la questione di voler contrastare i cambiamenti climatici, che è un’altra grande emergenza e di cui peraltro si parla troppo poco, ma c’è in gioco la competitività” dell’Europa, ricorda Simona Bonafé. Nell’intervista concessa a GEA l’europarlamentare del Pd e del gruppo S&D membro della commissione Ambiente, ricorda che la transizione verde riguarda “nuove tecnologie” e quindi “il riposizionamento” di imprese ed economia a dodici stelle, quindi torna sul voto dell’Aula su i dossier chiave dell’agenda sostenibile del’Ue.

Quanto accaduto in Parlamento dimostra che il Green Deal è più facile a dirsi che a farsi?
“Noi in Parlamento ci siamo assunti un impegno, approvato a larga maggioranza, di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, a cui si aggiunge l’impegno della presidente della Commissione europea di fare dell’Europa un continente carbon neutral nel 2050. Fin qui tutti ad applaudire, ma poi ahimé abbiamo visto che su due provvedimenti importanti come il meccanismo Ets, che è quello per cui chi inquina paga volendo ridurlo in estrema sintesi, e quello per l’aggiustamento del carbonio alle frontiere c’è stato un asse delle forze conservatrici di destra per abbassare l’ambizione delle proposte”.

Non c’era altra alternativa che votare contro a quel punto, giusto?
“Ricordiamo che quello che si votava era la posizione negoziale del Parlamento, in vista poi del negoziato con il Consiglio. Se si arriva a negoziare con ambizioni al ribasso, poi il risultato finale quale possiamo attenderci che sia?”

Su Ets e Cbam l’Europa ha fatto una brutta figura?
“Intanto ricordiamo che il Cbam non è stato votato. Diciamo che c’è stata la volontà di chi non ha mai creduto nel Green Deal di non far progredire questi file, adducendo motivazioni strumentali al Green deal come la guerra in Ucraina, l’inflazione. Io dico il contrario. Proprio per queste situazioni dobbiamo spingere sulle rinnovabili se vogliamo sottrarci dalla dipendenza energetica della Russia”.

L’UE può permettersi ritardi sul Green Deal? E in tal senso, è fiduciosa che ora in commissione Ambiente queste legislazioni possano trovare un’intesa politica?
“La commissione Ambiente ha già convocato i lavori per la settimana prossima, e credo che i file siano già previsti per la prossima plenaria di luglio, quindi parliamo di 15 giorni. Facendo parte della commissione mi impegnerà affinché non si perda tempo. Mi auguro che si trovi una soluzione. Come detto, mi auguro che non si annacqui il pacchetto e che non si abbassi l’ambizione delle proposte”.

Su auto e furgoni invece tutto bene. Avete già qualche indicazione sugli orientamenti del Consiglio, in vista del negoziato inter-istituzionale?
“Ecco, è vero che c’è stato un voto negativo su Ets, ma al voto c’era un altro dossier importante che era quello sulle auto e i furgoni alimentati da motori a combustione, quindi a benzina e diesel, e qui siamo riusciti a imporre lo stop dal 2035. Qui mi sembra che in Consiglio anche Stati che hanno peraltro un’industria automobilistica molto forte, e mi riferisco alla Germania, si sono attenuti a questo obiettivo. Quindi ritengo che sulle auto la posizione dell’Europa possa essere ambiziosa”.

cop27

La COP27 rischia di diventare il flop di Madrid e Glasgow

Duecento rappresentanti dei paesi di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Bonn per preparare la COP27 che si terrà in Egitto a novembre. Quasi sei mesi per mettere a regime un appuntamento considerato fondamentale dopo il mezzo fiasco della COP26 a Glasgow e la guerra che, come sostengono in molti e come si percepisce per via induttiva, contribuirà a rallentare il già difficoltoso processo di decarbonizzazione del pianeta.

La domanda è semplice e abbastanza spontanea: ma c’è bisogno di ‘preparare’ un appuntamento così cogente addirittura sei mesi prima? La risposta è altrettanto semplice e altrettanto spontanea: sì. Perché al di là delle chiacchiere e dei buoni propositi per ripulirsi le coscienze, non tutti i Paesi hanno percepito la gravità della situazione ambientale e la necessità di frenare il riscaldamento globale. O se l’hanno capita, non la ritengono vitale. Tirate le somme, prevalgono gli interessi, le strategie di geopolitica, il desiderio di stare sempre un passo avanti rispetto al vicino della porta accanto. A Bonn si è cercato di trovare una chiave per aprire le porte della diplomazia e del buonsenso, nella speranza che il tempo faccia la sua parte.

Il pericolo che a Sharm-el-Sheikh vada in scena una replica di Madrid 2019 e di Glasow 2021 è alta, non a caso Patricia Espinoza, capo dell’agenzia Onu per il clima, ha già lanciato l’allarme. Quel monito, “servono azioni”, non può cadere nel vuoto. Altrimenti anche la Cop27 sarà un altro esercizio di stile (green) dove ciascuno farà per conto proprio e in virtù della propria sensibilità. Se l’Europa sta agendo in maniera determinata – come testimonia il pacchetto REPowerEu – altri Stati stanno frenando. L’India si era già messa di traverso alla Cop26 sul tema del carbone, la Cina è distante e poco tracciabile, gli Stati Uniti ci provano ma con prudenza, la Russia è alle prese con tali e tante grane che la questione carbon free sta in fondo alla lista delle priorità.

Gli Accordi di Parigi galleggiano sospesi, a Sharm-el-Sheikh ci sarà la revisione degli NDC, ovvero gli impegni nazionali di riduzioni delle emissioni per limitare a 1,5° l’aumento della temperatura globale. Poi dovranno essere presi in esame i sostegni per i paesi ‘fragili’ che non erano decollati alla Cop26. La speranza è che non sia tempo butto anche stavolta, Greta dirette il solito bla bla bla…

Levi’s: l’intramontabile guarda al futuro, il 501 diventa circolare

1985. Nick Kamen entra in una lavanderia a gettoni di una New York degli anni ’50, sfila t-shirt nera e jeans sulle note di ‘I Heard It Through the Grapevine’, infila tutto in lavatrice e resta in boxer, leggendo un quotidiano, in attesa di poterli re-indossare. ‘Levi’s 501 or nothing’, recitava lo slogan.

Se il jeans è il capo “circolare” per eccellenza – indossato fino al cedimento, accorciato, trasformato in borse, toppe, accessori d’ogni tipo -, il 501 è probabilmente il modello più conosciuto della storia. Intramontabile, fedele a se stesso per 149 anni (tanti ne ha compiuti a maggio) eppure capace di stare al passo con i tempi.

Era necessario, perché l’industria dei jeans è tra le più insostenibili del mondo della moda.

Per crearne un paio tradizionali occorrono circa 7.500 litri di acqua, tra la produzione del cotone e le lavorazioni di finissaggio. Il ‘mea culpa’ pubblico di Levi’s è una delle operazioni di comunicazione aziendale più riuscite: “Lo confessiamo – ammette l’azienda – Non siamo sempre andati nella direzione giusta. Essere un marchio di abbigliamento estremamente sostenibile è un obiettivo che ci sta a cuore, e ci stiamo ancora lavorando. Abbiamo fatto passi da gigante in diversi ambiti e ci sforziamo di migliorare in altri, ma la strada è ancora lunga”.

Nasce così, quest’anno, il 501 Designed for Circularity, un modello realizzato con cotone organico riciclato al 100%. Nei processi di lavorazione del capo vengono eliminati tutti gli elementi inquinanti, per evitare di interrompere il processo di riciclo del cotone.

Anche lo slogan ora sposta il focus dalla creazione del mito alla consapevolezza del cliente: ‘Buy better, wear longer’ (‘Compra meglio, indossa più a lungo’).

L’azienda fa ricerca su innovazioni che allunghino la vita dei prodotti: canapa cotonizzata, Levi’s WellThread, Water<Less, con cui si riducono il consumo di acqua e gli sprechi in generale. “La nostra concezione di durevolezza va ben oltre il semplice uso quotidiano. I prodotti sono concepiti per essere vissuti e per diventare ancora più belli con gli anni”, spiegano.

Dall’introduzione del progetto Water<Less, lanciato nel 2011, il risparmio di acqua è stato di oltre 4,2 miliardi di litri. Sono stati riutilizzati e riciclati 9,6 miliardi di litri d’acqua. Il 75% del cotone usato al momento proviene da fonti più sostenibili (l’obiettivo del 100% è stato fissato per il 2025, anno in cui si prevede di alimentare con il 100% di energia rinnovabile gli impianti di proprietà), e circa l’80% dei prodotti è confezionato in stabilimenti che applicano programmi Worker Well-Being, a tutela dei lavoratori. La strada da fare è ancora lunga, ma il sentiero è quello giusto.

Papa e Bono Vox: “L’ambiente si salva con superpotere delle donne”

Parliamo di ‘Madre-Terra’, non di ‘Padre-Terra‘”. La risposta di Papa Francesco a Bono Vox incassa un lungo applauso all’Urbaniana. Non è la prima volta che la voce storica degli U2 incontra Francesco a Roma, i due condividono da sempre un’attenzione speciale per l’ambiente.

Questa volta, in un incontro organizzato da Scholas Occurrentes (associazione internazionale che si occupa dell’educazione dei più giovani, promossa da Jorge Mario Bergoglio quando guidava la diocesi di Buonos Aires) la rock star lo interroga sul ruolo delle donne per la salvaguardia del Pianeta: “L’educazione delle ragazze è un superpotere per combattere l’estrema povertà e vorrei chiedere a Sua Santità se lei pensa che le donne e le ragazze abbiano lo stesso ruolo potente per cambiare il mondo e il cambiamento climatico“.

Per la cura della Casa comune, scandisce il Papa, “Serve poesia e coraggio, perché la vita in poesia non si impara sui libri, ma con il lavoro, con la contemplazione della natura. Chiede di difendere l’armonia della creazione: “Le donne sanno di armonia più di quanto sappiamo noi uomini“, aggiunge, circondato da ragazzi e ragazze.  Gli studenti si esibiscono in canti e recite a tema ambientale per la lezione inaugurale della Scuola Laudato si’, con la partecipazione di personalità di spicco dell’arte, della musica, dello sport e della tecnologia, ma anche di rappresentanti della società civile di diversi Paesi del mondo in cui Scholas è attiva.

All’incontro hanno partecipato circa 50 studenti provenienti dall’America Latina che per un anno saranno impegnati nella cura del Creato e svilupperanno progetti nelle loro comunità. “Questo gruppo – spiega il Pontefice – andrà in due continenti per annunciare la Buona Novella e per dire che dobbiamo prenderci cura della Casa comune“.

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Ambiente e animali stanno a cuore agli italiani: a loro il 5XMille 2020

In pieno periodo di dichiarazione dei redditi e possibilità dei destinare il 5XMille a enti di volontariato, il sito del ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato l’elenco dei beneficiari del 5XMille del 2020 (i fondi sono già stati pagati, mentre quelli del 2021 sono ancora in via di definizione). La parte del leone la fanno associazioni e Ong impegnate nel sostegno delle persone in difficoltà, degli anziani o enti di ricerca contro le malattie. Ma c’è anche una buona quota di enti impegnati sul fronte ambientale e della tutela degli animali che hanno ricevuto importanti finanziamenti decisi dai contribuenti al momento della compilazione del proprio 730.

Gli italiani, oltre a sostenere le persone in difficoltà, non si dimenticano quindi degli amici animali e dell’ambiente, la ‘casa’ di tutti. Sono infatti questi due i settori che assorbono i maggiori finanziamenti derivanti dalla destinazione del 5XMille. Nell’elenco dei beneficiari di quote superiori a 500mila euro ci sono, ad esempio, l’Enpa, ente nazionale per la protezione degli animali, con oltre un milione e 800mila euro, la Lav, Lega anti vivisezione, con quasi un milione e 400mila euro, e il Fai, fondo ambiente italiano, con un milione e 159mila euro. Poco sotto il milione di euro, invece, ci sono il Wwf (999.181) e Greenpeace (942mila euro). All’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali) sono andati 581mila euro, mentre a Fondazione Campagna Amica sono stati corrisposti 574mila euro. A chiudere l’elenco dei beneficiari over500mila euro c’è la Lipu, lega italiana protezione uccelli, con 515mila euro.

COS’È IL 5XMILLE

Il 5xMille è una misura fiscale, introdotta in via sperimentale con la legge finanziaria del 2006 e poi successivamente prorogata di anno in anno, che permette ad ogni contribuente di devolvere una quota della propria Irpef (pari appunto al 5 per mille del totale) per sostenere le realtà del terzo settore, il cosiddetto no-profit, che svolgono attività di volontariato, assistenza, e tutela di animali e territorio che non perseguono fini di lucro. E’ quindi una forma di sostentamento diretto agli enti che stanno più a cuore agli italiani e anche un modo di partecipazione sociale al bene comune.

Enel lancia ‘Net Zero’: stop emissioni reti, parola chiave è ‘condivisione’

Enel lancia la ‘sfida’ della collaborazione tra player mondiali dell’energia, con l’obiettivo di arrivare a zero emissioni delle reti. E’ Net Zero, l’ambiziosa strategia del colosso italiano dell’energia elettrica, che vedrà anche la creazione di un’associazione, la ‘Open Power Grids’, che avrà come scopo quello di condividere con gli stakeholder, in un ambiente open source, gli standard Enel per i componenti delle reti di distribuzione così da accelerare l’adozione di nuove soluzioni tecniche sicure, sostenibili ed efficienti. “Net Zero è al cuore della strategia di Enel”, dice il ceo, Francesco Starace. “Abbiamo anticipato la data alla quale vorremmo arrivare a zero emissioni di carbonio dal 2050 al 2040, tenendo conto di emissione dirette e indirette, senza usare misure off setting, di compensazione“.

La competizione non è lo strumento adatto, secondo i manager dell’azienda, a raggiungere il target della sostenibilità ambientale. Ecco perché “siamo disponibili a condividere le nostre esperienze con tutti gli attori interessati”, sottolinea ancora Starace. Aggiungendo: “Riteniamo che condividere con altri operatori rappresenterà la chiave per trovare insieme la soluzione migliore” e arrivare a centrare l’obiettivo di zero emissioni delle reti di distribuzione. “Lavorare in collaborazione è essenziale, non potremo agendo da soli, raggiungere il nostro obiettivo. Dovremo tutti allearci, per procedere in modo più spedito su questo percorso”. Enel, infatti, ha condiviso azioni concrete per contrastare le emissioni dirette, adottando operazioni più sostenibili attraverso la digitalizzazione, le operazioni a distanza, l’elettrificazione delle flotte, le misure di tutela della biodiversità e riducendo le perdite tecniche delle reti.

L’azienda, inoltre, sta coinvolgendo fornitori, produttori di apparecchiature e imprese di costruzione della sua catena di approvvigionamento al fine di contrastare le emissioni indirette e implementare processi e componenti di rete più sostenibili come quadri elettrici privi di Sf6, oli vegetali per trasformatori e cavi ecologici o standard per cantieri sostenibili. “Le reti devono essere completamente digitalizzate e dare un vero contributo” all’obiettivo di emissioni zero, ma questo avverrà solo “se per i clienti ci sono vantaggi in termini di prezzi, do sicurezza e sostenibilità ambientale, perché vogliono energia pulita”, spiega ancora il manager di Enel. “In aggiunta a questo, le reti devono anche decarbonizzare se stesse, cosa su cui dobbiamo ancora lavorare. La sfida è eliminare quelle emissioni dirette e indirette che vengono dalle reti di distribuzioni”. Ma “l’obiettivo – sottolinea Starace – si può raggiungere se tutte le reti del mondo si focalizzano su questo obiettivo”.

L’azienda ha notato come alcune delle azioni messe in atto per abbracciare i principi dell’economia circolare in tutta la propria attività, quali l’utilizzo di materiali riciclati per nuove risorse come contatori circolari, pali o armadi stradali o la gestione del fine vita dei componenti, possono produrre importanti benefici ambientali ed economici. “Il nostro obiettivo per le reti mira ad accelerare l’adozione dei principi stabiliti dall’Accordo di Parigi in tutto il settore al fine di favorire la transizione energetica e una trasformazione significativa delle infrastrutture di distribuzione dell’energia elettrica. Questo rappresenta la prima mossa da parte di un operatore della rete elettrica di livello globale per gestire le emissioni a monte e a valle dell’infrastruttura in modo aperto, che è necessaria se vogliamo raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette in tutto il settore“, dice Antonio Cammisecra, Responsabile Global Infrastructure and Networks di Enel. “Abbiamo fatto molto per identificare le migliori soluzioni tecniche per le nostre reti, ma per avanzare rapidamente dobbiamo condividere questa sfida con altri operatori in un ambiente aperto e collaborativo verso reti Net Zero”. La sfida del futuro, dunque, parte dalla condivisione.