Inflazione, cala ricchezza netta famiglie in rapporto a reddito: a livelli del 2005

L’inflazione fa scendere la ricchezza netta delle famiglie italiane indietro di quasi 20 anni. Secondo l’indagine di Istat/Banca d’Italia su ‘La ricchezza dei settori istituzionali in Italia’, alla fine del 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane, misurata come somma delle attività non finanziarie (abitazioni, terreni, ecc.) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività (prestiti a breve termine, a medio e lungo termine, ecc.), è stata pari a 10.421 miliardi di euro (177 mila euro pro capite. Rispetto al 2021, la ricchezza netta nominale è diminuita dell’1,7%, dopo tre anni di crescita, ma in termini reali la riduzione è stata molto più marcata (-12,5%), per via della forte pressione inflazionistica, iniziata nel 2021 e proseguita nel 2022. La ricchezza netta è scesa anche in rapporto al reddito disponibile, da 8,7 a 8,1, raggiungendo il livello del 2005.

In particolare, secondo Istat e Bankitalia, “le attività non finanziarie (6.317 miliardi di euro) sono aumentate del 2,1% a prezzi correnti (+131 miliardi), riflettendo soprattutto la crescita del valore delle abitazioni, che ha riportato l’incremento più elevato dal 2009 (+2,4% pari a +125 miliardi). Ciò è stato determinato in prevalenza dall’aumento dei prezzi medi del patrimonio abitativo a fine 2022, in un contesto di crescita del numero di compravendite registrato sul mercato residenziale negli ultimi anni nonché di riqualificazione degli immobili trainata dai bonus edilizi”. Al contrario, le attività finanziarie (5.135 miliardi) “si sono ridotte del 5,2%, trainate dal calo del valore delle riserve assicurative (-146 miliardi), delle azioni (-101 miliardi) e delle quote di fondi comuni (-94 miliardi)”. Inoltre la crescita dei depositi è sensibilmente diminuita (+15 miliardi, era stata di quasi +80 miliardi nella media del triennio precedente), mentre “per la prima volta dal 2012 hanno ripreso ad aumentare le detenzioni di titoli di debito (+22 miliardi), principalmente emessi dalle amministrazioni pubbliche”.

Le famiglie, nel 2022, hanno anche iniziato a subire l’effetto tassi. Infatti le passività finanziarie sono cresciute del 2,8%, “in particolare per l’incremento dei prestiti (+23 miliardi)”, benché sia stato leggermente inferiore rispetto al 2021 (+28 miliardi). “Gli andamenti negativi dei mercati finanziari hanno determinato una riduzione dei valori delle attività finanziarie, che è stata solo in parte controbilanciata dagli acquisti netti di nuovi strumenti finanziari. Le famiglie hanno riportato perdite in conto capitale, derivanti principalmente dalla svalutazione di riserve assicurative, quote di fondi comuni, azioni e titoli”, prosegue l’indagine.

In un confronto internazionale, “le attività finanziarie hanno largamente contribuito alla riduzione del rapporto, soprattutto nel Regno Unito. In Germania l’impatto negativo delle attività finanziarie è stato controbilanciato dalla crescita delle attività non finanziarie. In Canada, invece, il calo è stato notevole, principalmente per la riduzione delle attività reali. Misurata in rapporto alla popolazione, la ricchezza netta delle famiglie alla fine del 2022 in Italia era pari a 176 mila euro (escluse le scorte), il valore più basso nel confronto internazionale, a eccezione della Spagna, per la quale però l’ultimo dato disponibile si riferisce al 2021. L’indicatore è cresciuto solo per le famiglie tedesche (+5,5%), allargando ulteriormente il divario con quelle italiane”, conclude l’analisi di Istat e Bankitalia.

Bankitalia: 2023 a due fasi, prima la crescita poi lo stop. Restano rischi sul prezzo del gas

Il Pil italiano è cresciuto nella prima parte dell’anno, ma ora questo trend si è “sostanzialmente arrestato”. Anche i dati della Banca d’Italia confermano che il nostro Paese è in una fase molto particolare per l’economia, con un 2023 a due fasi. I dati raccolti nel terzo Bollettino economico di via Nazionale mostrano che nei primi tre mesi dell’anno “il Pil italiano è tornato a crescere dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, i consumi delle famiglie sono saliti, sospinti dal parziale recupero del reddito disponibile reale e da condizioni più favorevoli del mercato del lavoro, e gli investimenti totali, che hanno raggiunto livelli di oltre il 20% superiori a quelli del 2019, hanno continuato ad aumentare“. Ma allo stesso modo, da aprile a giugno c’è stata una evidenza frenata.

L’attività è stata sostenuta dai servizi (soprattutto quelli turistico-ricreativi)“, spiega lo studio, ma “la produzione manifatturiera è diminuita, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale“. Dunque, “in attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente“, l’attività sembra ridotta “anche nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110%“. Almeno in questo quadro un aspetto positivo c’è, perché secondo le valutazioni di Bankitalia, anche se “su un insieme ancora limitato di dati“, l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso mese di maggio “pur avendo conseguenze rilevanti sull’economia locale, non ha avuto un impatto significativo sulla crescita del prodotto dell’Italia nel complesso del secondo trimestre“.

Altro capitolo delicato è quello relativo all’energia e riguarda tutta Europa, dunque Italia compresa. Ad oggi lo scenario è quello di un costante trend di calo dei prezzi di gas naturale al Ttf, la borsa di riferimento. Nella prima settimana di luglio è arrivato a toccare una quota poco inferiore ai 35 euro per megawattora, una cifra decisamente migliore dei circa 50 euro/Mwh di fine marzo. Merito del livello di stoccaggi molto ampio, combinato all’andamento moderato dei consumi industriali e l’abbondante offerta di Gnl a livello globale. Ma guai ad abbassare la guardia, avverte la Banca d’Italia, perché “i rischi che gravano sul prezzo del gas per la prossima stagione invernale rimangono non trascurabili”. Restando in tema, sono molto positive le cifre disavanzo energetico, che nei primi tre mesi del 2023 “si è dimezzato“, arrivando al 3,6% del Pil, “grazie alla forte riduzione del valore delle importazioni (da 8,6 a 4,6 miliardi di euro)”.

Nel primo trimestre 2023, poi, la progressiva riduzione dei prezzi dell’energia e dei beni importati ha determinando un “calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6%” rispetto al trimestre precedente, mette in luce il Bollettino. Il margine operativo lordo rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, “recuperando pienamente i livelli del 2021“. Questo aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Ma “nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici“, sebbene “gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti“.

La diminuzione dei prezzi dell’energia ha contribuito notevolmente anche al calo dell’inflazione. Stando al Bollettino di Bankitalia, dalla seconda metà del 2022 negli Usa, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo, è scesa di circa 6 punti percentuali (dal 9,1% di giugno 2022 al 3 in giugno di quest’anno)”. Ma l’andamento è simile anche nell’area dell’euro, che passa “dal 10,6% di ottobre 2022 al 5,5 del mese scorso, appaiando la dinamica degli degli Stati Uniti, seppure “con alcuni mesi di ritardo”. Nella media del secondo trimestre è proseguita anche la discesa dell’inflazione armonizzata al consumo, che a giugno raggiunge 6,7%. Sui prezzi dei beni alimentari c’è un lieve allentamento, ma in sostanza “continuano a risentire degli effetti ritardati dello shock energetico sui costi di produzione lungo l’intera filiera“. Inoltre, avverte Bankitalia, “pressioni al rialzo potrebbero derivare dagli ingenti danni alla produzione agricola causati dall’alluvione in Emilia-Romagna”.

Guardando al prossimo futuro, però, secondo le proiezioni della Banca d’Italia per l’economia italiana, nello scenario di base il Pil aumenterebbe dell’1,3% quest’anno, dello 0,9 nel 2024 e dell’1 percento nel 2025. Inoltre, l’inflazione sarebbe al 6% nel 2023 per poi scendere al 2,3 nel 2024 e al 2 nel 2025. “Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza, con rischi orientati al ribasso per la crescita e bilanciati sull’inflazione”, sottolinea via Nazionale. Specificando che in questo quadro “si ipotizza che le tensioni connesse con il conflitto in Ucraina non comportino ulteriori difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche“.

IGNAZIO VISCO BANCA D'ITALIA

Visco spinge sul Pnrr: “E’ possibile migliorarlo, ma non c’è tempo da perdere”

Miglioramenti del Pnrr “sono possibili”, ma bisogna “tenere conto del serrato programma concordato con le autorità europee”, quindi “un confronto continuo con la Commissione è assolutamente necessario, nonché utile e costruttivo. Non c’è tempo da perdere”. Lo ha detto Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, durante le considerazioni finali in occasione della pubblicazione della Relazione annuale sul 2022. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha ricordato, “rappresenta un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese”. Elemento da non dimenticare, anche quando “si discute di presunte insufficienze nel dibattito collettivo riguardo al suo disegno, dell’orizzonte temporale limitato per il raggiungimento degli obiettivi, delle possibili carenze nella capacità di attuarne le misure”. Ecco allora, ribadisce Visco, che “oltre agli investimenti e agli altri interventi di spesa, è cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto”.

C’è un punto, per il governatore di Bankitalia, sul quale bisogna accelerare il più possibile per alzare “la qualità della pubblica amministrazione” perché “in tutti i comparti – istruzione, sanità, giustizia – si riscontrano, oltre ai divari rispetto alla media europea, ampie differenze territoriali”. Per ridurle e conseguire i necessari miglioramenti, ha spiegato Visco, “occorrono sistemi di monitoraggio e strumenti efficaci per intervenire laddove non si raggiungono standard minimi di qualità”.

Sui risultati, però, ha ricordato, “incidono i ritardi nell’uso delle tecnologie digitali, l’elevata età media del personale, l’insufficiente dotazione di competenze specialistiche”. Ed è per questo motivo che il Piano nazionale di ripresa e resilienza “può stimolare progressi significativi nella digitalizzazione delle amministrazioni; l’accentuazione del turnover già in atto nel pubblico impiego offre l’occasione di acquisire risorse umane con un livello professionale adeguato rispetto ai servizi che lo Stato si impegna a fornire”.

Bankitalia aumenta investimenti in azioni e obbligazioni green

Bankitalia prosegue sulla strada della sostenibilità degli investimenti del proprio portafoglio finanziario. Dal secondo Rapporto annuale sugli investimenti sostenibili e sui rischi climatici, riferito al 2022, emerge che il peso delle obbligazioni verdi tra gli investimenti in titoli di Stato e degli organismi sovranazionali è cresciuto in modo significativo. In particolare, nel portafoglio finanziario i green bond costituiscono il 2,8 per cento degli investimenti in titoli di Stato (0,03 per cento nel 2020) e il 20,5 per cento degli investimenti in titoli di organizzazioni internazionali e agenzie (5,3 per cento nel 2020).

Alla fine del 2022, gli indicatori climatici degli investimenti in azioni e obbligazioni societarie della Banca d’Italia risultano quindi in miglioramento. L’intensità carbonica media ponderata degli investimenti azionari in euro è diminuita del 36 per cento rispetto al 2020 ed è inferiore del 32 per cento rispetto all’indice di mercato preso come riferimento.
Il report esplicita l’impegno dell’istituto a gestire i propri investimenti in coerenza con gli obiettivi degli Accordi di Parigi e di neutralità climatica al 2050 dell’Unione europea (l’effettivo conseguimento di questo obiettivo è condizionato al rispetto degli impegni di neutralità climatica dichiarati dalle imprese e dai governi degli Stati in cui la Banca investe).

I portafogli analizzati (quello finanziario in euro, quello delle riserve valutarie e il Fondo pensione complementare dei dipendenti) valevano complessivamente 169 miliardi di euro.
Il Rapporto è pubblicato in concomitanza con documenti analoghi della Bce e delle altre banche centrali dell’Eurosistema e risponde all’impegno preso con la Carta degli investimenti sostenibili, di comunicare periodicamente i risultati delle strategie di investimento sostenibile per i portafogli non di politica monetaria e di contribuire alla promozione della cultura della sostenibilità nel sistema finanziario e tra i cittadini.

I miglioramenti degli indicatori climatici riflettono in parte gli andamenti nell’indice di riferimento. Questi sono legati tra l’altro ai progressi delle imprese nei percorsi di decarbonizzazione, testimoniati dalla crescita delle aziende con impegni e obiettivi climatici validati, salite in termini di peso dal 43 per cento dell’indice del 2020 al 70 del 2022.
Rispetto alle altre dimensioni della sostenibilità, i portafogli azionari e delle obbligazioni societarie mostrano punteggi ESG aggregati migliori degli indici di riferimento. Gli indicatori tematici più elevati in termini relativi sono soprattutto quelli ambientali.

Secondo il rapporto, la strategia di investimento sostenibile della Banca d’Italia persegue due obiettivi: “Migliorare il profilo di rischio e di rendimento dei portafogli e contribuire alla tutela dell’ambiente, con una particolare attenzione al contrasto ai cambiamenti climatici“. Le linee d’azione sono tre: integrare la neutralità climatica e i criteri ESG nella gestione degli investimenti e dei rischi; promuovere la trasparenza sui profili di sostenibilità; pubblicare risultati, guide e ricerche.
La Banca, in qualità di azionista, ha avviato nel 2022 un dialogo con le imprese che contribuiscono maggiormente alle emissioni di gas serra del proprio portafoglio, per approfondire le loro strategie climatiche, sensibilizzarle sull’importanza di una comunicazione ampia sul processo di decarbonizzazione e sui temi ESG.

rigenerazione urbana

Rigenerazione urbana, Camera-Cresme: “Rivedere modello risorse, mix pubblico-privato”

La rigenerazione urbana è un concetto ormai sedimentato nella cultura di ogni comunità. Eppure “ad oggi non trova una compiuta definizione nell’ordinamento nazionale”, pur essendo presenti “numerosi riferimenti nella legislazione statale e definizioni non sempre convergenti in numerose leggi regionali”. A sottolinearlo è un’analisi che porta la firma del Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con il Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), su richiesta della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici di Montecitorio, che si compone di due parti e 8 capitoli tematici. I dati che emergono tracciano un quadro completo della situazione, portando a galla le criticità da risolvere per avere un risultato omogeneo e produttivo, mettendo a disposizione del legislatore gli strumenti utili a capire dove focalizzare gli interventi.

Prima, però, è utile capire la base di partenza. Perché se “in termini generali, in letteratura e nel dibattito pubblico, per rigenerazione urbana si fa riferimento ad un insieme di programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e degli spazi su scala urbana volti a garantire, tra l’altro, la qualità dell’abitare sia dal punto di vista ambientale sia sociale, con particolare riferimento alle aree urbane e alle periferie più degradate”, la nozione di rigenerazione urbana diviene “un paradigma trasversale ad una pluralità di politiche pubbliche aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente e del paesaggio, in particolare attraverso il contenimento del consumo di suolo”, con cui “compone un binomio inscindibile”.

Una delle criticità riscontrate dallo studio è quello della concorrenza tra normative centrali e quelle locali. “Dal complesso panorama normativo in materia sembra emergere una tendenza – più marcata nella legislazione regionale e affermata solo in modo incidentale e incompiuto nella legislazione statale – favorevole a considerare le pratiche della ristrutturazione e della sostituzione edilizia, attraverso la demolizione e ricostruzione di edifici, secondo criteri di maggiore sostenibilità energetica, ambientale e urbanistica, quale asse a partire dal quale innestare più estesi interventi di rigenerazione urbana”, sottolinea il documento. Senza dimenticare che ogni passaggio deve essere in compliance con le decisioni assunte in sede europea: in particolare la bussola è, e resta, l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’Onu, che fissa il traguardo di città e comunità urbane sostenibili, più durature, ed efficienti. In cui “tutti possano avere accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti e molto altro”, oltre ad ancorare il consumo di suolo alla crescita demografica.

Alla rigenerazione urbana è legato anche un altro tema, quello della crescita, ma soprattutto della produttività del sistema economico. Che lo studio condotto da Camera e Cresme individua come “il risultato dell’efficienza delle determinanti settoriali di un’economia nazionale, ma è anche il risultato di quelle che potremmo definire determinanti territoriali, insediative, che lo caratterizzano”. Argomenti trattati a più riprese dall’Ocse, ma anche dalla Banca d’Italia, che in diversi studi ha descritto il legame tra crescita aggregata e città, mettendo in evidenza sia l’importanza sia le criticità delle città italiane: “In tutte le economie avanzate, da alcuni decenni – riporta via Nazionale – le aree urbane mostrano tassi di crescita della popolazione superiori a quelli delle aree non urbane”. Dunque, secondo i dati Ocse, scrive ancora Bankitalia, “la produttività del lavoro è del 10% più elevata rispetto alla media nazionale e questo vantaggio è rimasto sostanzialmente invariato nell’ultimo quindicennio, tuttavia non è cresciuta come nei principali Paesi europei”.

Elementi che inducono a pensare nuove soluzioni, sfruttando anche le best practices delle comunità occidentali. Ad esempio come quella che si è sviluppata in Francia negli ultimi anni, la ‘Città dei 15 minuti’, che ha trovato uno slancio definitivo durante il periodo della pandemia. In poche parole, si tratta di valutare “il tempo di spostamento a piedi” per raggiungere i luoghi utili alla quotidianità “come parametro fondamentale alla base della pianificazione urbana”. In Italia il tema è stato introdotto anche dal neo sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, durante la campagna elettorale dello scorso anno.

La seconda parte dello studio Camera-Cresme, poi, muove dalla constatazione del radicale cambio di paradigma della sfida urbana tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, fino ad arrivare alle riflessioni sulla possibilità di considerare gli incentivi fiscali per il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio o quali elementi di un più integrato sistema di interventi di trasformazione delle aree urbane. Dunque, “la sfida della rigenerazione urbana si qualifica come obiettivo sistemico al cui raggiungimento sono chiamate a concorrere numerose politiche pubbliche settoriali da coordinare in un quadro coerente e strategico di interventi”. Soprattutto sfruttando tutte le risorse messe a disposizione, di cui il Pnrr è una parte consistente ma non l’unica. Secondo l’analisi, nel prossimo lustro “è da tenere in considerazione il complesso quadro degli investimenti in opere pubbliche avviati con la programmazione nazionale ordinaria e, per rimanere nel quadro europeo, i fondi strutturali e i fondi di coesione sociale, oltre agli incentivi fiscali per il recupero edilizio”. Secondo un recente documento redatto dal Cresme, infatti, la stima è di “circa 310 miliardi di euro le risorse disponibili tra il 2021 e il 2027 considerando il Pnrr, il Fondo complementare al Pnrr, React-Eu e i fondi Fsre e Fse”.

Un altro elemento di fondamentale importanza, evidenziato dallo studio Camera-Cresme è l’interazione proattiva di investimenti pubblici e privati. “Se si lavorasse per innescare un virtuoso ciclo di investimenti privati, le potenzialità dell’impatto economico crescerebbero significativamente, così come la possibilità di far fare un salto competitivo al sistema economico del nostro Paese”, sottolinea il documento. Facendo notare che “le esperienze europee di rigenerazione urbana insegnano che nelle città gli investimenti privati in partnership con quelli pubblici possono avere un effetto moltiplicativo di grande rilievo, e con molti meno rischi di quelli dimostrati nei progetti riguardanti le grandi infrastrutture a rete”. Perché “le città sono per loro natura un mix di beni pubblici e beni privati, di infrastrutture pubbliche e private, di investimenti pubblici e privati, di interessi pubblici e privati che possono essere portati a sistema e valorizzati all’interno di nuovi strumenti di intervento”.

Tirando le somme dell’analisi, l’obiettivo è sviluppare una proposta riguardante i temi della rigenerazione urbana che tenga conto delle dinamiche in atto, delle risorse in gioco e degli obiettivi che l’Unione europea e l’Italia si sono date in termini di sviluppo sostenibile”. Il tutto in una prospettiva di “possibile revisione degli incentivi vigenti”, utilizzando la leva fiscale, attualmente adoperata in modo diffuso, “mirandola agli interventi di rigenerazione urbana”, tenendo presente le indicazioni europee e i programmi avviati con il Pnrr per le aree metropolitane, per “ricondurre queste risorse a sistema” con quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli altri fondi Ue, integrandole con possibili investimenti privati, nel quadro di una strategia complessiva.

Dunque, si legge nella parte relativa alle proposte, “se, prudenzialmente, nel periodo 2022-2027, continuassero gli incentivi con le modalità pre-2020 e i livelli rimanessero quelli sperimentati dal 2013 al 2019, sostenuti dagli incentivi del 50% e del 65%, verrebbero destinati al recupero edilizio e alla riqualificazione energetica mediamente 28 miliardi di euro all’anno”. Tutto questo considerando “la stagione del Superbonus 110% come temporanea”. Ecco perché non solo è possibile considerare il quadro generale delle risorse come parte della quota di cofinanziamento che l’Italia deve mettere in gioco per attivare i fondi strutturali e di coesione europei, ma “si dovrebbe sviluppare un nuovo modello di intervento in grado di mettere insieme risorse pubbliche, investimenti privati di dimensione significativa e investimenti privati diffusi che, mantenendo e anzi moltiplicando l’impatto degli interventi in termini economici e occupazionali”, nel solco dei principi dello sviluppo sostenibile, riduzione e resilienza all’impatto climatico, transizione digitale, territorializzazione dei servizi e qualità dell’abitare.

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(Photo credits: STR/AFP)

Bankitalia: Con guerra e stop gas russo rischio crescita zero

Nello scenario peggiore, in caso di escalation della guerra in Ucraina e di interruzione delle forniture di gas dalla Russia già da quest’estate, la crescita in Italia sarebbe nulla nel 2022 e si andrebbe in recessione di oltre 1 punto percentuale nel 2023. L’ipotesi è della Banca d’Italia, nelle proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana 2022-2024. L’inflazione al consumo subirebbe un’impennata dell’8% nel 2022, ma resterebbe alta anche nel 2023, vicina al 5,5 %, per scendere solo nel 2024.

Previsioni molto più rosee, ma riviste rispetto a quelle precedenti, nello scenario base. In questo caso Via Nazionale stima la crescita del Pil al 2,6% per quest’anno, all’1,6% nel 2023 e all’1,8% nel 2024. A gennaio la previsione era stata di una crescita del +3,8% nel 2022, del 2,5 nel 2023 e dell’1,7 nel 2024. Il quadro è fortemente condizionato dall’evoluzione della guerra in Ucraina, i cui sviluppi potrebbero avere effetti sull’economia nelle due direzioni opposte.

In uno scenario di base si assume che le tensioni associate alla guerra (che si ipotizza resti confinata all’Ucraina) proseguano per tutto il 2022, continuando a comportare il rialzo dei prezzi delle materie prime, mantenendo elevata l’incertezza e rallentando il commercio internazionale. In questo caso, però, “si esclude un’intensificazione delle ostilità tale da portare a una sospensione delle forniture di materie prime energetiche dalla Russia“. Dopo essere rimasto stagnante nel primo trimestre dell’anno, il Prodotto interno lordo si espanderebbe a ritmi modesti nel trimestre per il 2022, per poi rafforzarsi dall’anno prossimo. L’inflazione al consumo si collocherebbe al 6,2 per cento nella media di quest’anno, spinta dagli effetti del rincaro dei beni energetici e delle strozzature all’offerta; scenderebbe al 2,7 per cento nel 2023 e al 2,0 per cento nel 2024.

Un’intensificazione del conflitto avrebbe ripercussioni più pesanti. In uno scenario avverso, in cui si ipotizza un arresto delle forniture a partire dal trimestre estivo, solo parzialmente compensato per il nostro paese mediante altre fonti, si prevedono ricadute dirette, in particolare per le attività a più elevata intensità energetica, ulteriori forti rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento dell’export, un più forte deterioramento dei climi di fiducia e un aumento dell’incertezza. Sotto queste ipotesi, il Pil prodotto aumenterebbe in misura pressoché nulla in media d’anno nel 2022, si ridurrebbe di oltre 1 punto percentuale nel 2023 e tornerebbe a crescere nel 2024. L’inflazione al consumo subirebbe un netto aumento nel 2022, avvicinandosi all’8,0 per cento, e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 5,5 per cento, per scendere decisamente solo nel 2024.

Né l’uno, né l’altro scenario includono ulteriori misure di politica economica – precisa Bankitalia -, che potrebbero essere introdotte per mitigare le ricadute dell’inasprimento del conflitto sulle famiglie e le imprese“.

IGNAZIO VISCO BANCA D'ITALIA

Visco: “La transizione verde fondamentale per crescita Paese”

Sebbene la Russia pesi solo il 2 per cento nel commercio mondiale, è tra i principali esportatori di petrolio e di gas nonché di concimi e, assieme proprio all’Ucraina, di cereali. Secondo le quotazioni di mercato, i prezzi di questi prodotti resterebbero molto elevati nel 2022, diminuendo solo di poco nei prossimi due anni”. Non poteva che aprire con una riflessione prolungata e preoccupata legata alla sua relazione, Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia. Gli effetti del conflitto, a pandemia non ancora debellata, pesano e peseranno sulle economie mondiali. “I rincari dei beni agroalimentari e le difficoltà nel loro approvvigionamento rischiano di colpire soprattutto gli strati più vulnerabili della popolazione mondiale e i paesi più dipendenti dalle loro importazioni”, la considerazione di Visco per la ‘crisi del grano‘, non meno pericolosa di quella energetica. “Il quadro congiunturale si è deteriorato anche nell’area dell’euro, che è particolarmente esposta agli effetti economici del conflitto. Secondo le stime più recenti, quest’anno la crescita del prodotto dovrebbe risultare inferiore al 3%, ben al di sotto di quanto previsto pochi mesi fa; un incremento già in larga parte acquisito grazie alla forte ripresa del 2021 e che implicherebbe quindi solo una modesta espansione dell’attività in corso d’anno. Il rischio di un andamento meno favorevole è significativo”, la sottolineatura del Governatore.

Come per le altre economie che importano beni energetici, lo shock di offerta ha rilevanti ripercussioni anche sulla domanda: il peggioramento delle ragioni di scambio incide negativamente sulla disponibilità di risorse di famiglie e imprese, frenando consumi e investimenti. All’indebolimento del quadro congiunturale contribuiscono inoltre il diffuso calo della fiducia e le fragilità nel commercio internazionale”, l’ammissione che fa scattare la luce rossa dell’allarme. “Non si possono però escludere sviluppi più avversi. Se la guerra dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia, il prodotto potrebbe ridursi nella media del biennio 2022-2023”, ha ulteriormente rimarcato.

Il successo nel promuovere la coesione sociale e territoriale, la transizione digitale e quella verde è essenziale per rafforzare la fiducia nelle prospettive di crescita del Paese e contrastare l’aumento dell’incertezza determinato dalle tensioni internazionali”, ha annunciato Visco. Svoltando poi sulle rinnovabili: “È un elemento cruciale della strategia europea la rimozione degli ostacoli di natura amministrativa alla realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici e delle necessarie infrastrutture”, l’affondo del Governatore nelle sue considerazioni finali. “In Italia – ha aggiunto – è urgente proseguire con gli interventi di semplificazione delle procedure autorizzative, nonché favorire lo sviluppo dei sistemi di accumulo dell’energia e delle reti di trasmissione”. Visco, infine, ha toccato anche la questione delicata del greenwashing. “Sarà fondamentale evitare fenomeni cosiddetti di greenwashing, indicando chiaramente i soggetti che avranno la responsabilità dei controlli e stabilendo regole di certificazione dei ‘bilanci di sostenibilità‘ simili a quelle in vigore per gli ordinari documenti contabili, così come previsto nella proposta di Direttiva sul reporting di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive, Csrd). Andrà inoltre sviluppato un accurato quadro analitico in grado di tenere conto dell’elevata incertezza che permea sia i modelli che cercano di quantificare gli effetti dell’attività umana sul clima sia quelli che si prefiggono di stimare le conseguenze dei mutamenti ambientali sul benessere della società”.