Mercato dell’auto europeo cresce ad agosto. Ma in Italia è a -2,7%

Le immatricolazioni di auto nuove nell’Ue hanno continuato a crescere in agosto (+5,3% su base annua), dopo un rimbalzo in luglio (+7,4%). Lo scorso mese sono stati venduti circa 678.000 veicoli, contro i circa 643.000 di agosto 2024. Il mercato dei 27 rimane tuttavia stagnante nei primi otto mesi dell’anno (-0,1%). Secondo i dati diffusi dall’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili, nello stesso mese nell’Europa Occidentale (Ue + Efta + Regno Unito) sono state immatricolate 791.349 auto, in crescita del 4,7%% rispetto ad agosto 2024.

Nei Paesi Ue, le auto ibride rimangono le più popolari tra gli acquirenti, con il 34,7% delle immatricolazioni nel periodo da gennaio ad agosto. Le ibride ricaricabili hanno rappresentato l’8,8% del mercato. Benzina e diesel continuano a registrare un calo, rappresentando insieme il 37,5% del mercato, contro il 47,6% di agosto 2024.

Il numero di veicoli a benzina venduti in Europa tra gennaio e agosto è diminuito del 19,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È in Francia che il calo è stato più marcato nei primi otto mesi del 2025, con un crollo del 33,5% delle vendite. Gli acquisti di auto diesel sono diminuiti del 25,7% nello stesso periodo.

La quota delle auto elettriche si è mantenuta al 15,8% del mercato nei primi otto mesi dell’anno, “un ritmo ancora inferiore a quello richiesto in questa fase della transizione”, mentre le vendite di questo tipo di motorizzazione in Europa dovrebbero raggiungere il 100% nel 2035. Le immatricolazioni di veicoli elettrici nell’Ue sono aumentate del 30,2% tra agosto 2024 e agosto 2025 e del 24,8% nei primi otto mesi dell’anno.

Ad agosto in Italia sono state immatricolate 3.298 auto elettriche a batteria, in aumento del 27,3% rispetto alle 2.590 immatricolate ad agosto 2024. Le ibride plug in vendute sono state 4.669, in crescita del 94,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (erano 2.398). Crescono anche le ibride elettriche: nello scorso mese ne sono state immatricolate 30.415, registrando una crescita dell’8,9% rispetto ad agosto 2024 (erano 27.932). Calano, invece, le immatricolazioni di auto a benzina: sono state 16820, in calo del 13,9% rispetto al 2024 (erano 19.530). Cala del 40,2% anche il diesel: 5.634 auto registrate ad agosto, a fronte delle 9.416 dello stesso mese dello scorso anno. Complessivamente, nel nostro Paese, ad agosto sono state immatricolate 67.322 auto, in calo del 2,7% rispetto alle 69.160 registrate nello stesso mese dello scorso anno.

Per quanto riguarda i costruttori, le vendite di Stellantis (Peugeot, Citroën, Fiat, Jeep…) sono aumentate del 3,4% tra agosto 2024 e 2025. Le vendite dell’americana Tesla continuano a calare (-36,6% su base annua), mentre quelle della cinese Byd sono triplicate (+201,3% in un anno, +244% dall’inizio del 2025), anche se restano molto marginali (circa 9.000 veicoli venduti nell’Ue ad agosto).

Per Anfia, i dati di agosto parlano di un mercato “stagnante”. “L’Europa ha urgente bisogno di adottare una vera strategia di decarbonizzazione”, dice il presidente, Roberto Vavassori perché “l’immobilismo dell’Unione a fronte delle sfide dell’automotive rischia di causare danni irreversibili. Non possiamo più attendere: è necessario passare dalle parole ai fatti perché l’industria sta già pagando un prezzo altissimo – complessivamente, tra costruttori e componentisti, sono andati persi più di 100mila posti di lavoro”.

Materie critiche, assalto ai fondali delle Isole Cook aperti a esplorazione mineraria

Nelle Isole Cook, una nave da 1.000 tonnellate esplora le ricche profondità del Pacifico alla ricerca dei minerali da sfruttare. Circondate da lagune scintillanti e spiagge ornate di palme, le Isole Cook, nel Pacifico meridionale, hanno aperto le loro acque territoriali all’esplorazione mineraria.

Navi da ricerca solcano i mari alla ricerca di giacimenti di metalli per batterie, terre rare e minerali critici che giacciono nelle profondità dell’oceano. L’Anuanua Moana sta conducendo studi per lo sfruttamento minerario in alto mare: un’industria pionieristica che alcuni paragonano a una corsa all’oro dei tempi moderni e che altri definiscono una “follia” ambientale. “Le risorse hanno un valore potenziale stimato di circa 4 miliardi di dollari (americani)”, spiega Hans Smit, direttore generale di Moana Mineral.

Da due anni la nave solca le acque tropicali delle Isole Cook, a metà strada tra la Nuova Zelanda e le Hawaii, raccogliendo dati per convincere le autorità di regolamentazione che l’estrazione mineraria in acque profonde è sicura. Nessuna azienda ha ancora avviato lo sfruttamento commerciale dei fondali marini. “Voglio iniziare lo sfruttamento prima del 2030”, spiega Smit, tra il rombo delle gru che caricano casse di legno. Moana Minerals, filiale di una società texana, detiene i diritti di esplorazione su 20.000 chilometri quadrati nella zona economica esclusiva (ZEE) delle Isole Cook. Secondo alcuni ricercatori australiani, si tratta del giacimento di noduli polimetallici, una sorta di ciottoli ricchi di manganese, cobalto, rame o nichel, il più grande e ricco al mondo all’interno di un territorio sovrano.

Queste rocce sono ricche di minerali come manganese, nichel, cobalto, rame o terre rare, molto apprezzati soprattutto per i veicoli elettrici e le apparecchiature elettroniche. Ma gli abitanti delle isole temono che l’estrazione mineraria possa contaminare per sempre il loro prezioso “moana”, ovvero l’oceano. “Ho visto la nave nel porto”, dice Ngametua Mamanu, una guida locale di 55 anni. “Perché abbiamo bisogno di queste attrezzature per distruggere gli oceani?”. Ana Walker, una pensionata di 74 anni, teme che venga saccheggiato a vantaggio di interessi stranieri. “Pensiamo che queste persone vengano qui per fare soldi e lasciarci il caos”, confida. “Se tutto va bene, c’è qualcosa di buono da ricavarne. Dal punto di vista finanziario”, commenta James Kora, 31 anni, allevatore di perle come suo padre e suo nonno prima di lui. Con gli occhi socchiusi per l’intensità del sole, il biologo marino Teina Rongo osserva da vicino dalla sua piccola barca le attività dell’Anuanua Moana. “Non abbiamo mai voluto esplorare il fondo dell’oceano, perché i nostri antenati credevano che fosse il luogo degli dei”, racconta.

Le società minerarie stanno ancora studiando il modo migliore per estrarre i noduli che giacciono a cinque chilometri o più di profondità. I loro sforzi si concentrano su macchine robotizzate che setacciano il fondo dell’oceano. Secondo l’ambientalista Alanna Smith, i ricercatori hanno pochissime conoscenze sui fondali marini. “Saremmo davvero delle cavie per l’industria, lanciandoci per primi”, afferma, aggiungendo che si tratta di un passo “molto, molto rischioso”. Negli anni ’50, una spedizione di ricerca sostenuta dagli Stati Uniti fu la prima a scoprire “enormi giacimenti” di noduli polimetallici nel Pacifico meridionale. Successivamente, una flotta di navi giapponesi, francesi, americane e russe ha perlustrato la zona per mappare questo tesoro.

Ma l’estrazione mineraria in acque profonde è rimasta un’idea marginale fino al 2018 circa, quando l’industria dei veicoli elettrici ha fatto impennare i prezzi dei metalli. Una manciata di aziende si contendono ora lo sfruttamento dei quattro principali giacimenti di noduli, tre dei quali si trovano in acque internazionali e l’ultimo nelle Isole Cook. L’Autorità internazionale dei fondali marini (AIFM) si riunisce questo mese per elaborare le norme per lo sfruttamento della “zona di frattura di Clipperton”, nell’Oceano Pacifico. Finora, le Isole Cook hanno dichiarato che il loro approccio all’estrazione mineraria, anche nelle proprie acque, sarà strettamente “allineato” alle regole dell’AIFM. Ma “non fissiamo un calendario per l’avvio di questa attività”, ha dichiarato Edward Herman, dell’Autorità per i minerali dei fondali marini delle Isole Cook, un’agenzia pubblica. A giugno, il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “una follia lanciare un’azione economica predatoria che sconvolgerà i fondali marini quando non ne sappiamo nulla!”. Ma le Isole Cook hanno amici potenti. Quest’anno hanno firmato un accordo di partenariato con la Cina sul commercio e lo sfruttamento minerario sottomarino.

costa rica - batterie -

Tesla contro Byd: ricercatori smontano le batterie per scoprirne i segreti

Sono due i principali produttori che dominano il mercato dei veicoli elettrici: Tesla, che è più popolare in Europa e Nord America, e BYD, che è leader in Cina. Tuttavia, entrambi hanno sempre rilasciato dati limitati sulle loro batterie, quindi la struttura meccanica e le caratteristiche delle celle sono rimaste un mistero. Ma un team di ricercatori ha deciso di smontarle, per conoscere più da vicino il loro funzionamento. I risultati, pubblicati il 6 marzo sulla rivista Cell Reports Physical Science di Cell Press, mostrano che le batterie Tesla danno priorità all’alta densità energetica e alle prestazioni, mentre quelle BYD all’efficienza del volume e ai materiali a basso costo. Nel complesso, lo studio ha rivelato che la batteria BYD è più efficiente perché consente una più facile gestione termica.

“I dati e le analisi approfondite disponibili sulle batterie all’avanguardia per le applicazioni automobilistiche sono molto limitati”, spiega Jonas Gorsch, ricercatore presso il dipartimento di ingegneria della produzione di componenti per la mobilità elettrica dell’Università RWTH di Aquisgrana in Germania e autore principale dello studio.

Per risolvere questo problema, i ricercatori hanno esaminato la batteria Tesla, la cella Tesla 4680, e la batteria BYD, la cella BYD Blade, concentrandosi sul design specifico e sulle caratteristiche prestazionali di ciascuna. Hanno valutato i design meccanici e le dimensioni delle celle, le esatte composizioni dei materiali dei loro elettrodi e le prestazioni elettriche e termiche. Hanno anche dedotto i processi utilizzati per assemblarle e i costi dei materiali utilizzati per realizzarle. “Siamo rimasti sorpresi di non trovare traccia di silicio negli anodi di nessuna delle due celle, specialmente nella cella di Tesla, poiché il silicio è ampiamente considerato nella ricerca come un materiale chiave per aumentare la densità energetica”, dice Gorsch.

Il team ha scoperto che i due tipi di batterie presentavano differenze significative nella velocità di carica (o scarica) rispetto alla loro capacità massima. Ma hanno anche mostrato somiglianze inaspettate: entrambe utilizzano un modo insolito di collegare i loro sottili fogli di elettrodo, cioè con la saldatura laser invece della saldatura a ultrasuoni, utilizzata da molti altri nel settore. Inoltre, sebbene la cella BYD sia molto più grande di quella Tesla, la frazione dei componenti passivi della cella, come i collettori di corrente, l’alloggiamento e le sbarre collettrici, è simile.

I risultati di questo studio mettono in luce come la batteria di Tesla, la cella 4680, e quella di BYD, la cella Blade, adottino due approcci progettuali “altamente innovativi” ma “fondamentalmente diversi”, afferma Gorsch. Sono necessari ulteriori studi per determinare l’impatto delle scelte progettuali meccaniche delle celle sulle prestazioni degli elettrodi nelle batterie dei veicoli elettrici, nonché la durata delle celle Tesla e BYD.

In Europa le batterie costano il 48% in più che in Cina. Anfia: “Pechino è elefante nella stanza”

Il 2024 segna una tappa significativa per l’industria delle batterie, con i prezzi dei pacchi batteria agli ioni di litio che hanno registrato il calo annuale più grande dal 2017. Secondo l’analisi di BloombergNEF, i prezzi sono scesi del 20% rispetto al 2023, raggiungendo un minimo storico di 115 dollari per kilowattora. Questo declino è il risultato di diversi fattori, tra cui la sovracapacità nella produzione di celle, le economie di scala, i bassi prezzi dei metalli e dei componenti, e l’adozione di batterie al litio-ferro-fosfato (LFP), un’alternativa più economica. A ciò si aggiunge anche un rallentamento nella crescita delle vendite di veicoli elettrici, che hanno visto una domanda più moderata rispetto agli ultimi anni.

Negli ultimi due anni, infatti, i produttori di batterie hanno espanso la capacità produttiva con l’aspettativa di una crescente domanda, soprattutto nel settore dei veicoli elettrici e degli accumulatori fissi. Tuttavia, l’offerta ha superato la domanda, con 3,1 terawattora di capacità di produzione di celle di batteria a livello globale, ben oltre la domanda prevista per il 2024. Sebbene la domanda sia cresciuta annualmente in vari settori, quella dei veicoli elettrici – principale motore della domanda di batterie – è aumentata meno rapidamente, mentre il mercato degli accumulatori fissi, in particolare in Cina, ha visto una forte espansione.

Nel dettaglio, il prezzo delle batterie per veicoli elettrici ha raggiunto i 97 dollari/kWh, scendendo per la prima volta sotto la soglia dei 100 dollari/kWh, e anche se in Cina i veicoli elettrici hanno ormai raggiunto la parità di prezzo con quelli a combustione, in molti altri mercati, le auto elettriche sono ancora più costose. BloombergNEF prevede che nei prossimi anni altre categorie di veicoli raggiungeranno la parità di prezzo grazie alla crescente disponibilità di batterie a basso costo, un fenomeno che inizialmente è stato più evidente in Cina, dove i prezzi medi dei pacchi batteria sono scesi a 94 dollari/kWh, rispetto ai 31% e 48% più alti negli Stati Uniti e in Europa, rispettivamente. Le ragioni di questa disparità vanno ricercate nell’immaturità di questi mercati, nei costi di produzione più elevati e nei volumi più bassi, con la Cina che ha beneficiato di una concorrenza molto forte che ha spinto i prezzi al ribasso. BNEF prevede una ulteriore diminuzione globale dei prezzi di circa 3 dollari/kWh entro il 2025.

Nel contesto europeo, le problematiche legate alla transizione energetica e alla competitività del settore automotive sono state al centro dell’assemblea pubblica di Anfia, a Roma. Tra i temi trattati, è stato enfatizzato il bisogno di lavorare su due piani distinti e interdipendenti: a livello europeo, attraverso il supporto al piano del governo italiano per la decarbonizzazione entro il 2035, e a livello nazionale, con misure immediate per supportare le imprese del settore, come la riduzione del costo dell’energia, incentivi alla ricerca e misure per i veicoli commerciali leggeri. Roberto Vavassori, presidente di Anfia, ha definito la Cina “l’elefante nella stanza. Nel 2000 in Cina venivano prodotti 2 milioni di veicoli, quasi tutti da joint-venture con partner occidentali. Ora i poco meno di 30 milioni sono in gran parte prodotti da case locali, alle quali, tra l’altro, molti Costruttori occidentali fanno la corte per stringere accordi o di tecnologia o di produzione, soprattutto per i powertrain elettrici o per software per ADAS e Infotainment. E oltre a ciò – ha aggiunto – vi sono già importanti investimenti diretti di gruppi cinesi in Costruttori europei di veicoli, e anche di componenti. La penetrazione di veicoli cinesi sui mercati europei è in continua ascesa, Italia inclusa, ed è opinione generale che i dazi attualmente in vigore debbano lasciare il posto ad un sistema di convivenza che non consenta al gigante asiatico di asfaltare in pochi anni l’insieme industriale e di ricerca europeo nel settore dell’automotive”, ha concluso Vavassori.

Arrivano sul mercato le prime batterie di Acc prodotte nella gigafactory francese

A quattro anni dalla sua creazione, ACC ha iniziato a commercializzare le sue batterie per autoveicoli – le prime prodotte in Francia – e nonostante le difficoltà di avvio, l’azienda punta a diventare un “campione della sovranità europea” in un mercato dominato dalla Cina. Automotive Cells Company (ACC), joint venture tra Stellantis, TotalEnergie Saft e Mercedes, ha inaugurato in pompa magna nel maggio 2023 a Billy-Berclau (Pas-de-Calais), vicino a Lens, la prima delle quattro fabbriche di batterie francesi, tutte situate nella regione Hauts-de-France.

Entro il 2024, dalla fabbrica dovrebbero uscire 2.000 pacchi batteria, una cifra che sembra ancora minima rispetto all’immensità del sito e ai quattro miliardi di euro raccolti dall’azienda quest’anno. Ma ACC conta su un rapido incremento, con l’obiettivo di 150.000 auto equivalenti nel 2025, 250.000 nel 2026 e da 2 a 2,5 milioni nel 2030, per una quota del 20% del mercato Ue.

La regione la considera una “terza rivoluzione industriale”, sulla scia dell’industria tessile e mineraria, con il potenziale di creare migliaia di posti di lavoro. La posta in gioco è alta: l’Ue prevede di vietare la vendita di nuovi veicoli a combustione entro il 2035, il che comporta la rapida creazione di un settore industriale per recuperare il ritardo rispetto ai produttori asiatici.

Dei tre blocchi di produzione pianificati da ACC, il primo è già operativo e produce batterie da installare nei veicoli venduti nelle concessionarie Opel e Peugeot, spiega Matthieu Hubert, segretario generale di ACC, all’AFP. Basate sulla tecnologia NMC (nichel-manganese-cobalto), equipaggiano l’E-3008. Un secondo blocco dovrebbe entrare in servizio nel 2025.

Di fronte a un impianto di motori a combustione Stellantis, la gigafactory Billy-Berclau impiega 800 persone. Nei corridoi, un ronzio continuo emana da una gigantesca galleria del vento che rinnova l’aria nelle officine 40 volte all’ora. Nei laboratori asettici, operatori mascherati in tuta bianca controllano la produzione altamente tecnica delle “strisce” di alluminio e rame che compongono le celle delle batterie, srotolate su presse rotanti. La polvere e l’umidità sono ridotte al minimo: “il foglio di alluminio ha uno spessore di 12 micron”, cinque volte inferiore a quello di un rotolo domestico, spiega Cédric Souillart, direttore di produzione ed ex dirigente di acciaieria. “La curva di apprendimento, cioè la nostra capacità di padroneggiare il processo di produzione, è piuttosto lunga”, il che spiega i risultati che “possono ancora sembrare non all’altezza delle nostre aspettative”, ammette Hubert.

Come dice l’esperto, “abbiamo dovuto fare i conti con le macchine importate dalla Cina e installate da partner cinesi”. Ma i progressi sono rapidi, assicura, stimando che il 98% delle batterie alla fine della linea di produzione sono attualmente commercializzabili.

In Francia, ACC “è l’unica azienda ad avere una gigafactory operativa per le celle delle batterie”, sottolinea Pierre Paturel, direttore della ricerca di Xerfi. Delle quattro previste in Francia, due sono principalmente francesi e due asiatiche. Ma la concorrenza è agguerrita, soprattutto sui prezzi, e i sussidi governativi per l’acquisto di veicoli sono stati ridotti. “L’idea è di diventare molto competitivi, perché la batteria rappresenta oggi il 40% del prezzo di un veicolo”, sottolinea Matthieu Hubert. Un’altra sfida è rappresentata dalla rapida evoluzione delle tecnologie, quindi ACC ha annunciato a settembre di “mettere in pausa” la costruzione di altri stabilimenti, a Termoli in Italia e a Kaiserslautern in Germania.

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Scoperto metodo per rendere riciclabili le batterie al litio allo stato solido

Le batterie al litio ricaricabili allo stato solido sono una tecnologia emergente che un giorno potrebbe alimentare telefoni cellulari e computer portatili per giorni con una sola carica. Offrendo una densità energetica significativamente maggiore, sono un’alternativa più sicura alle infiammabili batterie agli ioni di litio attualmente utilizzate nell’elettronica di consumo, ma non sono rispettose dell’ambiente. Gli attuali metodi di riciclaggio si concentrano sul recupero limitato dei metalli contenuti nei catodi, mentre tutto il resto va sprecato.

Un team di ricercatori della Penn State potrebbe aver risolto questo problema. Guidato da Enrique Gomez, professore di ingegneria chimica presso il Penn State College of Engineering, il gruppo ha riconfigurato il design di queste batterie al litio allo stato solido in modo che tutti i loro componenti possano essere facilmente riciclati. I risultati sono stati pubblicati su ACS Energy Letters. “Con l’aumento della necessità di batterie ricaricabili, dobbiamo pensare alla fine del ciclo di vita di questa tecnologia”, spiega Gomez. “Speriamo che il nostro lavoro metta in luce le possibilità di riciclaggio delle batterie allo stato solido, con l’aiuto di alcuni elementi chiave di progettazione”.

Tradizionalmente, quasi tutti i componenti della batteria vanno sprecati perché si mescolano durante il processo di riciclaggio, formando una “massa nera” che rende difficile separarli. Il sistema individuato dal team ha consentito di dividere tutti gli elementi e di realizzare un composito con i metalli e gli elettrodi recuperati utilizzando la sinterizzazione a freddo. Dopo averne testato le prestazioni, hanno scoperto che la batteria ricostruita ha raggiunto tra il 92,5% e il 93,8% della sua capacità di scarica originale.

“Sebbene la commercializzazione delle batterie al litio completamente allo stato solido sia ancora in fase iniziale, il nostro lavoro fornisce importanti spunti e idee per la progettazione di versioni riciclabili di queste batterie”, dicono gli autori. “Anche se non siamo ancora arrivati a questo punto, l’obiettivo a lungo termine è quello di applicare questa innovazione a batterie più grandi che potrebbero essere utilizzate in dispositivi come telefoni cellulari e computer portatili, una volta che la tecnologia allo stato solido diventerà più diffusa”.

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Pnrr, aperto sportello domande Net zero, rinnovabili e batterie

Il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha stabilito le modalità di accesso ai fondi disponibili nell’ambito del Pnrr, specificatamente per la Missione 1, Componente 2, Investimento 7 volto a supportare il sistema di produzione nella transizione ecologica e nelle tecnologie a zero emissioni nette.

“I contratti di sviluppo devono riguardare programmi di sviluppo industriale o programmi di sviluppo per la tutela ambientale euro – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – ma anche progetti di investimento che possano includere anche progetti di ricerca, sviluppo e innovazione connessi e funzionali tra loro”.

Lo sportello è aperto a nuove domande di contratto di sviluppo e a domande di contratto di sviluppo già presentate ad Invitalia e sospese per carenza di risorse finanziarie.

I dispositivi ammissibili comprendono batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, dispositivi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCUS)

Le domande possono essere presentate ad Invitalia secondo le modalità e i modelli disponibili sul sito www.invitalia.it.

Invitalia avvierà le attività istruttorie in ordine cronologico, accertando la sussistenza delle condizioni previste per il sostegno finanziario del Pnrr.

“L’Agenzia verificherà il rispetto del divieto del doppio finanziamento ai sensi dell’art.9 del Reg. (UE) 2021/241 – conclude Buselli – ed il rispetto del principio DNSH e degli orientamenti tecnici della Commissione europea di cui alla comunicazione 2021/C58/01”.

Auto, Pagliuca (Cnpr): Pubblicato decreto Mase su stazioni ricarica

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che stabilisce i criteri e le modalità per concedere benefici a fondo perduto per la realizzazione di stazioni di ricarica veloci per veicoli elettrici nei centri urbani come previsto dal Pnrr.
“Sono ammissibili le spese sostenute per l’acquisto e l’installazione di stazioni di ricarica – spiega Luigi Pagliuca, presidente della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – i costi di connessione alla rete elettrica, le spese di progettazione e autorizzazione, entro certi limiti”. Le agevolazioni consistono in un contributo a fondo perduto fino al 40% delle spese ammissibili, con limiti di finanziamento per ciascun beneficiario e non sono cumulabili con altri incentivi pubblici.
“Le risorse verranno assegnate tramite procedure di selezione nel biennio 2023-2024. I beneficiari – conclude Pagliuca – dovranno garantire l’entrata in funzione delle stazioni di ricarica entro i termini stabiliti negli Avvisi pubblici”.

Economica e sostenibile: nasce la batteria per i Paesi a basso reddito

Una batteria fatta di zinco e lignina che può essere utilizzata più di 8000 volte. È stata sviluppata dai ricercatori dell’Università di Linköping, in Svezia, con l’obiettivo di fornire una soluzione economica e sostenibile per i Paesi in cui l’accesso all’elettricità è limitato. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Energy & Environmental Materials.

“I pannelli solari sono diventati relativamente economici e molte persone nei Paesi a basso reddito li hanno adottati. Tuttavia, in prossimità dell’equatore, il sole tramonta intorno alle 18, lasciando famiglie e aziende senza elettricità. La speranza è che questa tecnologia di batterie, anche se con prestazioni inferiori rispetto a quelle agli ioni di litio, possa offrire una soluzione a queste situazioni”, afferma Reverant Crispin, professore di elettronica organica all’Università di Linköping.

Il suo gruppo di ricerca presso il laboratorio di elettronica organica, insieme ai ricercatori dell’Università di Karlstad e di Chalmers, ha sviluppato una batteria basata su zinco e lignina, due materiali economici ed ecologici. In termini di densità energetica è paragonabile alle batterie al piombo, ma senza questa sostanza che è tossica. La batteria è stabile: può essere utilizzata per oltre 8000 cicli mantenendo circa l’80% delle sue prestazioni. Inoltre, mantiene la carica per circa una settimana, molto più a lungo di altre batterie simili a base di zinco che si scaricano in poche ore.

“Sebbene le batterie agli ioni di litio siano utili se gestite correttamente, possono essere esplosive, difficili da riciclare e problematiche in termini ambientali e di diritti umani quando vengono estratti elementi specifici come il cobalto. Pertanto, la nostra batteria sostenibile offre un’alternativa promettente laddove la densità energetica non è fondamentale”, afferma Ziyauddin Khan, ricercatore presso il Laboratory of Organic Electronics della LiU. Sia lo zinco che la lignina sono molto economici, spiega, e la batteria è facilmente riciclabile. E se si calcola il costo per ciclo di utilizzo, “diventa una estremamente economica rispetto alle batterie agli ioni di litio”, aggiunge.
Attualmente quelle sviluppate in laboratorio sono di piccole dimensioni. Tuttavia, i ricercatori ritengono di poter creare batterie di grandi dimensioni, all’incirca quelle di un’automobile, grazie all’abbondanza di lignina e zinco a basso costo. Tuttavia, la produzione di massa richiederebbe il coinvolgimento di un’azienda ed è questo il prossimo passo.

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Ansia da autonomia? Arriva la batteria che si ricarica in cinque minuti

Addio ansia da ricarica. Gli ingegneri della Cornell University hanno creato una nuova batteria al litio in grado di caricarsi in meno di cinque minuti – più velocemente di qualsiasi altra batteria di questo tipo presente sul mercato – mantenendo prestazioni stabili per lunghi cicli di carica e scarica. Questa scoperta potrebbe alleviare l'”ansia da autonomia” degli automobilisti che temono che i veicoli elettrici non possano percorrere lunghe distanze senza una lunga ricarica. Una sensazione così diffusa nei Paesi del Nord Europa che in Norvegia ha anche un nome, ‘rekkevideangst’.

“L’autonomia è un ostacolo all’elettrificazione dei trasporti più grande di qualsiasi altro limite, come il costo e la capacità delle batterie, e abbiamo identificato un percorso per eliminarlo utilizzando un design razionale degli elettrodi”, ha dichiarato Lynden Archer, professore di ingegneria e preside del College of Engineering della Cornell, che ha supervisionato il progetto. “Se si riesce a caricare la batteria di un veicolo elettrico in cinque minuti, non è necessario avere una batteria abbastanza grande per un’autonomia di 300 miglia. Ci si può accontentare di meno, il che potrebbe ridurre il costo dei veicoli elettrici, consentendone una più ampia adozione”.

Il lavoro del team, Fast-Charge, Long-Duration Storage in Lithium Batteries, è stato pubblicato su Joule. L’autore principale è Shuo Jin, dottorando in ingegneria chimica e biomolecolare.

Le batterie agli ioni di litio sono tra i mezzi più diffusi per alimentare veicoli elettrici e smartphone. Sono leggere, affidabili e relativamente efficienti dal punto di vista energetico. Tuttavia, richiedono ore per essere caricate e non hanno la capacità di gestire grandi picchi di corrente.

I ricercatori hanno individuato nell’indio un materiale eccezionalmente promettente per le batterie a carica rapida. Si tratta di un metallo morbido, utilizzato soprattutto per produrre rivestimenti per i display touch-screen e i pannelli solari. La nuova tecnologia abbinata alla ricarica a induzione wireless sulle strade, ridurrebbe le dimensioni – e il costo – delle batterie, rendendo il trasporto elettrico un’opzione più praticabile per gli automobilisti.