La Bce preoccupata per i nuovi aumenti del gas: +17,7% da ottobre

L’Unione europea e la sua eurozona ripiombano nell’incubo caro-bollette e caro-energia. Lo stop al contratto che permetteva al gas russo di transitare nell’Ue attraverso l’Ucraina non è solo fonte di tensioni politiche tra Kiev e Bratislava ma pure motivo di preoccupazione per la Banca centrale europea, che inizia a guardare con rinnovato assillo ai listini del gas. “Dalla riunione del Consiglio direttivo di ottobre i prezzi del gas europeo sono aumentati del 17,7%, spinti sia da fattori di domanda che di offerta”, rileva il bollettino economico mensile della Bce. “Dal lato dell’offerta – si precisa – l’aumento può essere in gran parte attribuito all’imminente scadenza dell’accordo di transito del gas tra Ucraina e Russia alla fine del 2024”.

Il bollettino nel complesso è un insieme di avvertimenti e richiami non proprio nuovi: tensioni geopolitiche, incertezze che possono incidere sui ritmi di crescita, gli interrogativi legati al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, l’invito alle riforme per i governi dell’eurozona. L’unico elemento certamente nuovo e più di stretta attualità è l’attenzione prestata ai prezzi dell’energia. Anche perché l’andamento spazza via tutti i calcoli condotti a Francoforte fin qui. I miglioramenti, per quanto prudenti, attesi per il nuovo anno erano auspicati “sulla base delle ipotesi di calo dei prezzi del petrolio e del gas” che non ci sono più.

Nel bollettino economico non si fa riferimento a fenomeni speculativi, ci si limita a notare una fluttuazione verso l’alto di listini che potrebbero avere ripercussioni serie per l’economia e la produttività dei Paesi Ue con la moneta unica. Nuovi aumenti delle bollette rischiano di incidere negativamente sui consumi delle famiglie, così come sui costi di produzione industriale. Senza contare il rischio di nuove spirali inflattive.

La presidente della Bce, Christine Lagarde, nel discorso di inizio anno, ha chiarito come il 2025 voglia essere l’anno in cui l’inflazione si stabilizzi al 2 per cento, obiettivo che può essere rimesso in discussione sulla scia dell’impennata dei prezzi del gas. Non sorprende dunque l’attenzione della Bce per l’evoluzione sul mercato del gas, su cui grava anche un inverno più rigido delle attese e rinnovabili che le attese invece le hanno tradite.

Dal lato della domanda, la riduzione della produzione di parchi eolici a novembre in Europa ha portato a una maggiore dipendenza dalla generazione di energia a gas”, continua il bollettino economico. “Ciò, unito al freddo, ha ridotto significativamente i livelli di stoccaggio del gas in tutta Europa, contribuendo ulteriormente all’aumento dei prezzi del gas”.

Per quanto riguarda il differenziale sui titoli di Stato tedeschi, il bollettino sottolinea come “è divenuto positivo, per la prima volta dal 2016, mentre l’annuncio di elezioni anticipate in Germania non ha avuto un effetto rilevante. Variazioni di maggiore rilievo sono state osservate per il rendimento dei titoli di Stato decennali francesi, aumentato di circa 5 punti base, in un contesto caratterizzato dall’incertezza sulle prospettive di bilancio del paese, e che ha ampliato di 30 punti base il differenziale rispetto al tasso OIS a dieci anni. Gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio in alcuni di questi paesi. Nel complesso, il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso OIS si è ridotto di 9 punti base per l’Italia, ampliandosi invece di 4 e 6 punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna“.

L’economia Usa vola, quella della Ue invece non riesce a decollare

Avanti tutta con il ribasso dei tassi. Lo annuncia Christine Lagarde a Vilnius per tenere conto del quadro economico europeo segnato da un crescente pessimismo. Tanto più preoccupante perché si contrappone alla vivacità degli Usa. Nonostante i tentativi di stimolare la crescita, i dati sul Pmi (Purchasing Managers’ Index) continuano a dipingere un’immagine negativa per l’Europa segnalando nuove contrazioni dell’attività economica. Viceversa negli Stati Uniti i livelli di attività sono stati ampliati in risposta al rafforzamento della domanda. I nuovi ordini sono aumentati al ritmo più rapido da aprile 2022 e l’occupazione è aumentata per la prima volta in cinque mesi. Inoltre, le pressioni inflazionistiche si sono ulteriormente raffreddate nonostante un balzo nell’inflazione dei costi di input nel settore manifatturiero.
Quadro del tutto diverso in Europa dove il Pmi della zona euro, che misura la performance complessiva dei settori manifatturiero e dei servizi, ha registrato nell’indagine preliminare di dicembre un ulteriore calo, mantenendosi sotto la soglia psicologica dei 50 punti, tradizionalmente interpretata come separazione tra espansione e contrazione. I settori più colpiti sono quelli industriali, che stanno risentendo non solo delle persistenti difficoltà globali, ma anche della crescente pressione inflazionistica e dei costi elevati delle materie prime. I servizi, pur essendo più resilienti, hanno mostrato segnali di indebolimento, suggerendo che la crescita in Europa stia perdendo slancio.

Di fronte a questi numeri preoccupanti, la Bce ha deciso di adottare una politica monetaria più accomodante. La presidente Lagarde ha spiegato che i tassi di interesse bassi sono necessari per stimolare gli investimenti e sostenere la domanda interna. Tuttavia, le misure espansive non sono prive di rischi. Lagarde ha sottolineato che la Bce dovrà vigilare attentamente sull’evoluzione dei dati macroeconomici, che potrebbero giustificare ulteriori interventi nel futuro prossimo, ma anche sulla gestione dei tassi di inflazione, che rimangono elevati nonostante il rallentamento della crescita.

Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti navigano con il vento in poppa. L’indice Pmi statunitense, infatti, ha continuato a registrare valori superiori ai 50 punti, indicando che l’economia continua a espandersi. Questo dato è particolarmente significativo, dato che gli Usa stanno affrontando le stesse sfide globali dell’Europa, ma sembrano avere una forza di reazione maggiore, grazie a un mercato del lavoro ancora forte e a una domanda dei consumatori che, pur rallentando, si mantiene positiva. Nonostante ciò, anche in America c’è una crescente attenzione verso i rischi di un rallentamento economico, con la Federal Reserve che già da mercoledì si troverà di fronte a un compito complesso: continuare a gestire l’inflazione senza soffocare la crescita.

Il confronto tra la situazione europea e quella americana è emblematico delle divergenze nelle risposte politiche e nelle dinamiche economiche. Se da un lato la Bce si trova a dover lottare contro una contrazione economica e un Pmi negativo, dall’altro la Fed sembra trovarsi in una posizione più favorevole, con l’economia che mostra segni di forza.

La domanda che si pongono ora gli analisti è come l’Europa riuscirà a far fronte a questo contesto difficile. Le misure prese dalla Bce, pur necessarie, potrebbero non essere sufficienti a rilanciare una crescita robusta. I segnali contrastanti provenienti dal Pmi europeo e statunitense suggeriscono che il percorso di recupero potrebbe essere più lungo e complesso per l’Europa rispetto agli Stati Uniti. Mentre il continente europeo cerca di affrontare le difficoltà con il sostegno delle politiche monetarie, la Bce potrebbe dover affrontare una sfida ancora più grande: non solo stimolare la crescita, ma anche gestire le crescenti tensioni sociali ed economiche che la stagnazione potrebbe generare.

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Se madame Lagarde vede rischi al ribasso per l’eurozona

Recessione alle porte e prezzi ancora su in Europa? Se fosse così ritorneremmo a uno scenario di stagflazione come negli Anni ’70: l’inflazione era esplosa innescata da uno choc energetico (all’epoca era colpa del petrolio, oggi delle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina), poi ci fu un calo seguito da una seconda ondata di rincari (negli ultimi mesi sta risalendo ancora il gas) accompagnata da una crisi dell’economia decimata da riduzione consumi e crisi aziendali.

Ecco, nel novembre del 2024, l’economia dell’eurozona ha subito un altro colpo, entrando nuovamente in contrazione. Secondo i dati dell’indagine Pmi, dopo una fase di stabilizzazione ad ottobre, i livelli di attività economica hanno registrato la più rapida diminuzione dall’inizio dell’anno, dovuta principalmente al rinnovato calo della produzione nel settore terziario. Il dato è preoccupante, considerando che per il sesto mese consecutivo i nuovi ordini del settore privato sono diminuiti, raggiungendo il tasso di declino più veloce da inizio 2024. Un segnale inequivocabile di indebolimento della domanda interna, aggravato dalla continua flessione dell’export.

L’occupazione ha registrato un nuovo calo e la fiducia è precipitata ai minimi livelli in un anno. Parallelamente, i tassi di inflazione sui prezzi di acquisto e vendita hanno raggiunto i massimi da tre mesi, con un incremento che segna l’acuirsi delle difficoltà per i consumatori. L’Indice Pmi composito (manifattura più servizi) è sceso a 48,3 a novembre, indicando una nuova contrazione del settore privato. In particolare, la produzione industriale continua a segnare il ventesimo mese consecutivo di calo, il più lungo periodo di contrazione dall’inizio dell’indagini. Le tre principali economie della zona euro — Germania, Francia e Italia — sono tutte entrate in fase di recessione alla fine del 2024, seppure alcune nazioni, come Irlanda e Spagna, abbiano registrato una crescita, con l’Irlanda che ha visto l’espansione più forte della produzione negli ultimi due anni e mezzo.

L’Italia, nel contesto europeo, ha visto una netta inversione di tendenza nel settore terziario, che ha registrato la prima contrazione in 11 mesi. Questo dato è stato influenzato da un forte calo dei nuovi ordini, il cui tasso di riduzione è stato il più alto in oltre due anni. Anche il commercio estero ha avuto un impatto negativo sul volume complessivo degli ordini, continuando ad evidenziare una debolezza della domanda. E così l’indice Pmi dei servizi, che ad ottobre si trovava a 52,4, è sceso a 49,2 a novembre, per la prima volta sotto la soglia di non cambiamento di 50,0, segnando la fine di un periodo di dieci mesi consecutivi di crescita.

A commento di questi dati, il capo economista della Hamburg Commercial Bank, Cyrus de la Rubia, ha sottolineato che l’eurozona sta attraversando una situazione di stagflazione, con una contrazione dell’economia accompagnata da un’inflazione in aumento. La Bce, che si trova di fronte alla difficoltà di stimolare la crescita economica senza alimentare ulteriormente l’inflazione, potrebbe optare per un taglio dei tassi più contenuto ma il contesto resta complesso, ha spiegato. L’economia sta chiaramente soffrendo e ha bisogno di un supporto monetario, però l’inflazione continua a rimanere ostinatamente alta, alimentata principalmente dal settore dei servizi. La Bce si prepara a prendere decisioni più prudenziali il prossimo 18 dicembre, misure che non sembrano destinata a avviare una ripresa rapida, soprattutto considerando che i nuovi ordini continuano a contrarsi.

La presidente della Bce, Christine Lagarde, intervenendo al Parlamento Europeo, ha confermato uno scenario economico incerto e dominato da rischi al ribasso. Ha confermato che il processo di disinflazione è “ben avviato”, ma la strada per riportare l’inflazione verso l’obiettivo stabilito non è ancora conclusa. La Banca centrale europea, secondo la Lagarde, continuerà a prendere decisioni “meeting by meeting”, senza impegnarsi a percorsi predeterminati, evidenziando la difficoltà di navigare in un contesto globale così turbolento.

Le sfide del neoministro Foti: per Bce rischio ritardi per due terzi dei cantieri Pnrr aperti

Tommaso Foti ha giurato da ministro nelle mani del presidente Mattarella e a lui desidero rivolgere le più sentite congratulazioni, mie personali e di tutto il Governo”, commentava questa mattina la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Il ministro Foti raccoglie il testimone di Raffaele Fitto, neo vicepresidente esecutivo della Commissione europea, e io sono certa che saprà lavorare con la sua stessa determinazione e la sua stessa meticolosità. Per il bene dell’Italia e degli italiani”.

Cosa erediterà Foti lo ha ricordato la Bce proprio oggi, in un documento che fa il punto sugli effetti dei piani nazionali di ripresa e resilienza nell’eurozona e ovviamente in Italia, Paese che beneficia della cifra più alta tra gli Stati che hanno ottenuto fondi Pnrr, ovvero 191,5 miliardi di euro. “Fino a giugno 2024, il Paese aveva completato 269 traguardi e obiettivi, inclusi importanti provvedimenti di riforma. Alla fine di dicembre 2023, oltre l’85% dei fondi disponibili era stato assegnato agli enti di attuazione, con circa 120 miliardi destinati alle amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda l’implementazione dei progetti di investimento che richiedono una procedura di gara, più della metà del finanziamento (circa 56 miliardi) è stato messo a gara. Questo importo è iniziato a crescere nel 2022 e ha accelerato nel 2023 – si legge nel report pubblicato sul blog della Banca centrale europea – quando sono stati messi a gara più di 28 miliardi, principalmente legati a contratti di valore medio (tra 1 e 5 milioni di euro) e ad alto valore (oltre 5 milioni di euro) per progetti infrastrutturali di grande portata”.

Andando un po’ più nel dettaglio, l’analisi sottolinea che “il monitoraggio del Pnrr con microdati mostra che l’Italia ha compiuto significativi progressi nell’esecuzione delle opere pubbliche. Tra il primo trimestre del 2023 e il secondo trimestre del 2024, la percentuale di gare Pnrr che hanno attivato un cantiere è aumentata da meno del 10% a più del 35%. Questa quota corrisponde a più della metà dell’importo complessivo già messo a gara, indicando che le gare più grandi sono entrate nella fase di esecuzione. La maggior parte delle gare per le quali i lavori non sono ancora iniziati (quasi i due terzi) sono comunque state aggiudicate. In termini di avanzamento dei lavori, il 18% dei progetti è stato completato. Tuttavia – evidenzia la Banca centrale europeadei cantieri aperti e in corso, circa i due terzi sono a rischio di ritardi nei tempi previsti. Esistono differenze nell’esecuzione delle opere pubbliche in tutto il paese, con il sud Italia che fatica a tenere il passo con le altre aree. Ciò è dovuto a una maggiore congestione e all’avvio di opere pubbliche relativamente più complesse”.

Guardando avanti e guardando l’intero continente, secondo la Bce le spese pubbliche e le riforme strutturali legate al Recovery and Resilience Facility (Rrf) hanno il potenziale di aumentare il prodotto interno lordo dell’area dell’euro dello 0,4-0,9% entro il 2026 e dello 0,8-1,2% entro il 2031, a seconda della produttività del capitale e del grado di assorbimento dei fondi. Tuttavia, si prevede che l’impatto delle riforme strutturali aumenterà nel tempo, mentre l’effetto delle spese pubbliche inizialmente prevalenti svanirà. Per quanto riguarda l’Italia e la Spagna, l’impatto sul Pil fino al 2026 è significativo, con stime comprese tra l’1,3% e l’1,9% per noi e tra l’1,2% e l’1,7% per Madrid. In merito invece al debito pubblico, la Bce stima che l’impatto complessivo del Rrd sull’Italia e la Spagna ridurrà il rapporto debito/PIL di circa 7-8 punti percentuali entro il 2031, assumendo una produttività del capitale media e un alto assorbimento dei fondi nei prossimi due anni.

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Inflazione in calo e la Bce taglia i tassi, Lagarde: No traiettorie prestabilite

L’inflazione fa meno paura, e la Banca centrale europea decide di ridare respiro e fiducia ritoccando di tassi di interesse. Il Consiglio direttivo opera un taglio dello 0,25%, perché i dati in possesso dello staff della Bce sono tali da giustificare un allentamento. “E’ ora opportuno compiere un altro passo nella moderazione del grado di restrizione della politica monetaria”, recita il documento di fine seduta. La decisione è stata “unanime”, assicura Christine Lagarde, la presidente della Bce che però vuole evitare facili conclusioni. “Le decisioni di oggi non sono un impegno preventivo verso un particolare percorso”, mette in chiaro. Vuol dire che si deciderà volta per volta, e che i l taglio di oggi non ne esclude di nuovi, ma neppure li garantisce. “ Per il futuro – aggiunge Lagarde – userò lo spagnolo: que sera sera”.

Con il taglio, atteso da molti addetti ai lavori, il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale quindi scende al 3,65%, il tasso di interesse sulla linea di rifinanziamento marginale scende a quota 3,90 % e il tasso di interesse sulla linea di deposito scende al 3,50%. Alla base della scelta un’inflazione complessiva pressoché stabile rispetto alle proiezioni di giugno, attesa al 2,5% nel 2024, al 2,2% nel 2025 e all’1,9% nel 2026 . Ma sono soprattutto i dati sull’inflazione di fondo (esclusi dunque i beni dai prezzi più volatili, energia e alimentari) a fornire indicazioni positive tali da giustificare l’aggiustamento al ribasso della politica monetaria. A Francoforte si attendono, per l’inflazione di fondo, “un rapido calo” , dal 2,9% di quest’anno al 2,3% nel 2025 e al 2% nel 2026.

Le cose sembrano mettersi bene, ma a Francoforte si mantiene la linea della prudenza. Perché, sottolinea la numero uno dell’Eurotower, “sulla crescita continuano a soffiare venti contrari “, e permangono dunque “rischi al ribasso”. L’allarme su una crescita ‘zero’ della Germania lanciato dall’istituto Ifo nei giorni scorsi ne è una riprova. Lagarde ripete il mantra per cui tutto dipenderà dai dati, e che si resta pronti a mantenere politiche monetarie restrittive per tutto il tempo che si riterrà necessario e per l’entità che si riterrà necessaria, per il bene della stabilità dei prezzi, che resta l’obiettivo di riferimento, e la tenuta dell’economia dell’eurozona. Quest’ultima passa però per l’azione dei governi, a cui viene chiesto un nuovo e più deciso slancio.
Si prende il tempo che serve, Lagarde, per tributare il lavoro svolto dall’ex presidente del Consiglio nonché suo predecessore alla guida della Bce. “Il rapporto Draghi è straordinario“, enfatizza: “Si concentra sulla riforme, offrendo proposte pratiche per farle, che aiutano anche noi della Bce a raggiungere i nostri obiettivi”. Il documento che getta le basi per i lavori della nuova legislatura europea sottolinea “l’ urgente necessità di riforme”.  Anche sulla spinta del rapporto Draghi, insiste Lagarde, “i governi dovrebbero ora dare il via con decisione in questa direzione nei loro piani a medio termine per le politiche strutturali e di bilancio”. Una sottolineatura non casuale, poiché “le riforme strutturali non sono responsabilità della Bce, bensì dei governi nazionali”. Non solo. Per tradurre in pratica la ricetta di Draghi occorre “leadership a livello europeo”. Anche la Bce adesso sferza la Commissione.

Se la manifattura è debole… il petrolio (forse) sta peggio

Una manifattura debole in mezzo mondo, dagli Usa alla Cina passando per l’Europa, e le voci insistenti di un possibile aumento della produzione dei Paesi Opec hanno sgonfiato i prezzi del petrolio, che rivedono i minimi da un anno. Nemmeno l’attacco ad opera degli Houthi nello Yemen a una petroliera saudita ha ravvivato gli acquisti. Anzi, proprio l’assenza di smentite del club di Vienna, dove ha sede l’organizzazione internazionale degli Stati esportatori di greggio, su un cambio di rotta della politica di tagli alla produzione (comunque non del tutto rispettata) che prosegue da un paio di anni, ha fatto peggiorare le quotazione di Wti texano e Brent europeo, i quali lasciano sul terreno circa il 4%, col primo che scivola a 70,6 e il secondo a 74,2 dollari al barile.

Venerdì la Reuters ha rilanciato sei fonti dell’Opec+ che inizieranno ad allentare i tagli alla produzione a partire da ottobre. Se l’organizzazione decidesse di avviare il processo di incremento della produzione a ottobre, ciò sarebbe ampiamente compensato dalle significative perdite nella produzione di petrolio della Libia, membro dell’Opec, iniziate la scorsa settimana. Finora, la produzione della Libia ha visto un -700.000 barili al giorno per la chiusura dei giacimenti petroliferi da parte del governo orientale della Libia. Un calo che offre all’Opec+ un po’ di margine agli altri membri per iniziare il lento processo di aumento della produzione di greggio senza alterare il numero complessivo di barili che entrano nel mercato. Sarebbero 8 i Paesi membri dell’Opec+ pronti a pompare 180.000 barili al giorno in più a ottobre come parte del piano esistente del gruppo per annullare i 2,2 milioni di barili al giorno di tagli volontari.

Certo è che, al di là della battaglia per il controllo del mercato petrolifero tra Opec e Paesi non Opec (dagli Usa alla Guyana), sono anche i dati economici a indicare un rallentamento della manifattura e di conseguenza della domanda di greggio. I prezzi sono stati appesantiti infatti dagli ultimi dati economici dalla Cina, che hanno mostrato che l’attività delle fabbriche continua a contrarsi, con l’indice ufficiale dei direttori degli acquisti dell’Ufficio nazionale di statistica che ha mostrato come l’attività manifatturiera di Pechino si sia contratta per il quarto mese consecutivo ad agosto, raggiungendo il  valore più basso degli ultimi sei mesi.

In Europa, Francia e Germania continuano a navigare all’interno di una profonda fase di contrazione come hanno testimoniato ieri gli indici Pmi industriali. E oggi pomeriggio l’indice Ism manifatturiero americano è risalito leggermente a 47,2 ad agosto, dal minimo di novembre 2023 di 46,8 registrato a luglio, ma è risultato inferiore alle stime di mercato di 47,5, segnalando così la 21esima contrazione mensile dell’attività manifatturiera statunitense negli ultimi 22 mesi. Quinto ribasso di fila.
La Federal Reserve e la Bce taglieranno i tassi nelle prossime settimane per allentare la pressione e non deprimere ulteriormente la domanda. Da vedere se non sia troppo tardi.

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Lagarde

La Bce lascia i tassi invariati. Lagarde: “Tutte le opzioni aperte per settembre”

Una pausa estiva, lasciando i tassi invariati, prima di un’estate densa di impegni che porterà a nuove decisioni a settembre. La Bce ha stabilito, nel consiglio direttivo di luglio, come pronosticato, di non effettuare un nuovo taglio dei tassi, lasciandoli fermi al 4,25%, al 4,50% e al 3,75% dopo il ribasso di giugno, il primo in cinque anni.

Il Consiglio direttivo, presieduto da Chistine Lagarde, “manterrà i tassi di riferimento a un livello sufficientemente restrittivo per tutto il tempo necessario” a raggiungere l’obiettivo di medio termine sull’inflazione del 2%, secondo la dichiarazione sulla decisione di politica monetaria pubblicata al termine della riunione dell’istituzione. In questa fase, i guardiani dell’euro non danno alcuna indicazione sulle loro successive decisioni di politica monetaria, che “si baseranno sui dati” relativi all’inflazione e alla crescita in particolare.

A giugno, la Bce ha tagliato i tassi di interesse di 0,25 punti percentuali nel tentativo di segnalare la fine del ciclo di inasprimento monetario iniziato nel luglio 2022 per combattere l’inflazione, che ha raggiunto un picco del 10,6% nell’ottobre 2022. Ma Lagarde ha avvertito che la velocità e la durata dei futuri tagli dei tassi rimangono “altamente incerte” a causa della volatilità dell’inflazione, facendo riferimento al percorso “accidentato” della curva dei prezzi.

Dalla riunione di giugno, gli indicatori della zona euro hanno segnalato una crescita più debole e un ulteriore calo dell’inflazione, al 2,5% a giugno su un anno, dopo il rimbalzo al 2,6% di maggio. I prezzi dei servizi, in cui la componente salariale è forte, destano preoccupazione a causa del loro vigore (+4,1% su base annua a giugno), rappresentando ora il maggior contributo all’inflazione.

Le pressioni interne sui prezzi rimangono forti, con i prezzi dei servizi che aumentano a un ritmo elevato”, ha dichiarato la Bce nel suo comunicato. “È probabile che l’inflazione complessiva rimanga al di sopra dell’obiettivo per gran parte del prossimo anno”, sottolinea la Bce, la cui ultima previsione di inflazione per il 2025 si attesta al 2,2%.

Nel complesso, tuttavia, questi dati fanno pendere la bilancia “a favore di un taglio dei tassi a settembre, quando la Bce presenterà le nuove stime di crescita e inflazione”, secondo Felix Schmidt di Berenberg. Ma Lagarde rimane cauta. “Non siamo vincolati ad un particolare percorso dei tassi“, spiega, ma “siamo dipendenti dai dati, decidiamo meeting by meeting e non abbiamo un percorso predeterminato sui tassi. Quel che faremo a settembre, al momento, è aperto e sarà determinato dai dati che riceveremo. La proiezione di giugno sarà un punto di riferimento, ma guarderemo ai dati“. Appuntamento, quindi, al 12 settembre, quando il Consiglio direttivo terrà la prossima riunione di politica monetaria dopo la pausa estiva.

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Effetto Bce sulla domanda: in Italia calano i prezzi, ma anche le esportazioni

I prezzi calano, le esportazioni pure. L’inflazione italiana torna abbondantemente sotto l’1% annuale ad aprile, registrando un modestissimo +0,1% mensile. “La decelerazione risente perlopiù della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-13,9% da -10,3% di marzo) e dei Servizi relativi ai trasporti (+2,7% da +4,5%). In leggero rallentamento risultano anche i prezzi dei Beni alimentari (+2,4% da +2,7%). Di contro, i prezzi dei Beni energetici regolamentati, nonostante il sensibile calo su base congiunturale (-10,1%), mostrano un profilo tendenziale in netta risalita (-1,3% da -13,8%)“, commenta l’Istat. In ogni caso “continua a scendere, anche ad aprile, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+2,3% da +2,6%), mentre l’Inflazione di fondo si attesta al +2,1% (da +2,3%)“, conclude l’istituto di statistica.

Bene la frenata dell’Inflazione, che ad aprile scende allo 0,8% su base annua: terminato ‘l’effetto Pasqua’ che aveva portato alla risalita dei listini con sensibili rincari specie nel settore dei trasporti, l’Inflazione torna a calare ad aprile, un dato che però non può bastare ai consumatori”, commenta il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. “Si delinea sempre più chiaramente, infatti, uno scenario di progressiva normalizzazione dei prezzi che riteniamo proseguirà anche nei prossimi mesi“, sottolinea invece Confesercenti, che aggiunge: “Un segnale incoraggiante, quindi, perché, nonostante permanga qualche incertezza rispetto al prezzo degli energetici, il rallentamento dell’Inflazione può contribuire a liberare risorse per le famiglie, il cui potere d’acquisto negli ultimi due anni si è notevolmente ridotto, sostenendo i consumi e la domanda interna“.

In effetti se i prezzi calano è anche perché la domanda è debole, complice una stretta monetaria targata Bce che ha raffreddato il Pil e addirittura mandato ko alcune aziende. Secondo uno studio del Cribis, le liquidazioni giudiziali (definizione che dal luglio 2022 ha preso il posto di ‘fallimento’) registrate nel primo trimestre del 2023 sono in crescita a doppia cifra (+12,6%) rispetto allo stesso periodo del 2023, colpendo in particolar modo le aziende del commercio. “I dati relativi all’inizio del 2024 evidenziano un prolungarsi di quelle sfide che sono alla base dell’aumento nel numero di società in liquidazione giudiziale nel 2023, ascrivibili principalmente all’attuale contesto macroeconomico globale. Ai problemi di liquidità derivanti dalla stretta monetaria si sono infatti aggiunte ulteriori criticità che hanno minato la competitività delle imprese, come la crisi energetica, le guerre in Europa e in Medio Oriente e una maggiore difficoltà nella circolazione delle merci”, sottolinea Marco Preti, amministratore delegato di Cribis.

Soffre dunque anche il commercio estero. A marzo 2024 si è registrata una flessione congiunturale per le esportazioni (-1,7%) e una crescita per le importazioni (+1,5%), in base a quanto comunica l’Istat. La diminuzione su base mensile dell’export è dovuta alla riduzione delle vendite verso l’area extra Ue (-3,9%). E le esportazioni flettono su base annua dell’8,9% in termini monetari e del 10,3% in volume, con una contrazione dell’export in valore più ampia per i mercati Ue (-12,3%) rispetto a quelli extra-Ue (-5,0%). Pesa molto la debolezza tedesca e in generale dell’eurozona, oltre che di quella cinese. Infatti, i Paesi che forniscono i contributi maggiori alla riduzione dell’export nazionale sono: Germania (-16,5%), Francia (-10,9%), Cina (-25,8%), Stati Uniti (-6,7%), Svizzera (-11,5%) e Regno Unito (-12,0%). Crescono invece le esportazioni verso Turchia (+35,1%) e paesi Opec (+6%).

Nell’eurozona inflazione in calo al 2,4% a marzo: dato utile per tassi Bce

Buone notizie per l’eurozona: a marzo l’inflazione dovrebbe attestarsi al 2,4 per cento, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto ai valori di febbraio. Lo rileva Eurostat, nei dati preliminari diffusi per il mese appena giunto al termine. Un indice, quello di marzo, che conferma un andamento generale degli ultimi mesi e che riavvicina il dato di Eurolandia all’obiettivo di riferimento della Banca centrale europea del 2 per cento. Dando un’occhiata alle principali componenti del paniere di riferimento, si registra una frenata nei prezzi al consumo per generi alimentari, alcol e tabacco (2,7 per cento a marzo, rispetto al 3,9 marzo di febbraio), e un ribasso anche per i beni industriali non energetici (1,1 per cento contro 1,6 per cento a febbraio). Stabile invece il costo per i servizi (4 per cento).

A livello Paese si registra una riduzione dell’inflazione in Germania (da 2,7 per cento a 2,3 per cento tra febbraio e marzo), Francia (da 3,2 per cento a 2,4 per cento). Andamento inverso per l’Italia, dove l’indice inflattivo è previsto in aumento dallo 0,8 per cento all’1,3 per cento, comunque al di sotto dell’obiettivo di riferimento. Si allontanano invece Spagna (3,2 per cento, +0,3 punti percentuali), Paesi bassi (3,1 per cento, +0,4 punti percentuali), Belgio (3,8 per cento, +0,2 punti percentuali).

Il calo è stato più forte di quanto previsto dagli analisti intervistati da Factset e Bloomberg. In media, si aspettavano rispettivamente il 2,6% e il 2,5%. L’inflazione è ancora vicina all’obiettivo del 2% fissato dalla Banca Centrale Europea (Bce). Questa tendenza, se confermata, potrebbe convincere l’istituzione monetaria a ridurre i tassi di interesse nei prossimi mesi. L’aumento dei prezzi al consumo nei 20 Paesi che condividono la moneta unica si è più che dimezzato rispetto al record del 10,6% raggiunto nell’ottobre 2022, quando i prezzi dell’energia si sono impennati a causa della guerra in Ucraina. Anche il dato più osservato dai mercati finanziari e dalla Bce, l’inflazione di fondo – ovvero l’inflazione depurata dalla volatilità dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari – sta lanciando un segnale incoraggiante. Anche questo indicatore, considerato più rappresentativo, è sceso più del previsto a marzo al 2,9% su base annua, rispetto al 3,1% di febbraio. Gli analisti di Factset e Bloomberg si aspettavano una media del 3%.

A questi dati guarderà con attenzione la presidente della Bce, Christine Lagarde, in vista della riunione del consiglio direttivo dell’11 aprile. Tagli dei tassi di interesse non sono annunciati, Lagarde ha lasciato intendere che un’eventuale decisione potrà essere presa a giugno, quando a Francoforte si avranno a disposizioni informazioni più ampie e comprensive, ma la stessa numero uno dell’Eurotower ha indicato nei dati di aprile un momento comunque significativo per le scelte che dovranno essere compiute per riportare l’inflazione ai livelli desiderati. Pesa, certamente, un andamento asimmetrico.

I dati consolidati di Eurostat saranno disponibili il 17 aprile,  momento in cui si saprà se le stime preliminari saranno confermate. Usciranno, quindi, dopo la riunione per le decisioni di politica monetaria della Bce. Che conta comunque su un andamento rinnovato.

Italia quasi in deflazione, ma prezzi su nell’eurozona: il taglio dei tassi della Bce non è vicino

L’Italia è quasi in deflazione, ma l’eurozona no. Per questo il taglio dei tassi da parte della Bce potrebbe non essere così imminente, soprattutto se l’economia non entrerà in una profonda recessione. A frenare sull’allentamento monetario sono anche i dati americani sul lavoro. A dicembre negli Usa il salario orario medio è aumentato dello 0,4% mensile, leggermente sopra le attese che stimavano un +0,3%, e la retribuzione oraria è cresciuta del 4,1% annuale, una percentuale superiore alle previsioni di mercato (3,9%) e al dato di novembre (4%). Lo scorso mese l’economia americana ha poi creato 216mila nuovi posti di lavoro, battendo le stime di +170mila e superando il dato di novembre di 173mila. Il tasso di disoccupazione è sceso a dicembre al 3,7%, stabile rispetto a novembre, e di uno 0,1% sotto le previsioni degli analisti. Numeri che potrebbero spingere la Federal Reserve a mantenere il costo del denaro al 5,5% per un periodo prolungato, visto che l’economia resta robusta.

In Europa invece, oltre a rallentare l’economia come è emerso dagli ultimi indici Pmi relativi alla manifattura e al settore terziario, frena anche il calo dei prezzi. In Francia e Germania il carovita a dicembre ha segnato un +3,7% annuale, percentuale nettamente superiore al +2,9% dell’eurozona, che pure risulta in aumento dal 2,4% di novembre, secondo una stima flash di Eurostat: il tasso annuo più elevato a dicembre è quello dei prodotti alimentari, alcolici e tabacco (6,1%, rispetto al 6,9% di novembre), seguito dai servizi (4,0%, stabile rispetto a novembre), dai beni industriali non energetici (2,5%, rispetto al 2,9% di novembre) e dall’energia (-6,7%, rispetto al -11,5% di novembre). L’inflazione core – che non include i prezzi di energia, cibo, alcol e tabacco – è comunque scesa al 3,4% dal 3,6% di novembre. I dati riferiti a gennaio saranno dunque cruciali per stabilire se la discesa dei prezzi continua o se invece ci sarà un rimbalzo del carovita. E da quelli si intuirà se la Bce taglierà i tassi nel breve periodo o in estate.

Se fosse per l’Italia, la banca centrale dovrebbe già iniziare a ridurre il costo del denaro. A dicembre l’inflazione è “scesa a 0,6% dall’11,6% del dicembre 2022. Nella media 2023 i prezzi al consumo risultano accresciuti del 5,7% rispetto all’anno precedente, in netto rallentamento dall’8,1% del 2022. Tale andamento risente principalmente del venir meno delle tensioni sui prezzi dei Beni energetici (+1,2%, dal +50,9% del 2022)”, sottolinea l’Istat. “I prezzi nel comparto alimentare evidenziano invece un’accelerazione della crescita media annua (+9,8%, da +8,8% del 2022), nonostante l’attenuazione della loro dinamica tendenziale, evidenziata nella seconda metà dell’anno. Nel 2023, la crescita dei prezzi al netto delle componenti volatili (inflazione di fondo) è pari a 5,1% (da +3,8% del 2022). Sulla base delle stime preliminari, il trascinamento dell’inflazione al 2024 è pari a +0,1%”, conclude l’istituto di statistica.

A livello globale, intanto, l’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso a 118,5 lo scorso mese, il più basso da febbraio 2021, da un 120,3 rivisto al ribasso di novembre. Il costo degli oli vegetali è sceso dell’1,4% per il calo dei prezzi degli oli di palma, soia, colza e girasole. Lo zucchero è crollato del 16,6% al livello più basso in nove mesi, spinto dalla forte produzione in Brasile. Inoltre, i prezzi della carne sono scesi dell’1% al livello più basso da maggio 2021, poiché quelli della carne suina sono diminuiti causa la persistente debolezza della domanda di importazioni dall’Asia. D’altro canto, il costo dei cereali è aumentato dell’1,5% poiché i prezzi all’esportazione del grano sono aumentati per la prima volta in cinque mesi, sostenuti da interruzioni logistiche legate alle condizioni meteorologiche e dalle tensioni nel Mar Nero. Inoltre, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono saliti dell’1,6% a causa delle quotazioni più elevate del burro, del latte intero in polvere e del formaggio. Considerando l’intero 2023, l’indice dei prezzi alimentari è sceso del 13,7%.