Inflazione in calo e la Bce taglia i tassi, Lagarde: No traiettorie prestabilite

L’inflazione fa meno paura, e la Banca centrale europea decide di ridare respiro e fiducia ritoccando di tassi di interesse. Il Consiglio direttivo opera un taglio dello 0,25%, perché i dati in possesso dello staff della Bce sono tali da giustificare un allentamento. “E’ ora opportuno compiere un altro passo nella moderazione del grado di restrizione della politica monetaria”, recita il documento di fine seduta. La decisione è stata “unanime”, assicura Christine Lagarde, la presidente della Bce che però vuole evitare facili conclusioni. “Le decisioni di oggi non sono un impegno preventivo verso un particolare percorso”, mette in chiaro. Vuol dire che si deciderà volta per volta, e che i l taglio di oggi non ne esclude di nuovi, ma neppure li garantisce. “ Per il futuro – aggiunge Lagarde – userò lo spagnolo: que sera sera”.

Con il taglio, atteso da molti addetti ai lavori, il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale quindi scende al 3,65%, il tasso di interesse sulla linea di rifinanziamento marginale scende a quota 3,90 % e il tasso di interesse sulla linea di deposito scende al 3,50%. Alla base della scelta un’inflazione complessiva pressoché stabile rispetto alle proiezioni di giugno, attesa al 2,5% nel 2024, al 2,2% nel 2025 e all’1,9% nel 2026 . Ma sono soprattutto i dati sull’inflazione di fondo (esclusi dunque i beni dai prezzi più volatili, energia e alimentari) a fornire indicazioni positive tali da giustificare l’aggiustamento al ribasso della politica monetaria. A Francoforte si attendono, per l’inflazione di fondo, “un rapido calo” , dal 2,9% di quest’anno al 2,3% nel 2025 e al 2% nel 2026.

Le cose sembrano mettersi bene, ma a Francoforte si mantiene la linea della prudenza. Perché, sottolinea la numero uno dell’Eurotower, “sulla crescita continuano a soffiare venti contrari “, e permangono dunque “rischi al ribasso”. L’allarme su una crescita ‘zero’ della Germania lanciato dall’istituto Ifo nei giorni scorsi ne è una riprova. Lagarde ripete il mantra per cui tutto dipenderà dai dati, e che si resta pronti a mantenere politiche monetarie restrittive per tutto il tempo che si riterrà necessario e per l’entità che si riterrà necessaria, per il bene della stabilità dei prezzi, che resta l’obiettivo di riferimento, e la tenuta dell’economia dell’eurozona. Quest’ultima passa però per l’azione dei governi, a cui viene chiesto un nuovo e più deciso slancio.
Si prende il tempo che serve, Lagarde, per tributare il lavoro svolto dall’ex presidente del Consiglio nonché suo predecessore alla guida della Bce. “Il rapporto Draghi è straordinario“, enfatizza: “Si concentra sulla riforme, offrendo proposte pratiche per farle, che aiutano anche noi della Bce a raggiungere i nostri obiettivi”. Il documento che getta le basi per i lavori della nuova legislatura europea sottolinea “l’ urgente necessità di riforme”.  Anche sulla spinta del rapporto Draghi, insiste Lagarde, “i governi dovrebbero ora dare il via con decisione in questa direzione nei loro piani a medio termine per le politiche strutturali e di bilancio”. Una sottolineatura non casuale, poiché “le riforme strutturali non sono responsabilità della Bce, bensì dei governi nazionali”. Non solo. Per tradurre in pratica la ricetta di Draghi occorre “leadership a livello europeo”. Anche la Bce adesso sferza la Commissione.

Se la manifattura è debole… il petrolio (forse) sta peggio

Una manifattura debole in mezzo mondo, dagli Usa alla Cina passando per l’Europa, e le voci insistenti di un possibile aumento della produzione dei Paesi Opec hanno sgonfiato i prezzi del petrolio, che rivedono i minimi da un anno. Nemmeno l’attacco ad opera degli Houthi nello Yemen a una petroliera saudita ha ravvivato gli acquisti. Anzi, proprio l’assenza di smentite del club di Vienna, dove ha sede l’organizzazione internazionale degli Stati esportatori di greggio, su un cambio di rotta della politica di tagli alla produzione (comunque non del tutto rispettata) che prosegue da un paio di anni, ha fatto peggiorare le quotazione di Wti texano e Brent europeo, i quali lasciano sul terreno circa il 4%, col primo che scivola a 70,6 e il secondo a 74,2 dollari al barile.

Venerdì la Reuters ha rilanciato sei fonti dell’Opec+ che inizieranno ad allentare i tagli alla produzione a partire da ottobre. Se l’organizzazione decidesse di avviare il processo di incremento della produzione a ottobre, ciò sarebbe ampiamente compensato dalle significative perdite nella produzione di petrolio della Libia, membro dell’Opec, iniziate la scorsa settimana. Finora, la produzione della Libia ha visto un -700.000 barili al giorno per la chiusura dei giacimenti petroliferi da parte del governo orientale della Libia. Un calo che offre all’Opec+ un po’ di margine agli altri membri per iniziare il lento processo di aumento della produzione di greggio senza alterare il numero complessivo di barili che entrano nel mercato. Sarebbero 8 i Paesi membri dell’Opec+ pronti a pompare 180.000 barili al giorno in più a ottobre come parte del piano esistente del gruppo per annullare i 2,2 milioni di barili al giorno di tagli volontari.

Certo è che, al di là della battaglia per il controllo del mercato petrolifero tra Opec e Paesi non Opec (dagli Usa alla Guyana), sono anche i dati economici a indicare un rallentamento della manifattura e di conseguenza della domanda di greggio. I prezzi sono stati appesantiti infatti dagli ultimi dati economici dalla Cina, che hanno mostrato che l’attività delle fabbriche continua a contrarsi, con l’indice ufficiale dei direttori degli acquisti dell’Ufficio nazionale di statistica che ha mostrato come l’attività manifatturiera di Pechino si sia contratta per il quarto mese consecutivo ad agosto, raggiungendo il  valore più basso degli ultimi sei mesi.

In Europa, Francia e Germania continuano a navigare all’interno di una profonda fase di contrazione come hanno testimoniato ieri gli indici Pmi industriali. E oggi pomeriggio l’indice Ism manifatturiero americano è risalito leggermente a 47,2 ad agosto, dal minimo di novembre 2023 di 46,8 registrato a luglio, ma è risultato inferiore alle stime di mercato di 47,5, segnalando così la 21esima contrazione mensile dell’attività manifatturiera statunitense negli ultimi 22 mesi. Quinto ribasso di fila.
La Federal Reserve e la Bce taglieranno i tassi nelle prossime settimane per allentare la pressione e non deprimere ulteriormente la domanda. Da vedere se non sia troppo tardi.

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La Bce lascia i tassi invariati. Lagarde: “Tutte le opzioni aperte per settembre”

Una pausa estiva, lasciando i tassi invariati, prima di un’estate densa di impegni che porterà a nuove decisioni a settembre. La Bce ha stabilito, nel consiglio direttivo di luglio, come pronosticato, di non effettuare un nuovo taglio dei tassi, lasciandoli fermi al 4,25%, al 4,50% e al 3,75% dopo il ribasso di giugno, il primo in cinque anni.

Il Consiglio direttivo, presieduto da Chistine Lagarde, “manterrà i tassi di riferimento a un livello sufficientemente restrittivo per tutto il tempo necessario” a raggiungere l’obiettivo di medio termine sull’inflazione del 2%, secondo la dichiarazione sulla decisione di politica monetaria pubblicata al termine della riunione dell’istituzione. In questa fase, i guardiani dell’euro non danno alcuna indicazione sulle loro successive decisioni di politica monetaria, che “si baseranno sui dati” relativi all’inflazione e alla crescita in particolare.

A giugno, la Bce ha tagliato i tassi di interesse di 0,25 punti percentuali nel tentativo di segnalare la fine del ciclo di inasprimento monetario iniziato nel luglio 2022 per combattere l’inflazione, che ha raggiunto un picco del 10,6% nell’ottobre 2022. Ma Lagarde ha avvertito che la velocità e la durata dei futuri tagli dei tassi rimangono “altamente incerte” a causa della volatilità dell’inflazione, facendo riferimento al percorso “accidentato” della curva dei prezzi.

Dalla riunione di giugno, gli indicatori della zona euro hanno segnalato una crescita più debole e un ulteriore calo dell’inflazione, al 2,5% a giugno su un anno, dopo il rimbalzo al 2,6% di maggio. I prezzi dei servizi, in cui la componente salariale è forte, destano preoccupazione a causa del loro vigore (+4,1% su base annua a giugno), rappresentando ora il maggior contributo all’inflazione.

Le pressioni interne sui prezzi rimangono forti, con i prezzi dei servizi che aumentano a un ritmo elevato”, ha dichiarato la Bce nel suo comunicato. “È probabile che l’inflazione complessiva rimanga al di sopra dell’obiettivo per gran parte del prossimo anno”, sottolinea la Bce, la cui ultima previsione di inflazione per il 2025 si attesta al 2,2%.

Nel complesso, tuttavia, questi dati fanno pendere la bilancia “a favore di un taglio dei tassi a settembre, quando la Bce presenterà le nuove stime di crescita e inflazione”, secondo Felix Schmidt di Berenberg. Ma Lagarde rimane cauta. “Non siamo vincolati ad un particolare percorso dei tassi“, spiega, ma “siamo dipendenti dai dati, decidiamo meeting by meeting e non abbiamo un percorso predeterminato sui tassi. Quel che faremo a settembre, al momento, è aperto e sarà determinato dai dati che riceveremo. La proiezione di giugno sarà un punto di riferimento, ma guarderemo ai dati“. Appuntamento, quindi, al 12 settembre, quando il Consiglio direttivo terrà la prossima riunione di politica monetaria dopo la pausa estiva.

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Effetto Bce sulla domanda: in Italia calano i prezzi, ma anche le esportazioni

I prezzi calano, le esportazioni pure. L’inflazione italiana torna abbondantemente sotto l’1% annuale ad aprile, registrando un modestissimo +0,1% mensile. “La decelerazione risente perlopiù della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-13,9% da -10,3% di marzo) e dei Servizi relativi ai trasporti (+2,7% da +4,5%). In leggero rallentamento risultano anche i prezzi dei Beni alimentari (+2,4% da +2,7%). Di contro, i prezzi dei Beni energetici regolamentati, nonostante il sensibile calo su base congiunturale (-10,1%), mostrano un profilo tendenziale in netta risalita (-1,3% da -13,8%)“, commenta l’Istat. In ogni caso “continua a scendere, anche ad aprile, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+2,3% da +2,6%), mentre l’Inflazione di fondo si attesta al +2,1% (da +2,3%)“, conclude l’istituto di statistica.

Bene la frenata dell’Inflazione, che ad aprile scende allo 0,8% su base annua: terminato ‘l’effetto Pasqua’ che aveva portato alla risalita dei listini con sensibili rincari specie nel settore dei trasporti, l’Inflazione torna a calare ad aprile, un dato che però non può bastare ai consumatori”, commenta il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. “Si delinea sempre più chiaramente, infatti, uno scenario di progressiva normalizzazione dei prezzi che riteniamo proseguirà anche nei prossimi mesi“, sottolinea invece Confesercenti, che aggiunge: “Un segnale incoraggiante, quindi, perché, nonostante permanga qualche incertezza rispetto al prezzo degli energetici, il rallentamento dell’Inflazione può contribuire a liberare risorse per le famiglie, il cui potere d’acquisto negli ultimi due anni si è notevolmente ridotto, sostenendo i consumi e la domanda interna“.

In effetti se i prezzi calano è anche perché la domanda è debole, complice una stretta monetaria targata Bce che ha raffreddato il Pil e addirittura mandato ko alcune aziende. Secondo uno studio del Cribis, le liquidazioni giudiziali (definizione che dal luglio 2022 ha preso il posto di ‘fallimento’) registrate nel primo trimestre del 2023 sono in crescita a doppia cifra (+12,6%) rispetto allo stesso periodo del 2023, colpendo in particolar modo le aziende del commercio. “I dati relativi all’inizio del 2024 evidenziano un prolungarsi di quelle sfide che sono alla base dell’aumento nel numero di società in liquidazione giudiziale nel 2023, ascrivibili principalmente all’attuale contesto macroeconomico globale. Ai problemi di liquidità derivanti dalla stretta monetaria si sono infatti aggiunte ulteriori criticità che hanno minato la competitività delle imprese, come la crisi energetica, le guerre in Europa e in Medio Oriente e una maggiore difficoltà nella circolazione delle merci”, sottolinea Marco Preti, amministratore delegato di Cribis.

Soffre dunque anche il commercio estero. A marzo 2024 si è registrata una flessione congiunturale per le esportazioni (-1,7%) e una crescita per le importazioni (+1,5%), in base a quanto comunica l’Istat. La diminuzione su base mensile dell’export è dovuta alla riduzione delle vendite verso l’area extra Ue (-3,9%). E le esportazioni flettono su base annua dell’8,9% in termini monetari e del 10,3% in volume, con una contrazione dell’export in valore più ampia per i mercati Ue (-12,3%) rispetto a quelli extra-Ue (-5,0%). Pesa molto la debolezza tedesca e in generale dell’eurozona, oltre che di quella cinese. Infatti, i Paesi che forniscono i contributi maggiori alla riduzione dell’export nazionale sono: Germania (-16,5%), Francia (-10,9%), Cina (-25,8%), Stati Uniti (-6,7%), Svizzera (-11,5%) e Regno Unito (-12,0%). Crescono invece le esportazioni verso Turchia (+35,1%) e paesi Opec (+6%).

Nell’eurozona inflazione in calo al 2,4% a marzo: dato utile per tassi Bce

Buone notizie per l’eurozona: a marzo l’inflazione dovrebbe attestarsi al 2,4 per cento, in calo di 0,2 punti percentuali rispetto ai valori di febbraio. Lo rileva Eurostat, nei dati preliminari diffusi per il mese appena giunto al termine. Un indice, quello di marzo, che conferma un andamento generale degli ultimi mesi e che riavvicina il dato di Eurolandia all’obiettivo di riferimento della Banca centrale europea del 2 per cento. Dando un’occhiata alle principali componenti del paniere di riferimento, si registra una frenata nei prezzi al consumo per generi alimentari, alcol e tabacco (2,7 per cento a marzo, rispetto al 3,9 marzo di febbraio), e un ribasso anche per i beni industriali non energetici (1,1 per cento contro 1,6 per cento a febbraio). Stabile invece il costo per i servizi (4 per cento).

A livello Paese si registra una riduzione dell’inflazione in Germania (da 2,7 per cento a 2,3 per cento tra febbraio e marzo), Francia (da 3,2 per cento a 2,4 per cento). Andamento inverso per l’Italia, dove l’indice inflattivo è previsto in aumento dallo 0,8 per cento all’1,3 per cento, comunque al di sotto dell’obiettivo di riferimento. Si allontanano invece Spagna (3,2 per cento, +0,3 punti percentuali), Paesi bassi (3,1 per cento, +0,4 punti percentuali), Belgio (3,8 per cento, +0,2 punti percentuali).

Il calo è stato più forte di quanto previsto dagli analisti intervistati da Factset e Bloomberg. In media, si aspettavano rispettivamente il 2,6% e il 2,5%. L’inflazione è ancora vicina all’obiettivo del 2% fissato dalla Banca Centrale Europea (Bce). Questa tendenza, se confermata, potrebbe convincere l’istituzione monetaria a ridurre i tassi di interesse nei prossimi mesi. L’aumento dei prezzi al consumo nei 20 Paesi che condividono la moneta unica si è più che dimezzato rispetto al record del 10,6% raggiunto nell’ottobre 2022, quando i prezzi dell’energia si sono impennati a causa della guerra in Ucraina. Anche il dato più osservato dai mercati finanziari e dalla Bce, l’inflazione di fondo – ovvero l’inflazione depurata dalla volatilità dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari – sta lanciando un segnale incoraggiante. Anche questo indicatore, considerato più rappresentativo, è sceso più del previsto a marzo al 2,9% su base annua, rispetto al 3,1% di febbraio. Gli analisti di Factset e Bloomberg si aspettavano una media del 3%.

A questi dati guarderà con attenzione la presidente della Bce, Christine Lagarde, in vista della riunione del consiglio direttivo dell’11 aprile. Tagli dei tassi di interesse non sono annunciati, Lagarde ha lasciato intendere che un’eventuale decisione potrà essere presa a giugno, quando a Francoforte si avranno a disposizioni informazioni più ampie e comprensive, ma la stessa numero uno dell’Eurotower ha indicato nei dati di aprile un momento comunque significativo per le scelte che dovranno essere compiute per riportare l’inflazione ai livelli desiderati. Pesa, certamente, un andamento asimmetrico.

I dati consolidati di Eurostat saranno disponibili il 17 aprile,  momento in cui si saprà se le stime preliminari saranno confermate. Usciranno, quindi, dopo la riunione per le decisioni di politica monetaria della Bce. Che conta comunque su un andamento rinnovato.

Italia quasi in deflazione, ma prezzi su nell’eurozona: il taglio dei tassi della Bce non è vicino

L’Italia è quasi in deflazione, ma l’eurozona no. Per questo il taglio dei tassi da parte della Bce potrebbe non essere così imminente, soprattutto se l’economia non entrerà in una profonda recessione. A frenare sull’allentamento monetario sono anche i dati americani sul lavoro. A dicembre negli Usa il salario orario medio è aumentato dello 0,4% mensile, leggermente sopra le attese che stimavano un +0,3%, e la retribuzione oraria è cresciuta del 4,1% annuale, una percentuale superiore alle previsioni di mercato (3,9%) e al dato di novembre (4%). Lo scorso mese l’economia americana ha poi creato 216mila nuovi posti di lavoro, battendo le stime di +170mila e superando il dato di novembre di 173mila. Il tasso di disoccupazione è sceso a dicembre al 3,7%, stabile rispetto a novembre, e di uno 0,1% sotto le previsioni degli analisti. Numeri che potrebbero spingere la Federal Reserve a mantenere il costo del denaro al 5,5% per un periodo prolungato, visto che l’economia resta robusta.

In Europa invece, oltre a rallentare l’economia come è emerso dagli ultimi indici Pmi relativi alla manifattura e al settore terziario, frena anche il calo dei prezzi. In Francia e Germania il carovita a dicembre ha segnato un +3,7% annuale, percentuale nettamente superiore al +2,9% dell’eurozona, che pure risulta in aumento dal 2,4% di novembre, secondo una stima flash di Eurostat: il tasso annuo più elevato a dicembre è quello dei prodotti alimentari, alcolici e tabacco (6,1%, rispetto al 6,9% di novembre), seguito dai servizi (4,0%, stabile rispetto a novembre), dai beni industriali non energetici (2,5%, rispetto al 2,9% di novembre) e dall’energia (-6,7%, rispetto al -11,5% di novembre). L’inflazione core – che non include i prezzi di energia, cibo, alcol e tabacco – è comunque scesa al 3,4% dal 3,6% di novembre. I dati riferiti a gennaio saranno dunque cruciali per stabilire se la discesa dei prezzi continua o se invece ci sarà un rimbalzo del carovita. E da quelli si intuirà se la Bce taglierà i tassi nel breve periodo o in estate.

Se fosse per l’Italia, la banca centrale dovrebbe già iniziare a ridurre il costo del denaro. A dicembre l’inflazione è “scesa a 0,6% dall’11,6% del dicembre 2022. Nella media 2023 i prezzi al consumo risultano accresciuti del 5,7% rispetto all’anno precedente, in netto rallentamento dall’8,1% del 2022. Tale andamento risente principalmente del venir meno delle tensioni sui prezzi dei Beni energetici (+1,2%, dal +50,9% del 2022)”, sottolinea l’Istat. “I prezzi nel comparto alimentare evidenziano invece un’accelerazione della crescita media annua (+9,8%, da +8,8% del 2022), nonostante l’attenuazione della loro dinamica tendenziale, evidenziata nella seconda metà dell’anno. Nel 2023, la crescita dei prezzi al netto delle componenti volatili (inflazione di fondo) è pari a 5,1% (da +3,8% del 2022). Sulla base delle stime preliminari, il trascinamento dell’inflazione al 2024 è pari a +0,1%”, conclude l’istituto di statistica.

A livello globale, intanto, l’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso a 118,5 lo scorso mese, il più basso da febbraio 2021, da un 120,3 rivisto al ribasso di novembre. Il costo degli oli vegetali è sceso dell’1,4% per il calo dei prezzi degli oli di palma, soia, colza e girasole. Lo zucchero è crollato del 16,6% al livello più basso in nove mesi, spinto dalla forte produzione in Brasile. Inoltre, i prezzi della carne sono scesi dell’1% al livello più basso da maggio 2021, poiché quelli della carne suina sono diminuiti causa la persistente debolezza della domanda di importazioni dall’Asia. D’altro canto, il costo dei cereali è aumentato dell’1,5% poiché i prezzi all’esportazione del grano sono aumentati per la prima volta in cinque mesi, sostenuti da interruzioni logistiche legate alle condizioni meteorologiche e dalle tensioni nel Mar Nero. Inoltre, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono saliti dell’1,6% a causa delle quotazioni più elevate del burro, del latte intero in polvere e del formaggio. Considerando l’intero 2023, l’indice dei prezzi alimentari è sceso del 13,7%.

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Dall’anno più caldo al boom della domanda di carbone: i 5 record del 2023

Dal record di domanda di carbone alle temperature globali senza precedenti, ecco una carrellata di cinque record che hanno segnato il 2023.

TEMPERATURA GLOBALE AI MASSIMI STORICI. La temperatura media della superficie globale ha raggiunto livelli record nei primi 11 mesi dell’anno, secondo l’osservatorio europeo Copernicus: da gennaio a novembre, la colonnina di mercurio è stata in media più alta di 1,46°C rispetto al periodo 1850-1900. Di conseguenza, il 2023 sarà l’anno più caldo mai registrato in termini di temperature medie annuali.

RECORD DI CARBONE. La domanda di carbone non è mai stata così alta su scala globale, superando gli 8,5 miliardi di tonnellate, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), alimentata dal consumo delle centrali elettriche in India e Cina. Dopo questo picco, l’Aie prevede che il consumo globale di carbone diminuirà, grazie all’aumento delle energie rinnovabili e alla minore propensione della Cina. Il carbone è responsabile di circa il 40% delle emissioni globali di CO2 del settore energetico e industriale.

L’INDIA E’ IL PAESE PIU’ POPOLOSO. Secondo le Nazioni Unite, l’India ha superato la Cina come Paese più popoloso, con oltre 1,425 miliardi di abitanti. La popolazione cinese ha raggiunto il picco di 1,426 miliardi nel 2022 e da allora ha iniziato a diminuire, mentre quella indiana continua a crescere, secondo il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite.

TASSI EUROPEI AI MASSIMI. Per frenare l’inflazione, la Banca Centrale Europea (Bce) ha alzato i tassi di riferimento per dieci volte di seguito, portando il tasso di riferimento al massimo storico del 4% a settembre, danneggiando i consumi, gli investimenti, il mercato immobiliare e, in ultima analisi, la crescita dell’eurozona.

L’ORO IL BENE RIFUGIO PER ECCELLENZA. All’inizio di dicembre, il prezzo dell’oro ha raggiunto il massimo storico di oltre 2.100 dollari l’oncia, svolgendo appieno il suo ruolo di bene rifugio di fronte alla prospettiva di un calo dei tassi di interesse statunitensi e all’instabilità geopolitica causata dalla guerra tra Israele e Hamas.

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Le imprese pronte a investire nella transizione green. La Bce avverte: “Fare presto o costo sociale sarà altissimo”

La transizione green non è più procrastinabile, perché altrimenti “rischia di aumentare il conto che finiremo per dover pagare”. A lanciare l’allarme è Christine Lagarde, presidente della Bce, durante il suo intervento di apertura alla conferenza internazionale congiunta Aie-Bce-Bei sul tema ‘Garantire una transizione energetica ordinata: competitività e stabilità finanziaria dell’Europa in un periodo di trasformazione energetica globale’. In uno scenario di transizione tardiva, spiega, “le banche più vulnerabili si troverebbero ad affrontare perdite del portafoglio prestiti due volte superiori alla mediana. E respingere gli obiettivi non ci farà guadagnare più tempo per gli investimenti richiesti”. Ma non solo. “In altre parole – precisa Lagarde – procrastinare significherà correre il rischio di finire in una casa di accoglienza in cui stiamo gradualmente eliminando le fonti energetiche inquinanti prima di poterle sostituire con altre pulite”. Con la conseguenza di aumentare la volatilità dei prezzi.

La numero uno della Bce punta sul concetto di ‘ordine’ e sulla necessità di “non sbagliare” la transizione green, perché altrimenti “ci saranno costi sociali elevati”. E se è vero che “il percorso verso il successo” è “complesso”, bisogna “portare a termine la transizione comprendendo le sfide che comporta e garantendo che i costi siano condivisi equamente”.

I timori sulle conseguenze del cambiamento climatico nei prossimi cinque anni sono alquanto diffusi tra le imprese dell’area dell’euro. Secondo un’indagine svolta dalla Bce tra il 25 maggio e il 26 giugno 2023 sull’accesso delle imprese al finanziamento (Survey on the Access to Finance of Enterprises, SAFE)- che per la prima volta ha incluso domande specifiche sull’impatto del cambiamento climatico – 6 aziende su 10 temono i rischi di collegati a normative e standard più rigorosi in materia di clima. Inoltre, il 39% è fortemente preoccupato dalle calamità naturali e il 48% dal degrado ambientale.

Le imprese intervistate hanno indicato “diversi ostacoli che rendono difficoltoso l’accesso al finanziamento necessario per gli investimenti volti a mitigare i rischi derivanti da calamità naturali o a rispettare standard più rigorosi in materia di clima”. Oltre la metà delle imprese ha segnalato “tassi di interesse o costi di finanziamento troppo elevati e sovvenzioni pubbliche insufficienti come ostacoli molto importanti all’attuazione di investimenti collegati al rischio climatico”. Dall’indagine emerge che per le Pmi, tutti gli ostacoli al finanziamento degli investimenti rappresentano una preoccupazione più forte rispetto alle imprese di grandi dimensioni. Insomma, dice Lagarde, “le imprese sono pronte a spendere”, ma “bisogna promuovere il mercato della finanza verde in Europa, il che ridurrebbe il premio per il rischio e abbasserebbe i costi di finanziamento”. Chiaramente, questo “richiede uno sforzo politico combinato che coinvolga più istituzioni pubbliche. Come istituzioni pubbliche, dobbiamo quindi chiederci come possiamo contribuire nell’ambito dei nostri mandati. Anche questa è una parte fondamentale per comprendere la sfida. Per la Bce, il contributo più importante che possiamo dare è mantenere la stabilità dei prezzi”.

I prestiti agevolati da fonti pubbliche sono considerati dalle imprese uno strumento importante per ridurre il costo degli investimenti verdi e più di un terzo delle aziende ha affermato che li utilizzerebbe in futuro. Tuttavia, circa la metà delle aziende intervistate ritiene che le garanzie pubbliche siano insufficienti.

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Lagarde preferisce stabilità dell’euro a crescita: decimo rialzo tassi, ora al 4,5%

Decimo rialzo dei tassi di fila. La Bce non fa pausa e Christine Lagarde afferma in conferenza stampa che “non è detto che l’aumento dei tassi di interesse di oggi sia il picco”. Dipende dai dati, solito ritornello. Nuove sono invece le stime della banca centrale. Sull’inflazione e sul Pil. Entrambe peggiorative.

Gli esperti della Bce indicano “un tasso di inflazione pari in media al 5,6% nel 2023, al 3,2% nel 2024 e al 2,1% nel 2025, per effetto di una revisione al rialzo per il 2023 e il 2024 e al ribasso per il 2025. La correzione al rialzo riflette principalmente l’evoluzione più sostenuta dei prezzi dell’energia. Le pressioni di fondo sui prezzi restano elevate, sebbene la maggior parte degli indicatori abbia iniziato a ridursi”. Gli stessi esperti di Francoforte hanno però “lievemente rivisto al ribasso le proiezioni dell’inflazione al netto della componente energetica e alimentare, che si collocherebbe in media al 5,1% nel 2023, al 2,9% nel 2024 e al 2,2% nel 2025”.

L’economia invece è vista in forte rallentamento. “Le condizioni di finanziamento si sono inasprite ulteriormente e frenano in misura crescente la domanda, che rappresenta un fattore importante per riportare l’inflazione all’obiettivo. Alla luce del maggiore impatto di tale inasprimento sulla domanda interna e dell’indebolimento del contesto del commercio internazionale – si legge nel comunicato della Banca centrale – gli esperti hanno rivisto significativamente al ribasso le proiezioni per la crescita economica, che si porterebbe nell’area dell’euro allo 0,7% nel 2023, all’1,0% nel 2024 e all’1,5% nel 2025″. A giugno gli esperti stimavano un +0,9% per quest’anno e un +1,5% il prossimo. In pratica in tre mesi gli effetti della stretta sui tassi si mangerà lo 0,7% del Pil da qua a fine 2024. Ciò nonostante il consiglio direttivo della Bce ha alzato di un altro 0,25% i tassi portandoli al 4,5%.

In realtà la decisione sui tassi non è stata unanime. “Alcuni membri del board avrebbero preferito fare una pausa sull’aumento dei tassi, ma posso dirvi c’è stata una maggioranza solida con la decisione di incrementare dello 0,25%” il costo del denaro, ha sottolineato Lagarde davanti ai giornalisti, aggiungendo: “Abbiamo due fattori chiave: il livello dei tassi e il tempo che manterremo i tassi a questi livelli. Non sappiamo fino a quando resteranno a tali livelli, dipende dati dati, ma l’obiettivo è arrivare al 2% d’inflazione nel più breve tempo possibile”. Per cui “non dico che oggi siamo al picco dei tassi, non escludo altri rialzi tuttavia il nostro focus sarà più sulla durata del livello restrittivo della politica monetaria”. E’ vero, “la previsione sul Pil è stata rivista per quest’anno dallo 0,9% allo 0,7% e dall’1,5% all’1% per il prossimo anno. Vediamo comunque una ripresa nel 2024, quella che precedentemente avevano stimato per la seconda parte di quest’anno”, ha sottolineato la numero uno dell’Eurotower.

In teoria il rialzo dei tassi avrebbe dovuto rafforzare l’euro, invece è sceso a 1,065 nei confronti del dollaro. Segno che se la Bce non avesse aumentato il costo del denaro, il divario col biglietto verde sarebbe aumentato maggiormente.

Questo perché i dati Usa, nonostante un balzo oltre le attese dei prezzi alla produzione, dimostrano una forza inaspettata dell’economia. I consumi sono cresciuti ad agosto dello 0,6% battendo le attese di un +0,1-0,2 per cento nonostante un forte rincaro della benzina e tassi al 5,5%. Madame Lagarde dunque ha preferito tutelare la moneta unica e provare a importare meno inflazione energetica – dato che gran parte della materie prime sono scambiate in dollari – piuttosto che mettere al riparo l’economia da una recessione. Nelle previsioni non compare il segno meno davanti alla percentuale del Pil, però gli stessi esperti della Bce vedono nel 2024 un petrolio a oltre 80 dollari, un gas a 54 euro per megawattora (attualmente a 35 euro), una forte contrazione degli investimenti aziendali e nell’edilizia, nonché un peggioramento dell’occupazione e un sostanziale stop all’aumento dei salari. Il rischio stagflazione c’è tutto.

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La Bce sceglie anche la natura per le prossime banconote. Ma a decidere saranno i cittadini

Uccelli e fiumi sulle prossime banconote dell’euro. La Bce sceglie anche la natura per le possibili nuove immagini da apporre ai diversi tagli di prossima stampa. Sette i modelli proposti a tutti i cittadini dell’eurozona, che avranno tempo da oggi, 10 luglio, e fino al 31 agosto, per esprimersi e decidere che tipo di euro vorranno. “I fiumi europei attraversano i confini. Ci collegano gli uni agli altri e alla natura”, recita la spiegazione che accompagna la scelta del tema, che è anche un richiamo alla tutela del patrimonio verde d’Europa che si inquadra nella più ampia politica di Francoforte per la sostenibilità.

La Banca centrale europea ha iniziato un percorso di valutazione dei rischi per il settore bancario legato ai cambiamenti climatici e alle sue conseguenze. Tutto questo è sempre più avvertito come elemento reale di minaccia per la stabilita di prezzi e tenuta dell’eurozona. E’ stata la presidente in carica in persona, Christine Lagarde, ad assumersi la responsabilità di fare del clima un elemento centrale delle politiche monetarie dell’istituzione Ue, già a maggio 2021. Sulla scia del Green Deal europeo la Bce ha iniziato a investire in maniere crescente in green bond, esortando i governi degli Stati membri ad attuare in modo tempestivo ed efficiente i piani nazionali per la ripresa, in cui la parte delle riforme verdi gioca un ruolo predominante.

L’iniziativa della Bce dunque intende rispondere ad un’Europa che cambia anche nella sua agenda politica. Nell’invitare uomini e donne a partecipare al sondaggio sulla nuova veste grafica della banconote, Lagarde ricorda che “esiste un forte legame tra la nostra moneta unica e la nostra comune identità europea, e la nostra nuova serie di banconote dovrebbe sottolinearlo”. L’identità comune passa anche per la natura e la sua tutela. Lo dimostra una terza opzione proposta per le banconote di prossimo conio: ‘Valori europei rispecchiati nella natura’. Il tema, viene spiegato, “evidenzia il ruolo dei valori europei (dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti umani) quali elementi costitutivi dell’Europa e collega questi valori al nostro rispetto per la natura e alla salvaguardia dell’ambiente”.

E’ presto per dire se tutto questo finirà nei portafogli degli europei. La Bce sceglierà i temi per la cartamoneta, sulla base delle risposte ottenute, entro la fine del 2024. Quindi seguirà un concorso tra le opzioni più votate. L’emissione è prevista per il 2026.

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