Presentato al Parlamento Europeo il libro ‘Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability’

Il settore zootecnico europeo rappresenta il 38,5 per cento dell’intero comparto agricolo per un valore di 206 miliardi di euro con circa 4 milioni di addetti. Un comparto che ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18 per cento negli ultimi trent’anni e che rappresenta “l’unica attività umana che, oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra”. Questa la fotografia scattata al Parlamento Europeo durante l’evento di presentazione del libro ‘Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability’, (Franco Angeli editore) scritto da Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina. All’evento, introdotto e promosso dall’eurodeputato di Forza Italia, Salvatore De Meo, Presidente della Commissione Affari Costituzionali e membro della Commissione Agricoltura, e con la partecipazione di Luigi Scordamaglia, Amministratore Delegato di Filiera Italia.

Oggi il settore zootecnico europeo è al centro della sfida ambientale – ha dichiarato in apertura De Meo – ma la transizione va perseguita in maniera pragmatica, non impositiva e soprattutto non ideologica”. Perché se siamo tutti d’accordo che la sostenibilità è l’obiettivo verso cui tendere, l’eurodeputato azzurro ha rilanciato con decisione l’idea che “la sostenibilità non può avere solo una declinazione ambientale, ma necessariamente anche sociale, produttiva ed economica”. Una transizione verde che non può prescindere dalla zootecnia, “parte di quell’azione che ci serve per raggiungere la neutralità climatica”.

Sugli impatti ambientali del settore si è espresso Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti all’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili, organizzazione no profit che riunisce le associazioni dei produttori di carni e salumi italiani con lo scopo di promuovere un consumo consapevole e la produzione sostenibile degli alimenti di origine animale. Il punto è che l’agricoltura è l’unica attività umana che, oltre a emettere carbonio, contemporaneamente lo sequestra. Ecco perché, anche quando si parla di zootecnia, non si deve parlare solamente di emissioni inquinanti, ma di bilancio fra queste e sequestro di carbonio da parte degli agroecosistemi.

Pulina ha suggerito però un ulteriore sviluppo: “In questi anni la comunità scientifica e le istituzioni hanno evidenziato la necessità di introdurre nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera”. Un’urgenza fatta presente già nel 1990 dal Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc), per superare limitazioni e incertezze delle unità di misura utilizzate fino a quel momento. Un team di fisici dell’Università di Oxford ha proposto una revisione radicale, con dei risultati sconvolgenti: “Così ricalcolate, le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8 per cento, o il 4,6 per cento se compensate dai riassorbimenti, del totale, ma diventerebbero addirittura negative”.

La spiegazione risiede nel fatto che per la prima volta i ricercatori di Oxford hanno preso in considerazione la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica. “Una differenza sostanziale – spiega Pulina – se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni”.

Ma nelle valutazioni di rischio e di impatto che tengono in piedi il Green Deal europeo, le metriche utilizzate non sono quelle sviluppate ad Oxford. E il rischio è quello denunciato da Filiera Italia e dal suo amministratore delegato, Luigi Scordamaglia: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo”. Anche perché nel mondo 1,3 miliardi di persone devono esclusivamente il loro sostentamento ad attività legate all’allevamento.

Secondo Scordamaglia Bruxelles sta portando avanti “un attacco violento alla zootecnia”, e in particolare sulla carne artificiale ricorda che “secondo FAO e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale”. Perché mancano ancora “gli studi necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”.

Rischi che non riguardano gli alimenti di origine animale. La dottoressa Elisabetta Bernardi ne ha evidenziato il valore nell’ambito dell’alimentazione umana: “Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18 per cento delle calorie, essi contribuiscono per il 34 per cento delle proteine e per il 55 per cento degli aminoacidi essenziali”. Inoltre, ha sottolineato Bernardi, l’impronta ecologica – come uso del suolo e come emissioni- degli alimenti di origine animale “è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, a eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”.

Sul tema della sostenibilità degli allevamenti, in particolare quelli italiani, si è soffermato infine Ettore Capri, che ha ricordato come il sistema zootecnico italiano sia un modello avanzato di economia circolare a livello mondiale: oggi, infatti, l’Italia è il quarto produttore al mondo di biogas e secondo in Europa dopo la Germania. Grande rilievo, secondo Capri, ha lo sviluppo di attività di Carbon Farming, “una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare che nel contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico”.

Le virtù del comparto zootecnico europeo sono sul piatto. Ma la Commissione europea sembra non volersene accorgere: “La più grande preoccupazione – ha sottolineato l’eurodeputato De Meo – è che stiamo esternalizzando l’inquinamento per poi riportare sulle nostre tavole quello che in Europa non si può più fare”.

Al via il Vertice Ue tra sostegno a Ucraina e Fondo di sovranità per l’industria

Dal sostegno finanziario all’Ucraina all’assenza della richiesta di un vero Fondo europeo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria verde. Prende il via oggi e durerà fino a venerdì a Bruxelles il Vertice europeo, l’ultimo – al netto di convocazioni straordinarie – prima della pausa estiva. Un Vertice di dibattito e confronto delicato, un Vertice di indirizzo politico e di orientamento, da cui però, fanno sapere fonti diplomatiche, come spesso accade non si attendono decisioni significative.

Il Vertice dei leader inizierà all’ora di pranzo dopo una colazione di lavoro con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il consueto scambio con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Il primo dibattito sarà quello sull’Ucraina, che sarà aperto dall’ormai tradizionale video-intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il confronto arriva a meno di un mese dalla distruzione della diga della centrale idroelettrica di Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese. I leader, stando alle prime versioni della bozza di conclusioni, condanneranno “con la massima fermezza” la distruzione della diga da parte russa e sottolineando i rischi che ciò comporta per la sicurezza della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia. “La distruzione di infrastrutture civili si qualifica come crimine di guerra”, ricorderanno.

I capi di stato e governo dell’Ue ribadiranno il loro sostegno forte all’Ucraina oltre che la preoccupazione per il continuo rallentamento dell’attuazione dell’Iniziativa sul grano del Mar Nero. Le corsie di solidarietà dell’Ue continuano ad avere un ruolo fondamentale nel sostenere la sicurezza alimentare globale. I leader passeranno poi a discutere del capitolo economia, facendo un punto su tutte le misure adottate fino a questo momento per contrastare gli effetti della crisi economica ed energetica trainata dalla guerra di Russia in Ucraina. Nel testo delle conclusioni, a quanto apprende GEA, ci sarà un esplicito riferimento alla necessità di raggiungere un accordo politico tra co-legislatori entro la fine della legislatura sui pilastri normativi del Piano industriale per il Green Deal, presentato dalla Commissione Ue come una risposta ‘Made in Europe’ all’Inflation Reduction Act (Ira) il piano di sussidi verdi da 370 miliardi di dollari.

I leader dovrebbero chiedere all’Esecutivo comunitario di realizzare una valutazione d’impatto sull’Ira, ma sembra che non ci sia per il momento l’intenzione di fare pressione sulla Commissione per presentare un Fondo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria. La proposta doveva arrivare nel quadro della revisione intermedia del bilancio a lungo termine, la proposta di revisione del bilancio pluriennale è arrivata lo scorso 20 giugno ma di un Fondo di sovranità non c’è traccia.

La Commissione Ue ha messo la ‘competitività’ industriale tra le tre priorità di questa revisione di medio termine (insieme all’Ucraina e alle migrazioni, per un valore totale di 66 miliardi di euro) ma ha proposto la creazione di una nuova piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (chiamata con l’acronimo ‘Step’), attraverso cui Bruxelles chiede agli Stati membri di mobilitare altri 10 miliardi di euro per aumentare il budget di alcuni programmi già esistenti, tra cui InvestEu (3 miliardi), Horizon Europe (0,5), Fondo per l’innovazione (5 miliardi) e Fondo europeo per la difesa (1,5). A quanto si apprende non c’è intenzione di risollevare il punto o di inserire un riferimento esplicito alla richiesta di un Fondo di sovranità. Discussioni, spiegano fonti, andranno fatte a livello tecnico per capire se la portata della proposta della Commissione europea è sufficiente a coprire le necessità di finanziamento.

Asse Roma-Parigi sul nucleare. E Meloni cerca la sponda di Macron sulle auto

A Meloni servono alleati europei sul dossier migranti. A Macron servono alleati sul dossier nucleare. Ed è anche sull’energia e la transizione che la premier a Bruxelles in occasione del Vertice Ue cerca di ricucire lo strappo degli ultimi mesi con il presidente francese, Emmanuel Macron. I due leader hanno avuto ieri sera un tête-à-tête di un’ora e quaranta al termine della prima giornata di Vertice, in cui – secondo quanto si apprende da fonti dell’Eliseo – avrebbero ribadito la necessità di continuare a lavorare per la sovranità europea, sia in termini di politica industriale, per garantire la competitività dell’Unione, che di energia, per assicurare la decarbonizzazione delle loro economie.

E poco dopo la fine del Vertice e dell’Eurosummit è Meloni a confermare pieno sostegno alla linea di Macron sul nucleare, che secondo la premier rispetta il principio di neutralità tecnologica e può contribuire a raggiungere gli obiettivi di neutralità al 2050 dell’Ue. “Condivido la posizione della neutralità tecnologica, quindi penso che tutte le tecnologie che possono garantire di raggiungere gli obiettivi che l’Unione europea si è posta devono essere considerate, indipendentemente da quello che i singoli Stati intendono fare dell’uso di quella tecnologia, e indipendentemente dalla scelta italiana“, ha chiarito la premier in un punto stampa al termine Vertice Ue, rispondendo a una domanda sulle richieste della Francia sul Nucleare. “Se le altre nazioni vogliono usare una tecnologia che rispetta quei target, allora è giusto che possano farlo“.

Soprattutto da quando la crisi energetica connessa alla guerra di Russia in Ucraina ha costretto i Paesi Ue a ripensare il proprio mix energetico, Parigi fa pressioni a Bruxelles per il riconoscimento di un ruolo di primo piano dell’energia dell’atomo nelle politiche energetiche dell’Ue. In primis, il ruolo dell’energia dell’atomo nella produzione di idrogeno e idrogeno a basso contenuto di carbonio. Anche Macron in conferenza stampa ha chiarito di aver avuto un’ottima discussione questa mattina con cancelliere tedesco Olaf Scholz sulle questioni della neutralità tecnologica.
Stiamo per trovare l’accordo sull’idrogeno per preservare la neutralità tecnologica e raggiungere l’obiettivo comune della neutralità tecnologica, tutelando la sovranità e la competitività. Nucleare e rinnovabili lo permettono, gas e carbone no“, ha affermato il capo dell’Eliseo. “Il nucleare – ha aggiunto – costituisce una parte essenziale della nostra politica energetica. Dobbiamo rispettare il principio della neutralità tecnologica e il mix energetico di ogni Paese membro“. Il dossier a cui fa riferimento Macron è il pacchetto sulla decarbonizzazione del mercato del gas, su cui gli Stati membri stanno negoziando nell’ottica di raggiungere un accordo al Consiglio Ue energia del 28 marzo.

Lo stesso principio di neutralità tecnologica è quello che evoca Meloni sul dossier auto e biocarburanti, su cui – ritiene la premier – la partita a Bruxelles è tutt’altro che chiusa e su cui evidentemente la premier ha cercato la sponda francese. La partita sui biocarburanti “non è affatto persa. Intanto è vinta quella sulla neutralità tecnologica, che è la condizione per riconoscere i biocarburanti”, ha detto la premier, sullo stop ai motori termici dal 2035. “Fermi restando i target che condividiamo e siamo pronti a centrare, la cosa più importante è stabilire che quali siano le tecnologie con le quali arrivare a quei target non sia un dogma che deve essere imposto, ma debba essere anche una valutazione complessiva, anche sulla base delle tecnologie di cui ogni nazione dispone“.

La partita dei biocarburanti sembra però chiusa dal punto di vista di Bruxelles, dal momento che la Commissione europea ha spiegato a più riprese che intende chiarire solo i termini del ‘considerando’ presente nel testo dell’accordo che riguarda gli e-fuels, i carburanti sintetici, come richiesto dalla Germania. Per Meloni anche i biocarburanti sono tecnologia a “emissioni zero” e devono essere considerati per continuare ad alimentare le auto anche post 2035.

Meloni soddisfatta del Vertice Ue: “Grande vittoria per l’Italia”

Sostegno all’Ucraina, risposta all’Ira americana e migrazioni. Sono i tre temi affrontati durante il Vertice Ue straordinario che si è tenuto ieri a Bruxelles, di cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si dice “estremamente soddisfatta” per il “protagonismo dell’Italia” a causa dei passi avanti fatti su materie così delicate. Anzi, addirittura parla di “una grande vittoria per l’Italia, che dimostra che quando c’è la volontà politica si ottengono risultati”.

Soprattutto per quanto riguarda i temi economici, sui quali l’Italia ha incassato dei successi, perché la sua posizione “è entrata pienamente nelle conclusioni del Consiglio europeo”. Sul tema degli aiuti di Stato, spiega la premier, “abbiamo ottenuto che l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato sia temporaneo, mirato e proporzionato, perché la risposta sia europea e non nazionale”. In materia di sostegno “abbiamo chiesto un fondo sovrano, consapevoli che una scelta del genere richiede tempo, e noi non abbiamo tempo”. “Ci sono Paesi europei che sono chiusi rispetto all’idea di un fondo sovrano europeo, ma bisogna cercare soluzioni condivise”, precisa Meloni, sottolineando che l’allentamento delle norme “sugli aiuti di Stato, la flessibilità dei fondi esistenti rischia” di non creare un equilibrio. “E’ una verifica che va fatta a breve. Se non sarà sufficiente inevitabilmente si andrà verso un fondo sovrano“, dice, “anche se non sarà facile”.

L’Italia ha inoltre posto il tema delle catene di approvvigionamento: “La crisi energetica e ancora prima la crisi pandemica ci hanno insegnato che l’Europa per riappropriarsi della propria indipendenza ha bisogno delle catene di approvvigionamento”, afferma Meloni. “Siamo soddisfatti perché il dibattito è entrato nel dibattito del Consiglio europeo”.

E sulla revisione del patto di stabilità l’Italia ha chiesto “che si tenga conto delle scelte fatte”. “E’ evidente che tutte le discussioni che stiamo facendo rischiano di non essere efficaci se non consideriamo gli investimenti che vanno fatti, nel discorso sul patto di stabilità”, spiega Meloni. “Quindi – aggiunge – nel calcolo della sostenibilità dei conti va tenuto presente l’impatto dell’effetto moltiplicatore sulla spesa corrente“.

Acquisti congiunti di gas: von der Leyen promette l’avvio dei negoziati in primavera

Avviare i negoziati con i principali fornitori internazionali di gas all’inizio della primavera, per arrivare a concludere i primi contratti congiunti a livello comunitario “ben prima dell’estate”. A scandire l’agenda per l’avvio dei primi acquisti congiunti di gas (cui seguiranno quelli di Gnl e, in futuro, anche idrogeno) la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di questa mattina di fronte all’Aula del Parlamento europeo a Strasburgo.
“La piattaforma energetica comune è pronta e funzionante”, ha esultato la presidente, sottolineando che “con il sostegno degli Stati membri e dell’industria europea, stiamo creando un consorzio europeo che ci consentirà di aggregare la domanda e di sfruttare efficacemente il peso politico e di mercato dell’UE: è quello che abbiamo sempre voluto, il nostro potere di mercato collettivo di 27 persone”. Ora – ha aggiunto la presidente – “puntiamo ad avviare le trattative con i principali fornitori internazionali di gas già all’inizio della primavera, con l’obiettivo di concludere i primi contratti congiunti ben prima dell’estate”, ha dichiarato.
Lunedì scorso si è tenuta a Bruxelles la prima riunione formale del comitato direttivo della piattaforma energetica dell’Ue che si occuperà anche degli acquisti comuni di gas, composto dai rappresentanti della Commissione europea, dei 27 paesi Ue e della comunità dell’Energia. Bruxelles dovrebbe selezionare entro poche settimane un fornitore di servizi per organizzare la piattaforma informatica che servirà per l’aggregazione della domanda. A quanto apprende GEA, la procedura per avviare la gara d’appalto e selezionare il “fornitore dei servizi” è già stata avviata dalla Commissione europea.
L’idea di una piattaforma per gli acquisti congiunti, sulla scia della messa in comune dei vaccini durante il Covid-19, si è resa necessaria secondo la Commissione perché “sul piano commerciale la scorsa estate, abbiamo assistito a concorrenza e questo è stato uno dei motivi per cui abbiamo pagato prezzi del gas esorbitanti”, secondo la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson. La commissaria estone è intervenuta oggi nel panel dal titolo ‘La quadratura del cerchio energetico europeo’ del World Economic Forum in corso questa settimana a Davos, in riferimento alla piattaforma energetica per gli acquisti congiunti di gas lanciata dalla Commissione europea lo scorso 7 aprile con il doppio scopo di abbassare i prezzi facendo leva sul potere di mercato dell’Ue ed evitare concorrenza tra Stati membri sulle forniture. Ora la Commissione europea darà vita a un “consorzio di acquirenti di gas, creeremo questo cartello di acquirenti” di gas a livello europeo, ha ricordato la commissaria, assicurando però che il consorzio europeo “sarà temporaneo” e “non è qualcosa che avrà un impatto sulla nostra economia di mercato, ma è necessario per essere meglio preparati per il prossimo inverno”.

rinnovabili

Rinnovabili, gli Stati della Ue divisi sull’ambizioso target del 45% entro il 2030

Bruxelles si appresta ad aggiornare i target di energia rinnovabile nel mix energetico dell’Unione, ma è ancora divisa sulle cifre. Il Consiglio Ue dell’energia che si è tenuto a inizio settimana a Bruxelles ha infatti finalizzato la posizione negoziale degli Stati membri sulla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (risalente al 2018), proposta dalla Commissione Ue nel quadro del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi. Per dire addio alla dipendenza dall’energia russa, il piano della Commissione Ue è strutturato anche su una proposta per accelerare l’espansione delle rinnovabili, aumentare il target e contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti di energia pulita, con un emendamento mirato alla direttiva del 2018 per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prevalente”. Neanche un anno prima, a luglio 2021, Bruxelles aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della vecchia normativa per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32,5% di energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%.

Alla luce della crisi energetica in atto, la Commissione stessa ha riconosciuto il target come già insufficiente per ridurre l’energia prodotta da combustibili fossili (in particolare quelli russi), e ha proposto quindi a maggio di portare l’obiettivo al 45% entro il 2030. Il mandato del Consiglio in tema di rinnovabili ha però mantenuto il 19 dicembre l’obiettivo generale di una quota di energia da fonti pulite pari al 40% del consumo finale lordo dell’Unione nel 2030 senza alzare l’ambizione. A quel punto non si è fatta attendere una dichiarazione congiunta da parte di Austria, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna che hanno chiesto un aumento dell’obiettivo dal 40 al 45% durante i negoziati che inizieranno il prossimo anno con l’Europarlamento sul piano ‘REPowerEU’. L’Eurocamera – quasi sempre l’istituzione più ambiziosa sul clima – ha sposato la linea rivista della Commissione europea ritenendo importante alzare il target per l’energia verde, una necessità accentuata dalla crisi energetica in atto e dalla necessità di ridurre i consumi di gas.

Quanto ai permessi per i progetti, il mandato del Consiglio prevede che entro 18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri mappino le aree necessarie per i contributi nazionali verso l’obiettivo 2030 per le energie rinnovabili, mentre entro 30 mesi adottino uno o più piani per individuare le ‘aree di destinazione delle energie rinnovabili’, ovvero aree destinate alle energie rinnovabili e che riguarderanno la terraferma, il mare o le acque interne che sono individuate perché “particolarmente adatte a specifiche tecnologie di energia rinnovabile e presentano rischi minori per l’ambiente”. Ad esempio, dovrebbero essere evitate le aree protette. Nei loro piani che designano le aree di riferimento per le energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero adottare anche misure di mitigazione per contrastare le potenziali conseguenze ambientali negative delle attività di sviluppo dei progetti situati in ciascuna area di riferimento. L’intero piano – puntualizza il Consiglio – sarebbe quindi soggetto a una valutazione di impatto ambientale semplificata, invece di una valutazione effettuata per ogni progetto. Quanto ai processi di rilascio delle autorizzazioni, per le aree di accesso alle rinnovabili, il Consiglio ha deciso che i processi di rilascio delle autorizzazioni non dovrebbero richiedere più di un anno per i progetti di energie rinnovabili e di due anni per i progetti di energie rinnovabili offshore. In attesa di un accordo tra colegislatori e che le modifiche alla direttiva siano applicate, la Commissione europea ha proposto lo scorso 9 novembre un regolamento di emergenza per accelerare i permessi alle rinnovabili, sui cui i ministri hanno dato il via libera al Consiglio energia.

Pichetto Fratin: “La volontà fondamentale è quella di tenere unita l’Europa”

“La volontà fondamentale è quella di tenere unita l’Europa”. Così Gilberto Pichetto Fratin, ministro della Transizione ecologica, dopo il Consiglio Energia a Bruxelles.

Pichetto Fratin: “Tetto al prezzo del gas evita le fiammate viste nei mesi scorsi”

“Il tetto al prezzo del gas evita le fiammate viste nei mesi scorsi”. Così Gilberto Pichetto Fratin, Ministro della transizione ecologica, dopo il Consiglio Energia che si è svolto a Bruxelles.

Pichetto Fratin: “Raggiunto l’accordo sul tetto al prezzo del gas”

“Raggiunto l’accordo sul tetto al prezzo del gas”. Lo ha detto Gilberto Pichetto Fratin, ministro della Transizione ecologica, dopo il Consiglio Energia che si è tenuto a Bruxelles.

A Bruxelles tavolo ministri Energia: sul piatto price cap e mercato elettrico

Le prime idee della Commissione europea di riforma del mercato elettrico europeo potrebbero arrivare sul tavolo dei ministri dell’energia già oggi, lunedì 19 dicembre, al Consiglio che li vedrà impegnati a sbloccare lo stallo sul ‘price cap’. “Questo è un tema su cui stiamo lavorando molto intensamente ed è uno dei punti all’ordine del giorno del Consiglio Energia di lunedì prossimo”, ha chiarito il portavoce della Commissione Ue per l’energia, Tim McPhie, nel corso del briefing quotidiano con la stampa venerdì scorso, rispondendo a una domanda sulle tempistiche di presentazione del documento di consultazione sulla riforma del mercato, di cui una proposta è attesa entro il primo trimestre 2023.

A detta del portavoce, alla riunione dei ministri dell’energia, la commissaria Kadri Simson presenterà “alcune delle nostre idee iniziali su come potrebbe essere la futura riforma dei mercati dell’elettricità”. Dovrebbe essere presentato un non-paper (documento informale) dal momento che i documenti scritti “contribuiranno allo scambio di vedute con i ministri, come sempre. Ma in questa fase non posso dirvi se (il documento) è stato inviato agli Stati membri e non posso dirvi se è qualcosa che potremmo condividere”, ha precisato il portavoce. I documenti informali vengono trasmessi alle capitali per contribuire alle discussioni ma generalmente non vengono resi pubblici.

In un primo tempo scettica sull’argomento, è dalla scorsa primavera che Bruxelles ha pienamente “abbracciato” l’idea di una riforma del mercato elettrico europeo che non sia solo una risposta alle necessità immediate, ma una soluzione a lungo termine per ottimizzarne il funzionamento. Ha promesso una proposta legislativa a inizio 2023, ma con la prospettiva di pubblicare entro la fine dell’anno un documento di consultazione perché gli Stati membri possano contribuire a elaborarla. I quattro pilastri della riforma del mercato elettrico erano stati anticipati qualche settimana fa in una audizione all’Europarlamento da Mechthild Worsdorfer, vicedirettrice generale della DG ENER della Commissione europea, che ha confermato che nella proposta di riforma ci sarà disaccoppiamento dei prezzi del gas e dell’elettricità per evitare il cosiddetto ‘effetto contagio’.

Priorità sarà disaccoppiare il più possibile le bollette dei consumatori dal costo delle tecnologie inframarginali (come le rinnovabili e il nucleare, che costano di meno), dei prezzi dell’energia elettrica prodotta dal gas da quella prodotta da altre fonti di energia, per evitare l’effetto contagio dei costi. La seconda priorità indicata dalla funzionaria è quella di ridurre la volatilità dei prezzi, migliorare la liquidità del mercato. In terzo luogo, sarà necessario garantire “gli scambi commerciali (di energia) tra gli Stati membri”, per cui Bruxelles continua a guardare alle interconnessioni “ma dobbiamo anche assicurare che la nuova riforma sia integrata nel mercato interno”. In ultimo, c’è la necessità di introdurre “sistemi di regolamentazione per portare tutti i benefici della transizione energetica nel settore dell’elettricità’”, ha concluso.

Per Bruxelles una riforma del mercato elettrico è necessaria perché va adattato alle condizioni di oggi, essendo “disegnato” sulle esigenze di 20 anni fa, quando le energie rinnovabili avevano un costo molto più elevato rispetto a oggi e rispetto al gas. Oggi il mercato è completamente diverso, sono le rinnovabili ad essere più convenienti a livello di prezzi, con il gas più costoso che però finisce per definire l’intero prezzo (dell’energia) sul mercato. Il disaccoppiamento dei prezzi dovrebbe intervenire proprio su questo. Gli Stati membri hanno mantenuto a lungo posizioni diverse sulla revisione del mercato elettrico in una situazione di estrema volatilità dei prezzi. Se sono diverse le delegazioni a essersi convinte della necessità di un intervento sul mercato, nei fatti si trovano su posizioni molto diverse tra di loro su come realizzarlo. Più restii all’idea su un intervento massiccio sul mercato (come anche sul tetto al prezzo del gas, il ‘price cap’) la Germania e i Paesi Bassi, contrari in generale a un intervento sul mercato.

Quello di oggi dovrebbe essere il primo scambio di pareri, con l’idea di arrivare poi alla proposta vera e propria a inizio 2023. Il punto sarà affrontato in maniera marginale dai ministri, essendo tra le “varie ed eventuali” dell’agenda. Saranno impegnati a strappare un accordo politico sul tetto al prezzo del gas, sbloccando a loro volta anche i regolamenti sull’accelerazione dei permessi alle rinnovabili e sugli stoccaggi di gas, legati al tetto al prezzo del gas in una logica ‘a pacchetto’.