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Effetti cronici sulla salute dei bambini con il cambiamento climatico

I cambiamenti climatici causati dalle attività antropiche influenzano la frequenza e l’intensità di eventi estremi. Fenomeni come ondate di calore, siccità, inondazioni ed incendi hanno potenziali conseguenze sulla salute delle persone e sono collegati ad un rischio più elevato di mortalità, lesioni acute e ricoveri ospedalieri nei giorni e anche nelle settimane successive al loro verificarsi.

I risultati dello studio ‘Exposure to climate change-related extreme events in the first year of life and occurrence of infant wheezing’, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Enviroment International e condotto da un team di ricerca dell’Epidemiologia della Città della Salute e dell’Università di Torino, suggeriscono che il cambiamento climatico abbia un impatto sulla salute sin dalle primissime fasi della crescita, mettendo in evidenza la necessità di misure di mitigazione e adattamento al clima per proteggere non solo le future generazioni, ma anche per tutelare la salute delle attuali fasce di popolazione più fragili, come i bambini e le bambine nei primi anni di vita.

Condotta nell’ambito del progetto Ninfea, la più grande coorte italiana arruolata tramite Internet che raccoglie dal 2005 dati su più di 7000 coppie di mamme e bambini sull’intero territorio italiano, la ricerca ha riscontrato un aumento del rischio di fischi e sibili al torace associato all’esposizione a siccità estrema e ondate di calore durante il primo anno di vita. A differenza di studi precedenti, focalizzati sugli effetti acuti degli eventi estremi, questo lavoro mette in rilievo gli effetti cronici che si manifestano già nelle prime fasi dello sviluppo e sono associati all’esposizione ripetuta durante il primo anno di vita.

Il campione della ricerca è composto da circa 6000 bambini per i quali si dispone di informazioni sull’insorgenza di fischi e sibili al torace tra 6 e 18 mesi. La comparsa di questi episodi durante l’infanzia è considerata un indicatore di alterata salute respiratoria in età successive. Combinando gli indirizzi di residenza geocodificati dei partecipanti allo studio con i dati climatici, sono state ricavate informazioni sulla loro esposizione, durante il primo anno di vita, a diversi tipi di eventi estremi. L’esposizione agli eventi estremi è stata messa in relazione alla salute respiratoria tenendo conto di multipli fattori (socioeconomici, ambientali ecc.).

“I risultati di questo studio – spiega Silvia Maritano, prima autrice dell’articolo e ricercatrice presso l’ Epidemiologia della Città della Salute e dell’Università di Torino – sottolineano l’importanza di considerare le conseguenze del cambiamento climatico come potenziali determinanti di patologie croniche in ottica longitudinale. Questo lavoro apre la strada a nuove ricerche sui rischi a lungo termine del cambiamento climatico, mettendo in luce l’urgente necessità di politiche congiunte di mitigazione e prevenzione volte a ridurre l’esposizione ai fenomeni meteorologici estremi fin dalle prime fasi di vita delle persone”.

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Il cambiamento climatico fa abbandonare le terre: in Africa sono 6,3 milioni i migranti interni

Negli ultimi 15 anni è triplicato il numero di migranti interni all’Africa, a causa di conflitti, violenze e catastrofi naturali. Alla fine del 2023 erano 35 milioni gli sfollati. Lo rivela l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) in un rapporto pubblicato oggi, nel quale si sottolinea che lo sfollamento altera i mezzi di sussistenza, l’identità culturale e i legami sociali di intere comunità, rendendole più vulnerabili. “Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito a una triplicazione del numero di sfollati interni nel continente africano”, sottolinea Alexandra Bilak, direttrice IDMC, aggiungendo che “la maggior parte di questi spostamenti interni sono causati da conflitti e violenze, ma sono anche sempre più spesso provocati da disastri naturali”.

Lo sfollamento può anche interrompere i programmi di sviluppo di un Paese, impedendo agli sfollati di generare reddito o di pagare affitti o tasse, mentre allo stesso tempo le autorità locali o nazionali devono fornire ulteriori alloggi, assistenza sanitaria, istruzione e protezione. Tutte cose che generano costi aggiuntivi.

Il documento evidenzia che i crescenti livelli di conflitto e violenza sono responsabili dello sfollamento interno di 32,5 milioni di persone in Africa. L’80% è fuggito da Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Nigeria, Somalia e Sudan.

Anche i migranti interni a causa di disastri naturali, in particolare le inondazioni, sono in aumento in Africa, poiché il cambiamento climatico si fa sentire sempre di più. Secondo l’IDMC, tra il 2009 e il 2023 il numero di persone costrette a fuggire dai disastri è sestuplicato, passando da 1,1 milioni di sfollati all’anno a 6,3 milioni. Secondo il rapporto, le inondazioni hanno provocato più di tre quarti di questi spostamenti, mentre la siccità ha rappresentato un ulteriore 11%.

Inoltre, conflitti, violenze e disastri naturali spesso si sovrappongono, causando crisi complesse in cui un gran numero di persone è sfollato ripetutamente o per periodi prolungati. L’organizzazione sottolinea che la Convenzione di Kampala dell’Unione africana sulla protezione e l’assistenza agli sfollati interni è uno strumento importante per risolvere il problema. Adottata nel 2009 ed entrata in vigore nel dicembre 2012, ha stabilito uno standard internazionale in quanto primo, e tuttora unico, accordo regionale giuridicamente vincolante che si occupa di sfollamento interno.

Da allora, 34 Paesi africani hanno ratificato il trattato e molti hanno messo in atto quadri giuridici e fatto investimenti significativi per affrontare il problema. Ma i governi stanno lottando per far fronte al problema. Per Bilak, “la chiave del problema” è “fare molto di più in termini di costruzione della pace, diplomazia e trasformazione dei conflitti”.

Il cambiamento climatico può aumentare anche del 200% le infezioni da dengue

Il cambiamento climatico potrebbe essere responsabile del 19% dell’attuale carico globale di infezioni da dengue. Una percentuale che, se non venissero adottate misure efficaci per limitare l’aumento delle temperature, potrebbe salire fino al 60% entro il 2050, arrivando in alcune aree al 200%. Lo rivela un nuovo studio condotto dalle Università di Stanford e Harvard. La dengue è una malattia infettiva trasmessa dalle zanzare, che può manifestarsi con sintomi di intensità variabile, che includono, nei casi più gravi, dolori articolari lancinanti, emorragie e shock. Non esistono, ad oggi, farmaci efficaci per il suo trattamento, e sebbene siano disponibili due vaccini autorizzati, alcuni esperti ritengono che non possano essere usati su larga scala. Solo nelle Americhe sono stati registrati, nel 2024, quasi 12 milioni di casi, rispetto ai 4,6 milioni del 2023, con infezioni segnalate anche in California e in Florida.

Il nuovo studio è stato ispirato da alcuni test di laboratorio che hanno evidenziato come la trasmissione del virus sia favorita dall’aumento delle temperature in un intervallo compreso tra 20°C e 29°C. “Abbiamo esaminato i dati sull’incidenza della dengue e le variazioni climatiche in 21 Paesi dell’Asia e delle Americhe e abbiamo scoperto che esiste una relazione chiara e diretta tra l’aumento delle temperature e l’aumento delle infezioni”, ha dichiarato Erin Mordecai, del Woods Institute for the Environment di Stanford. I ricercatori hanno quindi esaminato i dati relativi alle infezioni registrate in 21 Paesi in cui la dengue è endemica, tra cui Brasile, Perù, Messico, Colombia, Vietnam e Cambogia. Per valutare l’effettivo impatto della temperatura sui tassi d’infezione, il team ha preso in considerazione anche altri fattori che possono influenzarne l’incidenza, tra cui le precipitazioni, i cambiamenti stagionali, i tipi di virus, gli shock economici e la densità della popolazione. Dai risultati è emerso che le aree che stanno entrando ora nella fascia di temperatura ottimale per la diffusione del virus, come alcune regioni di Perù, Messico, Bolivia e Brasile, potrebbero subire, nei prossimi decenni, un aumento delle infezioni tra il 150% e il 200%.

Complessivamente, sarebbero almeno 257 milioni le persone che oggi vivono in luoghi in cui il riscaldamento globale potrebbe raddoppiare le infezioni di dengue nei prossimi 25 anni. Gli autori ritengono, tuttavia, che questa minaccia sia sottostimata nello studio, a causa della carenza di informazioni in alcune aree in cui la malattia è endemica, tra cui ampie zone dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale, e la difficoltà di prevedere i futuri impatti per le aree in cui la dengue ha da poco iniziato a diffondersi localmente, come le regioni meridionali degli Stati Uniti continentali.

“È la prova – spiegano gli esperti – che il cambiamento climatico è già diventato una minaccia significativa per la salute umana e, per la dengue in particolare, i nostri dati suggeriscono che l’impatto potrebbe peggiorare molto”. Contrastare il riscaldamento globale, aiuterebbe, di conseguenza, a contenere la diffusione della malattia.

Clima, Mattarella: “Serve impegno straordinario con misure rapide di salvaguardia”

Sergio Mattarella torna a Bologna a pochi giorni dalla nuova ondata di maltempo che ha messo in ginocchio l’Emilia-Romagna. Non è la prima volta che il presidente della Repubblica ribadisce il proprio monito a tenere alta l’attenzione sui cambiamenti climatici, le cui conseguenze sono anche le alluvioni che “stanno colpendo queste terre con una frequenza e una intensità che non conoscevamo“. Ragion per cui sottolinea quanto sia “necessario un impegno di carattere straordinario che coinvolga istituzioni e società civile, imprese e cittadini e che non sottovaluti la necessità di misure rapide di salvaguardia“. Del resto, ammonisce, “i drammi a cui sono costrette migliaia di famiglia sono anche conseguenza di trasformazioni intervenute da decenni nei territori“.

Il capo dello Stato, in città per partecipare inaugurazione della Biennale dell’economia cooperativa e al 70esimo anniversario della Fondazione per le Scienze religiose, al suo arrivo fa come prima tappa gli uffici della Prefettura, dove incontra i familiari di Simone Farinelli, il ventenne che ha perso la vita nei giorni scorsi a causa dell’alluvione che ha provocato una piena del Rio Caurinzano, a Botteghino di Zocca, che lo ha sorpreso mentre era in auto col fratello. Mattarella coglie l’occasione anche per ricevere la visita della presidente facente funzioni della Regione Emilia-Romagna, Irene Priolo, e del sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ai quali chiede informazioni sulla situazione nei vari territori e aggiornamenti sui danni causati dalla furia del clima. Il primo cittadino spiega che a Bologna capoluogo la situazione è “particolarmente seria, se non altro per la popolazione coinvolta: abbiamo avuto 1.400 luoghi della città allagati, il ché significa anche case, non solo garage“. Il presidente chiede lumi anche sugli sfollati. Lepore risponde che “all’inizio erano 500 nel capoluogo e 2.500 su tutta l’area metropolitana. Abbiamo abbastanza recuperato – rassicura il sindaco -: una decina di persone nel capoluogo sono ancora in albergo e qualche centinaia dell’area metropolitana. Sono tutti seguiti, ma alcuni hanno perso la casa e dobbiamo capire come fare“.

Mattarella, sempre attento a questi temi, più volte è intervenuto per lanciare moniti su uno dei fenomeni globali più insidiosi. Cosa che fa anche nel suo intervento davanti alla platea della Lega delle Cooperative, rivolgendo in apertura del suo discorso “un pensiero di solidarietà alla città che ci ospita, ai familiari delle vittime dell’alluvione e del gravissimo incidente sul lavoro di ieri, alle famiglie che stanno soffrendo le conseguenze del maltempo“. Perché l’Emilia-Romagna piange, assieme all’Italia intera, altre due vite spezzate, questa volta allo stabilimento della Toyota Material Handling di Borgo Panigale, dove un’esplosione ha ucciso gli operai Fabio Tosi e Lorenzo Cubello e ferito altri 11, uno dei quali si trova ricoverato in gravi condizioni. “Non ci sono più parole adeguate per esprimere l’allarme e l’angoscia per gli incidenti che colpiscono chi sta lavorando, per l’insufficienza della sicurezza per chi lavora“, sottolinea il presidente della Repubblica dal palco.

Le parole di Mattarella arrivano proprio nel giorno in cui, a Roma, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, in occasione del Consiglio Generale, sottoscrive la ‘Carta di Lorenzo‘, il documento dedicato alla memoria di Lorenzo Parelli, studente al quarto anno dell’Istituto professionale ‘Bearzi‘ di Udine, vittima nel 2022 di un incidente durante il periodo di alternanza scuola lavoro. Un impegno sottolineato anche dal messaggio inviato dal capo dello Stato per l’assemblea, riconoscendo lo sforzo “che il sistema delle imprese intende assumere nei confronti della sicurezza negli ambienti di lavoro per una maggiore tutela degli studenti impegnati in percorsi di formazione in azienda“. La vicenda di Lorenzo Parelli “ha drammaticamente richiamato l’attenzione dell’intera società italiana sui processi che accompagnano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro” e per questo che “mentre rivolgo un pensiero ai suoi genitori e a quanti lo ebbero caro” Mattarella esprime “apprezzamento per il solenne impegno che viene assunto affinché accorciare la distanza tra giovani e lavoro si accompagni al rispetto della loro dignità di persone, di lavoratori, di cittadini“.

Maltempo, Musumeci: “Serve il coraggio di una legge contro l’eccessivo consumo di suolo”

Il maltempo mette nuovamente in ginocchio un pezzo importante del territorio italiano. Le istituzioni sono in allerta ma si riaccende il dibattito su uno dei temi sempre in primo piano nell’agenda politica. Per il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, bisogna partire “dal principio che tutto quello che è stato fatto finora dal punto di vista dell’ingegneria idraulica non basta più, non serve più”. Anzi, “molte volte il cambiamento climatico rischia di diventare una sorta di alibi per la mancanza di prevenzione”, avverte. Ad essere precisi, il monito di Musumeci è che proprio “manca la priorità della prevenzione, in tutti gli enti locali ma anche a livello nazionale”.

Dunque, in concreto, il ministro individua “l’eccessivo consumo di suolo” tra le maggiori cause, ragion per cui “bisogna avere il coraggio di una legge che ponga un freno a questa prassi assolutamente deplorevole, perché dove arriva il cemento diventa il migliore complice dell’acqua”.

Un concetto che per una volta diventa trait d’unione tra maggioranza e opposizione. L’Italia “è un territorio fragile e serve un salto di qualità sulla prevenzione del dissesto idrogeologico. C’è bisogno di una legge per contrastare il consumo di suolo, perché si è cementificato troppo”, dice infatti la segretaria del Pd, Elly Schlein. Mentre il portavoce nazionale di Europa verde e deputato Avs, Angelo Bonelli, ‘invita’ la premier, Giorgia Meloni, a portare una norma su questo argomento in Cdm “invece di sfidare la magistratura”. I Cinquestelle, invece, si prendono qualche ‘rivincita’ su Musumeci: “Siamo contenti che dalle sue parti sia suonata una sveglia, ma è in ritardo. È da due anni che diciamo che il contrasto al dissesto idrogeologico deve essere messo in cima all’agenda politica”.

Sullo sfondo di questo nuovo capitolo del dibattito politico restano le parole del capo dello Stato al Festival delle Regioni, che si svolge a Bari. Domenica scorsa, infatti, Sergio Mattarella ha ribadito che “contrastare il cambiamento climatico e proseguire con decisione sulla via della decarbonizzazione sono obiettivi non rinunziabili”. Semmai, “le politiche ambientali vanno integrate nelle politiche per la crescita, non considerate un freno allo sviluppo. Lo sviluppo deve essere sostenibile, diversamente è vano e illusorio”.

Sono tanti i punti toccati dal presidente della Repubblica, a partire dalla necessità di “fare leva su una governance sovranazionale” per raggiungere i target delle transizione ecologica e digitale. Tenendo presente che non esiste una sola ricetta, anzi questi processi “vanno affrontati tenendo conto delle specificità culturali, economiche e sociali delle diverse aree del Pianeta”. Mattarella suggerisce di utilizzare lo sguardo dei più giovani sui temi ambientali: “A loro è chiaro come la natura non possa più essere considerata come una risorsa da utilizzare e da sfruttare”. Anche per evitare uno dei fenomeni più odiosi causati dai cambiamenti climatici: “Sovente sono all’origine delle disuguaglianze e, in ogni caso, le accrescono – ha messo in luce il capo dello Stato -. Basti pensare alla carenza di acqua potabile che interessa interi Stati o al fenomeno della desertificazione, entrambi causa di conflitti e di grandi migrazioni di massa”. Ecco perché, ha ripetuto ancora una volta Mattarella, “le politiche ambientali devono salvaguardare, quindi, le condizioni personali e sociali più deboli”.

Sperando che almeno su alcuni temi centrali per il futuro del Paese (e dell’Europa) ci possa essere, se non unità di intenti, quantomeno un fronte comune della politica.

Pakistan, aumentano le spose bambine: colpa anche del cambiamento climatico

Photo credit: AFP

 

Con il monsone che minaccia i raccolti, Shamila e Amina, di 14 e 13 anni, si sono sposate. Una soluzione scelta da decine di famiglie nel sud del Pakistan, sempre più colpito dai cambiamenti climatici. “Ero felice quando mi hanno detto che mi sarei sposata”, ha confessato Shamila Ali all’AFP dal suo villaggio di Khan Mohammad Mallah, incastonato tra i fiumi Indo e Baluchistan.
Mentre si preparava per la festa di nozze sua e della sorella con uomini che avevano il doppio della loro età, pensava che la “vita sarebbe stata più facile”. “Ma alla fine non ho guadagnato nulla. E con le piogge ho paura di perdere tutto”, lamenta nella sua casa di fango, costruita dopo che le gravi inondazioni del 2022 hanno distrutto tutte le case del villaggio.

A Khan Mohammad Mallah vivono 250 famiglie. Mashooque Birhmani – fondatore dell’ONG Sujag Sansar – ha registrato quest’anno 45 matrimoni di minorenni, un terzo dei quali nelle ultime settimane, nel bel mezzo di una stagione monsonica sinonimo di alluvioni devastanti.

In Pakistan, uno dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, i monsoni (da luglio a settembre) stanno diventando più lunghi e violenti, causando inondazioni e frane catastrofiche.
La legge pakistana vieta il matrimonio di ragazze e ragazzi di età inferiore ai 18 anni, ma per gli operatori delle ONG queste ‘spose dei monsoni‘ sono in aumento.

Il marito della giovane Shamila, Gohar Ali, 33 anni, lo ammette senza problemi, raccontando come la sua famiglia abbia stretto la cinghia per racimolare la dote di 200mila rupie, pari a circa 650 euro. “Ci siamo sposati in fretta perché non sapevamo cosa sarebbe potuto accadere con le forti piogge”, racconta all’AFP, già in difficoltà nel trovare lavoro in una regione in cui né l’agricoltura né la pesca si sono davvero riprese dalle alluvioni del 2022.

Un terzo del Pakistan, il quinto Paese più popoloso al mondo, è stato inondato e con esso preziosi raccolti in un Paese in cui l’agricoltura fornisce un quarto del PIL e un posto di lavoro su tre. “Prima delle alluvioni, nessuno aveva bisogno di far sposare le proprie figlie così presto da queste parti”, dice Mai Hajani, 65 anni. “Le ragazze lavoravano nei campi, tessevano, i ragazzi pescavano e coltivavano la terra”, continua. Ma oggi, spiega Birhmani, “le famiglie guadagnano al massimo 10mila-12mila rupie al mese”, ovvero circa un euro al giorno per una decina di persone. “Quindi ogni boccone di cibo per ogni bambino è importante”.

Najma Ali è stata data in sposa all’età di 14 anni, due anni fa, in cambio di una dote di 250mila rupie. Pensava di potersi permettere “trucco, vestiti e stoviglie”, dice. “Ma mio marito aveva chiesto un prestito e non può restituirlo. Non abbiamo nulla da mangiare e sono dovuta tornare dai miei genitori con un marito e un bambino di sei mesi”.
Sua madre, Hakim Zaadi, 58 anni, ha visto cambiare tutto dopo il 2022. “Prima le ragazze non erano un peso”, dice. “All’età in cui si sposavano, le ragazze di oggi hanno già cinque figli e tornano a casa dei genitori perché i mariti non lavorano”, afferma.

Con la sua ONG Sujag Sansar, Birhmani sta cercando di aiutare le famiglie a evitare i matrimoni tra adolescenti. Offre alle famiglie corsi di formazione per dare alle ragazze un mestiere artigianale, ma cerca anche di far valere le proprie ragioni. A lui si affianca il religioso musulmano Talib Hussain, 44 anni, che gira per i villaggi per scoraggiare i matrimoni e le gravidanze di minorenni. I due uomini non sono sempre convincenti. Ma grazie a un corso di cucito, sono riusciti a cambiare il destino di Mehtab Sheikh. Dopo diversi mesi trascorsi in un campo per sfollati a causa delle inondazioni, i suoi genitori stavano progettando di darla in sposa il prima possibile nel 2022, all’età di 10 anni. “Pensavo che avrebbe avuto cibo e un tetto sopra la testa”, dice suo padre Dildar Ali Sheikh, 31 anni, un lavoratore a giornata che fatica a sfamare i sette membri della sua famiglia. Sumbal, la moglie 30enne, ha “pianto tutta la notte” immaginando che la figlia si sposasse. “Il mio cuore non lo accettava, ma non avevo scelta”, dice. Oggi Mehtab ha 12 anni, ha imparato a cucire, vende piccoli oggetti e insiste per continuare ad andare a scuola. Ma, come in tutti i villaggi della zona, la prossima pioggia violenta potrebbe cambiare tutto.

Alluvione

Ecco perché le alluvioni sono un effetto del riscaldamento globale

Kenya, Cina, Dubai, Brasile e Somalia. Qui, nelle ultime settimane devastanti inondazioni hanno colpito centinaia di migliaia di persone, causando moltissime vittime, feriti e ingenti danni economici. Anche se non tutte sono direttamente collegate al riscaldamento globale, si sono verificate nel bel mezzo di ondate di calore da record, confermando l’avvertimento degli scienziati che il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi. Perché non riguarda solo l’aumento delle temperature, ma anche tutta una serie di effetti legati all’eccesso di calore immagazzinato nell’atmosfera e negli oceani a causa del rilascio di gas serra da parte dell’uomo, tra cui l’anidride carbonica (CO2).

“I recenti eventi estremi di precipitazione sono in linea con quanto ci aspetteremmo in un clima sempre più caldo”, spiega Sonia Seneviratne, membro dell’IPCC, il gruppo di esperti sul clima incaricato dalle Nazioni Unite. Gli oceani più caldi evaporano di più e l’aria più calda può contenere più acqua: per ogni grado di aumento della temperatura, l’atmosfera può contenere il 7% in più di umidità. “Questo porta a episodi di pioggia più intensi”, osserva Davide Faranda, specialista di fenomeni meteorologici estremi presso il CNRS.

In Pakistan ad aprile è piovuto almeno il doppio della media, con una provincia che ha ricevuto addirittura il 437% in più di acqua. A Dubai, la pioggia di due anni normali è caduta in un solo giorno.

Questo non significa che tutte le regioni del mondo stiano diventando più umide. Secondo Richard Allan dell’Università di Reading, in Inghilterra, “un’atmosfera più calda e assetata è più efficace nell’assorbire l’umidità da una regione e ridistribuirla sotto forma di tempeste altrove”. Questo porta a maggiori precipitazioni in alcuni luoghi, ma anche a siccità e ondate di calore più intense in altri.

Anche le variazioni climatiche naturali influenzano le precipitazioni. È il caso del fenomeno ciclico naturale El Niño sul Pacifico, noto per il suo effetto riscaldante, che da quasi un anno sta alimentando temperature globali record e precipitazioni estreme in alcuni Paesi, tra cui Perù ed Ecuador. Tuttavia, nonostante le variazioni naturali, “l’aumento osservato a lungo termine delle precipitazioni intense è dovuto al cambiamento climatico indotto dall’uomo”, sottolinea Seneviratne.

Non tutte le alluvioni possono essere attribuite al cambiamento climatico, la cui influenza su ogni evento deve essere esaminata caso per caso. Ma gli scienziati dispongono ora di metodi che consentono di confrontare rapidamente un episodio attuale di precipitazioni estreme, ondate di calore o siccità con la probabilità che si verifichi in un mondo senza cambiamenti climatici.

Pioniera di questo approccio, la rete World Weather Attribution (WWA) ha concluso che le piogge torrenziali che hanno colpito gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman in aprile erano “molto probabilmente” aggravate dal riscaldamento globale, causato principalmente dalla combustione di combustibili fossili.

ClimaMeter, che utilizza una metodologia diversa, ritiene che le inondazioni di aprile in Cina siano state “probabilmente influenzate” da una combinazione di cambiamenti climatici e El Niño. “Può essere difficile distinguere tra il riscaldamento globale e le fluttuazioni naturali”, e questo è più evidente per alcuni eventi meteorologici che per altri, afferma Flavio Pons, climatologo che ha studiato le inondazioni cinesi.

Per le inondazioni in Brasile, ClimaMeter ritiene che il cambiamento climatico sia il principale responsabile dell’intensificazione delle precipitazioni, senza alcuna influenza significativa da parte di El Niño.

Molti dei Paesi più colpiti dalle inondazioni, come Burundi, Afghanistan e Somalia, sono tra i più poveri e meno attrezzati per far fronte alle piogge torrenziali. Ma l’episodio di Dubai ha dimostrato che anche i Paesi ricchi non erano sufficientemente preparati. “Sappiamo che un clima più caldo favorisce eventi meteorologici estremi, ma non possiamo prevedere con esattezza quando e dove si verificheranno”, dice Joel Hirschi del National Oceanography Centre del Regno Unito. “I preparativi attuali sono inadeguati”, conferma, ed è “più conveniente investire ora” che aspettare.

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Clima, allarme scienziati: +60% parti pretermine con surriscaldamento globale

L’aumento del numero di nascite pretermine, l’incremento dell’incidenza di malattie respiratorie e di decessi e l’aumento del numero di bambini ricoverati in ospedale sono alcuni degli esiti negativi che il mondo sta affrontando a causa degli impatti dei cambiamenti climatici estremi. Gli scienziati hanno passato decenni a mettere in guardia il mondo sui rischi delle temperature estreme, delle inondazioni e degli incendi, ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment è il primo a raccogliere tutte le prove scientifiche disponibili sugli effetti del cambiamento climatico sulla salute dei bambini.

La ricerca, guidata da Lewis Weeda, ricercatore della University of Western Australia e del Wal-yan Respiratory Research Centre del Telethon Kids Institute, e dal professore di ecologia globale Matthew Flinders, Corey Bradshaw, della Flinders University, mostra che il rischio di parto pretermine aumenterà in media del 60% in seguito all’esposizione a temperature estreme. Gli scienziati hanno esaminato i risultati di 163 studi sulla salute provenienti da tutto il mondo per condurre la loro ricerca e hanno scoperto, ad esempio, che le malattie respiratorie, la mortalità e la morbilità dei più piccoli sono state peggiorate dal cambiamento climatico. Non solo: a ciascun estremo climatico corrisponde un problema di salute specifico: il freddo estremo dà origine a malattie respiratorie, mentre la siccità e le precipitazioni estreme possono causare una crescita stentata per una popolazione.

Gli effetti di questo meccanismo saranno anche economici. “Dato che il clima influenza le malattie infantili – spiega Bradshaw – i costi sociali e finanziari continueranno ad aumentare con il progredire dei cambiamenti climatici, esercitando una pressione crescente sulle famiglie e sui servizi sanitari”.

“La nostra ricerca – dice Weeda – riconosce alcune aree in cui i bambini sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Lo sviluppo di politiche di salute pubblica per contrastare queste malattie legate al clima, insieme agli sforzi per ridurre i cambiamenti climatici antropogenici, deve essere affrontato se vogliamo proteggere i bambini attuali e futuri”.

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‘Turismo migliore grazie a scioglimento ghiacci’: ecco come la Russia distorce il cambiamento climatico

Nessuna agenda politica per il clima, scarsa pianificazione all’adattamento, distruzione dell’atmosfera a causa delle operazioni militari – che aggiungono sostanze tossiche e rifiuti pericolosi al suolo, all’aria e all’acqua – ma anzi, investimenti sui combustibili fossili e una narrazione autoreferenziale che porta a raccontare, ad esempio, quanto sia ‘bello’ lo scioglimento dei ghiacci artici perché consente di viaggiare senza troppi disagi. Debra Javeline, professoressa associata di Scienze politiche all’Università di Notre Dame, è l’autrice principale di uno studio dedicato al rapporto tra la Russia e il cambiamento climatico, dal quale emerge un quadro decisamente preoccupante. La ricerca è stata condotta insieme a un gruppo di esperti del Ponars (Program on New Approaches to Research and Security in Eurasia), che hanno analizzato l’agricoltura, gli affari internazionali, il cambiamento dell’Artico, la salute pubblica, la società civile e la governance.

I ricercatori hanno scoperto che la Russia sta già soffrendo per una serie di impatti del cambiamento climatico – nonostante le dichiarazioni del governo – ed è mal preparata a mitigare o ad adattarsi alla nuova situazione. Inoltre, mentre il resto del mondo si sta convertendo alle fonti di energia rinnovabili, il governo russo, dipendente dai combustibili fossili, non è disposto o pronto a fare piani alternativi per il Paese. E mentre Mosca continua a condurre una guerra ad alta intensità di carbonio in Ucraina, rimane “sempre più isolata dalla comunità internazionale e dai suoi sforzi per ridurre le emissioni di gas serra”, scrivono gli esperti.

Il motivo di preoccupazione sta nel fatto che la Russia non solo è considerata il Paese più grande del mondo, occupando più della metà delle coste dell’Oceano Artico, ma si sta anche riscaldando quattro volte più velocemente della Terra ed è uno dei principali emettitori di gas serra. Gli impatti ambientali già in atto includono inondazioni, ondate di calore, siccità e incendi che colpiscono non solo le comunità, ma anche l’agricoltura, la silvicoltura e le risorse idriche.

Il riscaldamento globale, poi, ha avuto un’enorme influenza sul permafrost russo, che ora si sta scongelando a ritmi allarmanti. Quello che una volta era considerato un terreno stabile ora si sta spostando causando danni enormi. Lo studio ha evidenziato un aumento delle inondazioni, delle frane, dello sprofondamento del terreno che sostiene le infrastrutture esistenti, con conseguenti crepe nelle fondamenta e compromissione dei rifugi.

Secondo gli studiosi del Ponars, tuttavia, la leadership russa interpreta questi impatti climatici in modo autoreferenziale e incoraggia i cittadini ad accettarli come benefici. Ad esempio, mentre gli scienziati mettono in guardia dalle temperature estreme e dalla diminuzione del ghiaccio marino, il governo pubblicizza una rotta artica per tutto l’anno e un clima complessivamente più vivibile. Inoltre, le politiche per ridurre la vulnerabilità di alcune regioni agli impatti climatici sono limitate, e in generale la pianificazione dell’adattamento è scarsa e l’attuazione degli adattamenti effettivi ancora di più. Inoltre, “nessun leader politico di primo piano si fa promotore di un’agenda per il clima”, dicono gli esperti, e “chi occupa le più alte posizioni di potere o sta in silenzio o è negazionista”.

Infine, l’invasione dell’Ucraina ha aggravato l’emergenza climatica. “Il disastro umanitario è della massima importanza, ma il danno collaterale è l’intensa distruzione dell’atmosfera”, osservano i ricercatori. La guerra ha portato danni irreparabili al clima globale a causa dell’aumento delle emissioni militari, che, dicono i ricercatori, hanno assunto la forma di “diversi milioni di tonnellate extra di anidride carbonica equivalente”.

Oceano

Oceani mai così caldi: superati i 20°C. Scienziati in allarme

Martedì 1° agosto la temperatura media globale della superficie degli oceani ha raggiunto i 21 gradi (20,96 °C per la precisione). È la temperatura più alta mai misurata da quando esistono analisi accurate: il record precedente risaliva al 29 marzo 2016 con 20,95 °C, secondo il servizio sui cambiamenti climatici dell’Ue Copernicus. E gli scienziati lanciano l’allarme: gli oceani sono un regolatore climatico vitale, assorbono il calore, producono metà dell’ossigeno terrestre e guidano i modelli meteorologici. Le acque più calde hanno meno capacità di assorbire anidride carbonica, il che significa che più di quel gas che riscalda il pianeta rimarrà nell’atmosfera. Accelerando lo scioglimento dei ghiacciai che sfociano nell’oceano, portando a un ulteriore innalzamento del livello del mare. Inoltre, oceani più caldi e ondate di caldo disturbano le specie marine come pesci e balene costretti a spostarsi alla ricerca di acque più fresche, sconvolgendo la catena alimentare. Gli esperti avvertono che gli stock ittici potrebbero risentirne. Alcuni animali predatori, inclusi gli squali, possono diventare aggressivi man mano che si confondono con temperature più calde.

L’acqua sembra un bagno quando ci si tuffa”, afferma Kathryn Lesneski, che sta monitorando un’ondata di caldo marino nel Golfo del Messico per conto della National Oceanic and Atmospheric Administration. “C’è un diffuso sbiancamento dei coralli nelle barriere coralline poco profonde in Florida e molti coralli sono già morti“. “Stiamo sottoponendo gli oceani a uno stress maggiore di quanto abbiamo mai fatto in qualsiasi momento della storia“, afferma Matt Frost, del Plymouth Marine Lab nel Regno Unito, riferendosi al fatto che anche l’inquinamento e la pesca eccessiva modificano gli oceani. Gli scienziati sono preoccupati per l’accelerazione del riscaldamento degli oceani. Samantha Burgess, del Copernicus Climate Change Service, afferma che marzo dovrebbe essere il momento in cui gli oceani a livello globale sono più caldi, non agosto. “E’ preoccupante vedere che questo cambiamento sta avvenendo così rapidamente“, conferma Mike Burrows, che sta monitorando gli impatti sulle coste marine scozzesi con la Scottish Association for Marine Science.

Gli scienziati stanno indagando sul motivo per cui gli oceani sono così caldi in questo momento: una risposta è che il cambiamento climatico sta rendendo i mari più caldi poiché assorbono la maggior parte del riscaldamento dalle emissioni di gas serra.Più bruciamo combustibili fossili, più calore in eccesso verrà assorbito dagli oceani, il che significa che ci vorrà più tempo per stabilizzarli e riportarli al punto in cui si trovavano“, spiega Burgess. Il nuovo record di temperatura media batte quello stabilito nel 2016, quando la fluttuazione climatica naturale di El Niño era in pieno svolgimento e nella sua forma più potente. Il fenomeno si verifica quando l’acqua calda sale in superficie al largo della costa occidentale del Sud America, aumentando le temperature globali. Un altro El Niño è iniziato in questi mesi, ma gli scienziati ritengono sia ancora debole, il che significa che le temperature degli oceani dovrebbero aumentare ulteriormente al di sopra della media nei prossimi mesi.

I nostri oceani hanno premuto il pulsante rosso, hanno appena registrato la temperatura media giornaliera più calda della superficie del mare. I mari più caldi assorbono meno anidride carbonica e accelerano lo scioglimento dei ghiacci e le nostre vite dipendono da questo delicato equilibrio. Con una finestra ristretta per agire, il Green Deal europeo distribuisce le azioni di cui abbiamo bisogno“, ha scritto su twitter il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius