La fine di un’era: il Regno Unito chiude la sua ultima centrale a carbone

Ha chiuso lunedì ufficialmente l’ultima centrale elettrica a carbone del Regno Unito, segnando la prima volta che un Paese del G7 smette di usare il carbone per generare elettricità. La chiusura dell’impianto, inaugurato nel 1967, è un passo simbolico nell’ambizione di Londra di decarbonizzare completamente l’elettricità entro il 2030, per poi raggiungere la neutralità di carbonio entro il 2050. Il Regno Unito diventa così il primo Paese del G7 a fare a meno del combustibile: l’Italia si è posta come obiettivo il 2025, la Francia il 2027, il Canada il 2030 e la Germania il 2038. Giappone e Stati Uniti non hanno una data precisa. Questa chiusura “segna la fine di un’epoca” ma inaugura anche “una nuova era” che incoraggerà la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore energetico, promette il governo britannico in un comunicato stampa, che quest’estate ha lanciato un piano energetico verde.

La centrale, situata a Ratcliffe-on-Soar, tra Derby e Nottingham, nel cuore dell’Inghilterra, sarà completamente smantellata “entro la fine del decennio”, secondo la società energetica tedesca Uniper, sua proprietaria, prima della creazione di un “cluster energetico e tecnologico a zero emissioni” sul sito. Il carbone ha contribuito in modo determinante alla crescita economica del Regno Unito dal XIX secolo fino agli anni Novanta. Negli anni ’80, questa forma di energia estremamente inquinante rappresentava ancora quasi il 70% dell’elettricità del Regno Unito. Prima di un calo spettacolare: 38% nel 2013, 5% nel 2018 e 1% l’anno scorso. Per liberarsene, i britannici hanno compensato con il gas naturale, un combustibile fossile presentato come meno inquinante e che nel 2023 sarà utilizzato per produrre un terzo dell’elettricità. Un quarto proviene dall’energia eolica, una percentuale significativa. L’energia nucleare rappresenta circa il 13%.

Questo cambiamento si spiega in particolare con una politica proattiva, con normative severe a partire dagli anni ’90 a causa dell’inquinamento, e con la fine dell’economia manifatturiera, che ha ridotto l’importanza del carbone. “Il posto del carbone è ormai nei libri di storia”, afferma Tony Bosworth dell’ONG Friends of the Earth. “La priorità è ora quella di abbandonare il gas sviluppando il più rapidamente possibile l’enorme potenziale di energia rinnovabile del Regno Unito”. “La Gran Bretagna ha dato un esempio da seguire per il resto del mondo”, ha dichiarato Doug Parr di Greenpeace UK.

Come parte del suo piano per l’energia verde, Londra intende creare una società pubblica, la Great British Energy, con sede ad Aberdeen, nella Scozia orientale, per investire in turbine eoliche galleggianti, energia dalle maree ed energia nucleare. Nella stessa ottica, il governo britannico ha recentemente nazionalizzato per 630 milioni di sterline (746 milioni di euro) l’ESO, l’operatore della rete elettrica britannica responsabile della regolazione dell’equilibrio tra domanda e offerta di elettricità, al fine di collegare in modo più efficace i “progetti di nuova generazione” sostenibili.

Le otto ciminiere grigie della centrale di Ratcliffe-on-Soar, che dà lavoro a 350 persone, fumavano ormai solo a intermittenza, soprattutto quando il tempo era caldo o freddo. In grado di fornire elettricità a due milioni di case, la centrale ha ricevuto un ultimo carico di carbone all’inizio dell’estate – 1.650 tonnellate – sufficiente ad alimentare 500.000 case per otto ore. La prima centrale elettrica a carbone del mondo, creata da Thomas Edison, è stata inaugurata nel cuore di Londra nel 1882.

Rinnovabili superano carbone: entro il 2025 al primo posto ci sarà elettricità green

Entro il 2025 la quantità di elettricità prodotta da fonti rinnovabili dovrebbe superare per la prima volta quella generata dal carbone. Lo annuncia l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE). Questa impennata della domanda globale “rivela il ruolo crescente dell’elettricità nelle nostre economie, ma anche l’impatto delle forti ondate di calore”, sottolinea Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza dell’Aie, sottolineando, però, che lo sviluppo di metodi di produzione a basse emissioni di carbonio non è ancora abbastanza rapido.

Idroelettrico, solare, eolico: le fonti rinnovabili dovrebbero fornire il 35% dell’elettricità mondiale nel 2025, rispetto al 30% del 2023. Il fotovoltaico da solo dovrebbe coprire la metà della crescita della domanda (solare ed eolico insieme coprono il 75%), si legge nel rapporto ‘Electricity Mid-Year Update’ sull’elettricità pubblicato venerdì.

Tuttavia, la produzione di elettricità dalle centrali a carbone non dovrebbe diminuire a partire dal 2024, a causa di un forte aumento della domanda, in particolare in Cina e in India. Ma, avverte l’Aie, la capacità idroelettrica cinese potrebbe sorprendere, riducendo la quota del carbone quest’anno e, quindi, anche le emissioni complessive di CO2 del settore elettrico. La domanda globale di elettricità dovrebbe crescere di circa il 4% nel 2024, rispetto al 2,5% del 2023. Questo rappresenterebbe il tasso di crescita annuale più alto dal 2007, escludendo i rimbalzi eccezionali registrati in seguito alla crisi finanziaria globale e alla pandemia di Covid-19. Per l’agenzia, il forte aumento del consumo globale di elettricità dovrebbe continuare nel 2025, con una crescita di circa il 4%.

Alcune delle principali economie mondiali stanno registrando aumenti particolarmente consistenti del consumo di elettricità. In India si prevede un’impennata dell’8% quest’anno, grazie alla forte attività economica e alle forti ondate di calore. Anche in Cina si prevede una crescita significativa della domanda, superiore al 6%, grazie alla forte attività nel settore dei servizi e in vari settori industriali, tra cui la produzione di tecnologie energetiche pulite. Negli Stati Uniti, dove l’anno scorso la domanda di elettricità è diminuita a causa del clima mite, si prevede una crescita del 3% quest’anno, trainata dall’attività economica, dalle esigenze di condizionamento dell’aria e dal fabbisogno – ancora poco valutato – dei centri dati sullo sfondo dell’ascesa dell’intelligenza artificiale. Infine, la domanda di elettricità in Europa dovrebbe aumentare dell’1,7%, dopo due anni di calo dovuto alla crisi energetica e all’impennata dei prezzi.

Con l’aumento dell’intelligenza artificiale, poi, la domanda di elettricità dei data center sta crescendo e il rapporto dell’Aie sottolinea “l’ampia gamma di incertezze” relative ai bisogni energetici di questa tecnologia, Una migliore raccolta di dati sul consumo di elettricità del settore, spiega l’agenzia, “sarà essenziale per identificare correttamente gli sviluppi passati e comprendere meglio le tendenze future”.

“È incoraggiante – dice Sadamori – vedere la crescita della quota di energia pulita, ma deve avvenire più rapidamente”, invitando a rafforzare le reti e a migliorare gli standard di efficienza energetica “per ridurre l’impatto della crescente domanda di aria condizionata”.

Il G7 Ambiente approva ‘Carta di Venaria’: stop graduale a carbone. C’è anche ‘Coalizione sull’Acqua’

L’addio al carbone entro il 2035 c’è. Ma è ‘progressivo’ e adattato alla situazione delle singole nazioni. L’accordo che esce dal G7 Clima, Energia e Ambiente che si è tenuto a Venaria, alle porte di Torino, è frutto di un compromesso tra i Paesi che più spingevano per un abbandono rapido dei combustibili fossili entro il 2030, come Italia e Francia, e chi era più riluttante, come il Giappone. Quindi, i ministri del G7 si impegnano a “eliminare progressivamente la generazione di energia a carbone durante la prima metà degli anni 2030 o in un periodo coerente con il mantenimento dell’aumento della temperatura entro un grado e mezzo”.

Di fatto, però, è la prima volta che “si indicano percorso e obiettivo”, spiega il padrone di casa, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto che si dice “molto soddisfatto”. “E’ stato un lavoro intenso e importante che ci ha permesso di arrivare al momento conclusivo e di votare convintamente sul raggiungimento degli obiettivi che ci siamo dati – annuncia -. Si può dire che questo G7 è stato un’operazione ponte tra Cop28 e Cop29, con il G20 di affiancamento”.

Un altro primato del G7 a guida italiana è l’istituzione di una ‘Coalizione sull’Acqua’, per “identificare obiettivi e strategie comuni per catalizzare ambizioni e priorità condivise per affrontare la situazione globale della crisi idrica e sottolineare il ruolo degli approcci multisettoriali”. Pichetto ricorda che è la prima volta che come G7 viene posto il tema dell’emergenza idrica: sul quadro mondiale “la crescita della popolazione fa sì che le prossime guerre finiscono per essere le guerre dell’acqua”.

Nel documento finale della due giorni di ministeriale, la cosiddetta ‘Carta di Venaria’ come è stata ribattezzata, si parla anche di favorire la forte crescita delle rinnovabili attraverso la moltiplicazione della capacità di stoccaggio dell’energia; promuovere la collaborazione dei G7 nel settore dell’energia da fusione; emanciparsi dalle rimanenti importazioni di gas russo; ridurre le emissioni di metano; aumentare la sicurezza e la sostenibilità delle materie prime critiche; eliminare le emissioni di gas serra diversi dalla Co2; creare un ‘Hub G7’ per accelerare le azioni di adattamento alla crisi climatica. “Abbiamo inoltre preso il rilevante impegno politico di mettere fine a ogni nostra significativa dipendenza dal gas russo – specifica Pichetto – lavorando per abbandonarne le importazioni prima possibile, al fine di ridurre le entrate della Russia, come misura di supporto all’Ucraina”.

Ulteriori impegni sono: la riduzione del 75% al 2030 delle emissioni di gas metano dalle filiere dei carburanti fossili; la decarbonizzazione degli impianti industriali e hard-to abate ricorrendo alle tecnologie innovative tra cui CCS, l’idrogeno rinnovabile a basse emissioni e biometano; la sicurezza di approvvigionamento delle materie prime critiche mediante la concreta attuazione del Piano previsto al G7 dello scorso anno. Sono state inoltre confermate le diverse opzioni per la decarbonizzazione del settore stradale.

Importante il capitolo sull’adattamento ai cambiamenti climatici in cui si registrano una serie di impegni e nuove iniziative come ‘G7 Adaptation Accelerator Hub’ che nasce dall’esigenza di trasformare le priorità dei piani di adattamento dei paesi in via di sviluppo più vulnerabili in piani d’investimento capaci di attrarre finanziamenti pubblici e privati. L’impegno per la collaborazione in particolare con i paesi africani, sulla scorta della impostazione politico-culturale del Piano Mattei italiano, ricorda il Mase, è evidenziata dalla creazione di un Hub del G7 dedicato alla promozione di un approccio comune da adottare nelle iniziative progettuali di gestione sostenibile del suolo in Africa e nel bacino del Mediterraneo. “Sottolineiamo – si legge nel documento finale – che questi sforzi si inseriscono nel contesto di uno sforzo globale più ampio volto a potenziare e allineare la finanza pubblica e privata da tutte le fonti per mobilitare i trilioni di dollari necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e per cogliere l’opportunità per accelerare una crescita allineata all’obiettivo di 1,5°C”.

G7 Ambiente verso ‘accordo storico’: addio al carbone entro 2035. In serata scontri a Torino

G7 verso un accordo ‘storico’. I ministri dell’Ambiente e dell’Energia riuniti a Venaria sono vicini a un‘intesa sull’addio al carbone nella produzione di energia tra il 2030 e il 2035. Sulla spinta dell’Onu, ad aprire la strada “con azioni più ambiziose”, alle porte di Torino si lavora alacremente per arrivare a un testo comune in vista della dichiarazione finale, attesa martedì alla fine della seconda giornata di summit. “Abbiamo una grande responsabilità. La comunità internazionale attende un nostro messaggio”, sottolinea Gilberto Pichetto Fratin aprendo, alla Reggia, la riunione dei ministri.

A fronte di una fuga in avanti, a ministeriale ancora in corso, del ministro britannico Andrew Bowie, che parla del raggiungimento di un accordo storico “per abbandonare il carbone nella prima metà degli anni 2030”, il padrone di casa è più cauto. Al momento, infatti, sembra vi sia un accordo di tipo tecnico, e si stia lavorando per raggiungere un’intesa politica. “Manca il timbro dell’accordo politico tra Paesi”, conferma il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica che presiede i lavori.
Il peso ‘politico’ del vertice si vedrà dunque martedì, con la dichiarazione finale. Il dibattito è incentrato sulla data: alcuni paesi come la Francia stanno conducendo una campagna affinché il G7 abbandoni il carbone entro il 2030, ma il Giappone in particolare, dove un terzo della sua elettricità proviene dal carbone, è riluttante a fissare una scadenza. Così come la Germania. L’Italia, dal canto suo, punta a essere un’apripista, con un phase-out fissato “in tempi brevissimi”. “Può essere l’anno prossimo o anche prima”, spiega Pichetto. Il dubbio è dettato dalla condizione geopolitica. Di fatto, racconta, “c’è un atto di indirizzo firmato da me che dà la riduzione al minimo delle produzioni di carbone di due centrali di Civitavecchia e Brindisi a fine settembre. Ho optato per la riduzione al minimo perché c’era il grande dubbio che potesse succedere qualcosa sul quadro geopolitico internazionale”.

Sul tavolo del G7 anche temi come la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento per i sistemi di energia rinnovabile, così come il riutilizzo dei minerali, per dipendere meno dalla Cina, che domina il settore delle tecnologie verdi. Secondo l’Italia, terre rare ed energie rinnovabili saranno al centro dei colloqui con le delegazioni africane invitate a Torino. Sul tema del rapporto con le nazioni in via di sviluppo e le economie emergenti, Pichetto annuncia tre priorità: “concretezza, cooperazione in particolare con l’Africa, un approccio pragmatico e non ideologico secondo il principio di neutralità tecnologica”. Sull’Africa, in particolare, il ministro ribadisce “la necessità di partenariati di tipo non predatorio”, così come vuole il Piano Mattei. Più in generale, tra i temi al centro della due giorni torinese, il ministro parla di “rinnovabili, efficienza energetica, uscita progressiva dai fossili, biodiversità, ma anche ricerca per il nucleare di nuova generazione, fusione, economia circolare, materie prime critiche, biocarburanti”. 

Inoltre, Canada, Francia, Germania e Regno Unito, che spingono per l’adozione di un trattato per ridurre l’inquinamento da plastica, hanno intenzione utilizzare il G7 per cercare di mobilitare Usa e Giappone, che sono più riluttanti. Secondo una fonte francese, il G7 dovrebbe impegnarsi a ridurre la produzione di plastica, presente ovunque nell’ambiente, dalle cime delle montagne al fondo degli oceani, oltre che “nel sangue degli esseri umani”. Per questo, “il G7 si impegna a ridurre la produzione globale di polimeri primari per porre fine all’inquinamento da plastica nel 2040”, come si legge in una bozza del comunicato finale.

A Torino, serata di tensioni  per il corteo promosso da centri sociali e collettivi studenteschi per protestare contro la presenza in città di ministri e delegazioni. Partito da Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, il corteo è stato bloccato più volte dalle forze dell’ordine che al lancio di bottiglie e uova hanno risposto con idranti e lacrimogeni. I manifestanti, per lo più appartenenti a centri sociali, tra cui Askatasuna, e a collettivi studenteschi hanno tentato a più riprese di raggiungere gli hotel che ospitano i ministri. Il corteo ha quindi sfilato per le vie intorno all’ateneo dietro lo striscione ‘Contro il G7 di guerre e devastazione. Fuori i ministri e zone rosse da Torino’, per poi sciogliersi verso le 22 davanti a Palazzo Nuovo da dove era partito. Al termine sarebbero una cinquantina le persone identificate per le quali potrebbe scattare la denuncia per violenza a pubblico ufficiale aggravata, lancio di oggetti e danneggiamento. Secondo i manifestanti tra loro ci sarebbero cinque feriti. Tre invece i contusi tra le forze dell’ordine. ‘‘Solidarietà alle forze dell’ordine che in queste ore stanno subendo gli attacchi violenti di un gruppo di manifestanti a Torino. Faccio appello a tutti: ogni contributo al confronto è prezioso purché sia portato in modo costruttivo e pacifico’‘, ha fatto sapere in una nota il ministro Pichetto, che aggiunge: ‘‘il G7 si appresta ad adottare una decisione storica sullo stop all’uso del carbone. È la dimostrazione dell’impegno concreto dei nostri Paesi nel contrastare il cambiamento climatico e nel proteggere l’ambiente”.
Oggi, Askatasuna ha indetto una conferenza stampa (alle 12 in via Accademia, a Torino) per “raccontare la verità” sulle proteste di ieri sera.

rinnovabili

Le rinnovabili supereranno il carbone come fonte primaria entro il 2025

Le energie rinnovabili dovrebbero detronizzare il carbone come principale fonte di produzione globale di elettricità nel 2025. Queste energie, in particolare il solare fotovoltaico, dovrebbero ormai produrre più di un terzo dell’elettricità, passando dal 30% del totale nel 2023 al 37% nel 2026. In particolare, dovrebbero più che compensare la forte crescita della domanda nelle economie avanzate (Stati Uniti, Europa). E’ quanto stima l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) nel suo rapporto ‘Elettricità 2024’ sui mercati globali dell’elettricità. Il rapporto anticipa “un lento declino” strutturale del carbone, segnato dalla crescita delle rinnovabili, con anche l’aumento ad un certo livello della produzione nucleare globale, che dovrebbe ridurre l’uso delle fonti fossili, l’energia più dannosa per il clima e la qualità dell’aria, che scenderebbe a meno di un terzo della produzione elettrica globale.

Il settore energetico attualmente produce più emissioni di CO2 di qualsiasi altro nell’economia mondiale, quindi è incoraggiante che la rapida crescita delle energie rinnovabili e una costante espansione dell’energia nucleare siano insieme sulla buona strada per soddisfare l’aumento della domanda globale di elettricità nei prossimi tre anni“, ha affermato il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol. “Ciò è in gran parte dovuto all’enorme slancio delle energie rinnovabili, con l’energia solare sempre più economica in testa, e al sostegno derivante dall’importante ritorno dell’energia nucleare, la cui produzione è destinata a raggiungere un massimo storico entro il 2025. Sebbene siano necessari ulteriori progressi, e rapidi , queste sono tendenze molto promettenti”.

Per l’Aie, la produzione di energia elettrica da carbone dovrebbe quindi diminuire in media dell’1,7% all’anno entro il 2026, dopo un anno nel 2023, al contrario, segnato da un aumento dell’1,6% in un contesto di bassa produzione idraulica in India e Cina. La produzione delle centrali a gas dovrebbe invece aumentare “leggermente” nei prossimi tre anni, intorno all’1% annuo.
Per quanto riguarda l’energia nucleare, la produzione complessiva dovrebbe tornare ai livelli del 2021 entro il 2025, con la fine dei lavori di manutenzione in Francia, la riapertura dei reattori in Giappone e le inaugurazioni in Cina, India e Corea del Sud, stima l’OUCH.

In generale, per l’Aie, le fonti a basse emissioni rappresenteranno quasi la metà della produzione mondiale di elettricità entro il 2026, rispetto a una quota di poco inferiore al 40% nel 2023. Tra queste, la produzione di energia nucleare dovrebbe battere ogni record nel 2025 visto che sempre più Paesi investono nella costruzione di nuovi reattori per favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2.

Dal carbone alle rinnovabili: il magnate indiano Adani rende green la sua fortuna

Nel bel mezzo del deserto, al confine con il Pakistan, Gautam Adani sta costruendo il più grande parco di energie rinnovabili del mondo. Un investimento nel futuro per l’uomo più ricco dell’Asia, che ha costruito la sua fortuna principalmente sul carbone. Sotto un sole cocente, migliaia di operai ‘coltivano’ file di pannelli solari, preparano il terreno per le future turbine eoliche e srotolano cavi infiniti per alimentare il tutto. A Khavda, il Parco delle Energie Rinnovabili coprirà ben 726 km2, quasi la dimensione di New York. Quando sarà completato nel 2027, dovrebbe generare 30 gigawatt di energia solare ed eolica: 17 GW da parte di Adani, il resto da altre aziende. Abbastanza per dare energia a 18 milioni di persone. Il parco dovrebbe produrre addirittura un terzo in più della Diga delle Tre Gole in Cina, il più grande sito energetico del mondo. Secondo Gautam Adani, che nel 2022 è diventato per breve tempo il secondo uomo più ricco del mondo con una fortuna di 154 miliardi di dollari, l’impianto sarà “visibile anche dallo spazio“.

I critici del magnate affermano che la sua ascesa è stata in gran parte favorita dal primo ministro Narendra Modi. Un anno fa, il suo gruppo è stato accusato di “spudorata manipolazione” delle proprie azioni e di “frode contabile per diversi decenni” dalla società di investimento statunitense Hindenburg Research. Il valore dell’impero è crollato di oltre 150 miliardi di dollari, ma il gruppo ne ha recuperato la maggior parte e, da allora, l’imprenditore 61enne ha speso ingenti somme in progetti di transizione energetica. L’India è il terzo maggior emettitore di CO2 e il governo Modi si è ripetutamente espresso contro la graduale eliminazione del carbone.

Il parco per le energie rinnovabili di Khavda è il fulcro di Adani Green Energy Limited, di cui la francese TotalEnergies ha acquisito una quota del 19,7% per 2,5 miliardi di dollari nel 2021. Il porto commerciale di Mundra, il più grande dell’India e gestito da un altro ramo dell’impero Adani, produce componenti chiave per la sua futura offensiva nel settore delle energie rinnovabili, tra cui eliche di turbine eoliche lunghe 80 metri. “Stiamo creando uno dei più grandi e integrati ecosistemi di energia rinnovabile al mondo per il solare e l’eolico“, ha scritto Gautam Adani su X, dove si descrive come un “orgoglioso indiano“. L’ambizione di Nuova Delhi è di creare 500 gigawatt di capacità di energia rinnovabile entro il 2030 per soddisfare metà del suo fabbisogno. Adani, che respinge le accuse di Hindenburg, ha dichiarato che investirà circa 100 miliardi di dollari in questa transizione energetica. Tuttavia, l’India sta anche pianificando di aumentare la sua capacità di produzione di energia a carbone e non intende essere neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio fino al 2070.

Secondo Ashok Malik della società di consulenza Asia Group, il Gruppo Adani è “seduto su asset molto solidi” e “riflette le ambizioni, le speranze e la strategia dell’India“. “È perfettamente sensato che una società che è coinvolta solo nel settore energetico indiano inizi a guardare alle energie pulite e rinnovabili come una via d’uscita dal carbone, anche se il carbone non sparirà del tutto“, ha dichiarato l’esperto all’AFP. Al Khavda Park, gli operai indossano elmetti e giubbotti di segnalazione e lavorano con il volto coperto per proteggersi dal sole cocente e dalla sabbia pungente. Un manager non autorizzato a parlare con i media ha comunque dichiarato che le condizioni erano “difficili“. Il sito dista circa 75 km dal villaggio più vicino e sei km dal confine militarizzato con il Pakistan. Un altro dirigente ha detto che le sottounità dell’impianto saranno in grado di funzionare autonomamente “nel caso in cui la sala di controllo centrale diventi inoperante“.

Progetti di questo tipo hanno spesso un costo ambientale elevato, ma l’ambientalista Mahendra Bhanani fa notare che il parco energetico è situato lontano dagli insediamenti umani e da siti rinomati per la loro biodiversità. “L’energia solare è meglio di molte industrie chimiche inquinanti“, afferma, chiedendo uno studio.

Nell’anno più caldo della storia schizza alle stelle il consumo di carbone

In un 2023 che è già stato classificato come l’anno più caldo della storia, il mondo non ha mai consumato così tanto carbone. La domanda globale ha raggiunto 8,53 miliardi di tonnellate, un record assoluto, secondo quanto emerge dal rapporto ‘Coals 2023’ dell’Aie, l’Agenzia internazionale dell’energia. Mentre l’osservatorio europeo Copernicus ha stimato all’inizio di novembre che le temperature medie globali di quest’anno supereranno “quasi certamente” il record annuale stabilito nel 2016, l’Aie ha reso noto che le tonnellate di carbone consumate in tutto il mondo quest’anno supereranno il precedente record stabilito nel 2022.

Bruciare carbone per produrre energia o per scopi industriali emette nell’atmosfera gran parte della CO2 responsabile del riscaldamento globale. È in Asia che l’appetito per il carbone è maggiore: secondo l’Agenzia, quest’anno il consumo in Cina aumenterà di 220 milioni di tonnellate (+4,9%) rispetto al 2022, quello in India di 98 milioni di tonnellate (+8%) e quello in Indonesia di altri 23 milioni di tonnellate (+11%).

D’altro canto, il consumo ha subito un forte rallentamento in Europa (-107 milioni di tonnellate, pari al 23%) e negli Stati Uniti (-95 milioni di tonnellate, pari al 21%), soprattutto a causa della trasformazione delle centrali elettriche, che stanno gradualmente abbandonando il carbone e della debolezza dell’attività industriale.

L’Aie ammette di avere difficoltà a formulare previsioni per la Russia, quarto consumatore mondiale di carbone, a causa della guerra in Ucraina. Anche le previsioni per Kiev sono “incerte”, afferma l’Agenzia.

“A partire dal 2024”, il consumo globale dovrebbe iniziare una tendenza al ribasso, secondo le previsioni dell’Aie pubblicate all’indomani della chiusura del 28° incontro internazionale delle Nazioni Unite sul clima a Dubai, che ha chiesto una graduale eliminazione dei combustibili fossili, compreso il carbone, per combattere il riscaldamento globale.

L’Agenzia conta in particolare su un aumento molto significativo delle energie rinnovabili (eolica e solare in particolare) per “spingere il consumo globale di carbone su una traiettoria discendente”. Il consumo di carbone “dovrebbe raggiungere il picco nel 2023”. Oltre all’uso per le centrali elettriche, non è previsto un calo del consumo di carbone per scopi industriali come la produzione di cemento.

Paradossalmente, nel caso dell’Indonesia, è l’estrazione e la raffinazione del nichel, in piena espansione per rifornire i mercati delle batterie per autoveicoli nell’ambito della transizione energetica, a trainare il consumo di carbone nei processi estrattivi. Tuttavia, la Cina rimane di gran lunga il principale attore sulla scena, rappresentando da sola più della metà del consumo globale (54%). “Oltre il 60%” di questa fonte fossile utilizzato da Pechino è destinato alla produzione di elettricità e il Paese continua a costruire centrali a carbone (52 GW di nuovi progetti sono stati approvati per il 2023). Ma l’Aie prevede una svolta nel 2023, se il Paese non subirà troppe ondate di freddo (o di caldo), che influenzano l’uso delle centrali. Secondo l’agenzia, il consumo cinese per la produzione di energia elettrica dovrebbe diminuire di 175 milioni di tonnellate nel periodo 2024-26, fino a 2,8 miliardi di tonnellate.

Nell’Unione Europea, la proliferazione delle energie rinnovabili sta contribuendo a ridurre l’uso di questa fonte. In Germania, le centrali elettriche a lignite e a carbone sono destinate a ridursi drasticamente da qui al 2025, grazie alla diffusione delle centrali solari ed eoliche, che non emettono praticamente CO2.

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Pichetto: “Centrali a carbone al minimo, ho firmato l’atto di indirizzo”

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“. Lo annuncia il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a margine dell’assemblea di Cida. “Questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, totale del carbone, con gradualità – continua -. Al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico“, spiega. “Il nostro stoccaggio ha raggiunto un livello ottimo, siamo ben oltre l’80%, quindi ci sono tutte le condizioni per passare gradualmente all’abbandono del carbone. Poi il passaggio successivo sarà il petrolio“, conclude.

L’Italia mette al minimo le centrali a carbone, primo passo verso lo spegnimento totale

L’Italia si avvia verso il phase out dal carbone. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha infatti firmato l’atto di indirizzo a Terna, all’Autorità di Regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) e al Gestore servizi energetici (Gse) per la rimodulazione della produzione di energia elettrica da carbone, olio combustibile, bioliquidi sostenibili e biomasse solide, invertendo quindi l’atto dello scorso 31 marzo, che aveva l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo dei combustibili diversi dal gas al fine di generare un risparmio di questa materia prima strategica si è ravvisata l’opportunità di rimodulare il piano di massimizzazione del carbone.

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“, annuncia il ministro, a margine dell’assemblea di Cida. Spiegando che “questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, di abbandono poi totale del carbone, naturalmente con gradualità“, continua Pichetto, specificando che “al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico.

Nel frattempo, però, “le politiche di diversificazione messe in atto dal Governo – aggiunge il ministro – ci hanno consentito di raggiungere in anticipo l’obiettivo di risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas entro il 30 settembre del 2023. Gli stoccaggi riempiti all’82% già a fine giugno e la maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili – conclude Pichetto – ci hanno consentito di attivare queste nuove disposizioni che riescono a tenere insieme due dei grandi obiettivi: velocizzare la decarbonizzazione garantendo la sicurezza energetica del nostro Paese”.

Xi Jinping

Terzo mandato per Xi Jinping: sfida ‘green’ cinese al 2030

Dallo scorso ottobre è segretario del Pcc per la terza volta consecutiva. Ora, Xi Jinping, sempre per la terza volta di fila, è anche presidente della Repubblica popolare cinese e capo delle forze armate. Lo ha eletto il Parlamento di Pechino con una votazione unanime: 2.952 voti favorevoli, zero contrari, zero astenuti).  Il leader 69enne aveva già ottenuto a ottobre una proroga di cinque anni ai vertici del Partito Comunista e della commissione militare del Partito, le due posizioni di potere più importanti in Cina. L’unico candidato, Xi Jinping, è stato riconfermato per lo stesso mandato a capo dello Stato.
Le sue sfide rimangono numerose alla testa della seconda economia mondiale, tra il rallentamento della crescita, il calo della natalità e anche l’immagine internazionale della Cina che si è fortemente deteriorata negli ultimi anni. Non da ultima, resta la sfida della transizione green di uno dei Paesi più inquinati e inquinanti del mondo.

I rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi termini, con molte controversie, da Taiwan al trattamento dei musulmani uiguri, alla rivalità tecnologica Anche questa settimana Xi Jinping ha condannato la “politica di contenimento, accerchiamento e repressione contro la Cina” messa in atto da “Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti”. Una tensione che si riverbera anche sui reciproci impegni a difesa del clima e nella riduzione delle emissioni.
Sulla scena energetica globale, la Cina dipende pesantemente dalle importazioni energetiche di petrolio e gas. A livello nazionale, in poco più di un anno la Cina ha subito due gravi interruzioni di corrente: una volta a causa di stranezze nella progettazione del mercato energetico locale e un’altra la scorsa estate a causa della siccità e delle ondate di calore legate ai cambiamenti climatici. Il carbone è ampiamente visto come una risposta a breve termine a tali problemi.

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, la Cina è stata a lungo il più grande produttore di energia idroelettrica, eolica e solare fotovoltaica. Anche di fronte alle preoccupazioni sulla loro variabilità, l’accumulo di energia eolica e solare in Cina è in fase di accelerazione: nel 2021 sono stati aggiunti oltre 100 GW di energia eolica e solare, molto più di quanto ottenuto da qualsiasi altro paese. Di fatto, il 40 percento della nuova energia solare immessa a livello globale nel 2021 proviene dalla Cina. L’obiettivo dichiarato dal paese per il 2030 per quanto riguarda l’eolico e il solare è di un totale di 1.200 GW, cifra che supera di gran lunga la capacità di generazione elettrica totale dell’Europa odierna. Già alla fine del 2020 disponeva di oltre 500 GW di energia prodotta da queste fonti e i piani quinquennali provinciali in materia intendono aggiungere oltre 850 GW entro il 2025.

Per decenni, la Repubblica popolare cinese, scottata dal caos politico e dal culto della personalità durante il regno (1949-1976) del suo leader e fondatore Mao Tse-tung, aveva promosso un governo più collegiale ai vertici del potere. In virtù di questo modello, i predecessori di Xi Jinping, ovvero Jiang Zemin e poi Hu Jintao, avevano rinunciato ciascuno al proprio posto di presidente dopo dieci anni in carica. Xi ha posto fine a questa regola abolendo il limite di due mandati presidenziali nella Costituzione nel 2018, consentendo allo stesso tempo di sviluppare intorno a lui un nuovo culto della personalità. Xi Jinping diventa così il leader supremo a rimanere al potere più a lungo nella recente storia cinese.