Cina avvia indagine antisussidi su latte e formaggi provenienti dall’Ue

La Cina ha annunciato l’avvio di un’indagine su presunti sussidi concessi dall’Unione Europea ad alcuni prodotti lattiero-caseari, in mezzo alle tensioni con Bruxelles per le sovrattasse sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. “Il Ministero del Commercio ha deciso di aprire un’indagine antidumping su alcuni prodotti lattiero-caseari importati dall’Unione Europea con effetto dal 21 agosto 2024”, ha dichiarato in una nota. L’indagine riguarda prodotti come il formaggio fresco, il latte cagliato e alcuni tipi di creme. La procedura riguarda una serie di sussidi concessi nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Ue.

Martedì l’Unione Europea ha confermato l’intenzione di imporre una sovrattassa di cinque anni sulle auto elettriche provenienti dalla Cina, comprese quelle prodotte da Tesla, che ha una fabbrica a Shanghai. Bruxelles ritiene che i prezzi dei veicoli cinesi siano artificialmente bassi a causa di sussidi statali che distorcono il mercato e danneggiano la competitività dei produttori europei.
Queste sovrattasse, che possono raggiungere il 36%, sostituiranno le tasse provvisorie imposte all’inizio di luglio sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Pechino critica questa decisione e negli ultimi mesi ha minacciato più volte ritorsioni.

L’indagine sui prodotti lattiero-caseari deve concludersi entro un anno, ma può essere prorogata di sei mesi, secondo il comunicato stampa del ministero. A gennaio Pechino aveva già annunciato che stava indagando su una presunta violazione della concorrenza riguardante gli alcolici, come il cognac, importati dall’Ue e in particolare dalla Francia, che aveva dato origine all’indagine di Bruxelles.
A giugno, inoltre, ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale e prodotti a base di carne di maiale dall’Unione Europea, principalmente prodotti in Spagna, Francia, Paesi Bassi e Danimarca.

Germania, Italia, Spagna: avanzano le aziende cinesi nell’eolico europeo

I produttori di turbine eoliche hanno fornito una quantità record di volume nel 2023, secondo il rapporto annuale Supply Side Data del Global Wind Energy Council: 30 produttori nel mondo hanno installato un record di 120,7 GW di nuova capacità l’anno scorso, nonostante un contesto macroeconomico difficile e le continue sfide della catena di fornitura. I fornitori cinesi hanno installato 81,6 GW nel 2023, con conseguente occupazione da parte delle aziende cinesi di quattro dei primi cinque posti nella classifica dei fornitori di quest’anno.

Goldwind è emerso come fornitore principale nel 2023, con Envision che è salita di tre posizioni al secondo posto e la danese Vestas al terzo posto. Windey e MingYang occupano rispettivamente il quarto e il quinto posto, con quest’ultimo che è riconosciuto come il più grande fornitore di turbine eoliche offshore al mondo nel 2023. Vestas, Siemens Gamesa, Nordex Group, GE Vernova ed Enercon, rimangono i primi cinque fornitori di turbine in Europa nel 2023. A livello globale, Vestas è scesa però di due posizioni dal 2022 al 3° posto, sebbene con turbine eoliche installate in 36 paesi l’operatore danese rimanga il più diversificato geograficamente.

Il 97 percento delle installazioni delle aziende cinesi nel 2023 in effetti è avvenuto nel loro mercato interno, la Cina, lo stesso livello dell’anno precedente. Le aziende cinesi hanno installato infatti solo 2,3 GW al di fuori del loro mercato interno l’anno scorso, di cui il 63% nella regione asiatica. Riguardano l’Europa ordini per 1,2 gigawatt (GW) nel 2023, come mostrano i dati di WindEurope. E nei primi mesi di quest’anno gli ordini europei di turbine prodotte in Cina hanno raggiunto i 546 megawatt (MW). Qualcosa sta dunque cambiando.

A inizio luglio Luxcara, fondo di private equity tedesco, ha firmato un accordo preferenziale di fornitura turbine con MingYang Smart Energy per il progetto eolico offshore Waterkant nel Mare del Nord tedesco. L’accordo di prenotazione è stato siglato – fa sapere il fondo – dopo una gara d’appalto internazionale e un’ampia due diligence e copre la fornitura di 16 delle turbine eoliche offshore più potenti al mondo con una capacità fino a 18,5 MW ciascuna per l’installazione nel 2028. E Luxcara si è aggiudicata ieri, lunedì 12 agosto, 1,5 Gw in una gara d’appalto in Germania. Nella partita potrebbe dunque entrare anche MingYang, lo stesso operatore che ha firmato la scorsa settimana col Ministero delle imprese e del Made in Italy un memorandum da 500 milioni insieme a Renexia, società italiana attiva nel settore delle rinnovabili del gruppo Toto, con l’obiettivo di creare in Italia una Newco per la costruzione delle turbine eoliche.

La Commissione europea vorrà probabilmente esaminare il memorandum nel contesto del Regolamento Ue sulle sovvenzioni estere. Gli investimenti nel settore manifatturiero rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento“, ha commentato a GEA Christoph Zipf, responsabile delle comunicazioni di Wind Europe, l’associazione che raggruppa le aziende del settore eolico europeo. “Nell’aprile di quest’anno la Commissione europea ha annunciato l’avvio di un’indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche in base al nuovo regolamento sulle sovvenzioni estere. Questo strumento è un modo per garantire una concorrenza leale e condizioni di parità tra gli attori del mercato. La Commissione europea può utilizzarlo quando ritiene che ci possa essere un elemento di sovvenzioni statali sleali“, ha sottolineato ancora Zipf a GEA.

Proprio per dribblare eventuali indagini, così come accaduto sulle auto elettriche e probabilmente sui pannelli solari, le aziende cinesi stanno dunque accelerando per produrre direttamente in Europa, come dimostra la firma della scorsa settimana in Italia. A parte i dazi, c’è anche una questione logistica: spedire apparecchiature gigantesche è una sfida costosa. Vensys, una divisione di Goldwind, ha in programma di produrre un modello di pala di turbina eolica da 86 metri presso un’ex fabbrica di Airbus recentemente acquistata a Ferreira, in Spagna, aveva dichiarato a Reuters a giugno E pure un altro produttore cinese di turbine eoliche, Sany, sta valutando l’apertura di un impianto nel Vecchio Continente.

In attesa di veder aprire i cantieri eolici cinesi in Italia e in Europa, “le turbine eoliche made in Pechino vengono offerte nella Ue a un prezzo inferiore del 30-50% rispetto alle turbine europee, con termini di pagamento differiti fino a 3 anni”, ricorda Wind Europe.

La Via della Meta: portare in Italia le aziende cinesi dell’auto (elettrica)

Il viaggio della premier Giorgia Meloni a Pechino segna una (nuova) svolta nei rapporti tra Italia e Cina dopo lo strappo della Via della Seta, là dove i rapporti con una delle grandi potenze del mondo non è mai stato agevole in passato e pare resti comunque delicato nel presente. Però, pur con tutte le tutele del caso, è quasi un passaggio ineludibile guardare alla Cina per dare ossigeno al made in Italy e per capire quali ricadute (positive) possano scaturire da alcune sinergie industriali che riguardano il nostro Paese, segnatamente nel settore dell’automotive. Nell‘accordo quadro (triennale) strutturato in sei punti, l’auto elettrica e la possibilità da parte di aziende cinesi di impiantare fabbriche in Italia è forse lo snodo più importante, assieme a un accordo sulle rinnovabili, in particolare l’eolico offshore, e all’eventualità di scansare i dazi sulle merci importate dalla Ue, in risposta ai dazi imposti dall’Europa sulle auto cinesi.

La Cina, assieme all’India, è uno dei grandi inquinatori del Pianeta. Eppure sull’elettrico è anni luce avanti rispetto a tutti i potenziali competitor. E l’Italia, che attualmente ha un solo produttore di automobili, potrebbe/vorrebbe accogliere aziende cinesi. Sembra che ce ne siano sei pronte a sbarcare da noi, agevolate dall’ok del governo e dal dialogo che sta portando avanti da mesi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy. Se da un lato è fondamentale la stabilità del sistema delle regole che sta alla base di una cooperazione non solo commerciale, dall’altro è indispensabile una certa flessibilità interpretativa per non irrigidire le posizioni. “Solo i cinesi possono produrre un’utilitaria elettrica”, ha detto Federico Visentin, presidente di Federmeccanica, certificando la superiorità tecnologica di Pechino. Tutto questo anche se il mercato dell’elettrico è in stallo per una questione di prezzo (elevato) delle autovetture, di autonomia delle stesse e di carenze di strutture, le agognate colonnine di ricarica. Rimane un dato inconfutabile: il 20% delle auto elettriche acquistate entro i confini dell’Unione europea è cinese e persino Tesla costruisce in Cina dove il costo della manodopera è inferiore.

Tornando all’Italia, il paradosso è che attualmente importiamo di più dalla Cina di quanto esportiamo in Cina (47 miliardi a fronte di 19 miliardi) e la missione della premier a Pechino va vista anche sotto questo aspetto non proprio trascurabile. Dalla Via della Seta si è passati alla Via della Meta, con l’obiettivo dichiarato di intensificare le relazioni commerciali. Meloni si è anche offerta come facilitatore dei rapporti tra la Cina e la Ue, proprio perché alcune rigidità di Bruxelles sono state mal digerite da Pechino, ma aggettivamente gli equilibri della nuova Ue non legittimano a ottimismi assortiti.

rinnovabili

Cina pigliatutto: la sua capacità rinnovabile è doppia rispetto a tutto il resto del mondo

La Cina sta consolidando la sua posizione di leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili, costruendo attualmente il doppio della capacità eolica e solare rispetto al resto del mondo. Il gigante asiatico, con la sua enorme popolazione (1,4 miliardi di persone) e il suo status di Paese manifatturiero, è il maggior emettitore mondiale di gas serra, che secondo gli scienziati stanno accelerando il cambiamento climatico. La Cina si è impegnata a stabilizzare o ridurre le proprie emissioni entro il 2030 e a diventare carbon neutral entro il 2060.

Per questo sta sviluppando fortemente la sua capacità rinnovabile: attualmente sta costruendo altri 180 gigawatt (GW) di energia solare e 159 GW di energia eolica, secondo uno studio dell’organizzazione americana Global Energy Monitor (GEM).

Secondo il rapporto, questi 339 GW “rappresentano il 64% dell’energia solare ed eolica” che è “attualmente in costruzione” sul pianeta, quasi il doppio del resto del mondo messo insieme. La Cina è seguita da Stati Uniti (40 GW), Brasile (13 GW), Regno Unito (10 GW) e Spagna (9 GW), secondo GEM, un’organizzazione che elenca i progetti di energia fossile e rinnovabile in tutto il mondo.

I 339 GW rappresentano un terzo della nuova capacità totale di energia eolica e solare annunciata dalle autorità nazionali e per la quale è stata effettivamente avviata la costruzione, “superando di gran lunga” la media globale (7%), osserva lo studio. “Il sorprendente contrasto tra queste due percentuali illustra la natura molto proattiva della Cina per quanto riguarda i suoi impegni nella costruzione di progetti di energia rinnovabile”, sottolinea la ricerca.

Tuttavia, per soddisfare la crescente domanda di elettricità, la Cina fa ancora molto affidamento sulle centrali elettriche a carbone, un combustibile fossile altamente inquinante. Inoltre, ha difficoltà a trasportare parte dell’energia rinnovabile prodotta nelle regioni remote verso i centri economici densamente popolati dell’est. Tuttavia, secondo GEM, quest’anno la capacità combinata di energia eolica e solare in Cina dovrebbe superare quella del carbone. Secondo lo studio, questa rapida espansione delle energie rinnovabili fa sperare che le emissioni cinesi raggiungano il picco prima del previsto.

In un rapporto diverso pubblicato giovedì, il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), un istituto di ricerca con sede in Finlandia, afferma inoltre che la Cina non ha rilasciato alcun nuovo permesso per progetti di acciaierie a carbone nella prima metà del 2024.

Secondo lo studio, che parla di un possibile “punto di svolta”, questo è il primo semestre in cui non sono state rilasciate autorizzazioni dal settembre 2020, quando la Cina ha annunciato i suoi impegni sulle emissioni per il 2030 e il 2060. “Con la domanda di acciaio in Cina che sta raggiungendo il picco”, c’è “un potenziale significativo per eliminare gradualmente la produzione a base di carbone, che rappresenta un’opportunità significativa per ridurre le emissioni nei prossimi 10 anni“, afferma il Crea.

La cinese Byd apre fabbrica in Turchia per non pagare dazi Ue su auto elettriche

Fatta la legge, trovato il modo per aggirarla. La scorsa settimana la Ue ha deciso dazi provvisori sui veicoli elettrici importati dalla Cina, colpendo Byd con un’ulteriore tassa del 17,4% in aggiunta all’attuale aliquota del 10%. E Byd decide di aprire uno stabilimento in Turchia, dal valore di un miliardo di dollari, per dribblare i dazi stessi. Sono infatti arrivate ulteriori conferme, dopo lo scoop di Bloomberg di venerdì, sul fatto che il primo produttore mondiale di veicoli elettrici installerà la sua fabbrica nella provincia di Manisa, vicino alla città costiera occidentale di Izmir. L’annuncio ufficiale è atteso a ore e a farlo sarà direttamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

Per gli osservatori, l’installazione di una fabbrica Byd in Turchia consentirebbe alla casa automobilistica di accedere al mercato europeo eludendo le tasse sui veicoli elettrici cinesi. D’altro canto, l’unione doganale conclusa dalla Turchia con l’UE alla fine del 1995 ha aperto il mercato europeo alle automobili “made in Turkey“, facilitando l’esportazione del 70% della produzione locale verso l’Europa occidentale. Inoltre, la Turchia ha deciso a giugno di esentare gli investimenti cinesi nel suo territorio e di non tassare le importazioni di automobili di origine cinese, al fine di incoraggiare gli investimenti.

Secondo il consulente indipendente Levent Taylan, contattato da France Presse, lo Stato turco avrebbe gentilmente fornito a Byd un terreno inizialmente assegnato al produttore tedesco Volkswagen, che aveva progettato un vasto stabilimento prima di rinunciarvi. Con Byd “sarà un investimento per il mercato turco ma soprattutto per quello europeo, eludendo le tariffe doganali imposte sui veicoli di origine cinese”, ritiene Taylan, secondo il quale Byd arriverebbe in Turchia con “un potenziale di vendita” di circa 20-25.000 veicoli/anno sul mercato locale e di circa 50-75.000 per l’esportazione nell’Ue.

Una fabbrica con una capacità installata compresa tra 100 e 125.000 veicoli all’anno sarebbe un investimento ragionevole“, giudica questo buon conoscitore del mercato automobilistico turco sentito da Afp. Per fare un confronto, la fabbrica recentemente aperta in Thailandia da Byd ha una capacità produttiva di 150mila veicoli all’anno.

La mossa a tenaglia cinese sull’Europa segue la visita del presidente Xi Jinping aveva fatto in Europa, visitando la Francia ma soprattutto Serbia e Ungheria. L’8 maggio a Belgrado, insieme al presidente serbo Aleksandar Vucic, il leader cinese firmò 29 accordi volti a rafforzare la cooperazione legale, normativa ed economica. Inoltre, un significativo accordo di libero scambio, che è iniziato l’1° luglio, consentirà l’esportazione senza dazi del 95% dei prodotti serbi verso la Cina nei prossimi cinque-dieci anni. Il giorno dopo, a Budapest, è stata invece annunciata la firma di almeno 16 accordi con il governo ungherese guidato da Viktor Orban – ora in missione a Pechino -, nei settori delle infrastrutture ferroviarie e stradali, dell’energia nucleare e ovviamente dell’automobile. Infatti proprio Byd aveva annunciato a fine 2023 che costruirà la sua prima fabbrica automobilistica in Europa a Szeged in Ungheria. La nuova struttura del colosso cinese si concentrerà sulla produzione di veicoli elettrici e ibridi plug-in destinati al mercato europeo, promettendo di generare migliaia di posti di lavoro. Il governo ungherese supporterà l’impianto con sussidi, sebbene l’importo preciso sarà annunciato solo dopo l’approvazione della Commissione europea.

Negli ultimi cinque anni l’Ungheria ha attratto circa 20 miliardi di euro di investimenti legati ai veicoli elettrici, compreso un impianto di batterie da 7,3 miliardi di euro costruito da Contemporary Amperex Technology (Catl) a Debrecen. Byd, tra l’altro, già produce autobus elettrici con successo nella città ungherese di Komarom. E per il nuovo impianto a Szeged, Orban ha destinato finanziamenti significativi per migliorare le infrastrutture intorno al parco industriale. L’apertura nella città a sud del Paese consentirà al colosso di Shenzhen di evitare tariffe di importazione. In attesa della realizzazione della fabbrica, ecco allora l’investimento in Turchia, che vanta un know-how riconosciuto nel settore automobilistico con una rete di oltre 500mila subappaltatori avendo attirato dagli anni ’70 numerosi produttori come Fiat, Renault, Ford e Toyota.

Urso a Pechino: mobilità elettrica e tecnologia green al centro della missione

Inizia la missione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in Cina: una due giorni fitta di incontri istituzionali, con imprese cinesi interessate a investire in Italia e con aziende italiane presenti nel Paese.

L’obiettivo della visita ufficiale è verificare la possibile cooperazione e le partnership industriali negli ambiti della tecnologia green e della mobilità elettrica, in cui i cinesi sono molto competitivi, così da poter realizzare in Italia una piattaforma produttiva legata a questi due settori chiave nella transizione ambientale.

Il Governo, spiega Urso, ha una “visione strategica” di come possano crescere i rapporti tra Italia e Cina e “può dare finalmente garanzie di affidabilità, stabilità e continuità, elementi fondamentali nella scelta di ogni investitore”.

Dopo essere stato accolto dall’ambasciatore Massimo Ambrosetti, il ministro ha incontrato il presidente di CCIG (China City Industrial Group), Gu Yifeng, il presidente di Chery Automobile Yin Tongyue, e la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina.

Con le due aziende cinesi si è discusso delle opportunità di investimento in Italia e si è fatto il punto sulle collaborazioni avviate. È stato, inoltre, ribadito l’impegno del governo italiano a creare un ambiente imprenditoriale favorevole e competitivo con partnership industriali che possano utilizzare anche gli strumenti agevolativi per i nuovi insediamenti produttivi, oltre ai programmi di supporto per la ricerca e lo sviluppo.

Il ministro ha poi sottolineato le opportunità offerte dall’Italia come “hub produttivo in Europa e nel Mediterraneo” e i principali punti di forza che rendono il Paese “luogo ideale per le attività sulla tecnologia green e la mobilità elettrica” anche per la presenza di una filiera produttiva e di una componentistica leader in Europa e per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo.

Nella delegazione del governo è presente anche il presidente di Anfia, Roberto Vavassori, l’associazione che rappresenta le imprese della componentistica dell’automotive. La prima giornata della missione si è conclusa con l’incontro, presso l’Istituto italiano di cultura di Pechino, con la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina. Ad accogliere il ministro i rappresentanti di molte grandi aziende e Pmi italiane. Assicurando il sostegno del governo e delle istituzioni di Roma, il ministro ha ascoltato gli imprenditori, di diversi settori produttivi, che hanno raccontato i punti di forza e le difficoltà che si riscontrano nel Paese, sottolineando la necessità di portare avanti progetti di innovazione per poter competere nel mercato cinese.

Green Deal trascurato e inevitabile tra fondi Ue e sponde capitalistiche

Secondo un parere della Commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell’Ue (Coter) del Comitato europeo delle regioni (Cdr), adottato mercoledì 3 luglio, l’Unione europea dovrebbe sostenere tutte le regioni nella realizzazione di una transizione giusta ed equa, in particolare quelle fortemente dipendenti da un unico settore economico o da industrie ad alta intensità energetica. Come sostiene la Coter, le difficoltà incontrate nell’approvazione dei piani di transizione e la riduzione dei fondi alla fine del periodo di programmazione evidenziano la necessità di prorogare il termine per l’utilizzo delle risorse del “Fondo per la transizione” nell’ambito del piano di ripresa dell’Ue di prossima generazione. Il parere invita la Commissione europea a semplificare i finanziamenti e a migliorare la trasparenza nel prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Ue post-2027. Presa a prestito da Agence Europe, uno dei punti di riferimento dell’informazione da Bruxelles e su Bruxelles, questa notizia offre lo spunto per rivisitare il Green Deal nell’ottica della Commissione che sarà.

E intanto… Manfred Weber, nominato presidente del Ppe, ha ribadito in un recente intervista che dal Green Deal non si torna indietro. Weber è stato seguito a ruota da Ursula von der Leyen che, nel delicato tentativo di mettere insieme una maggioranza non traballante, ha posto sempre il Green Deal tra le cinque priorità dei prossimi cinque anni di governo. Ovviamente ammesso che, come accade spesso nei Conclave, chi entra Papa non esca cardinale. Green Deal, per la verità, che è stato sorpassato a sinistra da altre tematiche cogenti come la competitività, la Difesa, le questioni sociali e la semplificazione normativa. Sintetizzando: la transizione verde è indispensabile ma non così indispensabile come nel 2019. Ora: cosa sia cambiato in meglio o in peggio dopo un lustro di propositi più o meno buoni è difficile da stabilire con determinazione matematica, ma che siano indispensabili delle correzioni ‘in corsa’ questo è ineluttabile.

Con o senza i Verdi, oppure anche solo con l’appoggio esterno, il Green Deal continuerà a esserci. Giusto. Ma qui si torna al punto di partenza: più delle ideologie e di certe rigide ottusità saranno i denari da investire nella transizione verde a fare la differenza. E di denari ne serviranno davvero tanti: in fondo, più le pratiche sono virtuose più i costi aumentano. Saranno determinanti i fondi privati e il buonsenso collettivo, sarà determinante coinvolgere sempre di più Cina, India e Stati Uniti in un percorso che abbia cura del Pianeta senza creare ulteriori diseguaglianze non solo tra Paesi ma tra blocchi di Paesi, come ad esempio la Ue e i Brics.

Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, scrive in un suo intervento che “dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni ‘grandi vecchi’, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi”. Cita Noam Chomsky e Robert Pollin e giunge a sostenere che Occidente e Stati Uniti andranno avanti ma dovranno fare i conti con il popolo. “’Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?, è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste”, sottolinea Gozzi.

Non è indispensabile essere d’accordo, è fondamentale riflettere. E fornire risposte concrete. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi, “non ci sono più le stagioni di una volta” direbbe qualcuno, ed è una evidenza che si abbatte sulle economie, sul turismo, sull’agricoltura. Come se ne esce? E’ chiaro che ricerca, innovazione, nuove tecnologie, rinnovabili, nucleare sono gli ingredienti indispensabili di una ricetta che, comunque, dovrà avere il sostegno economico di Stati e di industrie. Finanziare il futuro delle generazioni future: non è uno slogan ma una necessità. Insomma, adelante ma con juicio.

Urso da oggi in missione in Cina: focus su tecnologia green e auto elettriche

Chiuso l’accordo sulla via della Seta, il governo italiano torna in Cina. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, al termine del Consiglio dei ministri di oggi, partirà per Pechino per una missione ufficiale di due giorni. L’obiettivo del viaggio, spiega il Mimit, è quello di favorire un “bilanciamento dei rapporti” tra i due Paesi, ponendo le basi per un nuovo corso sulle “sinergie industriali“.

Giovedì 4 luglio scatteranno i dazi provvisori dell’Unione europea sui veicoli elettrici Made in China, compresi tra il 17,4% e il 38,1%, oltre alla tariffa standard del 10% per le importazioni di auto. Una misura presa per limitare la concorrenza sleale nel comparto. La Commissione europea ha annunciato i risultati preliminari di un’indagine ancora in corso sulle sovvenzioni concesse dalla autorità di Pechino ai produttori cinesi di veicoli elettrici. Secondo il dossier, i principali marchi cinesi ricevono sussidi definiti come “ingiusti e dannosi per la concorrenza dei produttori europei“.

La visita di Urso si concentrerà su una serie di dossier riguardanti le partnership industriali negli ambiti della tecnologia green e, appunto, della mobilità elettrica, degli accordi riguardanti la proprietà intellettuale e sulla cooperazione tra le Pmi. Nella due giorni, il titolare di Palazzo Piacentini incontrerà il ministro dell’Industria e delle Tecnologie per l’Informazione della Repubblica Popolare Cinese, Jin Zhuanglong e terrà diverse riunioni con player industriali. Tra queste, gli incontri annunciati sono con il presidente di CCIG (China City Industrial Group), Gu Yifeng; il presidente della società automobilistica Chery, Yin Tongyue; il presidente di Ming Yang, Zhang Chuanwei; il presidente di Weichai, Tan Xuguang e i vertici della società JAC.

Urso conosce bene la Cina, dove è stato più volte dal 2001. Nel corso di questo mandato ha avuto un bilaterale con il segretario del Partito Comunista Cinese in seno alla municipalità di Pechino e numero quattro del Politburo, Yin Li, e ha incontrato più volte l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide, con il quale ha condiviso il programma della missione. Negli ultimi mesi il ministro ha inoltre ricevuto a Roma decine di imprese cinesi, tra le quali Chery, Dongfeng Motor, CCIG. Nei suoi precedenti incarichi di governo Urso è stato più volte in missione in Cina con le imprese italiane e ha incontrato i rappresentanti del governo di Pechino nelle loro frequenti missioni in Italia e in tanti vertici internazionali, sin dalla ministeriale di Doha nel Qatar del 2001, quando la Cina fu accolta nel WTO.

auto elettrica

La Cina ha speso 230 miliardi di dollari per diventare leader nelle auto elettriche

La Commissione Europea ha annunciato l’imposizione di dazi dal 17,4% al 38,1% sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Questa mossa rappresenta una risposta diretta ai sussidi industriali cinesi, che l’Unione Europea considera pratiche commerciali sleali. Anche gli Stati Uniti hanno preso provvedimenti simili a metà maggio, imponendo tariffe del 100% sui veicoli elettrici e del 25% sulle batterie dei veicoli elettrici importati dalla Cina. A sua volta Pechino difende le sue crescenti esportazioni di veicoli elettrici come il riflesso di un naturale vantaggio comparativo e dell’alta qualità dei prodotti delle sue aziende.

Un report del Center for Strategic and International Studies (Csis) osserva che entrambe le prospettive contengono elementi di verità: i veicoli elettrici cinesi hanno indubbiamente beneficiato di un massiccio sostegno della politica industriale cinese, ma al contempo la qualità di questi veicoli è migliorata notevolmente, rendendoli sempre più attraenti sia per i consumatori nazionali che esteri. Andando ai numeri, l’analisi del Csis rivela che, dal 2009 al 2023, il governo cinese ha destinato complessivamente 230,8 miliardi di dollari al settore dei veicoli elettrici. Durante i primi nove anni (2009-2017), il finanziamento annuo era di circa 6,74 miliardi di dollari, poiché il settore era ancora agli albori. Tuttavia, la spesa è circa triplicata nel periodo 2018-2020, per poi aumentare ulteriormente a partire dal 2021.

Il sostegno governativo cinese alle auto elettriche si è concretizzato attraverso diverse forme di incentivazione: sconti per gli acquirenti a livello nazionale, esenzione dall’imposta sulle vendite del 10%, finanziamenti per le infrastrutture di ricarica, programmi di ricerca e sviluppo per i produttori di veicoli elettrici e appalti pubblici di veicoli elettrici. Tra queste misure, gli sconti per gli acquirenti e le esenzioni fiscali hanno rappresentato la stragrande maggioranza del sostegno al settore. Tuttavia, nel 2022, il governo centrale cinese ha ridotto gli sconti per gli acquirenti a causa degli elevati costi e del desiderio di vagliare il campo dei produttori, eliminandoli del tutto a partire dal 2023. Nonostante ciò, il CSIS considera le sue stime altamente conservative, poiché non includono altri tre tipi di supporto significativo.

In primo luogo, alcune località cinesi come Shanghai, Shenzhen e il distretto di Changping a Pechino hanno continuato a offrire modesti programmi di sconti per incoraggiare i proprietari di veicoli a combustione interna a passare ai veicoli elettrici. In secondo luogo, il report non include il valore del supporto fornito attraverso terreni a basso costo, elettricità agevolata e credito, che sono difficili da quantificare ma rappresentano un contributo sostanziale per alcuni produttori di veicoli elettrici. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha indicato che nel 2022 il settore automobilistico cinese ha beneficiato di prestiti con tassi di interesse intorno al 2%, circa la metà della media ponderata di tutti i prestiti commerciali e industriali.

Inoltre, alcuni produttori privati di veicoli elettrici hanno ricevuto finanziamenti azionari da enti statali. Un esempio significativo è rappresentato da Nio, che nel 2020 ha ottenuto un’iniezione di 5 miliardi di yuan dal governo municipale di Hefei in cambio di una partecipazione del 17% nel core business dell’azienda. Successivamente, Hefei ha incassato la maggior parte delle sue partecipazioni nel 2022. Le stime del Csis non includono nemmeno i sussidi destinati ad altre parti della catena di approvvigionamento, come i minatori e i trasformatori di materie prime, i produttori di sostanze chimiche e i produttori di batterie. Ad esempio, i rapporti annuali di CATL, leader nel mercato cinese e globale delle batterie, mostrano un aumento dei sussidi governativi da 76,7 milioni di dollari nel 2018 a 809,2 milioni di dollari nel 2023. Anche EVE Energy, quarto produttore di batterie in Cina, ha ricevuto sussidi per 208,9 milioni di dollari nel 2023. Il report del Ccis suggerisce inoltre che il sostegno combinato di questi diversi tipi di finanziamento è considerevole, con il credito a basso costo e gli investimenti azionari che probabilmente hanno avuto l’impatto maggiore per i produttori di veicoli elettrici. I crescenti sussidi ai produttori di batterie potrebbero indicare uno spostamento del sostegno governativo verso questi ultimi.

Secondo il Csis, esistono almeno due modi diversi di interpretare i dati sul sostegno della politica industriale ai produttori di veicoli elettrici. Da un lato, i partner commerciali della Cina potrebbero evidenziare come quindici anni di sostegno normativo e finanziario abbiano sostanzialmente alterato il campo di gioco, rendendo molto più difficile per gli altri paesi competere sia in Cina che nei mercati globali. Dall’altro lato, i difensori della Cina potrebbero sottolineare che i sussidi come percentuale delle vendite totali sono diminuiti sostanzialmente, passando da oltre il 40% nei primi anni a solo l’11,5% nel 2023. Questo rifletterebbe un modello di sostegno intensivo iniziale, tipico delle industrie nascenti, seguito da una graduale riduzione man mano che il settore matura. Inoltre – conclude il Csis – il supporto medio per veicolo è sceso da 13.860 dollari nel 2018 a poco meno di 4.600 dollari nel 2023, inferiore al credito di 7.500 dollari previsto dall’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti per gli acquirenti di veicoli idonei.

Contromossa della Cina dopo dazi su auto elettriche: “Inchiesta anti dumping su importazione di carne suina europea”

La Cina ha annunciato lunedì di aver avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne suina e prodotti derivati dall’Unione Europea. Il ministero del Commercio “ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale e prodotti derivati dall’Unione Europea”, ha dichiarato in un comunicato.

L’annuncio arriva nel contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. La scorsa settimana l’Ue ha dichiarato che avrebbe imposto ulteriori dazi doganali sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi a partire dal mese prossimo, a seguito di un’indagine antisovvenzioni avviata nel settembre 2023. I veicoli prodotti nelle fabbriche cinesi sono stati finora tassati nell’Ue con un’aliquota del 10%. Bruxelles prevede di aggiungere dazi compensativi del 17,4% per il produttore cinese BYD, del 20% per Geely e del 38,1% per SAIC, al termine di quasi nove mesi di indagine.

Pechino ha immediatamente denunciato il “comportamento puramente protezionistico” degli europei, avvertendo che avrebbe preso “tutte le misure per difendere fermamente i suoi diritti legittimi”. A gennaio aveva già aperto un’indagine antidumping sui brandy europei, compreso il cognac francese. Avviata in seguito a un reclamo dei professionisti cinesi del settore alcolico, questa procedura è vista dagli osservatori anche come una misura di ritorsione nei confronti dell’indagine europea sui sussidi alle auto elettriche prodotte in Cina, ampiamente sostenuta dalla Francia.

Contestualmente, il Paese asiatico ha reagito con forza alla dichiarazione finale del G7, definendola “piena di arroganza, pregiudizi e bugie”. I leader riuniti a Borgo Egnazia hanno espresso la loro “preoccupazione per le politiche e le pratiche non di mercato” che stanno portando a “conseguenze globali, distorsioni del mercato e dannose sovraccapacità in un numero crescente di settori”. Il G7 ha inoltre esortato Pechino ad “astenersi da misure di controllo delle esportazioni, in particolare sui minerali critici, che potrebbero generare interruzioni significative nella catena di approvvigionamento globale”, dal momento che il Paese impone restrizioni alle esportazioni di minerali cruciali per settori come i veicoli elettrici e le telecomunicazioni.