Coldiretti, 300mila firme per avvio campagna etichette. Lollobrigida: “Tagli? Nulla da temere”

Coldiretti spegne le sue prime 80 candeline. Per celebrare l’anniversario dalla fondazione, avvenuta nell’ottobre 1944 grazie alla ferma volontà di Paolo Bonomi, l’associazione sceglie di dare il via alla raccolta digitale delle firme per una legge di iniziativa popolare che acceleri la riforma del Codice doganale, con l’obbligo dell’etichetta d’origine a livello europeo su tutti gli alimenti in commercio. La base di partenza è consistente, perché nei mercati e tra i cittadini con i gazebo sono state già raccolte 300mila firme.

“Siamo per la trasparenza, perché crediamo sia un diritto di ogni persona conoscere da dove proviene il cibo che mangia”, dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, aprendo il suo intervento con un ricordo di Satnam Singh, mentre in platea ascoltano il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.

Sono tanti i dossier su cui lavora la confederazione, per un comparto agroalimentare che genera un valore economico di “620 miliardi e 4 milioni di occupati” e che quest’anno, rivela Prandini, raggiungerà “70 miliardi di esportazioni”. Numeri positivi, ma che il numero di Coldiretti ritiene “ancora non sufficienti rispetto alle difficoltà che i nostri imprenditori stanno attraversando, visto che il 2024, purtroppo, si caratterizza ancora con un danno economico nella filiera di 8,5 miliardi, a causa delle avversità del maltempo”.

Proprio per questo motivo l’associazione torna a chiedere “un grande piano per la realizzazione di bacini di accumulo” che eviti la dispersione di acqua, senza la quale “non c’è industria, non c’è sviluppo e non ci sarà nemmeno Intelligenza artificiale, perché sappiamo quanta acqua è necessaria per il suo funzionamento”. Sempre sulle infrastrutture, Prandini chiede lo sviluppo di quelle ferroviarie per il trasporto delle merci su rotaie, tema strettamente collegato a quello dei porti.

Anche nelle scuole serve “formazione culturale” sul cibo secondo Coldiretti, che individua le mense come “luogo attivo”, anche per “contrastare quel fenomeno sempre più diffuso dell’obesità infantile, collegato ad una cattiva alimentazione”.

L’associazione, poi, ribadisce la lotta alle produzioni in laboratorio, per difendere l’agricoltura familiare, “che nel mondo rappresenta l’80% delle aziende”. E poi c’è la nuova Europa, che per Coldiretti non è in discussione e parte col piede giusto sulla ripartizione del valore all’interno della filiera agroalimentare, ma deve ancora dimostrare tanto: “Deve andare oltre e iniziare a dare garanzie, ad esempio, sullo stanziamento economico per la Pac, di cui non abbiamo ancora certezza”. Una riflessione che condivide anche Lollobrigida: “Senza Europa non andiamo da nessuna parte, ma allo stesso modo mi permetto di dire che l’Europa senza Italia non va da nessuna parte”.

Nella festa di Coldiretti c’è spazio anche per la prossima legge di Bilancio. Prandini chiede di non tagliare o ridimensionare le misure sull’agricoltura, ma anzi investire, soprattutto in ricerca e formazione. Sullo sfondo, però, c’è la spending review a cui lavora il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, anche se Lollobrigida rassicura: “Non c’è niente da temere, Giorgetti ha sempre avuto un approccio costruttivo”.

Il responsabile del Masaf assicura che gli investimenti proseguiranno e, anzi, vuole prendere spunto dalla riforma agraria voluta fortemente proprio da Coldiretti nel Dopoguerra “per guardare, oggi, a quei terreni incolti che potrebbero tornare nella disponibilità di chi li vuole lavorare, magari i giovani”. Sul piano generale, Lollobrigida definisce “nemica di Paesi esportatori come l’Italia” l’ipotesi di mercati chiusi, ma allo stesso tempo “immaginarne un mercato aperto senza regole non è la cosa più intelligente da fare”. Serve, però, la reciprocità, o meglio clausola a specchio, come garanzia. Anche sul Servizio civile in agricoltura il ministro chiarisce: “Non è lavoro, ma valorizzazione di un’esperienza che tanti giovani italiani potranno fare”.

La partita sul settore primario entra nel vivo dell’autunno politico ed economico, dunque. In attesa di conoscere la Manovra 2025 e, soprattutto, di capire quali mosse l’Ue metterà in campo.

Allarme climatico di Coldiretti: -32% produzione di olio d’oliva a causa della siccità

La produzione di olio d’oliva italiano è attesa in calo di circa il 32% a causa della siccità che ha colpito le principali regioni produttrici, come Puglia e Sicilia. Questo allarmante dato è stato presentato da Coldiretti, Unaprol e Ismea durante il G7 dell’Agricoltura a Siracusa, in coincidenza con l’avvio della raccolta, anticipata di 15-20 giorni a causa delle temperature record che hanno accelerato la maturazione delle olive. Le stime per il 2024 indicano una produzione di circa 224 milioni di kg di olio d’oliva, un dato che relegherebbe l’Italia al quinto posto nella classifica dei maggiori produttori mondiali.

A pesare su questa situazione è soprattutto il crollo della produzione in Puglia, che da sola rappresenta circa un terzo degli uliveti nazionali. Qui, la fioritura e l’allegagione sono state scarse, con piante che hanno subito stress idrico a causa delle scarse piogge estive e delle alte temperature. Anche in Calabria e Sicilia la situazione è critica, sebbene le perdite siano meno gravi rispetto a quelle della Puglia. In Calabria, l’assenza di piogge ha aggravato lo stress idrico, con una caduta precoce delle olive nei frutteti più giovani. In Sicilia, sebbene la fioritura sia stata buona, una parte della produzione si è persa a causa della cascola dei frutticini, accentuata dalla siccità di agosto

Tuttavia, non tutte le notizie sono negative. Le regioni del Nord e del Centro Italia hanno registrato un incremento record della produzione, con un aumento rispettivo del 75% e del 70% rispetto a un 2023 deficitario. Inoltre, la qualità dell’olio d’oliva italiano si preannuncia ottima – evidenzia l’analisi – grazie “all’impegno delle circa 400.000 aziende agricole nazionali che producono un olio di alta qualità. L’Italia continua a mantenere la leadership in Europa per il numero di oli extravergine a denominazione di origine (43 Dop e 4 Igp), supportata da un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, rappresentando un tesoro di biodiversità unico al mondo”.

David Granieri, vicepresidente di Coldiretti e presidente di Unaprol, ha evidenziato come, nonostante la crisi, l’olio extravergine d’oliva 100% Made in Italy sia stato l’unico a vedere un incremento nei consumi lo scorso anno. “Un risultato che evidenzia come il nostro Evo non debba essere considerato più una commodity legata alla logica del prezzo, ma un vero e proprio alimento, che peraltro innumerevoli studi indicano come prezioso elisir di lunga vita, oltre che caposaldo della Dieta Mediterranea. Da qui la necessità di tenere alta la guardia contro ogni tentativo di speculazione che possono trovare terreno fertile – sottolinea Granieri – nella scarsità di prodotto a livello mondiale, nell’inevitabile incremento delle quotazioni e nella riduzione del differenziale di prezzo tra l’olio extravergine italiano e quello dei principali paesi produttori”. In questo contesto, Unaprol e Coldiretti si stanno adoperando per combattere le frodi, che tendono ad aumentare in periodi appunto di scarsità. Le due associazioni hanno proposto di abbassare i parametri di acidità per l’olio extravergine d’oliva da 0,8% a 0,5% e hanno lavorato per un nuovo decreto sulla registrazione delle olive, aumentando trasparenza e tracciabilità nel mercato.

Resta però il tema dei cambiamenti climatici. Coldiretti e Unaprol chiedono dunque un’accelerazione nei piani per la gestione della risorsa idrica per realizzare “invasi con pompaggi e cambiare passo per una gestione programmata dell’acqua, senza la quale anche l’olivicoltura italiana non può più garantire una produzione costante e di qualità”.

 

Sostenibile, equa e competitiva: appello delle associazioni al G7 per un’agricoltura resiliente

Serve “un approccio centrato sugli agricoltori per costruire sistemi alimentari locali sostenibili, resilienti e competitivi. Questi sistemi sono fondamentali per valorizzare il lavoro degli agricoltori, garantire catene del valore eque e contribuire alla sicurezza alimentare globale”. Parte da qui la dichiarazione congiunta firmata questa mattina dalle principali organizzazioni in occasione del G7 delle associazioni agricole, organizzato e guidato da Coldiretti, che si è svolto a Siracusa. Il documento è stato consegnato al ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, presidente di turno del G7 agricolo e a John Steenhuisen, ministro dell’Agricoltura del Sud Africa, per poi essere trasferito a tutti i ministri.

L’evento è stato l’occasione per ricordare “il ruolo cruciale” che gli agricoltori e le loro organizzazioni svolgono nella costruzione di sistemi alimentari resilienti, inclusivi e sostenibili e l’appello arriva in un momento critico, segnato dall’instabilità geopolitica e dalla crescente crisi climatica. La dichiarazione congiunta, sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale degli Agricoltori (WFO), non solo riflette la voce collettiva degli agricoltori del G7, ma si allinea anche all’impegno della comunità agricola globale per sistemi alimentari sostenibili.

Le raccomandazioni chiave delineate nella dichiarazione includono “maggiori investimenti pubblici in pratiche agricole sostenibili e rispettose del clima, il rafforzamento del commercio internazionale equo basato sulla reciprocità e sulla trasparenza, e il progresso dell’innovazione incentrata sugli agricoltori che colmi il divario tra produttori e comunità di ricerca”.

Si richiama inoltre a “un approccio equilibrato” ai sistemi alimentari, investendo sia in filiere del valore locali corte che supportano comunità floride, sia in filiere del valore internazionali lunghe ed eque, che garantiscano trasparenza ed equità nel commercio globale. Queste misure “sono cruciali non solo per i Paesi del G7, ma anche per l’impegno globale volto a rispondere alla duplice sfida di nutrire una popolazione in crescita e mitigare i cambiamenti climatici”.

“Abbiamo voluto allargare i nostri lavori anche al tema dell’Africa, perché vediamo tutte le potenzialità di un continente dove uno sviluppo agricolo equo può diventare una risposta concreta alla fame, alla necessità di occupazione e alle spinte migratorie”, ha detto Ettore Prandini, presidente Coldiretti. “Ora – ha aggiunto – dobbiamo lavorare insieme per un’agricoltura che sia sostenibile, equa, in grado di rispondere alle sfide globali, partendo dal garantire un giusto reddito agli agricoltori. Solo attraverso un’azione coordinata potremo garantire la sicurezza alimentare per le generazioni future, per questo abbiamo proposto agli altri colleghi il tavolo permanente”.

Per Cristiano Fini, presidente della Cia-Agricoltori italiani, “senza agricoltura non c’è futuro, ma per continuare a garantire la sicurezza alimentare globale dobbiamo sostenere i produttori, assicurare un reddito equo, investire nelle aree interne, combattere il consumo di suolo e promuovere l’innovazione contro i cambiamenti climatici”.

Luigi Scordamaglia, responsabile delle politiche internazionali di Coldiretti e Ceo di Filiera Italia, è stato coordinatore dei lavori per la dichiarazione congiunta, alla quale si è arrivati “partendo da posizioni inizialmente divergenti”. “Abbiamo detto no a un mondo frammentato in blocchi geografici in costante conflitto commerciale, con dazi e barriere – ha ricordato – e abbiamo riaffermato la necessità di un multilateralismo inclusivo che coinvolga anche il Sud del mondo. Condividiamo valori, standard e obiettivi comuni, riconoscendo gli agricoltori come attori chiave nelle sfide sociali e ambientali globali”. 

Coldiretti contro l’arrivo in Italia del cibo ‘fake’, blitz nei porti di Bari e Salerno

Photo credit: Coldiretti

 

No fake in Italy“, “Stop falso cibo italiano“, “Basta import sleale“: sono solo alcune delle grida di battaglia lanciate da Coldiretti dal Brennero, che ora arrivano anche nei porti di Bari e Salerno. Sono proprio Puglia e Campania i teatri dei blitz dei coltivatori diretti per impedire l’arrivo in Italia di “importazioni sleali fatte con lo sfruttamento dei lavoratori cinesi o senza rispettare gli standard europei“, come spiega il presidente, Ettore Prandini.

Entrando nel dettaglio, l’azione messa in campo a Bari è servita a denunciare l’arrivo in rada della “nave fantasma” con a bordo grano turco “di cui si erano perse le tracce dopo che aveva lasciato la Tunisia, da cui risulta sia stata respinta” spiega l’associazione. Sottolineando che l’arrivo allo scalo pugliese sarebbe avvenuto toccando le coste della Grecia. A Bari, però, sono salpate le imbarcazioni degli agricoltori di Coldiretti “decise a denunciare queste pratiche che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di centinaia di nostre aziende, facendo crollare i prezzi del prodotto italiano proprio alla vigilia dei raccolti“. I dati parlano chiaro: nel 2023 l’import di grano duro dalla Turchia è aumentato oltre l’800%, dalla Russia di oltre il 1000%, dal Kazakistan del 170 percento e dal Canada del 47, sebbene sia trattato con glifosato secondo modalità vietate a livello nazionale. Inoltre, solo nei primi 2 mesi del 2024 sono arrivati quasi 35 milioni di chili di frumento duro, lo stesso quantitativo dell’intero 2022.

Vogliamo che venga rimesso in discussione il principio del codice doganale sull’origine dei cibi, dove ciò che conta è solo l’ultima trasformazione“, dice ancora Prandini in audizione sul decreto Agricoltura davanti alla commissione Agricoltura del Senato. Il numero uno di Coldiretti apprezza l’apertura del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: “Per noi è la madre di tutte le battaglie a livello europeo. Non può e non deve essere l’ultima trasformazione, ma il prodotto che viene utilizzato, che ne deve esaltare l’italianità“.

Proprio per questo motivo i blitz. Il secondo dei quali è avvenuto a Salerno, con gommoni e imbarcazioni sui quali gli associati hanno contestato l’arrivo nei pressi del porto di una nave con 40 container di concentrato di pomodoro cinese, accusato di essere ottenuto con lo sfruttamento del lavoro delle minoranze. Un carico che ha iniziato il suo viaggio lo scorso 29 aprile sul treno della China-Europe Railway Express per essere poi trasferito sull’imbarcazione che è poi approdata in Campania dopo un viaggio di oltre diecimila chilometri tra binari e mare. “Il 90% del concentrato di pomodoro cinese destinato all’esportazione viene dai campi della regione dello Xinjiang, dove verrebbe coltivato grazie al lavoro forzato degli uiguri“, denuncia Coldiretti. Lo scorso anno l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro trasformato cinese, proveniente in gran parte proprio dallo Xinjiang nonostante il fatto che gli Stati Uniti ne abbiano vietato l’importazione sul proprio territorio dal gennaio 2021 per evitare di sostenere il lavoro forzato.

A Salerno è anche il Masaf a muoversi, come conferma il ministro Lollobrigida a GEA, a margine di una visita nel Viterbese. “Ieri abbiamo avuto la segnalazione di una nave che stava per arrivare, che ha chiesto l’autorizzazione a entrare in porto e penso che quando ha saputo che avremmo controllato fino all’ultimo dettaglio del grano che portava e che era stato rifiutato dalla Tunisia, ha girato e se n’è andata. Ma potrebbe avere anche cambiato idea per altre ragioni, non lo sappiamo“. Comunque, assicura, “quel grano non sbarcherà in Italia“. Lollobrigida ribadisce l’impegno sulla “richiesta di revisione del codice doganale” e assicura: “Con noi i controlli sono aumentati. Non accetteremo che la concorrenza sleale dei paesi che non rispettano le stesse regole che imponiamo ai nostri agricoltori e allevatori desertifichi il nostro sistema produttivo“.

Piano Mattei, seconda cabina di regia: dossier presto in Parlamento, poi Dpcm

Il documento di sintesi è in fase di scrittura, ma una “versione consolidata” del Piano Mattei è stata analizzata nella seconda cabina di regia a Palazzo Chigi dopo le osservazioni della prima riunione.

Il dossier sarà poi trasmesso al Parlamento per la formulazione del parere delle commissioni competenti e, alla fine, ci sarà un decreto della presidente del Consiglio.
A presiedere la seconda riunione, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che coordina attorno al tavolo i ministeri coinvolti, la conferenza delle Regioni, i rappresentanti delle diverse agenzie e società dello Stato e delle imprese a partecipazione pubblica, dell’università, della ricerca, del terzo settore e di aziende private che si occupano di cooperazione e sviluppo.

Il Piano, sul campo, è partito con due missioni della premier in Egitto (17 marzo) e in Tunisia (17 aprile), che hanno permesso la firma di intese in alcuni dei settori di intervento: agricoltura, acqua, formazione.

Fuori da Palazzo Chigi, viene esposta l’Alfa Romeo Giulietta anni ’50, appartenuta a Enrico Mattei, su iniziativa dell’Ente Stati Generali del Patrimonio Italiano, con Aci e Intergruppo Parlamentare del Patrimonio Italiano, in occasione dell’approssimarsi della ricorrenza della nascita del fondatore dell’Eni (29 aprile 1906). E’ presente la famiglia, che attende di conoscere il Piano. “Ci fa grande piacere che la famiglia sia qui, sostenga un Piano strategico italiano, mi auguro possa essere parte di un grande Piano europeo e occidentale. Che la famiglia ci incoraggi è un fatto più che positivo“, osserva Tajani, dopo essersi intrattenuto brevemente con la nipote dell’industriale.

All’interno del Piano il ministero dell’Ambienteintende contribuire significativamente allo sviluppo sostenibile e alla transizione energetica dell’Africa“, assicura durante il vertice la viceministra Vannia Gava, che sottolinea il ruolo decisivo del Fondo Italiano per il Clima, con una dotazione incrementata a 4,4 miliardi di euro e che, nella fase di individuazione degli interventi, “dovrà coinvolgere tutti i possibili stakeholders“, informa. Il tema sarà centrale anche nella ministeriale G7 Clima Ambiente Energia dei prossimi giorni a Torino, che si concluderà con l’impegno a supportare i Paesi in via di sviluppo, rafforzando i partenariati sul fronte energetico e dell’economia circolare e confermando, spiega Gava, “un approccio concreto e non predatorio che assicuri opportunità di crescita, sviluppo e stabilità sociale e politica del continente africano”.

L’importanza di un nuovo modello di partenariato è rimarcata anche da Tullio Ferrante, sottosegretario al ministero dei Trasporti: “È una svolta storica nelle relazioni con il Continente africano che consentirà di attuare progetti di investimento e sviluppo senza precedenti“, scandisce. In questa cornice, le infrastrutture rappresentano un asse che considera “trasversale” a tutti gli ambiti di intervento e rivestono un ruolo “strategico”, rivendica, per la realizzazione del Piano.
L’obiettivo di Roma è quello di contribuire alla modernizzazione delle infrastrutture in Africa mettendo a disposizione il know-how delle proprie imprese, presenti nel Continente da diversi anni e impegnate con cantieri attivi per oltre 12 miliardi di euro. L’Africa è infatti la seconda area geografica per attività all’estero delle società di ingegneria, architettura e consulenza italiane.

Centrale è anche l’alta formazione. “Dall’azione messa in campo dal MUR arriverà un potente innesto di idee“, garantisce la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. L’intenzione è dare stabilità ai progetti affinché producano “effetti positivi di lungo termine“. Si cercherà quindi di incardinare infrastrutture di ricerca.
Al momento, il Mur è concentrato in una “profonda azione di mappatura, mai realizzata in precedenza, del grande patrimonio esistente di legami tra Italia e Africa in termini di formazione superiore e ricerca“, fa sapere Bernini. La mappatura ha rivelato un quadro diversificato, di collaborazioni già in atto in Africa. C’è una forte presenza delle università italiane, con quasi mille (991) accordi sottoscritti con atenei africani negli ultimi 30 anni, e oltre 200 progetti di cooperazione attivati di recente (ultimi 5 anni) in oltre 30 Paesi africani.
Nella missione del 17 aprile in Tunisia, è stato firmato un Memorandum of Understanding su università, ricerca scientifica, sviluppo tecnologico e innovazione con l’omologo tunisino, Moncef Boukthir. Il 30 aprile si terrà un incontro a Roma con l’omologo del Marocco, con la firma di un MoU simile, così come quello in programma nella visita in Algeria, in negoziato. Contatti sono avviati anche con la Libia e con altri Paesi-pilota nell’Africa subsahariana. E’ di marzo il memorandum sottoscritto dal Mur con la Fondazione MedOR per l’organizzazione di un roadshow per promuovere la nuova Infrastruttura Tecnologica di Innovazione Future Farming, progetto pubblico-privato di punta nel settore dell’agricoltura del futuro, nato grazie a un cofinanziamento del Ministero dell’Università a valere sui fondi Pnrr con la Ca’ Foscari. C’è attesa per il G7 Scienza e tecnologia che si terrà a luglio a Bologna, con una sessione sull’Africa che vedrà la partecipazione di Unione Africana e Unesco.

Tra le associazioni presenti al tavolo, quelle che rappresentano il macroambito dell‘agricoltura. “E’ un passo avanti ulteriore per quanto riguarda l’entrata nei progetti concreti che potranno essere presentati per i vari settori produttivi“, sostiene il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, uscendo da Palazzo Chigi. Per l’agricoltura, osserva, “diventa un’ulteriore opportunità per mostrare un’eccellenza che può essere esportata come modello nel far crescere popoli che grazie all’agricoltura possono avere un rilancio e un futuro diverso rispetto a quello che stanno vivendo“. Ovviamente, avverte, con un “aspetto culturale e un impronta politica completamente diversa a quello che ha fatto la Cina o che sta facendo la Russia, che invece ha più una volontà di colonizzare questi territori e portar via l’unica ricchezza che può dare crescita e sviluppo a quel territorio“.
Puntare su un continente in netta e continua crescita dal punto di vista demografico, con una popolazione che nel 2050 sfiorerà i 2 miliardi di abitanti, e con un aumento del Pil che nel 2024 viaggia su una media del 5,5%, è “fondamentale per diversificare e ampliare i mercati del nostro interscambio commerciale, andando al contempo a promuovere la cooperazione allo sviluppo e l’eccellenza e l’unicità del nostro know how”, evidenzia il presidente della Copagri Tommaso Battista, che però mostra alcune preoccupazioni sugli obiettivi legati, in particolare, al principio di reciprocità, il cui mancato o parziale rispetto “potrebbe rappresentare un serio pericolo per i produttori agricoli e i consumatori”, fa notare.
E’ stato dato un impulso operativo – fa eco il presidente di Cia-Agricoltori italiani, Cristiano Fini – si lavorerà molto su formazione, sull’agritech e per cercare di portare il know-how italiano sul territorio africano per far crescere in loco la popolazione“.

Prima giornata del Made in Italy. Meloni: “Saremo implacabili contro Italian sounding”

Nell’anniversario della nascita di Leonardo Da Vinci, l’Italia celebra la prima Giornata nazionale del Made in Italy. Un’occasione per “evidenziare l’eccellenza, la creatività e l’ingegno che contraddistinguono i prodotti italiani nel mondo e per ispirare e coinvolgere le nuove generazioni alle professioni tipiche che ne sono a fondamento“, spiega Adolfo Urso, promotore dell’iniziativa.

Dalla moda al design, dal cibo all’arte, il Made in Italy è il frutto di una tradizione millenaria e di una “costante ricerca di innovazione“, evidenzia il ministro delle Imprese. Un patrimonio prezioso, che, assicura, “ci rende orgogliosi di essere italiani e che contribuisce in modo significativo all’economia del nostro Paese”.
Centinaia gli eventi realizzati in ogni Regione, per mostrare le specificità e le tipicità dei singoli territori.

Dal Vinitaly di Verona, la premier Giorgia Meloni promette un impegno “implacabile” nella lotta alla contraffazione e all’Italian sounding, che “ogni anno drena dal sistema Italia decine di miliardi di euro e compromette la qualità della nostra eccellenza del nostro nome“, denuncia. E giura che non si faranno sconti a chi “pensa di poter usare il nome italiano per vendere prodotti che non hanno neanche lontanamente l’eccellenza che l’Italia può vantare”.

Con la presidente del Consiglio al Vinitaly anche il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che parte dallo stand di Coldiretti per ricordare quanto sia fondamentale acquisire “maggiore consapevolezza di quello che abbiamo“, scandisce. Anche Lollobrigida parla della necessità di difendere la qualità dei prodotti e del pericolo dell’italian sounding. Ecco perché, sottolinea, a livello internazionale “bisogna creare sempre più una condizione di trasparenza“, con un processo produttivo e di trasformazione leggibile, in modo che le persone possano scegliere che cosa comprare e quanto pagarlo.

Gli agricoltori e i trasformatori italiani hanno costi maggiori degli altri non perché siano meno bravi a gestire un’azienda, ma perché, afferma “rispettano l’ambiente, i diritti dei lavoratori, pagano tasse alte per garantire l’equilibrio sociale“. Quel prezzo, ricorda Lollobrigida, “dietro di sé ha tutto questo, mentre i prezzi di prodotti di altre nazioni non hanno tutto questo tipo di attenzione e tutela a qualcosa che abbiamo costruito con la nostra civiltà e quindi proteggere il valore aggiunto del made in Italy è un dovere per garantire un processo culturale che metta tutti nella condizione di guardare all’Italia come esempio“.

Per l’agroalimentare italiano si profila un nuovo record. Nel 2023 le esportazioni hanno raggiunto i 64 miliardi di euro, circa il 10% sul totale delle vendite all’estero dell’Italia. “Alla fine di quest’anno potrebbero far registrare un ulteriore aumento in valore nell’ordine di sei punti percentuali”, evidenzia il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Sulle prospettive dell’economia pesano le crescenti tensioni internazionali, l’aumento del costo dei trasporti navali e dei prodotti energetici, ma se le previsioni saranno confermate, risulterebbe sostanzialmente colmato il divario nei confronti della Spagna: “Un risultato che sembrava fuori portata fino a pochi anni fa”, sottolinea.

E’ il cibo la prima ricchezza dell’Italia con un valore della filiera agroalimentare allargata che ha superato i 600 miliardi di euro e rappresenta il simbolo più noto del Paese all’estero, conferma l’analisi Coldiretti. Il Made in Italy dal campo alla tavola vede complessivamente impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. “Un record – evidenzia Coldiretti – trainato da un’agricoltura che è la più green d’Europa con la leadership Ue nel biologico con 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (325), 529 vini Dop/Igp e 5547 prodotti alimentari tradizionali e con Campagna Amica la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori“.

Primati che vanno, appunto, difesi dal fenomeno del ‘fake in Italy’, il cibo straniero spacciato per italiano sfruttando il concetto di ultima trasformazione sostanziale per gli alimenti, quello che tecnicamente si chiama codice doganale. In questo modo cosce di prosciutto estero dopo essere state salate e stagionate vengono vendute per italiane e lo stesso capita col latte straniero che diventa mozzarella italiana. Una frode contro la quale è partita dal Brennero una grande mobilitazione di Coldiretti con obiettivo la raccolta di un milione di firme per una proposta di legge europea di iniziativa popolare sulla trasparenza di quanto portiamo in tavola. “Qualcuno deride o sminuisce l’iniziativa che noi abbiamo fatto al Brennero – lamenta il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -. È un’iniziativa di trasparenza e di risposta nei confronti dei cittadini e dei consumatori. Non è una manifestazione di chiusura all’interno dei confini è vero esattamente l’opposto: partiamo dall’Italia – rivendica – per cercare di portare trasparenza sui mercati a livello mondiale e fare anche una lotta concreta al tema dell’Italian sounding che tante volte si pensa essere solo fuori dei confini nazionali quando purtroppo l’abbiamo anche all’interno del nostro Paese quando ci sono queste storture”.

acqua

Pichetto: “Razionalizzare il sistema idrico”. E Coldiretti chiede il Piano invasi

Acqua bene prezioso, da difendere, ma anche da valorizzare con infrastrutture adeguate. Il concetto emerge chiaramente dal 14esimo rapporto ‘Gli italiani e l’agricoltura’, realizzato dalla Fondazione UniVerde in collaborazione con Noto Sondaggi, Anbi e Fondazione Campagna Amica, presentato al convegno ‘Acqua e Agricoltura: rapporti sostenibili. Efficientamento idrico, digitalizzazione ed economia circolare’, promosso da Fondazione UniVerde e Coldiretti. “La tropicalizzazione del clima ha tutta una serie di conseguenze: piove un quarto di giorni in meno ma la quantità d’acqua è sempre la stessa, di conseguenza si alternano siccità e alluvioni“, spiega il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. “Questo ci ha fatto prendere coscienza che sono 50 anni che non creiamo bacini di raccolta, che raccogliamo solo l’11% dell’acqua piovana, che abbiamo un sistema idrico degli acquedotti con una dispersione enorme, oltre il 40%, e che è necessario razionalizzare il sistema idrico“. Così come va avanti il lavoro sugli enti gestori per “la riduzione da 2.391 a circa un centinaio, affinché siano più forti e robusti per intervenire e fare le opere“, spiega il responsabile del Mase.

In questo senso risulterà molto utile il Pnrr, anche se non del tutto risolutivo. “Il Piano è utile, perché noi utilizziamo il 5% delle acque reflue, che è una quota bassissima su circa 9 miliardi di metri cubi“, continua Pichetto. Ricordando che nel nostro Paese “abbiamo 8mila Comuni, quindi riuscire a raggiungere certi ritmi e attuare il tutto è un’impresa titanica che non si fa con la sola operazione Pnnr e non si fa in un solo anno. Ma bisogna assolutamente farlo, con una programmazione di medio periodo“. Soprattutto al Sud, dove il ministro ritiene che “basterebbe portare a regime gli invasi che ci sono” per contrastare la dispersione idrica: “È una responsabilità politica che riguarda tutti i livelli e tutti i colori politici”.

Altro tema cruciale del Rapporto è l’agricoltura. Secondo i dati, l’87% degli italiani ritiene che gli effetti del cambiamento climatico siano, per l’agricoltura, un problema urgente da affrontare. Per l’81% l’agricoltura multifunzionale è importante settore di sviluppo dell’economia italiana. Le attività agricole multifunzionali più apprezzate sono la vendita diretta dei prodotti (89%) e l’agriturismo con ristorazione e ospitalità per dormire (86%). Gli italiani, poi, ribadiscono il loro no (68%) al consumo di carne, latte e prodotti sintetici (+5% rispetto al precedente Rapporto) e all’utilizzo di Ogm in agricoltura, mentre il 63% non è favorevole neanche al consumo di farine di grillo e altri alimenti contenenti insetti. “In un momento molto delicato per il settore primario uno dei temi è anche la valorizzazione dell’acqua per metterla al servizio di un’agricoltura sostenibile, ma anche per immaginare nuovi metodi per un utilizzo consapevole“, dice il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida.

Il commissario straordinario per gli interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, Nicola Dell’Acqua, poi, annuncia: “Per migliorare la gestione dell’approvvigionamento idrico primario sono in arrivo le risorse del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico, oltre ai primi 100 milioni di euro immessi con la cabina di regia. L’obiettivo – mette in chiaro – è aumentare la resilienza dei sistemi idrici al cambiamento climatico e per governare la crisi idrica dobbiamo puntare sugli osservatori di distretto“.

Una soluzione alle criticità arriva anche da Coldiretti. “Rinnoviamo il nostro patto con il consumatore, anche con la gestione intelligente dell’acqua, perché viviamo periodi di siccità sempre più frequenti – spiega il segretario generale, Vincenzo Gesmundo -. Abbiamo bisogno di un Piano nazionale di invasi con pompaggio, che dia acqua potabile ed energia prima di tutto alle famiglie e poi alle imprese. Su questo rinnoviamo al Governo un invito ad agire tempestivamente“.

Piano Mattei, Meloni attiva cabina di regia: Progetti pilota in 9 Paesi africani

Nove Paesi per dare avvio ai progetti pilota del Piano Mattei. Sono quelli individuati dal governo, tra i partner storici con cui il livello delle relazioni è già molto avanzato, per dare avvio al progetto che dovrà trasformare l’Italia nell’hub energetico dell’Europa e cambiare totalmente il paradigma della cooperazione con il continente africano in sei macroaree: istruzione e formazione, sanità, acqua e igiene, agricoltura, energia e infrastrutture. La premier, Giorgia Meloni, convoca nella Sala Verde di Palazzo Chigi la prima riunione della cabina di regia con tutti gli attori coinvolti, dai ministri alle grandi aziende partecipate, agli enti, agenzie e associazioni (anche del terzo settore) che sono chiamati a ‘fare sistema’, come si suol dire, per la messa a terra dei vari progetti.

La ricognizione è utile per capire se tutti hanno memorizzato la stessa rotta e sensibilizzare la ‘squadra Italia’ sull’importanza di non fallire l’appuntamento: “Il Piano Mattei è una grande sfida strategica“, ricorda la presidente del Consiglio. Si parte dal Vertice Italia-Africa di gennaio, spiega Meloni, che ha certificato “un’apertura di credito” da parte di un gran numero di leader della sponda sud del Mediterraneo nei confronti del nostro Paese. In quell’occasione fu presentata “la cornice, cioè le sei grandi aree su cui riteniamo che l’Italia possa costruire questa cooperazione, anche sulla base delle sue storiche capacità“, aggiunge la premier. Che ora, però, vuole andare a dama. “Partendo dalle relazioni già in piedi, abbiamo immaginato quali potessero essere le nazioni in cui mettere più velocemente a terra i nostri progetti. Sono nove: Algeria, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico e Tunisia“. Nelle ultime settimane la struttura di missione ha già svolto le prime missioni operative: “A Bruxelles, per condividere anche a livello europeo, poi è stata ad Addis Abeba e in Costa d’Avorio“, dice ancora Meloni, annunciando che “nei prossimi giorni sono previste ulteriori visite in Kenya, Marocco e Tunisia“. Mentre “in parallelo si sono svolte alcune riunioni con le principali istituzioni finanziarie internazionali, che saranno molto importanti” nello sviluppo dei progetti. Così come l’Ue, ma non solo: “Scrivere questa nuova pagina è qualcosa che non possiamo o vogliamo fare da soli. E’ fondamentale coinvolgere tanti altri a livello internazionale“.

Domenica prossima, infatti, la premier sarà in Egitto con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e altri primi ministri per “un’iniziativa simile a quella portata avanti in Tunisia, un Memorandum of understanding e in parallelo una cooperazione bilaterale che riguarda il Piano in ambito agricolo e di formazione, ma firmeremo anche delle intese su salute, Pmi e investimenti“, anticipa.

Tanta carne sul fuoco, dunque. Ma perché tutto fili liscio serve massima collaborazione. Il mondo produttivo risponde ‘presente’ alla chiamata di Palazzo Chigi. Coldiretti, ad esempio, porta al tavolo il progetto promosso con Bf, Filiera Italia e Consorzi Agrari d’Italia: oltre 40mila ettari coltivati per la crescita dell’Africa con la creazione di posti di lavoro, la fornitura di beni e servizi, lo sviluppo delle agroenergie da fonte rinnovabile e la trasmissione di conoscenza e tecnologia per la produzione locale e lo sviluppo di nuove reti di vendita con i farmers market per fornire un’alternativa concreta al fenomeno delle migrazioni, sviluppando le economie locali e potenziando la cooperazione. L’obiettivo è generare entro il prossimo biennio un indotto di migliaia di posti di lavoro che si regga su delle filiere che si sviluppano partendo dell’agricoltura.

Ance, poi, plaude alla scelta di finanziare Studi di fattibilità per opere infrastrutturali. Il contesto presentato al governo dal vicepresidente per l’internazionalizzazione, Federico Ghella, vede circa 12 miliardi di commesse in corso delle imprese associate, di cui 5 in Nord Africa e 7 in Africa Sub sahariana, che rappresentano circa il 12% delle commesse totali. Per questo i costruttori promuovono la nuova struttura di assistenza sartoriale per le imprese del settore, supportata da Farnesina e Ice, sui Bandi di gara delle banche multilaterali di sviluppo. La proposta è “rendere subito operativa la struttura con il supporto di Ance, Confindustria e Oice”. Inoltre, l’associazione lavora alla creazione di un Fondo di Investimento in equity, denominato primAfrica.

Per Confapi è fondamentale “valorizzazione del ruolo della piccola e media industria“, dice il presidente, Cristian Camisa, chiedendo più formazione in Africa, partendo dai giovani e dalle esigenze delle imprese, anche per ovviare alla carenza di personale qualificato, in problema che investe il 63% delle aziende associate. Senza dimenticare che “l’Italia deve fare un grande lavoro sulle terre rare per evitare problemi nel reperimento dei minerali utili alla produzione, nella fase di transizione ecologica“. Andando avanti, Copagri condivide obiettivi come quelli di “diversificare e ampliare i mercati del nostro interscambio commerciale, promuovere con sempre maggiore determinazione la cooperazione allo sviluppo ed esportare l’eccellenza e l’unicità del nostro know how“.

Mentre Cna vede nel Piano Mattei “una preziosa opportunità per sviluppare nuovi canali commerciali a sostegno dei settori del Made in Italy“. Il prossimo appuntamento con la cabina di regia sarà ad aprile. Per quella data Meloni si augura di poter presentare agli attori coinvolti “una struttura consolidata del testo” del piano, dopo aver presentato una prima nota di sintesi. Perché il tempo stringe e la partita sul campo deve finalmente cominciare.

Agricoltura, la furia dei trattori devasta Bruxelles: la polizia risponde con i lacrimogeni

Alta tensione nel quartiere europeo a Bruxelles dove circa mille trattori hanno invaso da questa mattina, a partire dalle nove, decine di strade per manifestare ancora contro le politiche comunitarie, mentre al Consiglio Ue si riunivano i ministri europei dell’agricoltura. Sul tavolo del vertice le ultime misure di breve e medio termine che la Commissione europea ha proposto la scorsa settimana per ridurre gli oneri amministrativi per gli agricoltori.

Nel corso della mattinata la polizia, in tenuta antisommossa, ha isolato le strade del quartiere europeo con barricate di filo spinato, facendo ricorso al getto d’acqua di idranti e gas lacrimogeni contro i manifestanti che lanciavano a loro volta uova, bottiglie di vetro e petardi contro il ‘muro’ di agenti. Nelle strade del quartiere europeo, tra Rue de la Loi e Chaussée d’etterbeek, i manifestanti hanno appiccato fuochi, alimentati da pneumatici, copertoni e cumuli di paglia a cui è stato dato fuoco. Chaussée d’Etterbeek, a poche decine di metri da dove erano riuniti i ministri, i dimostranti hanno cercato in più occasioni di sfondare la barricate minacciando ripetutamente di superare le barriere con i trattori.

 

 

Sotto le pressioni delle proteste, la presidenza belga alla guida dell’Ue e la Commissione europea hanno deciso di incontrare nel primo pomeriggio i rappresentanti dei giovani agricoltori del Belgio per ascoltare le loro preoccupazioni. Solo dopo la fine del Consiglio, intorno alle 16, la situazione ha iniziato a normalizzarsi, le stazioni metro più vicine alle istituzioni europee (Schuman e Maelbeek) sono state riaperte e anche il traffico in superficie è tornato alla normalità.

Mentre le proteste si stavano concentrando di fronte alle sedi del Consiglio e della Commissione, davanti al Parlamento europeo si è tenuto il presidio di Coldiretti. Da parte della Commissione europea “c’è stata un’apertura in termini di proposte“, “ma abbiamo la necessità di avere la certezza dei tempi rispetto all’attuazione degli stessi regolamenti modificati, in termini di semplificazione, di risorse economiche stanziate e nel senso di andare oltre quello che è il limite degli aiuti di Stato che fino a oggi abbiamo avuto, per poter intervenire nei confronti anche di tutte quelle filiere produttive che oggi hanno forti criticità”, ha riconosciuto il presidente, Ettore Prandini parlando anche della necessità di una revisione immediata della Pac. “E’ una politica agricola comune piena di cavilli e di burocrazia, piena di vincoli per le imprese agricole che in tanti casi, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese, non riescono ad avere attuazione rispetto a quello che è un utilizzo delle risorse per come storicamente era stata pensata nella politica agricola comune”.

Dello stesso avviso il ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che ha ricordato come l’Italia abbia chiesto una revisione della Pac “che sia rapida. Noi chiediamo di sviluppare una produzione come elemento centrale, garantire il reddito delle imprese agricole perché senza reddito anche la passione non è sufficiente a continuare a svolgere questa attività e senza agricoltura non c’è possibilità di tenere insieme un patrimonio culturale di ricchezza che questo mondo rappresenta e che per l’Italia è vitale”. Per il ministro italiano l’attuale Pac, entrata in vigore a gennaio 2023 dopo due anni di periodo transitorio, “è stata scritta male, noi chiediamo delle modifiche sostanziali dove il reddito dell’agricoltore come manutentore del territorio sia tenuto in considerazione più di posizioni ideologiche”. Lollobrigida ha concluso sottolineando che “noi italiani abbiamo il dovere di sentirci corresponsabili delle scelte” dell’Ue “ma di influenzarle, non siamo una nazione di secondo piano ma una delle nazioni più importanti dell’agroalimentare”.

Agricoltura, Prandini: “Regole per aziende Ue valgano anche per import”

“Il lavoro che si è fatto con la Francia la Spagna il Portogallo e anche altri Stati membri è quello di arrivare ad ottenere una regolamentazione per quanto concerne tutto il sistema della reciprocità. Noi pretendiamo che le regole che vengono imposte alle imprese agricole europee, in questo caso quelle italiane, siano le stesse quando noi andiamo a importare prodotti provenienti da altri continenti“. Così il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, di fronte al Parlamento europeo a margine delle proteste di agricoltori in corso a Bruxelles. “Finché non riusciremo a ottenere questo regolamento, che deve essere trasparente e chiaro con un aumento dei controlli, soprattutto sulle frontiere in termini di importazione, noi continueremo a essere presenti a Bruxelles, continueremo a manifestare perché riteniamo che sia un diritto sacrosanto dei nostri agricoltori, non essere penalizzati per quanto riguarda un mercato che deve essere libero, deve essere aperto, ma deve avere anche le stesse regole”.