In Usa via libera al pollo in provetta. In Italia no di Coldiretti e governo

Upside Foods, produttore di carne ‘coltivata’ con sede in California, ha ricevuto l’approvazione della Fda (la massima autorità sanitaria americana) per il suo pollo a base di cellule, diventando la prima azienda negli Stati Uniti ad avere i suoi prodotti designati come sicuri da mangiare. L’annuncio storico arriva dopo anni di attesa poiché le aziende di carne coltivata, tra cui appunto Upside, hanno raccolto più di 2 miliardi negli ultimi due anni. “Questo è un momento di svolta nella storia del cibo“, ha commentato Uma Valeti, ceo e fondatrice di Upside Foods, secondo quanto riporta il sito Greequenn.com.

La Fda ha affermato nel suo annuncio che il pollo, composto da cellule di un animale vivo che vengono poi coltivate in bioreattori per produrre carne, ha ottenuto lo stato Gras dell’agenzia (generalmente riconosciuto come sicuro). Il prodotto deve ora soddisfare i requisiti Usda prima di poter essere approvato per la vendita.

Diffusa la notizia, esulta la Peta, People for the Ethical Treatment of Animals. Alzano le barricate invece Coldiretti, Filiera Italia e il governo italiano. Contro un’apertura ai cibi in provetta è così partita la grande mobilitazione, con il via alla raccolta di firme su tutto il territorio nazionaleper fermare una pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell’intera filiera del cibo Made in Italy”.

Siamo pronti a dare battaglia poiché quello del cibo Frankenstein è un futuro da cui non ci faremo mangiare”, attacca Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Sulla stessa posizione Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, in risposta a una interrogazione della Lega: “Il governo è contrario al cibo artificiale“, considerandolo un “pericolo gravissimo“. Garantendo: “Finché saremo al governo, sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio“.

agricoltura

L’agricoltura attira i giovani: oltre 19mila under 35 tornano in campagna nel 2022

Pandemia, crisi energetica, precarizzazione. E i giovani si rifugiano nell’agricoltura. Sono infatti oltre 19mila gli under 35 che nel 2022 si sono dedicati alla campagna, tornando a rinvigorire un settore che prima della pandemia sembrava in sofferenza. I dati diffusi dalla Coldiretti, sulla base del focus ‘La dinamica dell’occupazione giovanile’, contenuto nella rilevazione Istat sul mercato del lavoro nel II trimestre del 2022, mostrano come in piena pandemia sia cresciuto il numero di giovani imprenditori agricoli, con un incremento dell’8% negli ultimi cinque anni, in netta controtendenza rispetto all’andamento generale dell’economia.

Rispetto al mercato del lavoro nazionale, quello della popolazione giovane è caratterizzata da un’elevata diffusione di lavoro precario che per primo risente degli andamenti restrittivi o espansivi del ciclo economico. Per la fascia 15-34 anni, infatti, è stato più intenso sia il calo tendenziale iniziato nel secondo trimestre 2020, quando tra gli under35 ha sfiorato i 4 punti percentuali, fermandosi a poco più di 2 punti tra i più adulti e protrattosi fino al primo trimestre 2021, sia la ripresa successiva iniziata nel secondo trimestre 2021, quando l’incremento del tasso tra i giovani è stato quasi il triplo di quello dei più adulti. Parola di Istat. Ma con la crisi provocata dall’emergenza sanitaria, il settore agricolo sembra essere diventato di fatto il punto di riferimento importante per le nuove generazioni tanto che, come ricorda Coldiretti, al lavoro nelle campagne italiane c’è un esercito di 55mila imprese giovani che ha di fatto rivoluzionato il mestiere dell’agricoltore impegnandosi in attività multifunzionali che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.

La pandemia ha accelerato il fenomeno del ritorno alla terra e maturato la convinzione comune che le campagne siano oggi capaci di offrire e creare opportunità occupazionali e di crescita professionale, peraltro destinate ad aumentare nel tempo”, ha affermato la leader dei giovani della Coldiretti Veronica Barbati nel sottolineare che “occorre ora sostenere il sogno imprenditoriale di una parte importante della nostra generazione che mai come adesso vuole investire il proprio futuro nelle campagne, abbattendo gli ostacoli burocratici che troppo spesso si frappongono”.

ETTORE PRANDINI

Allarme Coldiretti: “Per siccità a rischio crac 250mila aziende”

Energia, siccità, difesa del Made in Italy, fondi europei e battaglia contro il Nutriscore. Sono queste le parole chiave dell’assemblea nazionale di Coldiretti. La prima, grande occasione pubblica per mettere insieme le tessere le puzzle dopo la fine della legislatura, in seguito alle dimissioni del premier, Mario Draghi. Su cui, comunque, continuano a concentrarsi le aspettative dei coltivatori diretti, anche grazie al perimetro ‘allargato’ degli affari correnti cui solitamente sono chiamati gli esecutivi dimissionari. “Abbiamo chiesto, in questo momento particolarmente drammatico, il credito d’imposta per gli energetici, partendo dal gasolio agricolo“, dice il presidente, Ettore Prandini. Aggiungendo di essere “convinto che, proprio grazie a quella continuità che il governo sta dando, riusciremo a portarlo a casa“.

Il messaggio che parte dal palco di Palazzo Rospigliosi è chiarissimo: “È strategico non sederci e osservare la campagna elettorale: dobbiamo continuare a lavorare come se la crisi di governo non ci fosse“. L’obiettivo è difendere il piano strategico nazionale, perché “è la programmazione di quello che dovremo andare a fare nei prossimi 5 anni – avvisa ancora Prandini – e qualsiasi forma di rinvio diventa perdita economica per le nostre imprese“. Anche Draghi mostra sensibilità ai temi posti sul tavolo da Coldiretti, tant’è che nel messaggio di buon lavoro inviato all’assemblea lo scrive nero su bianco: “L’agricoltura è essenziale per la crescita del nostro Paese, la salvaguardia dei territori, la tutela dell’ambiente“. Ecco perché il premier assicura che nonostante il periodo di crisi, il l’esecutivo resterà “vicino al settore“. Anzi, “siamo impegnati a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti più drammatici, come la siccità” e “continuiamo ad aiutare imprese e famiglie ad affrontare le difficoltà dovute agli aumenti dei prezzi, soprattutto dell’energia“. Investendo in “un’Italia più moderna e solidale” e mettendo “aziende in condizione di poter lavorare e programmare il futuro con fiducia. Intendiamo fare la nostra parte“.

Certo, il tempo stringe. E non solo per le elezioni del 25 settembre prossimo che, praticamente, bussano alle porte. Ci sono altre criticità da affrontare con urgenza: “La campagna elettorale non fermi gli interventi necessari per garantire la sopravvivenza delle imprese agricole, gli investimenti per ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare a imprese e cittadini la possibilità di produrre e consumare prodotti alimentari al giusto prezzo“, è l’appello lanciato da Coldiretti. Che avvisa sul “rischio di perdere 35 miliardi di fondi europei per l’agricoltura italiana nei prossimi cinque anni“, ma anche “la necessità di attuare al più presto le misure previste dal Pnrr“. In questo contesto non deve fermarsi l’azione italiana in Europa: “Sulla Pac occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale“. Bisogna anche correre sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sul taglio al costo del lavoro.

I prezzi delle materie prime, poi, sono una vera e propria mannaia sulla testa di produttori e consumatori. I rincari sono oltre la soglia di guardia, con aumenti che sfiorano anche punte del 250%. E poi c’è la siccità che, in combinato disposto con gli effetti della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, costringe circa 250mila aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), a produrre in perdita. Facendo salire anche i rischi di un crac drammatico. Risposte che Coldiretti attende, almeno in prima battuta anche dal governo uscente, ma con un occhio rivolto al futuro. Perché, per dirla con le parole di Prandini, “di emergenza si muore, non si sopravvive. Anche chi verrà a Palazzo Chigi avrà solo una strada, per i coltivatori diretti: programmare e investire.

nave grano

Via libera al grano. C’è l’accordo Russia-Ucraina su sblocco navi

Via libera al grano. Nel pomeriggio, a Istanbul, Russia e Ucraina firmeranno un accordo sulle esportazioni di cereali che permetterà, alle navi ferme nei porti, di uscire attraverso il Mar Nero e di alleggerire le barriere all’esportazione di grano e fertilizzanti russi.

Una mossa tra i due Paesi in conflitto che sarà in grado di dare sollievo all’economia del Pianeta. Anche perché, nonostante il calo dei raccolti, Kiev resta uno dei principali produttori e rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero destinato alla panificazione ma anche il 15% del granoturco per gli allevamenti.

Secondo la Coldiretti, all’Italia è prevista la fornitura di quasi 1,2 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero per la panificazione e olio di girasole. Si tratta di un provvedimento vitale per il Paese dal momento che il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame viene importato dall’estero.

Ulteriori numeri indicano che, per Italia, l’Ucraina rappresenta il secondo fornitore di granoturco con una quota di poco superiore al 13% (785 milioni di chili), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili) senza dimenticare gli arrivi di ben 260 milioni di chili di olio di girasole.

L’accordo raggiunto è importante per salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione”, afferma Coldiretti. Ma non solo, lo è anche per i Paesi più sviluppati “costretti ad affrontare una crescente inflazione spinta dal carrello della spesa e favorita dalla crisi energetica ma anche dai cambiamenti climatici che con caldo e siccità hanno tagliato i raccolti”, la sottolineatura.

Incendi: boom tra caldo, siccità e incuria. Ecco il decalogo salva-boschi

Arriva il decalogo salva boschi di fronte al moltiplicarsi degli incendi favoriti dal mix esplosivo di caldo e siccità al quale si somma spesso l’azione doloso dell’uomo o l’incuria. Lo ha elaborato la Coldiretti in riferimento al divampare incendi in Italia dove sono stati distrutti oltre un migliaio di ettari, dal Carso triestino al comune versiliese di Massarosa, da Bolzano alla Sicilia e in Italia centrale.

Se certamente il divampare delle fiamme è favorito dal clima anomalo con alte temperature e siccità, a preoccupare è la disattenzione e l’azione dei piromani con il 60% degli incendi che si stima sia causato volontariamente. Le alte temperature e l’assenza di precipitazioni hanno inaridito i terreni favorendo l’innesco degli incendi nelle campagne e nei boschi spesso abbandonati a causa della chiusura delle aziende agricole che non possono più svolgere una funzione di controllo e monitoraggio per intervenire tempestivamente.

Ogni rogo – stima la Coldiretti – costa agli italiani oltre diecimila euro all’ettaro fra spese immediate per lo spegnimento e la bonifica e quelle a lungo termine sulla ricostituzione dei sistemi ambientali ed economici delle aree devastate. Per ricostituire i boschi ridotti in cenere dal fuoco ci vorranno infatti fino a 15 anni con danni all’ambiente, all’economia, al lavoro e al turismo.

La prima regola per non causare l’insorgenza di un incendio nel bosco è quella di evitare di accendere fuochi non solo nelle aree boscate, ma anche in quelle coltivate o nelle vicinanze di esse, mentre nelle aree attrezzate, dove è consentito, occorre controllare costantemente la fiamma e verificare prima di andare via non solo che il fuoco sia spento, ma anche che le braci siano completamente fredde. Soprattutto nelle campagne non gettare mai mozziconi o fiammiferi accesi dall’automobile e nel momento in cui si è scelto il posto dove fermarsi verificare che la marmitta della vettura non sia a contatto con erba secca che potrebbe incendiarsi.

coldiretti

Inoltre non abbandonare mai rifiuti o immondizie nelle zone boscate o in loro prossimità e in particolare, evitare la dispersione nell’ambiente di contenitori sotto pressione (bombolette di gas, deodoranti, vernici, ecc.) che con le elevate temperature potrebbero esplodere o incendiarsi facilmente. Nel caso in cui venga avvistato un incendio non prendere iniziative autonome, ma occorre mantenersi sempre a favore di vento evitando di farsi accerchiare dalle fiamme per informare tempestivamente le autorità responsabili con i numeri di emergenza disponibili. Dal momento che un elevato numero degli incendi è opera di piromani o di criminali interessati alla distruzione dei boschi, occorre collaborare con le autorità responsabili per fermare comportamenti sospetti o dolosi favoriti dallo stato di abbandono dei boschi nazionali.

Siccità

Ora l’Europa ha sete. Italia al collasso idrico, crolla produzione agricola

C’è un elemento nuovo, che unisce l’Europa continentale e mediterranea: la siccità che, oltre all’Italia, sta colpendo pesantemente Spagna, Francia e ora anche la Germania. Un’Europa completamente a secco quella che sta attraversando l’ennesima ondata di calore che, questa volta, sarà particolarmente intensa. Dieci giorni nella morsa del caldo proveniente dall’Africa del nord con temperature che potranno raggiungere i 16 gradi oltre la media. Della pioggia nemmeno l’ombra, se non in Scandinavia, Austria e Slovenia. In Italia lo zero termico sarà a 5200 metri: non ci saranno temperature sottozero in nessuna zona del Paese e si attendono nuovamente massime record fino a 10°C anche sul Monte Bianco. Giovedì sono attesi 37/38° in Pianura Padana. E la prossima settimana sarà anche peggio.

L’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche, nel corso della consueta riunione, ha fatto il punto sulla situazione della Penisola, da cui è emerso un quadro non certo rassicurante. A pagare il prezzo più alto è ancora una volta il nord, dove i laghi stanno vivendo una situazione drammatica. Il lago di Como ha registrato il record storico negativo (-cm. 39,5 sullo zero idrometrico) e ora dovrà essere regolato in equilibrio tra afflussi e deflussi per garantire le condizioni minime di vivibilità ecosistemica. Resta epocale la magra del fiume Po, le cui portate, nel Delta, sono fino al 60% inferiori a quelle di allarme per il cuneo salino, che ormai ha raggiunto i 30 chilometri dalla foce, pregiudicando gli utilizzi idrici in tutta l’area. Soffrono i fiumi come la Dora Baltea, il Sesia, il Tanaro, i torrenti del Canavese, in Piemonte, l’Adige, il Livenza, il Secchia. Webuild ha annunciato che a Chiomonte, dove si trova il cantiere della Tav, le acque di ruscellamento del tunnel – cioè le acque naturali della montagna raccolte nel primo tratto della galleria della Maddalena – saranno impiegate per irrigare le vigne dell’area.In Lombardia, come ha ricordato il governatore Attilio Fontana, “le ultime riserve d’acqua per l’agricoltura si stanno esaurendo e oltre il 25-30 luglio non possiamo andare“.

Già, l’agricoltura. Secondo i dati di Coldiretti, oltre un terzo delle produzioni nazionali è andato perso. Mais e foraggi per animali registrano -45% mentre riso e frumento duro sono crollati del 30%. Sono 332mila le imprese agricole a rischio, cioè il 46% del totale e 11 aziende su 100 sono sul punto di cessare la propria attività. Dati che incidono – e molto – anche sui prezzi. La Commissione europea nelle previsioni economiche d’estate ha annunciato che “la grave siccità nel nord Italia aggraverà l’impennata dei prezzi dei generi alimentari per i consumatori“. Ma non solo. Anche a monte i costi sono schizzati alle stelle. Il prezzo dei mangimi è aumentato del 90%, quello dei concimi addirittura del 170% e sui campi pesano anche i rincari del gasolio, del vetro, del tetrapack, del cartone e della plastica.

Nel centro Italia il Lazio è ormai al collasso idrico. “L’evoluzione più evidente – spiega Anbi – si registra nell’hinterland di Roma, dove già da una settimana sono bloccati i prelievi dal lago di Bracciano, evocando la grave crisi del 2017“. È ancora “sotto traccia” la gravità della situazione nel lago di San Casciano, il cui livello si è abbassato di 5 metri rispetto allo scorso anno, mancando all’appello ben 1.250.000 metri cubi d’acqua. Inoltre, riferisce l’Osservatorio, gli scarsi apporti idrici dal fiume Elvella riducono la diluizione dei solfiti dalle vicine terme di San Casciano, facendo temere problemi per la potabilizzazione svolta dall’Acquedotto del Fiora a servizio dell’area. Continuano a calare i livelli del lago di Nemi, nonché dei fiumi Tevere ed Aniene, così come dei corsi d’acqua nel bacino del Liri, ai minimi in anni recenti. Ma tutto il centro è in situazione di estrema gravità, dalla Toscana – dove sono stati sospesi i prelievi dal Lago di Chiusi – alle Marche, dove calano ancora i fiumi Potenza ed Esino.

In Sardegna e Sicilia la situazione è sotto controllo, ma in Basilicata l’acqua trattenuta negli invasi è diminuita di 15 milioni di metri cubi in una settimana e in Campania resta una condizione di Siccità consolidata nel bacino idrografico del Liri-Garigliano e Volturno.

Ora è necessario davvero accelerare. Massimo Gargano, direttore generale di Anbi ha ricordato che “persiste un ingiustificato scollamento tra affermazioni di principio e scelte politiche conseguenti. Ogni giorno che passa non solo aumenta l’esposizione del Paese alle conseguenze dei cambiamenti climatici, ma riduce le possibilità di utilizzare compiutamente le risorse del Next Generation EU, che prevede la realizzazione e rendicontazione delle opere entro il 2026 con una determinante verifica sugli iter procedurali a fine 2023“.

(Photo credits: Marco SABADIN / AFP)

Dal grano al pane prezzi decuplicati: “Troppa speculazione”

Dal grano al pane i prezzi aumentano anche di dieci volte a causa di speculazioni e distorsioni all’interno delle filiere che impoveriscono i cittadini e danneggiano gli agricoltori, strozzati dai rincari record di energia, mangimi e fertilizzanti. Lo denuncia Coldiretti, che prevede un’impennata dell’inflazione che peserà sul carrello degli italiani oltre 8 miliardi nel 2022 mentre nei campi i compensi sono ormai scesi sotto i costi di produzione, costringendo molte imprese a lavorare in perdita.

La guerra ha di fatto “moltiplicato manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, sottolinea l’associazione, parla di tentativi di ridurre la qualità dei prodotti offerti sugli scaffali, etichette ingannevoli, taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori al di sotto dei costi di produzione.

Il risultato è che, secondo l’analisi su dati Ismea, per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati, appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi. Il pane è uno degli esempi più significativi.

Un chilo di grano viene pagato agli agricoltori intorno ai 35/40 centesimi e serve per produrre un chilo di pane che viene venduto a consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 5 euro a seconda delle città, secondo Coldiretti. L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane resta dunque marginale pari a circa il 10% in media. Ma c’è anche il caso del pomodoro. In una bottiglia di passata da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%), secondo la Coldiretti, è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità.

prezzi

Per riequilibrare la distribuzione del valore lungo la filiera tutelando cittadini e agricoltori, è entrato in vigore il 15 dicembre il decreto legislativo in attuazione della Direttiva Ue sulle pratiche commerciali sleali. Ma contro il caro prezzi una soluzione strutturale è rappresentata anche dalla diffusione dei contratti di filiera per l’equa distribuzione del valore lungo la filiera e per tutelare il reddito degli agricoltori.

Per affrontare questa emergenza causata da guerra e siccità Coldiretti, insieme a Filiera Italia, è pronta a presentare progetti operativi – spiega il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -. Oltre all’accordo con Philip Morris Italia sul tabacco, stiamo progettando investimenti di sistema per il 100% italiano, dalla zootecnia al vino, dal grano alla frutta secca, dall’olio all’ortofrutta. Dobbiamo puntare ancora di più su qualità, sostenibilità, innovazione e ricerca per rafforzare ancora il Made in Italy sui mercati esteri”.

Il settore agricolo è sempre più green e con donne ai vertici

Un’agricoltura sempre più giovane e dinamica, con tantissime imprese a conduzione femminile e con una crescente attenzione agli sviluppi della ricerca e alle sue applicazioni, ma anche alla digitalizzazione“. Le parole del presidente di Copagri, Franco Verrascina, inquadrano efficacemente i primi risultati del settimo censimento dell’agricoltura dell’Istat relativo all’annata 2019-2020 (in confronto con il 2010 e il 1982). Il report infatti fotografa un settore in buona salute, sia per quanto riguarda le coltivazioni sia per gli allevamenti, e conferma il sostegno al Pil nazionale da parte del Made in Italy agroalimentare. Tuttavia è il dato storico a preoccupare: a ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, ma nell’arco di 38 anni sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. Rispetto al 1982 c’è stata una flessione del 63,8% e la riduzione è stata più accentuata negli ultimi 20 anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era a circa 2,4 milioni.

Secondo il CensiAgri, inoltre, dal 2010 le aziende agricole sono in netto calo e soprattutto al Centro-Sud: almeno -22,6% in tutte le regioni, ad eccezione delle province autonome di Bolzano (-1,1%) e di Trento (-13,4%) e della Lombardia (-13,7%). Il calo più deciso si registra in Campania (-42,0%). Nel decennio la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%) mentre nelle altre ripartizioni geografiche si attesta sotto la media nazionale.

LE COLTIVAZIONI

Dal censimento emerge che oltre la metà della Superficie agricola utilizzata (Sau) continua a essere coltivata a seminativi (57,4%), seguono i prati permanenti e pascoli (25,0%), le legnose agrarie (17,4%) e gli orti familiari (0,1%). Più nel dettaglio, i seminativi sono coltivati in oltre la metà delle aziende italiane, ossia più di 700mila (-12,9% rispetto al 2010), per una superficie di oltre 7 milioni di ettari (+2,7%) e una dimensione media di 10 ettari. In Emilia-Romagna, Lombardia, Sicilia e Puglia è concentrato il 41,4% della superficie nazionale dedicata a queste colture. Tra i seminativi, i più diffusi sono i cereali per la produzione di granella (44% della superficie a seminativi). In particolare, il frumento duro è coltivato in oltre 135mila aziende per una superficie di oltre 1 milione di ettari.

ALLEVAMENTI

Quanto all’allevamento, la Sardegna primeggia in Italia con circa 24mila aziende (10% del totale italiano), seguita da Veneto (8,3%) e Lombardia (8,2%), con circa 20mila aziende, e dal Piemonte (7,6%) con 18mila. Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e Trentino, entrambe con circa 4mila aziende (il 2% del totale). All’1 dicembre 2020 in Italia si contano 213.9841 aziende agricole con capi di bestiame (18,9% delle aziende attive). In termini assoluti, i capi allevati in Italia sono 203 milioni, dei quali 8,7 milioni suini, 7 milioni ovini e 5,7 milioni bovini (a cui si aggiungono ovviamente galline, tacchini, conigli etc…). Il contributo maggiore di animali allevati spetta al Nord-est, dove si trova la metà di tutti i capi censiti (quasi un terzo nel solo Veneto).

DONNE E GIOVANI

Il CensiAgri Istat si concentra anche sulla demografia delle imprese agricole italiane. Spicca ad esempio il dato sulla presenza femminile, che in termini numerici diminuisce tra il 2010 (36,8%) e il 2020 (30%) mentre aumenta la partecipazione in ruoli manageriale: i capi azienda sono donne nel 31,5% dei casi (era il 30,7% nel 2010). A livello anagrafico, è ancora limitata la presenza di capi azienda nelle fasce di età più giovanili: nel 2020 i capi azienda fino a 44 anni sono il 13%, in calo rispetto al 2010 (17,6%). Ad ogni modo il CensiAgri sottolinea che le aziende con a capo un under45 sono 4 volte più informatizzate rispetto a quelle gestite da un capo over 64 (32,2% e 7,6%). E l’incidenza delle aziende digitalizzate è maggiore nel caso in cui esse siano gestite da un capo azienda istruito e ancora di più nel caso in cui il percorso di studi sia orientato verso specializzazioni di tipo agrario. A proposito di innovazione, l’11% delle aziende agricole coinvolte nel censimento ha dichiarato di aver effettuato almeno un investimento innovativo tra il 2018 e il 2020. I maggiori investimenti innovativi sono stati rivolti alla meccanizzazione (55,6% delle aziende che innovano), seguono l’impianto e la semina (23,2%), la lavorazione del suolo (17,4%) e l’irrigazione (16,5%).

INNOVAZIONE E TRANSIZIONE GREEN

In tema di innovazione e investimenti le aziende agricole guardano sempre di più alle fonti di energia alternative e pulite. Secondo un’analisi Coldiretti, dal 2010 è triplicato il numero di imprese del settore che producono energia, dal biometano al solare. La crescita è monstre: +198% nel giro di un decennio. “L’obiettivo – spiega la Coldiretti – è ridurre la dipendenza del Paese dall’estero e fermare i rincari che stanno mettendo in ginocchio famiglie e imprese, mentre il prezzo della benzina sale ancora arrivando a 2,073 al litro e al G7 si discute sul tetto al gas e al petrolio da Mosca”. Partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare le flotte del trasporto pubblico come autobus, camion e navi oltre alle stesse auto dei cittadini.

In questo modo – spiega una nota dell’associazione agricola – sarà possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green“. Gli impianti di biogas in Italia – spiega la Coldiretti – oggi producono 1,7 miliardi di metri cubi di biometano ma è possibile quadruplicare questa cifra in meno di dieci anni con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti. Ma un aiuto importante potrebbe venire anche dal fotovoltaico pulito ed ecosostenibile per il quale – ricorda Coldiretti – sono tra l’altro previsti 1,5 miliardi di euro di fondi nell’ambio del Pnrr. Secondo uno studio di Coldiretti Giovani Impresa solo utilizzando i tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole sarebbe possibile recuperare una superficie utile di 155 milioni di metri quadri di pannelli con la produzione di 28.400Gwh di energia solare, pari al consumo energetico complessivo annuo di una regione come il Veneto.

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Siccità, pronti al razionamento diurno dell’acqua

Più di 200 incendi in dodici giorni, il cuneo salino del Po che ha ormai raggiunto i 30 chilometri e il Grande Fiume che ha un livello inferiore di 3,4 metri rispetto a Ferragosto dello scorso anno. La corsa della siccità sta accelerando ogni giorno di più e le previsioni dei prossimi giorni non sono buone. L’anticiclone africano Caronte, infatti, non darà tregua all’Italia e anche in questa settimana i termometri si manterranno su temperature ben al di sopra delle medie stagionali, con picchi che potranno facilmente superare i 40°C in molte città. Tutto il sud sarà interessato da ondate di calore molto intense, mentre al nord è allerta per forti temporali. Pioverà, insomma, ma non abbastanza per ristorare il terreno e, soprattutto, è alto il rischio di danni idrogeologici, al punto che la Protezione civile ha ha emanato avvisi specifici per Valle d’Aosta e Piemonte, in estensione poi a Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia, province autonome di Trento e Bolzano, Veneto e Toscana settentrionale.

ALLARME INCENDI

Ad allarmare, e molto, sono anche gli incendi. Dal 15 giugno sono 199 quelli censiti: erano 80 nel 2021 e 30 nel 2020. “Siamo molto preoccupati“, conferma il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Secondo Coldiretti, sono oltre 9mila gli ettari di terreno andati in fumo negli ultimi sei mesi, più che raddoppiati rispetto alla media storica. E nei prossimi giorni l’allerta è estrema in tutta Italia.

FRAMMENTAZIONE DELLE COMPETENZE

Sono anni che parliamo di cambiamenti climatici e di come impattano sul nostro territorio e questo periodo è una foto fedele di questi ragionamenti“, ricorda Curcio, spiegando che la situazione “è complessa in tutto il Paese. Quest’anno, rispetto alla media, abbiamo avuto il 70% di neve in meno e -40/50% di acqua. “Quindi – spiega il capo della Protezione civile – abbiamo una situazione generale di carenza di risorse idriche e di pioggia“, che diventa ancora più complessa da gestire a causa della mancanza di “una visione generale”. La frammentazione di competenze – tra Regioni, ministeri, bacini distrettuali ed enti gestori – insomma, “non ha aiutato” e si fa urgente la necessità di intervenire su “molti problemi di infrastrutture come le perdite in rete che ci affliggono da anni“.

LO STATO DI EMERGENZA

Il governo intanto si sta muovendo sul fronte ‘burocratico’, in attesa della presentazione, da parte delle Regioni, dei criteri e delle misure necessari a definirlo. Le tempistiche? “Nelle prossime giornate o al massimo in un paio di settimane avremo chiare le misure da prendere“, assicura Curcio. Lo stato di emergenza, ovviamente,non risolve il problema” della siccità, ma consentirà agli enti locali di avere più poteri e risorse per affrontarla.

RAZIONAMENTO DELL’ACQUA

Lo scenario resta complesso. Non si contano più i Comuni che hanno emesso ordinanze per limitare l’uso dell’acqua ai soli scopi igienici e domestici e quelli che hanno chiuso i rubinetti di notte. Il rischio ora è il razionamento diurno. In alcune zone del Paese potrebbe succedere, annuncia Curcio, spiegando che “poi ci sarà un momento in cui l’acqua arriverà e arriverà tutta insieme“. In autunno, insomma, si tornerà a parlare di alluvioni, parte di una narrazione ormai insita nel terreno del nostro Paese.

(Photo credits: Piero CRUCIATTI / AFP)

Siccità

L’Italia ha sempre più sete: si va verso lo stato di emergenza

L’Italia ha sempre più sete. E le previsioni meteo non lasciano grande spazio alla speranza. Per questo, mentre le regioni continuano a chiedere lo stato di emergenza e di calamità (ultima in ordine di tempo l’Emilia Romagna) e in Piemonte già da giorni si ricorre a autobotti e a razionamenti notturni dell’acqua, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani parla di uno scenario “in cui mancano solo gli alieni”. Tanto che, spiega, “si stanno chiudendo le centrali idroelettriche perché non c’è flusso”. E se il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ammette che “ci sono le condizioni per arrivare a dichiarare lo stato di emergenza” ma che adesso la priorità è “sostenere il comparto agricolo che non è solamente produttivo ma garantisce il presidio e la manutenzione del nostro territorio, ed è vitale e fondamentale per il nostro Paese”, arriva il ministro Patuanelli a frenare, dicendo che “è ancora prematuro” parlare di dichiarazione di emergenza. Di diverso avviso il segretario del Pd Enrico Letta che spinge per la proclamazione il prima possibile, aggiungendo di credere che “sia necessario così come un piano per gli invasi”.

Sugli invasi punta l’attenzione anche Coldiretti, che calcola che l’Italia perde ogni anno l’89% dell’acqua piovana. Per questo “serve subito una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione”.

In piena emergenza siccità, interviene la ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna che rende pubblico il progetto di un Cis Acqua che potrebbe essere formalmente avviato nel mese di luglio dopo un lavoro preparatorio svolto negli ultimi sei mesi. “L’emergenza idrica – spiega – non ci coglie impreparati: sono sei mesi che lavoriamo, con tutte le Regioni e diversi ministeri, a un ‘piano acqua’ che sostenga l’intera filiera, dagli invasi agli acquedotti alle utenze finali. Il piano sarà gestito con un Contratto Istituzionale di Sviluppo sul quale abbiamo avuto già positivi riscontri dagli enti territoriali: l’investimento iniziale previsto è consistente, un miliardo a valere sul ciclo 2021-2027 del Fondo di Sviluppo e Coesione, ma potrebbe essere incrementato ancora”.

Certo è che l’emergenza è oggi, e mentre i territori si organizzano emanando ordinanze per limitare l’utilizzo dell’acqua per i soli fabbisogni primari, la situazione peggiore è quella che riguarda l’agricoltura. A oggi la stima della Cia-Agricoltori italiani è di un taglio del raccolto del grano del 30%, con la siccità che va ad aggiungersi ai problemi già creati dal rincaro di fertilizzanti e gasolio dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.