Aggiornamento Pniec in dirittura d’arrivo. Pichetto: “Rispetteremo termine 30/6”

L’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima sta per vedere la luce. “A giorni, all’inizio della prossima settimana, tireremo le somme del confronto con gli stakeholder. Rispetteremo il termine del 30 giugno“, assicura il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Si tratta, spiega, di un “passaggio fondamentale per delineare la politica energetica e ambientale del nostro Paese verso la decarbonizzazione nel medio e lungo periodo“. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei consumi finali, però, non si potrà prescindere dalla piena attuazione di quanto già previsto nel Pnrr, come potenziato dal nuovo capitolo del Repower Eu.

Sono poi in fase di valutazione altre politiche e la “rimodulazione” di misure esistenti, fa sapere il ministro durante il Question Time della Camera. Parla di un “ventaglio di opzioni ampio” che il governo offrirà per l’implementazione del Piano, a patto che vengano eliminati “vincoli aprioristici” sulle tecnologie e sulle misure da attuare. Al centro della strategia dell’esecutivo per le politiche pubbliche dei prossimi anni c’è l’accelerazione sulle rinnovabili, la promozione dell’efficienza energetica degli edifici, l’incentivazione all’autoconsumo energetico, la decarbonizzazione dei trasporti.

Ma servirà anche, mette in chiaro Pichetto, un “cambiamento sulle abitudini dei consumatori“. Necessario dunque garantire non solo un quadro normativo “semplificato e chiaro” per i cittadini e gli operatori, ma anche forme di sostegno e incentivi fiscali che stimolino la transizione energetica in tutti i settori. Senza trascurare gli investimenti in ricerca e sviluppo per offrire le migliori soluzioni tecnologiche possibili al raggiungimento degli obiettivi nazionali di decarbonizzazione. Per l’obiettivo dell'”inquinamento zero” però, fa notare, l’Europa ha dettato una tempistica “inadeguata che manca di “sano pragmatismo“, quello che serve per accompagnare campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema e per le politiche integrate sui territori.

L’Italia ha manifestato apprezzamento sul livello di ambizione posto dalla proposta europea, ma contestualmente, come ribadito ieri in occasione del Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente, ha richiesto alla Commissione di fissare tempistiche cui si possa ragionevolmente ottemperare“, precisa. Il ministro chiede un confronto, anche bilaterale, con la Commissione europea per “valutare la correttezza dei dati e della metodologia utilizzata per la stesura della bozza di direttiva, in modo tale da evitare, in uno spirito di leale collaborazione, di avallare presupposti errati che inficino ab origine la fattibilità delle politiche messe in campo“.

Italgas sceglie Torino: entro 2026 il nuovo polo innovazione per energia green

Un nuovo polo dell’innovazione dove verranno sviluppati studi e ricerche su metano, biometano e idrogeno verde, contribuendo attivamente al processo di decarbonizzazione e di transizione verso un futuro più sostenibile. E’ il progetto di Italgas che, grazie ad un investimento da 35 milioni di euro, vedrà la luce nella storica sede della società a Torino, in corso Regina Margherita. Il campus, presentato da Città di Torino e Italgas, darà lavoro a circa 250 persone a regime e, attraverso l’avvio di partnership e collaborazioni, dialogherà con le più importanti istituzioni accademiche e gli atenei in Italia e all’estero. Ospiterà, inoltre, il Cyber Range del gruppo, all’interno del quale saranno sviluppate e testate le caratteristiche di sicurezza informatica e resilienza degli apparati e dei sistemi digitali di nuova generazione.

Non solo ricerca, ma anche un occhio attento alla riqualificazione della città e all’ambiente. Il progetto, infatti, comporterà la riqualificazione complessiva dell’area che si estende per circa 44mila metri quadrati (di cui 14mila dedicati ai laboratori), attraverso la ristrutturazione conservativa degli edifici preesistenti e l’ammodernamento delle aree esterne. Inoltre verrà realizzato un nuovo edificio ad alta efficienza energetica che ospiterà un Hub per la ricerca e l’innovazione. Infine è prevista la creazione di spazi verdi e aree per la cittadinanza: oltre 9mila metri quadrati di percorsi pedonali e ciclabili all’interno del sito.

Il cronoprogramma dei lavori prevede due distinte fasi realizzative: entro il 2025 verranno riqualificati tutti gli edifici esistenti e le aree esterne, mentre nel 2026 sarà completato il nuovo Hub e verranno valorizzati i due gasometri, strutture di archeologia industriale dal grande valore storico e identificativo per la città. Parallelamente Italgas effettuerà interventi migliorativi delle aree pubbliche limitrofe alla sede, in particolare in corso Farini, con una nuova viabilità ciclabile e pedonale, estensione degli spazi verdi con aree gioco per i più piccoli e riqualificazione di parcheggi e aiuole.

Dopo l’importante intervento di ristrutturazione e valorizzazione architettonica degli edifici e dell’area di Largo Regio Parco, continuiamo a investire in innovazione a Torino – ha dichiarato l’Amministratore Delegato di Italgas, Paolo Gallo -. Per l’area di Corso Regina Margherita inizia una nuova fase: siamo orgogliosi di poter realizzare un progetto che proietta ulteriormente la città nel futuro energetico del Paese e allo stesso tempo contribuisce al rilancio di un’area tanto importante per il tessuto urbano. Qui sorgerà un polo dedicato all’innovazione e all’eccellenza, senza dimenticare la storia di Italgas e della città, che sarà visibile nella valorizzazione di due gasometri che svettano dall’area e che, negli anni, sono diventati elementi caratteristici del paesaggio urbano”.

Fuori il libro ‘Neutralità climatica e decarbonizzazione’: focus su posizioni Ue e Santa Sede

E’ in uscita, per Biblion Edizioni, il volume ‘Neutralità climatica e decarbonizzazione’, che riporta i risultati di una ricerca triennale finanziata dalla facoltà di Scienze Sociali della Pontificia università san Tommaso d’Aquino. La ricerca nasce dall’esigenza di dare un contributo, fondato su dati scientifici certi e verificati, alle decisioni urgenti da prendere per contrastare i fenomeni meteorologici estremi e il rapido riscaldamento del clima.

Il libro presenta il risultato del lavoro del gruppo di ricercatori e accademici, religiosi e laici, coordinati da p. Alejandro Crosthwaite, O.P., e Luigi Troiani. Vi sono raccolti e commentati dati scientifici su economia, energia, auto elettrica, ambiente terrestre e marino, biodiversità etc. aggiornati al 2023, e l’analisi delle posizioni di Santa Sede e Ue, caso esemplare di come politica e religione possano convergere sulle soluzioni da dare ai problemi cruciali dell’umanità.

Il dibattito politico e morale che, con il nuovo secolo, si è venuto sviluppando riguardo a riscaldamento climatico e ambiente, ha visto Santa Sede e Unione Europea su posizioni di sostanziale condivisione. “La natura diversa delle due istituzioni non ha impedito la convergenza sul percorso da compiere e sugli obiettivi da raggiungere. Il fatto che la Chiesa sia fondata su premesse religiose e morali, e le istituzioni dell’Ue nascano da premesse economiche e politiche non ha ostacolato un dialogo che ha mostrato di avere obiettivi molto simili, in quanto basati sull’esigenza di garantire un futuro degno all’essere umano inteso nella sua integralità“, scrivono gli autori.

A conferma del parallelismo tra le azioni che i due soggetti compiono in favore di una neutralità climatica che si realizzi attraverso la decarbonizzazione dell’economia stanno i documenti ai quali fa riferimento il titolo della ricerca: da un lato l’enciclica papale Laudato si’, dall’altro il Programma della Commissione Europea 2019-2024. Sono pubblicati a cinque anni di distanza l’uno dall’altro: nel 2015 quello di Papa Francesco, nel gennaio 2020 quello della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. All’inizio del terzo decennio del secolo XXI l’umanità ha a disposizione due tracciati programmatici, l’uno di ordine morale e religioso, l’altro politico ed economico, per la risposta collettiva della specie alla grande sfida che sta di fronte al pianeta: quale vita garantirsi nel vicino futuro.

Il Gruppo di studio di Roma su Economia e Neutralità climatica GREEN opera dal 2019 presso la facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino. Ne fanno parte docenti universitari, studiosi, esperti, ricercatori e professionisti, di seguito elencati: Corrado Clini, Alejandro Crosthwaite, Bazyli Remigiusz Degórski, Paolo Ghezzi, Michele Governatori, Giuseppe Poderati, Valeria Sala, Justin Schembri, Pierpaolo Simonini, Davide Tabarelli, Luigi Troiani, Pietro Troianiello, Leonardo Zannier. Green è coordinato da Alejandro Crosthwaite e Luigi Troiani, docenti della Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università san Tommaso d’Aquino. I coordinatori hanno assemblato, ordinato e curato l’edizione in libro, dei materiali elaborati dagli esperti del Gruppo nel triennio di ricerca, in base alle rispettive specializzazioni accademiche e professionali.

Giorgia Meloni/Afp

Il Governo italiano conferma gli obiettivi, ma chiede transizione soft

Decarbonizzazione, croce e delizia per la politica italiana. Automotive, etichettatura dei vini, carburanti, edilizia green: sono solo gli ultimi esempi, in ordine cronologico, di quale sia il livello dei negoziati del nostro Paese in Europa. La transizione ecologica, non è un mistero, in passato ha colto di sorpresa – per usare un eufemismo – le nostre istituzioni, che hanno dovuto imbastire programmi per la riconversione delle imprese in tempi record. Il risultato, però, è più che lodevole visto che finora stiamo rispettando le tabelle di marcia, sebbene siano ancora attive le centrali a carbone presenti sul territorio nazionale. A causa, soprattutto, dell’emergenza energetica che si è aperta da inizio 2022 e acuita dopo l’aggressione russa in Ucraina.

Effetti collaterali, che comunque non fermano il percorso. La linea tracciata dal governo di Giorgia Meloni è quella di incentivare anche la produzione di energia da fonti rinnovabili, obiettivo chiarito dalla stessa premier alla Cop27. E ribadito in più occasioni dal ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che infatti si è espresso con queste parole: “La partita è quella della decarbonizzazione”, perché “ci troviamo nella più grande area europea per presenza di polveri sottili che costa la salute di 20 milioni di abitanti di pianura padana. Per questo la sfida nazionale ed europea è legata al discorso della decarbonizzazione, che il paese deve compiere e che impegnerà per anni i governi a venire”.

Il discorso, proprio in questo punto, si incrocia con i dossier aperti in Europa. In particolare con quello legato all’automotive. A Bruxelles è passata la norma che impone lo stop ai motori endotermici, sia benzina che diesel, per passare al full electric dal 2035. Una decisione molto contestata da Roma, che vede a rischio gli obiettivi di neutralità tecnologica, con la Cina che potrebbe diventare il player globale più forte sulla componentistica e le materie prime per la produzione delle batterie. Pichetto è “convinto che il percorso di decarbonizzazione passi dall’autoveicolo e quindi che l’autostrada sia l’elettrico”, ma “quello che l’Italia non ammette è che sia la scelta di qualcuno. L’obiettivo deve essere togliere le emissioni, nessuno lo mette in discussione. E la sfida è quella della razionalità”.

Servono i biocarburanti per una transizione più soft, ma soprattutto per non mandare all’aria un settore e una filiera d’eccellenza per l’economia del Paese. Peraltro, colossi come Eni da tempo hanno investito su questo ramo. Anche somme ingenti, peraltro, con programmi che toccano l’area del Mediterraneo, senza toccare la produzione alimentare, come ha chiarito il ceo, Claudio Descalzi. Tutti fattori che l’esecutivo sta spingendo nel dialogo europeo, senza mai scostarsi dagli obiettivi prioritari: ridurre le emissioni almeno al 55% entro il 2030 e net zero entro il 2050. Perché su questo si gioca il futuro del Vecchio continente, dell’Italia e anche della politica.

Enel a emissioni zero entro il 2040: la roadmap di decarbonizzazione

Zero emissioni di gas a effetto serra entro il 2040 con una roadmap che porterà l’Enel a eliminare tutte quelle climalteranti dirette e indirette, intraprendere una serie di azioni di contrasto al cambiamento climatico e promuovere la transizione per un’elettrificazione sostenibile.

L’azienda pubblica il suo ‘Zero Emissions Ambition Report’ che “descrive la scelta di Enel di fissare un obiettivo ambizioso rispetto all’originario target global ‘net zero’ per il 2050, sottolineando il nostro forte impegno verso un futuro sostenibile e decarbonizzato per tutti nel contesto della transizione energetica globale“, spiega Ernesto Ciorra, Head of Innovability del gruppo. Un documento che comprende anche tutte le iniziative che coinvolgono gli stakeholder di Enel e che, ribadisce, “evidenzia come la sostenibilità e la lotta al cambiamento climatico modellino le nostre decisioni strategiche e di business, in linea con l’esigenza di promuovere la transizione verso processi industriali più sostenibili, resilienti, neutrali dal punto di vista climatico e intrinsecamente meno rischiosi, coniugando equità e inclusività“.

La roadmap si basa su obiettivi specifici di riduzione dei gas serra validati dalla Science Based Target initiative (SBTi) nel dicembre 2022 e allineati alla limitazione del riscaldamento globale a 1,5ºC, che comprendono: la riduzione delle emissioni dirette derivanti dalla generazione di energia elettrica dell’80% nel 2030 e del 100% nel 2040; la riduzione delle emissioni dirette e indirette derivanti dalla vendita di energia del 78% nel 2030 e del 100% nel 2040; la riduzione delle emissioni indirette derivanti dalla vendita di gas nel mercato retail del 55% entro il 2030 e del 100% nel 2040.

Il rapporto descrive anche le tappe fondamentali che il Gruppo prevede di percorrere per raggiungere le zero emissioni entro il 2040: entro il 2025 le rinnovabili dovrebbero rappresentare circa il 75% della produzione totale di Enel; entro il 2027, Enel completerà la dismissione di tutte le sue centrali a carbone; entro il 2040, tutta la capacità installata sarà al 100% rinnovabile.

Enel avrà cessato le attività di generazione termoelettrica e di vendita di gas nel mercato retail e il 100% dell’elettricità venduta sarà prodotta da fonti rinnovabili. Il Piano strategico 2023-2025, annunciato da Enel lo scorso novembre, indica il percorso per raggiungere questi traguardi.

Il Gruppo investirà un totale di circa 37 miliardi di euro nei prossimi tre anni, principalmente per promuovere un’elettrificazione pulita e sostenibile. Di questi, 17 miliardi di euro saranno dedicati alle energie rinnovabili e 15 miliardi di euro alle reti. Di conseguenza, oltre il 94% degli investimenti sarà allineato agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, soprattutto per il contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici.

Per sostenere la decarbonizzazione dell’economia globale, Enel collabora con diversi stakeholder e con 20 associazioni internazionali, tra cui il Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC) e il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), per sostenere la mitigazione dei cambiamenti climatici. Per garantire una transizione giusta a tutti i suoi stakeholder, il Gruppo ha creato programmi di sviluppo di nuove capacità e competenze necessarie nel passaggio a un’economia decarbonizzata, coinvolgendo anche i fornitori nell’affrontare le sfide della transizione energetica e mette i clienti in condizione di convertire gradualmente all’elettricità i propri consumi energetici, consentendo anche l’accesso all’elettricità nelle aree più svantaggiate.

Antonio Gozzi: “Pronti a una produzione totalmente green dell’acciaio”

“L’Italia e la sua siderurgia hanno un primato mondiale, a cui temiamo e che cerchiamo, come si fa sempre quando si è campioni del mondo, di mantenere questo titolo”. Lo dice Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco, al convegno ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato da Gea ed Eunews. “Quando il mondo parla di dover decarbonizzare le produzioni di acciaio – continua -, quando si parla di processo green, in Italia è già realtà, viene già fatto e viene da lontano”. L’esigenza di comunicarlo, spiega,  “non è l’esigenza darsi una reputazione e una credibilità verde, ma comunicare al mondo, agli stakeholder, ai decisori, ai clienti, ai fornitori e persino ai nostri collaboratori che la siderurgia italiana – che è una elettrosiderurgia, cioè non usa il carbone – per natura è già elettrificata”. E “la produzione da forno elettrico rappresenta ormai più dell’80% del totale”.

L’obiettivo è, per Gozzi, quello di arrivare a una produzione totalmente green dell’acciaio. “I Lucchini, i Lonati, i Pasini… Hanno inventato loro l’elettro-siderurgia. Costruirono un settore decarbonizzato – spiega – tutto attaccato a centrali elettriche, una economia circolare perché non consumava risorse naturale in quanto utilizzava i rottami di ferro. Siamo i primi nel mondo e bisogna dirlo. Per produrre una tonnellata con forno elettrico si emettono 10-12 volte di Co2 in meno rispetto a una tonnellata prodotta a ciclo integrale. Vogliamo mantenere il titolo e arrivare al 2030, ben prima del 2055, ad essere il primo Paese con una produzione totalmente green dell’acciaio”. 

Ma non solo. “Sullo Scope1, cioè le emissioni dirette, la siderurgia italiana è già vicina all’obiettivo di arrivare al 2030, ben prima del 2055, ad essere il primo Paese con una produzione totalmente green dell’acciaio”, conferma il presidente di Federacciai e Duferco. “Usiamo però ancora un po’ di gas – aggiunge – ma al Nord siamo in mezzo alla campagna, dove con scarti e deiezioni animali è possibile arrivare a produrre biogas e biometano. Mi bastano 6 contratti con biodigestori da 1,5 Mwh e arrivare a centrare lo Scope1. Per lo Scope2 attualmente stiamo comprando elettricità dalla rete. I siderurgici però stanno già sostituendo energia dalla rete con elettricità prodotta da rinnovabili. Su 8mila ore di esercizio l’anno ora sono 2000 quelle coperte da rinnovabile. Non saremo solo carbon neutral – conclude Gozzi – ma carbon negative così potremo vendere i certificati verdi. Le rinnovabili però non bastano. Servirà la cattura di Co2 e il nucleare, micro reattori, per i quali saranno necessari una ventina di anni per raggiungere l’obiettivo”.

Amazon investe nelle alghe: assorbono C02, migliorando la biodiversità dell’ecosistema

Un investimento da 1,5 milioni di euro per la creazione della prima coltivazione commerciale di alghe situata tra turbine eoliche offshore al mondo. È l’impegno di Amazon attraverso il fondo globale da 100 milioni Right Now Climate Fund, con cui l’azienda opera per supportare le soluzioni basate sulla natura, in aggiunta all’impegno per la decarbonizzazione delle proprie attività. Il progetto, chiamato North Sea Farm n.1, è situato al largo delle coste dei Paesi Bassi. Le alghe possono aiutare a contrastare il cambiamento climatico in virtù della loro capacità di assorbimento della CO2 e, al contempo, favorire la biodiversità. Quindi, posizionare le coltivazioni di alghe tra le turbine eoliche offshore permette di sfruttare spazio altrimenti inutilizzato per catturare il carbonio e aumentare la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera.

Nel localizzare la coltivazione in un’area precedentemente inutilizzata tra le turbine, il progetto è stato in grado di ricavare spazio per la coltivazione di alghe nel già largamente sfruttato Mar del Nord. Se la coltivazione di alghe marine dovesse espandersi fino ad occupare l’intero spazio dei parchi eolici, che dovrebbe arrivare a circa un milione di ettari entro il 2040, potrebbe ridurre milioni di tonnellate di C02 all’anno. Il progetto, sviluppato da un consorzio di ricercatori scientifici guidato dall’organizzazione no-profit North Sea Farmers (NSF), si prevede possa diventare operativo entro la fine dell’anno. Il consorzio auspica che North Sea Farm n.1 possa diventare un modello di riferimento per le coltivazioni di alghe offshore nel mondo.

La North Sea Farm n.1 ambisce a diventare un modello innovativo nella coltivazione di alghe. L’investimento garantirà i fondi necessari alla costruzione di un’area di dieci ettari per la coltivazione delle alghe, che si prevede possano generare una capacità di produzione di almeno 6.000 chili di alghe fresche nel primo anno. Questo finanziamento aiuterà North Sea Farmers ad analizzare e migliorare la capacità produttiva della coltivazione. Allo stesso tempo, i ricercatori esploreranno le potenzialità delle alghe nella riduzione della CO2 dall’atmosfera, creando un modello dell’impatto su larga scala delle coltivazioni. La no-profit auspica che questi riscontri possano contribuire allo sviluppo del settore e alla conseguente creazione di posti di lavoro.
“Le alghe possono diventare uno strumento cruciale per la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera, tuttavia sono ad oggi ancora coltivate su scala relativamente ridotta in Europa. Siamo entusiasti di supportare un progetto come questo in grado di contribuire a una maggiore comprensione delle potenzialità delle alghe nel contrasto al cambiamento climatico”, spiega Zak Watts, direttore della Sostenibilità per Amazon in Europa

Dall’Eeb l’agenda verde per la prossima presidenza svedese del Consiglio europeo

Sei mesi per cercare di imprimere un deciso cambio di passo nella politica verde e sostenibile e fare del Green Deal europeo le fondamenta della nuova Unione europea. Sei mesi complicati perché carichi di sfide non facili, ma che hanno nella Svezia un Paese che, per tradizione e attenzione ai temi ambientali, può fare la differenza. Il mondo ecologista ripone grandi aspettative nella presidenza di turno che si apre il primo gennaio. Le 180 sigle riunite European Environmental Bureau (Eeb) invitano quindi a focalizzare l’attenzione sull’agenda verde dell’Ue, con un documento rivolto proprio al governo di Stoccolma, che per sei mesi avrà il compito di dirigere i lavori in sede di Consiglio dell’Ue. Certo le preoccupazioni non mancano, come dimostra Patrick ten Brink, segretario generale dell’ Eeb, che nell’introduzione alla relazione non può fare a meno di interrogarsi: “La domanda è: la Presidenza svedese faciliterà i passi avanti e l’ascesa alla sfida storica che l’Europa e il mondo devono affrontare?”.

L’auspicio è quello di “avanzare con ambizione nei fascicoli sotto la presidenza svedese del Consiglio dell’Ue”. Per cercare di trovare quelle risposte che il mondo dell’associazionismo vorrebbe, si stila innanzitutto il ‘decalogo’ delle cose da fare, una lista dei dieci ambiti di intervento. Avanti con il Green Deal, garantire la sicurezza energetica, e poi ancora proteggere la biodiversità e promuovere un’agricoltura più sostenibili. L’ombrello delle associazioni ecologiste chiede quindi alla Svezia, come quinta cosa, di “affrontare le pressioni sulle acque superficiali e sotterranee e garantire acqua pulita per tutti”. Azione numero sei: politiche per una migliore qualità dell’aria. Quindi politiche di contrasto alla diffusione delle sostanze chimiche, “passare a un’industria a inquinamento zero”,cogliere tutto il potenziale dell’economia circolare” e rafforzare e promuovere la giustizia ambientale.
Alla presidenza ormai prossima si offrono anche suggerimenti su come declinare questa agenda. Sul fronte dei trasporti si esorta a occuparsi degli spostamenti marittimi. Per dare impulso al Green Deal europeo occorre “decarbonizzarlo, rimuovendo l’esenzione fiscale per i combustibili marini” attraverso la direttiva sulla tassazione dell’energia (ETD). Ed è sempre in quest’ottica che si invita a “concordare uno standard per i combustibili a intensità di carbonio (EUFuelMaritime) e ridimensionare l’infrastruttura dei combustibili rinnovabili nei porti attraverso il regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi”.

Capitolo rinnovabili, essenziale per l’indipendenza energetica e la transizione verde. Qui si insiste sulla necessità di “accelerare in modo significativo l’adozione” dei permessi “semplificando i processi amministrativi senza compromettere le salvaguardie ambientali e fornendo una forte certezza giuridica sia per gli sviluppatori di progetti che per le autorità di autorizzazione”. Si chiede inoltre di garantire “la pianificazione territoriale per accelerare la realizzazione di infrastrutture per le energie rinnovabili”. Più in generale, però, si invita la presidenza svedese di turno del Consiglio dell’Ue a “sostenere e promuovere obiettivi più elevati per andare oltre la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, poiché una maggiore ambizione creerà nuovi posti di lavoro e ridurrà le bollette energetiche”. In tal senso si chiede dimantenere un obiettivo del 45% per la quota di energia rinnovabile nel consumo finale di energia entro il 2030” nella revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, e procedere a “l’adozione di un obiettivo di efficienza energetica del 40% nel consumo finale di energia” nella revisione della direttiva sull’efficienza energetica. Ancora, si chiede di “negoziare solidi criteri di sostenibilità per l’approvvigionamento e l’uso della biomassa”, compreso un meccanismo di limitazione e riduzione graduale per ridurre significativamente l’uso di biomassa legnosa primaria nell’Ue”. Il documento non manca di toccare il tasto del conflitto russo-ucraino, e gli impegni assunti dall’Ue e dai suoi Stati membri per la ricostruzione. Quest’ultima andrebbe realizzata essendo guidati “dagli obiettivi del Green Deal europeo in particolare neutralità in termini di emissioni di carbonio, inquinamento zero, e una transizione giusta”. Non certo un impegno di poco conto. Ecco perché, scandisce il segretario generale dell’Eeb, “i prossimi sei mesi saranno essenziali per dimostrare e migliorare l’impegno dell’U e nell’affrontare la tripla crisi climatica, della biodiversità e dell’inquinamento e contribuire a rendere il Green Deal l’agenda di trasformazione di cui l’Europa ha bisogno”. L’European Environmental Bureau offre il proprio contributo all’azione politica. La parola ora al governo svedese.

Serve il nucleare per uscire dalla crisi e continuare a decarbonizzare

La grave crisi energetica provocata in Europa dall’invasione dell’Ucraina da parte russa e dalla conseguente ‘guerra del gas’, che ha privato il nostro continente dell’approvvigionamento energetico più a buon mercato, mostra con grande evidenza l’incapacità, i conflitti di interesse e lo stato di confusione dell’Europa rispetto a una situazione così complessa. In particolare mostra tutti i suoi limiti l’approccio estremista e tutto ideologico alla transizione energetica e alla lotta contro il climate change: ‘rinnovabili, rinnovabili, rinnovabili’ il motto declinato per anni dalla Commissione Europea senza una visione olistica capace di tener conto anche dell’economia e del destino dei sistemi industriali del continente.

Un approccio simile prevede che quando le Istituzioni Comunitarie parlano di processi di decarbonizzazione intendono e regolano soltanto le politiche a favore delle energie rinnovabili, demandando ai Paesi membri le politiche relative alle altre tecnologie di decarbonizzazione con ciò stesso ritenendole meno importanti. Da più parti ci si pone la domanda se sia giusto che le famiglie e l’economia europea, che sono responsabili di meno del 10% delle emissioni di CO2 nel mondo, e la sua industria, che di tali emissioni è responsabile per meno della metà di quel 10%, siano messe in ginocchio da una visione estremista e unilaterale come quella che si è citata.

In realtà appare sempre più chiaro che il tema della decarbonizzazione è inscindibilmente connesso a quello dell’approvvigionamento energetico, e che un argomento così delicato non può consentire estremismi ideologici pena una gravissima crisi dei sistemi industriali del continente. Le imprese devono poter accedere all’energia a prezzi accessibili perché se ciò non sarà possibile vi saranno o chiusure dolorosissime o un altrettanto doloroso esodo di industrie chiave verso Paesi nei quali l’energia è affidabile e a buon mercato. Ciò significa che bisogna essere capaci a tenere in equilibrio tre esigenze ugualmente fondamentali: ambiente e lotta al climate change attraverso processi di decarbonizzazione; economicità degli approvvigionamenti energetici per garantire la competitività dei sistemi industriali; sicurezza di questi approvvigionamenti.

Le energie rinnovabili (fotovoltaico ed eolico in particolare) non possono bastare perché sono intermittenti, non programmabili, e coprono solo una parte temporalmente contenuta dei fabbisogni energetici di un Paese o di un continente. Banalizzando, coprono solo le ore in cui c’è il sole e soffia il vento, che grosso modo (anche sommate come se non ci fossero sovrapposizioni tra le ore di sole e quelle in cui soffia il vento, il che non è) non arrivano ad un terzo delle ore in cui c’è bisogno di energia.

Faccio sempre l’esempio di un grande impianto energivoro come un’acciaieria a forno elettrico. Le ore annuali di esercizio sono circa 8000, le energie rinnovabili in Italia ne coprono a mala pena 2000-2500. E per le altre 5500-6000 ore? È evidente che l’industria energivora di base (siderurgia, chimica, carta, cemento, ceramica, vetro ecc.) per coprire queste ore non coperte dalle rinnovabili ha bisogno di energia di base, base load, decarbonizzata. Energia stabile, continua, possibilmente a costi contenuti.

Ci sono solo due tecnologie che soddisfano questa esigenza: le centrali a gas con l’applicazione delle tecnologie CCUS (Carbon Capture Utilization and Storage) e il nucleare. Le batterie e gli accumuli non sono capaci di far funzionare grandi impianti energivori come i forni elettrici. Entrambe queste tecnologie, CCUS e nucleare, sono state per anni scartate e messe all’indice dall’estremismo ideologico ambientalista che ha influenzato non poco moltissime nazioni europee, Germaniae Italia in testa, e la Commissione europea.

È parso chiaro a tutti, sulla base dei dati forniti al convegno, che se si vuole uscire dall’emergenza innescata dalla più grave crisi energetica mai vista, che in Europa ha il suo epicentro, e contemporaneamente si vuole proseguire sulla strada della decarbonizzazione non si può fare a meno del nucleare.

Perché il nucleare? Per quattro motivi come ha sostenuto con forza Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare.

  1. Perché già oggi è la prima fonte non carbonica del sistema energetico europeo. Verità nascosta da una lunga retorica falsificatrice (specie nel nostro Paese ) che ha raccontato di un presunto declino del nucleare, il quale pesa invece per il 25% della generazione elettrica del continente, con 122 centrali operative e consente di lanciare ambiziosissimi programmi di decarbonizzazione.
  1. Perché il nucleare è una fonte energetica continuativa che dà energia per tutte le 8760 ore dell’anno è ed una fonte totalmente decarbonizzata. 
  2. Perché il nucleare è l’unica fonte decarbonizzata che può riuscire a far fronte all’evoluzione dei nostri sistemi, segnati da una sempre maggiore penetrazione degli usi elettrici. E inoltre è la fonte contrassegnata dalla più bassa volatilità e dalla più alta costanza nei costi operativi e di gestione. 
  3. Infine perché il nucleare è la tecnologia non carbonica subito disponibile e caratterizzata dalla più massiccia articolazione di tipologie di impianti ad alta tecnologia e con i maggiori requisiti di sicurezza, efficienza e innovatività tra tutti gli impianti energetici. 

In particolare negli ultimi venti anni la tecnologia ha fatto passi enormi in termini di sicurezza, efficienza e economicità, arrivando a quello che si chiama ‘nucleare di terza generazione’ e si prevede di arrivare a fine del prossimo decennio a quella che viene chiamata ‘quarta generazione’

Bus sempre più green

Il piano per stimolare lo sviluppo della mobilità sostenibile

Aumentare del 10% la quota di spostamenti effettuati con forme di mobilità sostenibile, come mezzi pubblici, sharing, micro-mobilità elettrica e mobilità attiva (in bicicletta o a piedi): è questo l’obiettivo principale con orizzonte 2030 fissato a maggio dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile. Un traguardo da raggiungere attraverso “un approccio organico e integrato, e aumentando la potenza d’urto degli interventi“, spiega il Mims nel report ‘Verso un nuovo modello di mobilità locale sostenibile’. Tra le azioni principali, stimolare l’uso del trasporto pubblico, ancora molto basso soprattutto nel Mezzogiorno e nelle aree suburbane e periurbane dove la qualità del servizio è insoddisfacente e c’è una maggiore propensione a ricorrere all’auto privata.

Il dossier fa luce sulle problematiche che oggi frenano lo sviluppo di un modello di mobilità più sostenibile. Partendo da una considerazione: negli ultimi due decenni non è aumentata la percentuale di italiani che si serve dei mezzi pubblici. Secondo i dati dell’Osservatorio Audimob, su 100 spostamenti medi giornalieri (feriali) il trasporto pubblico ha mantenuto la propria quota attorno al 10 per cento. L’auto regna ancora incontrastata, con il 62,5% degli spostamenti con la propria vettura nel 2019 a fronte del 20,8 a piedi, del 10,8 con mezzi pubblici e del 3,3 in bicicletta. Non solo: i dati mostrano anche la forte abitudine a usare mezzi privati non solo per tragitti di ampio raggio, ma anche per quelli in contesto urbano (tra 2 e 10 km), dove si arriva al 78%.

Quali sono i fattori che tarpano le ali a un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale? Il documento nel Mims ne elenca diversi. Il primo riguarda l’offerta di trasporto pubblico, considerando che i posti-km complessivi nei comuni capoluogo di provincia nel 2019 erano il 4,5% in meno rispetto al 2010. Evidente anche il gap con il resto d’Europa per quanto riguarda le reti urbane su ferro (metro, tram e ferrovie urbane): secondo Legambiente, in Italia si arriva a 1.400 km contro i 1.900 della Francia, i 2.300 della Spagna e i 4.700 della Germania.

Altro fattore penalizzante è l’età del parco mezzi, che si traduce in una minore qualità del servizio e in un maggiore inquinamento dell’aria. Sui circa 44mila bus pubblici circolanti in Italia nel 2019, il 45% circa aveva oltre 15 anni. E, secondo i dati dell’Osservatorio sul trasporto pubblico locale, nel 2021 circa il 40% dei bus per i trasporto urbano e extraurbano era di una categoria inferiore a Euro 5, con appena l’1% elettrico. Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, poi, resta ancora modesta la digitalizzazione dei servizi del Tpl. Ad esempio, nel 2019 solo il 31% dei comuni capoluogo disponeva di servizi di informazione via sms e il 35,8% offriva la possibilità di acquistare i biglietti online. Altro dato interessante contenuto in un’indagine Istat del 2019: una famiglia su tre segnala, nella zona in cui abita, abbastanza o molta difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici. Il combinato disposto di tutti questi elementi porta a un basso grado di soddisfazione verso i trasporti pubblici in Italia e, di conseguenza, a un utilizzo limitato. L’indagine Eurobarometro del 2019 mostra come il 54% degli italiani si dichiari per nulla o poco soddisfatto del Tpl, valore molto più elevato di quelli di Spagna e Francia (attorno al 20%) e soprattutto Germania (circa 15%).

Per cercare di superare queste (e altre) criticità, il Mims ha definito una strategia decennale basata su obiettivi di sostenibilità di tipo economico (miglioramento della mobilità locale ed efficientamento del servizio pubblico), sociale (miglioramento dell’accessibilità e della qualità del servizio) e ambientale (cambiamento modale e riduzione delle emissioni). Da un lato, il piano mira a aumentare la domanda di mobilità sostenibile attraverso incentivi (monetari e non) per favorire l’utilizzo del trasporto pubblico locale, disincentivi all’utilizzo dell’automobile e programmazione urbana e dei trasporti integrata. Dall’altro, si punta a migliorare l’offerta di mobilità pubblica, anche in termini infrastrutturali, di innovazione tecnologica e di impatto ambientale. Da questo punto di vista, è prevista la sostituzione dell’intero parco autobus del Tpl con classe ambientale inferiore a Euro 5 e transizione green verso l’elettrico e l’idrogeno, in vista della decarbonizzazione del settore al 2050. Tra le azioni già previste nel Pnrr c’è l’acquisto entro il 2026 di circa 3.400 bus a basse emissioni e la realizzazione di infrastrutture di ricarica dedicate. Mentre, a livello di infrastrutture, spicca la realizzazione di circa 570 km di piste ciclabili urbane e metropolitane e di circa 1.250 km di piste ciclabili turistiche.

Le risorse? L’allegato ‘Infrastrutture, mobilità e logistica’ al Def 2022 prevede circa 280 miliardi di euro (+8,1% rispetto a quanto stanziato l’anno scorso) per interventi selezionati e finanziati sulla base di piani strategici redatti tenendo conto della strategia economica del Governo, degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu e del Green Deal europeo. Tra gli obiettivi dichiarati c’è quello di rendere più sostenibile dal punto di vista ambientale il sistema della mobilità. Nel dettaglio, gli investimenti riguardano strade e autostrade (83,5 miliardi), ferrovie e nodi urbani (147,4 miliardi), porti (10,1 miliardi), aeroporti (3,2 miliardi), trasporto rapido di massa nelle città metropolitane (32,6 miliardi) e ciclovie (2,6 miliardi).