Il verde in città? Abbassa la temperatura ma non sempre l’inquinamento

La vegetazione in città contribuisce ad abbassare temperatura e velocità del vento, ma non porta sempre a una riduzione degli inquinanti nell’aria. È quanto emerge da due studi ENEA pubblicati sulla rivista scientifica Forests e realizzati nell’ambito del progetto Life VEG-GAP.

“Abbiamo usato sistemi modellistici per la qualità dell’aria, ma configurati in modo da includere con maggior dettaglio la vegetazione presente e la morfologia urbana, stimando la quantità di inquinanti rimossi e mostrando che, localmente, questa rimozione non garantisce sempre un miglioramento della qualità dell’aria”, spiega Mihaela Mircea, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento atmosferico e responsabile del progetto per l’ENEA.

Nello scorso mese di luglio, nelle tre città prese in esame (Milano, Bologna e Madrid), i ricercatori Enea hanno rilevato che la vegetazione ha ridotto localmente la temperatura fino a 0,8° a Milano, 0,6° a Madrid e 0,4° a Bologna. Le concentrazioni di inquinanti, invece, sono variate con la stagione e a seconda della città presa in esame, perché sono il risultato di interazioni molto complesse tra centinaia di gas e composti chimici controllati dalle condizioni meteorologiche ed emissioni. D’estate, l’ozono, particolarmente dipendente dalle emissioni delle piante, ha mostrato una riduzione a Madrid (fino a -7,40 mg/m3) ma un aumento a Milano (fino a +2,67 mg/m3.).

Le variazioni dell’ozono hanno una relazione inversa con un altro inquinante come il biossido di azoto: infatti, quest’ultimo aumenta a Madrid (fino a +7,17 mg/m3) mentre diminuisce a Milano ( fino a -3,01 mg/m3). Nel caso del particolato atmosferico (PM10), la vegetazione ha un impatto più forte a gennaio, in corrispondenza dell’aumento delle emissioni antropiche, e mostra riduzioni a Milano (fino a -3,14 mg/m3) e aumenti a Madrid (fino a +2,01 mg/m3).

La presenza della vegetazione produce effetti in tutta la città, non solo nelle aree verdi, e non solo d’estate: gli alberi decidui infatti modificano le proprietà dell’aria anche in inverno, agendo come ostacoli che riducono la velocità del vento e la dispersione degli inquinanti, e come sorgente di acqua attraverso il suolo permeabile intorno a loro, aumentando così l’umidità relativa dell’aria. “I nostri studi hanno considerato l’interazione continua tra la vegetazione e l’aria urbana e sono applicabili in qualsiasi città che abbia a disposizione un inventario della vegetazione presente”, conclude Mircea.

Monteleone (ENEA): “Futuro è sostenibile ma non con unica tecnologia”

La mobilità del futuro, a breve e lungo termine, sarà sostenibile ma non potrà fare affidamento su un’unica soluzione tecnologica. Ne è convinta Giulia Monteleone, responsabile della Divisione di Produzione, storage e utilizzo dell’energia del Dipartimento tecnologie energetiche e fonti rinnovabili dell’ENEA. “Prima di tutto c’è da fare un discorso di cambiamento culturale delle proprie abitudini“, spiega contattata da GEA. Per ridurre l’impatto della mobilità sull’ambiente, il primo passo è “cercare di ridurre il numero di veicoli, ottimizzare gli spostamenti, utilizzare il trasporto pubblico e il car sharing, insomma ridurre il numero di veicoli per persona è uno degli approcci da perseguire assolutamente“. Poi, però, bisognerà affrontare il tema dell’approccio tecnologico: “Anche qui è necessario diversificare, non utilizzare in assoluto solo l’elettrico, non solo il biofuel, non solo l’idrogeno“.

Negli spostamenti di breve percorrenza, in città è ancora il veicolo elettrico il più indicato per l’esperta, “ha un’efficienza superiore sul motore endotermico. Un motore elettrico può avere un’efficienza del 50-70%, un motore endotermico con combustibile fossile del 40% e con un combustibile prodotto da rinnovabili l’efficienza si abbassa ancora“, spiega. Il rinnovamento del parco veicoli pesa sicuramente sugli obiettivi di decarbonizzazione, come “qualsiasi intervento legato a un processo produttivo che emette anidride carbonica“. Il punto, dunque, è intervenire su tutte le filiere produttive, a 360 gradi.

Quanto allo stop ai motori endotermici con combustibile fossile dal 2035, “per ora l’Europa tira fuori i biocarburanti e accetta gli e-fuel, di origine non biologica“, ricorda. Al momento però “gli e-fuel non sono una tecnologia commerciale, per una questione di costi“. Sono comunque soluzioni che garantirebbero la sopravvivenza del comparto. Ha senso escludere i biocarburanti? “C’è un discorso di politica industriale, dal punto di vista italiano sarebbe strategico mantenere la filiera di biocarburanti, ma evidentemente a livello europeo la strategia non è condivisa“, osserva. Il futuro, per le applicazioni pesanti, su gomma, rotaia o mare di lunga percorrenza è certamente l’idrogeno. Per gli aerei, ci sono i Saf, i carburanti sostenibili per l’aviazione che, scandisce, “non sono altro che e-fuel“. Le batterie sono escluse: “Per peso e ingombro non potrebbero garantire le autonomie richieste“.

condizionatori

Energia, Enea: Migliorano prestazioni immobili certificati, A4-B +3,7%

Migliorano ancora e in maniera significativa le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato. È quanto emerge dal IV Rapporto annuale sulla certificazione energetica degli edifici realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente (CTI) sulla base di circa 1,3 milioni di attestati di prestazione energetica (APE) registrati nel SIAPE ed emessi nel 2022 da 17 Regioni e 2 Province Autonome.

Il report evidenzia una diminuzione percentuale degli immobili nelle classi energetiche peggiori F e G (-3,7%), a fronte di uno speculare aumento di quelli nelle classi più performanti A4-B (+3,7%). Tuttavia, la distribuzione per classe energetica conferma che circa il 55% dei casi censiti sono caratterizzati da prestazioni energetiche basse (classi F-G). In particolare, la quota più consistente di attestati è stata emessa dalla regione Lombardia (20,5%), seguita da Lazio (9,6%) e Veneto (8,4%). Gli APE collegati a passaggi di proprietà e locazioni risultano in lieve flessione, pur continuando a rappresentare oltre l’80% del campione analizzato. Aumentano in percentuale le riqualificazioni energetiche e le ristrutturazioni profonde, che rappresentano rispettivamente il 5,7% e il 4,1% degli APE emessi nel 2022 (+1,5% per entrambe rispetto al 2021); stati oltre 17 mila gli APE registrati nel SIAPE nella categoria Edifici a energia quasi zero (NZEB – Nearly Zero-Energy Buildings) tra il 2015 e il 2022.

Il significativo aumento dei costi energetici e la crisi climatica in atto rappresentano problematiche sempre più stringenti che rendono ancora più necessari gli interventi per il miglioramento energetico degli edifici”, sottolinea il Presidente ENEA, Gilberto Dialuce. “In questo contesto il Rapporto rappresenta un ulteriore sforzo congiunto di ENEA e CTI per migliorare la qualità del quadro d’insieme del patrimonio immobiliare privato e pubblico, anche alla luce delle decisioni sulla nuova Direttiva EPBD che a breve verranno prese in sede UE. Una sinergia indispensabile – osserva – anche per la definizione delle strategie di intervento nel settore a livello nazionale e territoriale, e per un orientamento più mirato e stabile nel tempo degli investimenti necessari e dei relativi sistemi di incentivazione”.

La principale novità di questa edizione è la sezione del rapporto dedicata a nuovi strumenti e metodi di analisi per il miglioramento della qualità degli APE, in particolare per il potenziamento delle metodologie di controllo da parte del certificatore sia durante la fase di predisposizione dell’APE che in quella successiva. Sono stati approfonditi, inoltre, i temi relativi all’implementazione del Catasto Energetico Unico (CEU) regionale, il ruolo del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici (PnPE2) e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea. La digitalizzazione degli APE risulta fondamentale per individuare le aree con maggiore necessità di intervento, in funzione delle diverse realtà territoriali, e per offrire al cittadino un set più completo di informazioni, grazie anche all’ausilio di sportelli unici digitalizzati (one stop shop).

Il rapporto, infine, analizza i risultati di un questionario somministrato a un campione di circa 80 soggetti, tra associazioni, consorzi e ordini professionali, che hanno espresso il loro punto di vista su diversi aspetti del sistema di certificazione energetica nazionale, soprattutto in merito alle proposte di revisione della Direttiva EPBD sulla prestazione energetica degli edifici.

La nuova edizione del Rapporto vuole rappresentare uno strumento di lavoro sempre aggiornato e in continua evoluzione per supportare chi deve o vuole definire strategie, misure e azioni sul parco edilizio nazionale in linea con gli sfidanti obiettivi che ci impongono la transizione energetica e la decarbonizzazione”, spiega il Presidente del CTI, Cesare Boffa. “Questo nuovo capitolo della collaborazione tra ENEA e CTI mette in luce il processo di miglioramento continuo delle informazioni che possono essere raccolte, analizzate e trasmesse alla Pubblica Amministrazione e agli operatori interessati”.

Nasce intergruppo parlamentare su energia nucleare. Fregolent: “Rompere il tabù”

Nasce l’intergruppo parlamentare sull’energia nucleare. Da anni il dibattito politico è animato e diviso dall’utilizzo di questa fonte di approvvigionamento, ma negli ultimi mesi, complice anche la crisi energetica, acuita dall’aggressione russa in Ucraina che ha accelerato la diversificazione del mix, la discussione è diventata più serrata. E forse urgente. L’attuale maggioranza, infatti, è favorevole a riattivare la ricerca sul nucleare nel nostro Paese, al punto che il tema più volte è stato sollevato nella campagna elettorale della scorsa estate e durante questi primi mesi del governo di Giorgia Meloni. Ma non è solo il centrodestra a ritenere necessario riattivare questa leva, perché al centro, ad esempio, la convinzione sembra ormai consolidata, almeno in Azione e Italia viva, con Carlo Calenda e Matteo Renzi che sul punto specifico non sembrano avere opinioni contrastanti. In questo scenario politico, e considerando il fatto che l’Italia partecipa alla ricerca sulla fusione, il Parlamento ha pensato che fosse giunto il momento di creare un organismo appositamente dedicato.

A promuovere l’intergruppo è la senatrice di Iv, Silvia Fregolent. Per rompere un tabù ed eliminare i pregiudizi che continuano a far scontare al nostro Paese ritardi inspiegabili“, spiega. Rincarando la dose: “Una follia che l’Italia ha pagato caro con la crisi energetica“. L’esponente del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe, parte dall’assunto che “sappiamo che ci sono stati due referendum“, ma “da quel momento – sottolinea – le tecnologie sono andate avanti e i nostri migliori tecnici stanno lavorando all’estero proprio per creare il nucleare pulito“. Nelle intenzione dei promotori “l’intergruppo potrà garantire il dialogo tra il mondo istituzionale e i player del settore nucleare in modo da permettere la condivisione di elementi tecnici che possano determinare una decisione da parte delle istituzioni in modo consapevole e senza pregiudizi“, chiarisce ancora Fregolent. Nei prossimi giorni dovrebbe esserci anche la presentazione dell’organismo, al quale stanno ancora arrivando adesioni in queste ore.

Sarà una buona notizia per chi continua il lavoro scientifico sulla tecnologia nucleare. Come l’ENEA, il cui presidente, Gilberto Dialuce, intervenendo all’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’, organizzato martedì scorso a Roma da Withub, con la direzione editoriale di Gea ed Eunews, ha ribadito che nel processo di decarbonizzazione “c’è anche il nucleare da considerare“. Spiegando che a medio termine potrebbe esserci la possibilità di utilizzare i piccoli reattori modulari, definendoli “una svolta tecnologica“. Dialuce ha spiegato che “in Romania ci sono prototipi che stanno venendo costruiti con progetto di Enea” e “anche al centro del Brasimone presto ci sarà il primo prototipo in Italia, non alimentato a energia Nucleare ma per testare la tecnologia“. Un dossier ‘candidabile’ per il nuovo intergruppo parlamentare.

spreco alimentare

Giornata biodiversità, il ‘manifesto’ Enea per tutelare cibo e salute

Promuovere il dialogo attivo tra scienza, politica e società, sostenere lo sviluppo di servizi avanzati in chiave di sostenibilità e circolarità e favorire la transizione agroecologica attraverso la rivitalizzazione della dieta mediterranea. Sono alcuni dei punti salienti del ‘manifesto’ presentato da ENEA in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, dedicata quest’anno al tema ‘Il nostro cibo, la nostra salute e la nostra biodiversità’, con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sull’importanza del passaggio a sistemi agroalimentari più sostenibili per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e sanare la frattura creatasi nel tempo tra economia e società, tra sviluppo e territori. “I sistemi agroalimentari sono sempre più oggetto di disequilibri e conflitti geopolitici. Da qui la necessità di una transizione verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale e di governance globale del cibo”, dice Massimo Iannetta, responsabile della Divisione Biotecnologie e agroindustria di ENEA.

“Dalla fine della Seconda guerra mondiale – prosegue Iannetta – i sistemi alimentari sono riusciti a garantire un’offerta sempre più ampia di alimenti a disposizione di una popolazione mondiale in rapida crescita. Tuttavia, questa grande produzione ha lasciato dei segni: i sistemi agroalimentari intensivi hanno contribuito nel tempo al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità e allo stesso tempo risentono delle conseguenze di questi cambiamenti”.

Non solo. La grande produzione agroalimentare genera alcune forti contraddizioni; ad esempio, un terzo di tutte le derrate alimentari prodotte va perso o sprecato. “Inoltre, la disomogenea distribuzione del cibo ha generato una polarizzazione della sua accessibilità; da una parte milioni di persone che soffrono di carenze alimentari, dall’altra l’abbondanza di cibo abbinata a una grande incidenza di malattie non trasmissibili riconducibili ad abitudini alimentari squilibrate, tra i rischi principali per la salute umana”, sottolinea Iannetta.

È necessario, dunque, promuovere un sistema agroalimentare sostenibile, includendo tutte le attività lungo la filiera, ma anche trasformare concretamente i sistemi agroalimentari. Inoltre, tra le azioni considerate, è fondamentale “contribui­re alla qualità globale e alla sostenibilità della produzione agricola e alimentare, inclusi i settori della vendita al dettaglio” e ridurre la forbice tra scarsità e abbondanza nelle dinamiche globali del cibo. Nel manifesto proposto da ENEA si fa riferimento anche all’attuazione di un cambio di paradigma in chiave One Health per fronteggiare la trasformazione dei sistemi agroalimentari, guardando alla salute dell’uomo come sistema. E, ancora, all’importanza di favorire il confronto tra scienza, politica e società e il dialogo tra i Paesi del Nord e del Sud attraverso lo sviluppo condiviso di innovazioni coerenti ai diversi contesti territoriali. Infine, si chiede di favorire la transizione agroecologica dei sistemi agroalimentari mediterranei, di rivitalizzare la dieta mediterranea e di promuovere buone pratiche (ad esempio catene del valore e consumi diversificati), come la bioeconomia circolare e l’efficienza nell’uso delle risorse, oltre a meccanismi di garanzia e governance.

Italia leader dell’economia circolare in Europa davanti alla Spagna, Francia, Germania e Polonia

Photo credits: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica

Italia leader dell’economia circolare in Europa. Anche se, nel mondo, nonostante gli allarmi sulle crisi ambientali, il tasso di circolarità sta diminuendo: in cinque anni si è passati dal 9,1% al 7,2%. In altre parole, il Pianeta ricicla e riusa di meno. Tra le prime cinque economie dell’Ue l’Italia rimane il Paese più circolare d’Europa,  seguita da Spagna, Francia, Germania e Polonia. Ma il nostro Paese arretra su alcuni indicatori chiave come il tasso di uso circolare della materia e la produttività delle risorse. Sono i dati che emergono dalla quinta edizione del Rapporto nazionale sull’Economia circolare, realizzato dal Circular Economy Network in collaborazione con Enea, e presentato a Roma.

Il tasso di utilizzo circolare dei materiali in Italia è al 18,4%, resta più alto della media Ue (11,7%) nel 2021 – ultimo dato disponibile – ma eravamo al 20,6% nel 2020 e al 19,5% nel 2019. Per la produttività delle risorse siamo, assieme alla Francia, davanti alle altre principali economie europee con 3,2 euro generati per ogni kg di materiale consumato e anche nella percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, speciali e urbani, siamo in testa con il 72%. Nella classifica complessiva della circolarità delle cinque principali economie dell’Unione Europea (Italia, Germania, Francia, Spagna e Polonia) restiamo dunque leader ma nella tendenza degli ultimi cinque anni perdiamo posizioni: la Spagna ci segue a ruota e sta tenendo un ritmo di cambiamento più veloce dell’Italia. “Occorre accelerare, anche per combattere l’inflazione: se il costo delle materie prime e delle risorse aumenta, la circolarità è una risposta concreta alla crisi. Per questo è fondamentale dotarci di tutti gli strumenti utili per sviluppare pienamente l’economia circolare”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network (CEN).

L’interesse degli italiani sul tema esiste, come ha dimostrato un’indagine, realizzata da CEN e Legacoop in collaborazione con Ipsos: negli ultimi 3 anni, infatti, quasi un italiano su 2 (il 45% degli intervistati) ha acquistato un prodotto usato e uno su 3 (il 36% del campione) un prodotto ricondizionato o rigenerato.

E proprio sull’economia circolare, ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, nel Pnrr ci sono “un miliardo e mezzo di euro” destinati “alla realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti, anche per ridurre differenze regionali nei tassi di raccolta differenziata” e a “bonificare almeno il 90% le discariche oggetto delle procedure di infrazione Ue“. Altri “seicentomila euro saranno investiti in ‘Progetti Faro di Economia Circolare’, puntando soprattutto su settori quali i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche; l’industria della carta e del cartone; il riciclaggio dei rifiuti plastici e del settore tessile“. L’obiettivo del governo è raggiungere importanti target nei tassi di riciclaggio: in particolare, almeno il 55 % per i rifiuti urbani; almeno il 65% in peso per i rifiuti di imballaggio; almeno il 25% per gli imballaggi in legno; almeno il 70% in peso degli imballaggi di metalli ferrosi; almeno il 50% degli imballaggi in alluminio; almeno il 70% degli imballaggi di vetro; almeno il 75% in peso per carta e cartone; almeno il 50% in peso degli imballaggi di plastica. “Questi progetti – ha concluso Pichetto – vanno inseriti in un sistema normativo e regolamentare nuovo, che sia informato dei principi dell’economia circolare ed a cui il Pnrr dedica tre riforme: la ‘Strategia nazionale per l’economia circolare’, il ‘Programma nazionale per la gestione dei rifiuti’ e il ‘Supporto tecnico del Governo alle autorità locali’“.

Per questo, forte delle sue best practices, l’Italia ritiene non opportuno il meccanismo uniforme del regolamento Ue sugli imballaggi: soprattutto, ha spiegato il ministro Pichetto, “il divieto di imbustamento verdure sotto 1,5 kg mette fuori legge le confezioni del banco. Ma così non alimentiamo lo spreco alimentare? Ci va equilibrio, l’analisi deve essere scevra da deformazioni eccessivamente ideologizzate e specialistiche. Perché così per evitare di riciclare plastica sprechiamo cibo“.

Sul tema delle materie prime invece, l’Italia ne importa oltre il 99% “mostrando una dipendenza dall’estero ancora più drammatica di quella europea”, come ha illustrato Roberto Morabito, direttore del Dipartimento ENEA di Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali. “Per un Paese come l’Italia – ha precisato – decisamente più povero di materie prime rispetto ai principali competitor, è ineludibile puntare sulla circolarità, dall’eco-design dei prodotti al recupero e riciclo, sfruttando le nostre miniere urbane, che sono la fonte potenziale di materie prime critiche più prontamente accessibile”.

Lo smart working fa bene all’ambiente: 600 chili di CO2 in meno all’anno per lavoratore

Il lavoro a distanza permette di evitare l’emissione di circa 600 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per lavoratore (-40%) con notevoli risparmi in termini di tempo (circa 150 ore), distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 litri di gasolio). È quanto emerge dallo studio ENEA sull’impatto ambientale dello smart working a Roma, Torino, Bologna e Trento nel quadriennio 2015-2018, pubblicato sulla rivista internazionale Applied Sciences. “Nel nostro Paese circa una persona su due possiede un’autovettura, vale a dire 666 auto ogni 1000 abitanti, un dato che pone l’Italia al secondo posto in Europa per il più alto tasso di motorizzazione, dopo il Lussemburgo”, spiega Roberta Roberto, ricercatrice ENEA del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e co-autrice dell’indagine, insieme ai colleghi di altri settori dell’Agenzia Bruna Felici, Alessandro Zini e Marco Rao.

In Italia i trasporti sono responsabili di oltre il 25% delle emissioni totali nazionali di gas ad effetto serra e quasi tutte (93%) provengono dal trasporto su gomma, con le automobili a fare la parte del ‘leone’ (70%). “Il lavoro agile e tutte le altre forme di lavoro a distanza, tra cui lo smart working, hanno dimostrato di poter essere un importante strumento di cambiamento in grado non solo di migliorare la qualità di vita professionale e personale, ma anche di ridurre il traffico e l’inquinamento cittadino e di rivitalizzare intere aree periferiche e quartieri considerati dormitorio”, aggiunge Roberto.

In base alle risposte di un campione di 1.269 lavoratori agili di PA nelle quattro città prese in esame, che negli spostamenti casa-lavoro usano il mezzo privato a combustione interna, ogni giorno di lavoro a distanza permetterebbe di evitare 6 kg di emissioni dirette in atmosfera di CO2 e risparmiare 85 megajoule (MJ) di carburante pro capite. Ma i benefici ambientali non si fermano qui: l’analisi ha evidenziato una riduzione anche di ossidi di azoto a persona al giorno (dai 14,8 g di Trento ai 7,9 g di Torino), monossido di carbonio (da 38,9 g di Roma a 18,7 g di Trento) e PM10 (da 1,6 g di Roma a 0,9 g di Torino), PM2,5 (da 1,1 g di Roma e Trento a 0,6 g di Torino). Inoltre, per gli spostamenti extra-lavorativi nei giorni di smart working il 24,8% del campione dichiara di aver optato per modalità più sostenibili (mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta), l’8,7% ha modificato le proprie scelte in favore del mezzo privato, mentre il 66,5% non ha cambiato le proprie opzioni di mobilità.

Abbiamo scelto queste quattro città per due motivi: il primo riguarda le loro peculiarità legate al territorio e al profilo storico che fanno supporre impatti diversificati sulla mobilità urbana, mentre il secondo – e anche il più pratico – risiede nell’alto numero di risposte al questionario che abbiamo ricevuto dai dipendenti pubblici di queste quattro città che in media lavorano da casa 2 giorni a settimana”, sottolinea Bruna Felici, ricercatrice ENEA dell’Unità Studi, Analisi e Valutazioni. Dai dati raccolti emerge che in media il campione percorre 35 km al giorno per una durata di 1 ora e 20 minuti. Roma si conferma la città più critica, con un tempo di percorrenza medio di 2 ore, probabilmente a causa delle maggiori distanze (1 lavoratore romano su 5 percorre più di 100 km al giorno) e del traffico più intenso. Infatti, nella capitale gli spostamenti giornalieri per motivi di lavoro e studio sono circa 420 mila mentre ogni persona trascorre nel traffico 82 ore all’anno.

Circa la metà del campione dichiara di viaggiare esclusivamente con mezzi di trasporto privati a motore ​(47% in auto e 2% su due ruote), mentre il 17% viaggia esclusivamente con i mezzi pubblici e il 16% con un mix di trasporto pubblico/privato. Trento risulta la città con il maggior ricorso a mezzi privati a combustione interna negli spostamenti casa-lavoro (62,9%), seguita da Roma (54,4%), Bologna (44,9%) e Torino (38,2%).

La mobilità privata offre soluzioni flessibili in termini di risparmio di tempo e autonomia di movimento, soprattutto per chi ha figli in età scolare. Il trasporto pubblico, invece, viene scelto principalmente in un’ottica di risparmio denaro o in caso di mancanza di parcheggi”, conclude Alessandro Zini, ricercatore ENEA dell’Unità Studi, Analisi e Valutazioni.

Dodici ricercatori isolati per 9 mesi in Antartide per studiare il clima

Dodici scienziati trascorreranno nove mesi in completo isolamento per studiare il clima e la biomedicina. Prende, infatti, il via nella base italo-francese Concordia, a 3.300 metri di altitudine nel continente antartico, la 19esima campagna invernale del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e gestito da ENEA per l’organizzazione e la logistica e dal Cnr per il coordinamento scientifico. Sono 12 gli esperti selezionati che trascorreranno nove mesi in completo isolamento: 5 italiani del PNRA, 6 francesi dell’Istituto polare Paul Emile Victor (IPEV) e un medico tedesco dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Durante tutto l’inverno polare, infatti, la stazione non sarà più raggiungibile a causa delle temperature esterne proibitive, che possono scendere fino a -80°C. In questi mesi saranno condotti studi su clima, glaciologia, fisica e chimica dell’atmosfera e biomedicina e diverse attività di manutenzione della stazione.

L’inizio del winterover coincide ogni anno con la chiusura della stazione costiera Mario Zucchelli a Baia Terra Nova, che serra i battenti per riaprire il prossimo ottobre con l’arrivo del contingente della nuova spedizione estiva. Nel corso dell’attuale campagna sono stati condotti oltre 50 progetti di ricerca su scienze dell’atmosfera, geologia, paleoclima, biologia, oceanografia e astronomia, nonostante le difficoltà causate dal ridotto spessore del ghiaccio. I dati raccolti in Antartide saranno poi elaborati e analizzati nei laboratori di diversi enti di ricerca e università italiane. Hanno partecipato alla spedizione 240 ricercatori e tecnici, tra cui 23 esperti militari di Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Vigili del fuoco.

Dopo la chiusura della base Zucchelli, le attività di ricerca proseguono, oltre che a Concordia, anche a bordo della nave Laura Bassi, impegnata nella seconda campagna oceanografica nel Mare di Ross con studi dedicati alla geofisica. La rompighiaccio italiana, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), si è resa protagonista nei giorni scorsi di un record mondiale toccando il punto più a sud dell’emisfero raggiungibile via nave. Le condizioni del mare, straordinariamente libero dai ghiacci, hanno consentito ai ricercatori di effettuare importanti analisi, profilature e attività di pesca scientifica. La Laura Bassi rientrerà al porto di Lyttelton in Nuova Zelanda i primi di marzo, mentre il rientro in Italia è atteso per la seconda metà di aprile.

 

(Photocredit ENEA)

Enea jet

Primi test su jet militari: con biocarburanti -40% di emissioni inquinanti

Per la prima volta in Italia è stato sperimentato l’uso di miscele di biocombustibile e cherosene su un jet militare, ottenendo una riduzione fino al 40% delle emissioni inquinanti complessive. A calcolare questo taglio è stato uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Toxics, che indaga anche l’impatto complessivo sulla salute e l’ambiente di questi nuovi carburanti avio. La ricerca è stata condotta da ricercatori ENEA, in collaborazione con Aeronautica Militare, nell’ambito dell’accordo di cooperazione in materia di utilizzo di biocombustibili nel settore dell’aviazione, che coinvolge anche Cnr e ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.

I test sono stati condotti su due diverse miscele contenenti il 13% e il 17% di biocombustibile nel corso di diverse prove motore con velivolo a terra, all’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino Roma. Il risultato? Le due miscele a base di biocarburanti hanno fatto registrare per tutte le prove una riduzione media del 20% – e fino al 40% per medi regimi di potenza motore – delle emissioni di black carbon, ossia il carbonio elementare. Ma, allo stesso tempo, spiega Antonella Malaguti, ricercatrice Enea, “abbiamo rilevato l’aumento fino al 30% del biossido di azoto e della quantità di particelle totali emesse, in particolare delle nanoparticelle“.

La ricerca, però, è andata oltre e ha studiato le risposte biologiche dei polmoni ai prodotti di combustione attraverso test in vitro. Lo studio, sottolinea il ricercatore Maurizio Gualtieri, “apre scenari rilevanti per la determinazione del potenziale rischio per l’uomo”. I test, infatti, hanno evidenziato una maggiore deposizione di particelle fini e ultrafini sia nel sistema cellulare sia a livello polmonare, anche se questo incremento, puntualizza Gualtieri “non deve ascriversi in maniera prioritaria alla componente bio delle miscele di carburante“. L’esposizione del corpo umano alle emissioni, insomma, “innesca processi ossidanti acuti a livello cellulare che, associati ai dati di deposizione polmonare, fanno scattare un campanello di attenzione sugli effetti di esposizioni ripetute a queste emissioni nel corso del tempo“.

I risultati di questa campagna di test e sperimentazioni rappresentano un passo importante nell’ambito degli studi in corso per ridurre l’impatto sul clima dell’aviazione, che rappresenta uno dei settori maggiormente interessati al tema delle emissioni e su cui si sta concentrando sempre di più l’attenzione della comunità internazionale e del mondo della ricerca. I dati dell’Air Transport Action Group (Atag) dicono che nel 2019 (ormai anno di riferimento pre-pandemico), i voli aerei globali hanno prodotto qualcosa come 915 milioni di tonnellate di CO2, ovvero il 2,1% delle emissioni totali causate dagli esseri umani. L’aviazione pesa inoltre per il 12% sul totale delle emissioni generate dai trasporti (al primo posto, con il 74%, c’è quello stradale). “Per ridurre l’impatto del settore aereo sul clima serve, quindi, un grande sforzo nello sviluppo e nella sperimentazione di carburanti da fonti rinnovabili per sostituire, parzialmente o totalmente, i combustibili fossili attualmente utilizzati, ma senza perdere di vista i potenziali effetti sulla salute dell’uomo, come dimostra il nostro studio”, concludono Malaguti e Gualtieri.

Photo credits: ENEA

Oceano

Allarme clima, l’Oceano ribolle. Il 2022 segna un nuovo record di riscaldamento

Il riscaldamento dell’Oceano segna, per il settimo anno consecutivo, un nuovo record. Lo denuncia lo studio ‘Another year of record heat for the oceans’, pubblicato sulla rivista ‘Advances in Atmospheric Science’.
Nello specifico, il contenuto di calore dell’Oceano (OHC, Ocean Heat Content) stimato nel 2022 tra la superficie e i 2000 metri di profondità, è aumentato di circa 10 Zetta Joule (ZJ) rispetto al valore record raggiunto nel 2021, equivalenti a circa 100 volte la produzione mondiale di elettricità nel 2021, circa 325 volte quella della Cina, 634 volte quella degli Stati Uniti e poco meno di 9.700 volte quella dell’Italia. Per dare un’idea della enormità del valore di energia accumulato, 10 ZJ di calore possono mantenere in ebollizione 700 milioni di bollitori da 1,5 litri di acqua per tutta la durata dell’anno.
Questo aumento esponenziale della temperatura delle acque è accompagnato da un aumento della stratificazione e dalla variazione di salinità, che prefigurano quale sarà il futuro del mare in un clima in continuo riscaldamento.

L’articolo, firmato da un team internazionale di 24 ricercatori di 16 istituti – tra cui Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Franco Reseghetti dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) – analizza osservazioni, dagli anni ’50 a oggi, appartenenti a due dataset internazionali: il primo dell’Institute of Atmospheric Physics (IAP) della Chinese Academy of Sciences (CAS), il secondo del National Centers for Environmental Information (NCEI) della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

“Il riscaldamento globale dell’Oceano continua e si manifesta sia con nuovi record del contenuto termico delle acque ma anche con nuovi valori estremi per la salinità. Le aree già salate diventano ancora più salate mentre le zone con acque più dolci diventano ancora meno salate: c’è un continuo aumento dell’intensità del ciclo idrologico”, spiega il professor Lijing Cheng dell’Accademia Cinese delle Scienze, primo autore del lavoro.
Tra le tante conseguenze, l’aumento della salinità e della stratificazione dell’Oceano può alterare il modo in cui il calore, il carbonio e l’ossigeno vengono scambiati tra l’Oceano e l’atmosfera. Questo è un fattore che può causare la deossigenazione all’interno della colonna d’acqua che suscita forte preoccupazione, non solo per la vita e gli ecosistemi marini, ma anche per gli esseri umani e gli ecosistemi terrestri.
Quanto al Mediterraneo, si conferma il bacino che si scalda più velocemente tra quelli analizzati nello studio ma il contenuto di calore nel 2022 si attesta allo stesso livello del 2021 secondo le stime dello IAP-CAS (Institute of Atmospheric Physics, Chinese Academy of Sciences). I dati del modello di rianalisi del Mediterraneo prodotti e distribuiti dal servizio marino europeo Copernicus indicano invece una sua diminuzione rispetto al 2021. Queste differenze possono attribuirsi alle diverse tecniche di elaborazione dei dati e alla loro distribuzione spazio-temporale. Variazioni di breve periodo (inter-annuali) sono comunque parte caratteristica del sistema ed ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso.

“Ingv ed Enea collaborano già nell’ambito del progetto Macmap, finanziato da Ingv e condotto in collaborazione con la Grandi Navi Veloci (Gnv), che punta a studiare il cambiamento climatico attraverso il monitoraggio su base stagionale della temperatura dei Mari Ligure e Tirreno lungo la tratta Genova-Palermo e ad analizzare i dati di rianalisi e i modelli climatici che vanno dal 1950 al 2050”, evidenzia Simona Simoncelli dell’Ingv.
“La collaborazione con questo team internazionale, in particolare con il professor Cheng, ci permette di mantenere alta l’attenzione sul riscaldamento globale e il suo impatto sull’Oceano e di conseguenza sull’uomo e le attività economiche ad esso strettamente correlate”, aggiunge Franco Reseghetti dell’Enea. “Riteniamo che continuare a monitorare sistematicamente questi cambiamenti nell’Oceano rimanga l’unico modo per comprendere ed essere maggiormente consapevoli delle loro conseguenze e per poter elaborare strategie efficaci di mitigazione e adattamento”.