Clima, l’aumento di CO2 e di metano minaccia il Mediterraneo

L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio a causa del continuo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di metano (CH4). È quanto emerge dal Report dell’Osservatorio Climatico ENEA ‘Madonie – Piano Battaglia’ che dal 2005 effettua misure settimanali della concentrazione dei due gas e di altri parametri climatici. I dati, che dimostrano la minaccia per il Mediterraneo, sono sovrapponibili a quelli rilevati dall’Osservatorio ENEA di Lampedusa e, su scala globale, da differenti istituzioni internazionali e sono stati presentati alla vigilia della Giornata Meteorologica Mondiale che ricorre domani, 23 marzo 2024, quest’anno dedicata al tema ‘In prima linea nell’azione per il clima’.

“La concentrazione atmosferica di CO2 a Madonie-Piano Battaglia è aumentata dal 2005 con un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno a causa delle emissioni antropiche”, evidenzia Francesco Monteleone del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Inoltre – aggiunge – si osserva una forte crescita anche per la concentrazione atmosferica di metano, e lo stesso trend si sta registrando, con una crescita accelerata negli ultimi 15 anni, anche su scala globale”.

L’alta quota, la posizione geografica, l’assenza di contaminazioni locali e l’accuratezza delle misure fanno dell’Osservatorio Climatico ENEA un sito di eccellenza per il monitoraggio e lo studio dei meccanismi legati al cambiamento climatico su scala regionale e globale. Per queste caratteristiche l’Osservatorio ha ottenuto il riconoscimento di stazione regionale, rappresentativo per tutta l’area del Mediterraneo centrale, nell’ambito del Global Atmosphere Watch (GAW), che è la rete mondiale per lo studio del clima globale dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO).

L’Osservatorio Climatico di Piano Battaglia dispone di vari strumenti di misura tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di CO2, metano e monossido di carbonio, i cui campioni vengono spediti e analizzati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa. I dati messi a disposizione della rete mondiale del WMO sono utili alle amministrazioni locali per pianificare le azioni volte a una gestione sostenibile del territorio e a sensibilizzare la popolazione.

Energia, Bardi lancia la Basilicata: “Regione ‘pilota’ a livello internazionale”

L’energia è uno dei temi più caldi degli ultimi due anni, per l’Italia, per l’Europa e per la comunità internazionale. In questo scenario, il nostro Paese può vantare un ‘gioiello’ del settore: la Basilicata. E proprio dalla provincia di Matera la Regione lancia una grande sfida: fare “da pilota in un contesto internazionale“. Questo è l’obiettivo fissato dal governatore, Vito Bardi, alla prima Conferenza Energia e Ambiente ‘Strategia energetica e traiettorie di sviluppo’, promossa dalla Regione con la collaborazione di Enea e Feem, che si svolge al Centro ricerche Enea Trisaia di Rotondella. “Il nostro è un territorio di riferimento per il Paese, perché qui abbiamo il fossile, l’eolico, l’idroelettrico, il fotovoltaico e grandi potenzialità che deriveranno anche dalle biomasse – spiega il presidente -. La Basilicata si pone come luogo indispensabile per la sperimentazione dei processi innovativi di decarbonizzazione anche con il contributo del fossile“.

Il percorso fatto finora, ha detto Bardi, “è quello di avere una transizione energetica“. Perché “il fossile c’è, tra 100 anni non ci sarà più, nel frattempo bisogna pensare alle alternative e alle azioni da mettere in atto per far diventare la Basilicata un hub energetico“. In questo contesto “pubblico, istituzioni e privato devono collaborare tra di loro per avere un orizzonte temporale che non sia limitato al domani“. Concetto ripreso e ribadito anche dall’assessore Ambiente, energia e territorio della Regione Basilicata, Cosimo Latronico. “La transizione energetica non è una cosa che si fa dalla mattina alla sera, ma un tempo nuovo che si costruisce insieme tra tutti gli attori pubblici e privati“. L’esponente della giunta Bardi, infatti, sottolinea che il gruppo è al lavoro “per costruire alternative fattibili e concrete” e per questo il percorso è stato “messo a terra” perché “la rivoluzione ecologica e tecnologica è in corso“. Secondo Latronico “si aprono scenari nuovi per le imprese, per le istituzioni e per le università” e visto che il futuro della Basilicata “non è il declino, ma lo sviluppo è fondamentale “costruire comunità per fronteggiare le crisi ambientale ed energetica, che devono rappresentare un’occasione per fare sviluppo“. E la regione “ha il diritto di avere una prospettiva di futuro attorno alle sue risorse“.

Un’idea che sembra sposarsi perfettamente con la visione del governo. “A seguito dei fatti che si sono verificati con la guerra in Ucraina si è ribaltato il nostro sistema di approvvigionamento dell’energia“, dice il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. “Prima il fulcro era nel centro Europa, mentre oggi il Sud assume una centralità veramente rilevante – continua -. E’ questa la base di sviluppo che se il Mezzogiorno saprà cogliere sarà una nuova rivoluzione“. Parlando del Piano Mattei, il responsabile del Mase ricorda che “l’Europa ha bisogno di circa 20 milioni di tonnellate di idrogeno al 2030: 10 di produzione nazionale europea e altri 10 di importazione“, quindi il Sud “può avere altra centralità“. E la Basilicata “che ha dato tanto per il petrolio e il gas, può fare altrettanto anche nella produzione di idrogeno per il futuro“.

Di possibilità ce ne sono molte, anche per le ‘materie prime’ di cui il Sud dispone come sole, mare e vento, per l’idroelettrico, il fotovoltaico. A questo proposito, Pichetto annuncia: “Firmerò a breve il decreto Agrivoltaico che ha in dote 1,1 miliardi, ho ricevuto l’ok proprio ieri mattina“.

Provvedimento che può risultare molto interessante, anche alla luce delle capacità di un territorio come la Basilicata: “Rappresenta un’eccellenza nel campo delle rinnovabili, ha già superato tutti gli obiettivi del 2020, con un +28% rispetto al target prefissato“, rivela infatti il presidente Enea, Gilberto Dialuce. “Ci sono oltre 2.100 megawatt di potenza installata in rinnovabili, solo l’anno scorso sono stati 77 i megawatt. Anche le biomasse sono una fonte importante perché coprono quasi il 95% del settore termico – prosegue -. E’ una regione tra le più virtuose, anche sull’efficienza energetica. Ed è interessante come laboratorio per nuove forme di sviluppo a livello locale. Ha anche un primato: 83 comuni su 131, oltre il 60% , sono esportatori di energia. E anche la regione esporta energia“. Domani seconda giornata di lavori a Rotondella, con le conclusioni affidate a Raffaele Fitto, ministro che ha nelle mani il dossier Pnrr, altro capitolo di forte interesse per il Sud e la Basilicata.

La Basilicata spinge sulla transizione energetica: 21/22 novembre evento a Rotondella

L’obiettivo è quello di fare il grande salto in direzione decarbonizzazione, valorizzando “il nostro territorio” e impiegando “nel modo migliore le risorse di cui disponiamo”. Vito Bardi, governatore della Basilicata conta molto sulla prima conferenza ‘Strategia energetica e traiettorie di sviluppo’, promossa dall’assessorato all’Ambiente, territorio ed energia in collaborazione con Enea e Feem, in programma il 21 e 22 novembre al centro ricerche della Trisaia di Rotondella. Perché l’agenda del governo regionale è intensa e le risorse sul piatto sono tante. Tra queste, ha ricordato l’assessore all’Ambiente, territorio ed energia Cosimo Latronico, i 90 milioni di euro “per andare incontro alle famiglie che, in mancanza di gas, desiderano dotarsi di un impianto autonomo”, ma anche 18 milioni destinati al bando sulla produzione di idrogeno, “rispetto al quale abbiamo già selezionato le prime tre pratiche e abbiamo chiesto al ministero dell’Ambiente di consentirci di scorrere la graduatoria con le altre tre pratiche che valgono ulteriori 32 milioni di euro”. Progetti che, ha ricordato durante la presentazione, “darebbero un grande impulso allo sviluppo delle rinnovabili”.

L’ambizione è quella di “diventare un hub energetico per le rinnovabili”, in primo luogo come “produttori”, cominciando con il bando – che dovrebbe essere portato in giunta a breve – dedicato ai Comuni, ha spiegato Latronico, che “vogliono realizzare uno studio di fattibilità sulle Comunità energetiche e passare, quindi, dalla teoria alla pratica”.

La Basilicata, inoltre, è al lavoro sul percorso sulla decarbonizzazione, insieme a Fondazione Mattei, ENEA, università e altri players che operano sul territorio, ha ricordato l’assessore l’Ambiente, “per l’importante questione legata ai crediti di carbonio derivanti dai nostri boschi e dalle nostre foreste, fabbriche d’aria naturale indispensabili per la loro capacità di catturare il carbonio”. Foreste come “nuovi strumenti di finanza creativa da impiegare per rafforzare la transizione energetica valorizzando la bioenergia”.

Latronico ha ricordato che “l’evento in programma il 21 e 22 novembre ricade nel sessantesimo anniversario della fondazione dell’Enea, tra i principali centri di ricerca del Mezzogiorno d’Italia che dobbiamo ulteriormente potenziare e rilanciare”.

Una conferenza che punta proprio ad analizzare i punti di forza “del nostro sistema e a immaginare gli scenari futuri. L’energia derivante dalle nostre risorse naturali deve di certo contribuire al fabbisogno energetico del Paese, ma soprattutto deve rientrare in una strategia di sviluppo dei nostri territori e delle nostre comunità”.

“Come Enea siamo molto contenti di ospitare un evento della portata di questa prima conferenza Energia e Ambiente nel nostro centro di Trisaia che da oltre 30 anni concentra le proprie attività di ricerca e sviluppo tecnologico sui temi della green economy, della decarbonizzazione e della transizione energetica. Si tratta di temi di forte attualità anche per la Regione Basilicata e di cui l’ENEA può costituire un interlocutore privilegiato per la loro attuazione in ambito regionale” ha sottolineato Giacobbe Braccio, Responsabile della Divisione Bioenergia, Bioraffineria e Chimica Verde dell’Enea. “Questa iniziativa – ha aggiunto – rientra pienamente in quelle che sono le nostre attività e i nostri obiettivi nel più ampio contesto della transizione energetica e della sostenibilità che ci vedono impegnati con progetti a livello nazionale ed europeo”.

Il verde in città? Abbassa la temperatura ma non sempre l’inquinamento

La vegetazione in città contribuisce ad abbassare temperatura e velocità del vento, ma non porta sempre a una riduzione degli inquinanti nell’aria. È quanto emerge da due studi ENEA pubblicati sulla rivista scientifica Forests e realizzati nell’ambito del progetto Life VEG-GAP.

“Abbiamo usato sistemi modellistici per la qualità dell’aria, ma configurati in modo da includere con maggior dettaglio la vegetazione presente e la morfologia urbana, stimando la quantità di inquinanti rimossi e mostrando che, localmente, questa rimozione non garantisce sempre un miglioramento della qualità dell’aria”, spiega Mihaela Mircea, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento atmosferico e responsabile del progetto per l’ENEA.

Nello scorso mese di luglio, nelle tre città prese in esame (Milano, Bologna e Madrid), i ricercatori Enea hanno rilevato che la vegetazione ha ridotto localmente la temperatura fino a 0,8° a Milano, 0,6° a Madrid e 0,4° a Bologna. Le concentrazioni di inquinanti, invece, sono variate con la stagione e a seconda della città presa in esame, perché sono il risultato di interazioni molto complesse tra centinaia di gas e composti chimici controllati dalle condizioni meteorologiche ed emissioni. D’estate, l’ozono, particolarmente dipendente dalle emissioni delle piante, ha mostrato una riduzione a Madrid (fino a -7,40 mg/m3) ma un aumento a Milano (fino a +2,67 mg/m3.).

Le variazioni dell’ozono hanno una relazione inversa con un altro inquinante come il biossido di azoto: infatti, quest’ultimo aumenta a Madrid (fino a +7,17 mg/m3) mentre diminuisce a Milano ( fino a -3,01 mg/m3). Nel caso del particolato atmosferico (PM10), la vegetazione ha un impatto più forte a gennaio, in corrispondenza dell’aumento delle emissioni antropiche, e mostra riduzioni a Milano (fino a -3,14 mg/m3) e aumenti a Madrid (fino a +2,01 mg/m3).

La presenza della vegetazione produce effetti in tutta la città, non solo nelle aree verdi, e non solo d’estate: gli alberi decidui infatti modificano le proprietà dell’aria anche in inverno, agendo come ostacoli che riducono la velocità del vento e la dispersione degli inquinanti, e come sorgente di acqua attraverso il suolo permeabile intorno a loro, aumentando così l’umidità relativa dell’aria. “I nostri studi hanno considerato l’interazione continua tra la vegetazione e l’aria urbana e sono applicabili in qualsiasi città che abbia a disposizione un inventario della vegetazione presente”, conclude Mircea.

Monteleone (ENEA): “Futuro è sostenibile ma non con unica tecnologia”

La mobilità del futuro, a breve e lungo termine, sarà sostenibile ma non potrà fare affidamento su un’unica soluzione tecnologica. Ne è convinta Giulia Monteleone, responsabile della Divisione di Produzione, storage e utilizzo dell’energia del Dipartimento tecnologie energetiche e fonti rinnovabili dell’ENEA. “Prima di tutto c’è da fare un discorso di cambiamento culturale delle proprie abitudini“, spiega contattata da GEA. Per ridurre l’impatto della mobilità sull’ambiente, il primo passo è “cercare di ridurre il numero di veicoli, ottimizzare gli spostamenti, utilizzare il trasporto pubblico e il car sharing, insomma ridurre il numero di veicoli per persona è uno degli approcci da perseguire assolutamente“. Poi, però, bisognerà affrontare il tema dell’approccio tecnologico: “Anche qui è necessario diversificare, non utilizzare in assoluto solo l’elettrico, non solo il biofuel, non solo l’idrogeno“.

Negli spostamenti di breve percorrenza, in città è ancora il veicolo elettrico il più indicato per l’esperta, “ha un’efficienza superiore sul motore endotermico. Un motore elettrico può avere un’efficienza del 50-70%, un motore endotermico con combustibile fossile del 40% e con un combustibile prodotto da rinnovabili l’efficienza si abbassa ancora“, spiega. Il rinnovamento del parco veicoli pesa sicuramente sugli obiettivi di decarbonizzazione, come “qualsiasi intervento legato a un processo produttivo che emette anidride carbonica“. Il punto, dunque, è intervenire su tutte le filiere produttive, a 360 gradi.

Quanto allo stop ai motori endotermici con combustibile fossile dal 2035, “per ora l’Europa tira fuori i biocarburanti e accetta gli e-fuel, di origine non biologica“, ricorda. Al momento però “gli e-fuel non sono una tecnologia commerciale, per una questione di costi“. Sono comunque soluzioni che garantirebbero la sopravvivenza del comparto. Ha senso escludere i biocarburanti? “C’è un discorso di politica industriale, dal punto di vista italiano sarebbe strategico mantenere la filiera di biocarburanti, ma evidentemente a livello europeo la strategia non è condivisa“, osserva. Il futuro, per le applicazioni pesanti, su gomma, rotaia o mare di lunga percorrenza è certamente l’idrogeno. Per gli aerei, ci sono i Saf, i carburanti sostenibili per l’aviazione che, scandisce, “non sono altro che e-fuel“. Le batterie sono escluse: “Per peso e ingombro non potrebbero garantire le autonomie richieste“.

condizionatori

Energia, Enea: Migliorano prestazioni immobili certificati, A4-B +3,7%

Migliorano ancora e in maniera significativa le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato. È quanto emerge dal IV Rapporto annuale sulla certificazione energetica degli edifici realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente (CTI) sulla base di circa 1,3 milioni di attestati di prestazione energetica (APE) registrati nel SIAPE ed emessi nel 2022 da 17 Regioni e 2 Province Autonome.

Il report evidenzia una diminuzione percentuale degli immobili nelle classi energetiche peggiori F e G (-3,7%), a fronte di uno speculare aumento di quelli nelle classi più performanti A4-B (+3,7%). Tuttavia, la distribuzione per classe energetica conferma che circa il 55% dei casi censiti sono caratterizzati da prestazioni energetiche basse (classi F-G). In particolare, la quota più consistente di attestati è stata emessa dalla regione Lombardia (20,5%), seguita da Lazio (9,6%) e Veneto (8,4%). Gli APE collegati a passaggi di proprietà e locazioni risultano in lieve flessione, pur continuando a rappresentare oltre l’80% del campione analizzato. Aumentano in percentuale le riqualificazioni energetiche e le ristrutturazioni profonde, che rappresentano rispettivamente il 5,7% e il 4,1% degli APE emessi nel 2022 (+1,5% per entrambe rispetto al 2021); stati oltre 17 mila gli APE registrati nel SIAPE nella categoria Edifici a energia quasi zero (NZEB – Nearly Zero-Energy Buildings) tra il 2015 e il 2022.

Il significativo aumento dei costi energetici e la crisi climatica in atto rappresentano problematiche sempre più stringenti che rendono ancora più necessari gli interventi per il miglioramento energetico degli edifici”, sottolinea il Presidente ENEA, Gilberto Dialuce. “In questo contesto il Rapporto rappresenta un ulteriore sforzo congiunto di ENEA e CTI per migliorare la qualità del quadro d’insieme del patrimonio immobiliare privato e pubblico, anche alla luce delle decisioni sulla nuova Direttiva EPBD che a breve verranno prese in sede UE. Una sinergia indispensabile – osserva – anche per la definizione delle strategie di intervento nel settore a livello nazionale e territoriale, e per un orientamento più mirato e stabile nel tempo degli investimenti necessari e dei relativi sistemi di incentivazione”.

La principale novità di questa edizione è la sezione del rapporto dedicata a nuovi strumenti e metodi di analisi per il miglioramento della qualità degli APE, in particolare per il potenziamento delle metodologie di controllo da parte del certificatore sia durante la fase di predisposizione dell’APE che in quella successiva. Sono stati approfonditi, inoltre, i temi relativi all’implementazione del Catasto Energetico Unico (CEU) regionale, il ruolo del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici (PnPE2) e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea. La digitalizzazione degli APE risulta fondamentale per individuare le aree con maggiore necessità di intervento, in funzione delle diverse realtà territoriali, e per offrire al cittadino un set più completo di informazioni, grazie anche all’ausilio di sportelli unici digitalizzati (one stop shop).

Il rapporto, infine, analizza i risultati di un questionario somministrato a un campione di circa 80 soggetti, tra associazioni, consorzi e ordini professionali, che hanno espresso il loro punto di vista su diversi aspetti del sistema di certificazione energetica nazionale, soprattutto in merito alle proposte di revisione della Direttiva EPBD sulla prestazione energetica degli edifici.

La nuova edizione del Rapporto vuole rappresentare uno strumento di lavoro sempre aggiornato e in continua evoluzione per supportare chi deve o vuole definire strategie, misure e azioni sul parco edilizio nazionale in linea con gli sfidanti obiettivi che ci impongono la transizione energetica e la decarbonizzazione”, spiega il Presidente del CTI, Cesare Boffa. “Questo nuovo capitolo della collaborazione tra ENEA e CTI mette in luce il processo di miglioramento continuo delle informazioni che possono essere raccolte, analizzate e trasmesse alla Pubblica Amministrazione e agli operatori interessati”.

Nasce intergruppo parlamentare su energia nucleare. Fregolent: “Rompere il tabù”

Nasce l’intergruppo parlamentare sull’energia nucleare. Da anni il dibattito politico è animato e diviso dall’utilizzo di questa fonte di approvvigionamento, ma negli ultimi mesi, complice anche la crisi energetica, acuita dall’aggressione russa in Ucraina che ha accelerato la diversificazione del mix, la discussione è diventata più serrata. E forse urgente. L’attuale maggioranza, infatti, è favorevole a riattivare la ricerca sul nucleare nel nostro Paese, al punto che il tema più volte è stato sollevato nella campagna elettorale della scorsa estate e durante questi primi mesi del governo di Giorgia Meloni. Ma non è solo il centrodestra a ritenere necessario riattivare questa leva, perché al centro, ad esempio, la convinzione sembra ormai consolidata, almeno in Azione e Italia viva, con Carlo Calenda e Matteo Renzi che sul punto specifico non sembrano avere opinioni contrastanti. In questo scenario politico, e considerando il fatto che l’Italia partecipa alla ricerca sulla fusione, il Parlamento ha pensato che fosse giunto il momento di creare un organismo appositamente dedicato.

A promuovere l’intergruppo è la senatrice di Iv, Silvia Fregolent. Per rompere un tabù ed eliminare i pregiudizi che continuano a far scontare al nostro Paese ritardi inspiegabili“, spiega. Rincarando la dose: “Una follia che l’Italia ha pagato caro con la crisi energetica“. L’esponente del gruppo Azione-Italia Viva-Renew Europe, parte dall’assunto che “sappiamo che ci sono stati due referendum“, ma “da quel momento – sottolinea – le tecnologie sono andate avanti e i nostri migliori tecnici stanno lavorando all’estero proprio per creare il nucleare pulito“. Nelle intenzione dei promotori “l’intergruppo potrà garantire il dialogo tra il mondo istituzionale e i player del settore nucleare in modo da permettere la condivisione di elementi tecnici che possano determinare una decisione da parte delle istituzioni in modo consapevole e senza pregiudizi“, chiarisce ancora Fregolent. Nei prossimi giorni dovrebbe esserci anche la presentazione dell’organismo, al quale stanno ancora arrivando adesioni in queste ore.

Sarà una buona notizia per chi continua il lavoro scientifico sulla tecnologia nucleare. Come l’ENEA, il cui presidente, Gilberto Dialuce, intervenendo all’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’, organizzato martedì scorso a Roma da Withub, con la direzione editoriale di Gea ed Eunews, ha ribadito che nel processo di decarbonizzazione “c’è anche il nucleare da considerare“. Spiegando che a medio termine potrebbe esserci la possibilità di utilizzare i piccoli reattori modulari, definendoli “una svolta tecnologica“. Dialuce ha spiegato che “in Romania ci sono prototipi che stanno venendo costruiti con progetto di Enea” e “anche al centro del Brasimone presto ci sarà il primo prototipo in Italia, non alimentato a energia Nucleare ma per testare la tecnologia“. Un dossier ‘candidabile’ per il nuovo intergruppo parlamentare.

spreco alimentare

Giornata biodiversità, il ‘manifesto’ Enea per tutelare cibo e salute

Promuovere il dialogo attivo tra scienza, politica e società, sostenere lo sviluppo di servizi avanzati in chiave di sostenibilità e circolarità e favorire la transizione agroecologica attraverso la rivitalizzazione della dieta mediterranea. Sono alcuni dei punti salienti del ‘manifesto’ presentato da ENEA in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, dedicata quest’anno al tema ‘Il nostro cibo, la nostra salute e la nostra biodiversità’, con l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sull’importanza del passaggio a sistemi agroalimentari più sostenibili per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e sanare la frattura creatasi nel tempo tra economia e società, tra sviluppo e territori. “I sistemi agroalimentari sono sempre più oggetto di disequilibri e conflitti geopolitici. Da qui la necessità di una transizione verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale e di governance globale del cibo”, dice Massimo Iannetta, responsabile della Divisione Biotecnologie e agroindustria di ENEA.

“Dalla fine della Seconda guerra mondiale – prosegue Iannetta – i sistemi alimentari sono riusciti a garantire un’offerta sempre più ampia di alimenti a disposizione di una popolazione mondiale in rapida crescita. Tuttavia, questa grande produzione ha lasciato dei segni: i sistemi agroalimentari intensivi hanno contribuito nel tempo al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità e allo stesso tempo risentono delle conseguenze di questi cambiamenti”.

Non solo. La grande produzione agroalimentare genera alcune forti contraddizioni; ad esempio, un terzo di tutte le derrate alimentari prodotte va perso o sprecato. “Inoltre, la disomogenea distribuzione del cibo ha generato una polarizzazione della sua accessibilità; da una parte milioni di persone che soffrono di carenze alimentari, dall’altra l’abbondanza di cibo abbinata a una grande incidenza di malattie non trasmissibili riconducibili ad abitudini alimentari squilibrate, tra i rischi principali per la salute umana”, sottolinea Iannetta.

È necessario, dunque, promuovere un sistema agroalimentare sostenibile, includendo tutte le attività lungo la filiera, ma anche trasformare concretamente i sistemi agroalimentari. Inoltre, tra le azioni considerate, è fondamentale “contribui­re alla qualità globale e alla sostenibilità della produzione agricola e alimentare, inclusi i settori della vendita al dettaglio” e ridurre la forbice tra scarsità e abbondanza nelle dinamiche globali del cibo. Nel manifesto proposto da ENEA si fa riferimento anche all’attuazione di un cambio di paradigma in chiave One Health per fronteggiare la trasformazione dei sistemi agroalimentari, guardando alla salute dell’uomo come sistema. E, ancora, all’importanza di favorire il confronto tra scienza, politica e società e il dialogo tra i Paesi del Nord e del Sud attraverso lo sviluppo condiviso di innovazioni coerenti ai diversi contesti territoriali. Infine, si chiede di favorire la transizione agroecologica dei sistemi agroalimentari mediterranei, di rivitalizzare la dieta mediterranea e di promuovere buone pratiche (ad esempio catene del valore e consumi diversificati), come la bioeconomia circolare e l’efficienza nell’uso delle risorse, oltre a meccanismi di garanzia e governance.

Italia leader dell’economia circolare in Europa davanti alla Spagna, Francia, Germania e Polonia

Photo credits: Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica

Italia leader dell’economia circolare in Europa. Anche se, nel mondo, nonostante gli allarmi sulle crisi ambientali, il tasso di circolarità sta diminuendo: in cinque anni si è passati dal 9,1% al 7,2%. In altre parole, il Pianeta ricicla e riusa di meno. Tra le prime cinque economie dell’Ue l’Italia rimane il Paese più circolare d’Europa,  seguita da Spagna, Francia, Germania e Polonia. Ma il nostro Paese arretra su alcuni indicatori chiave come il tasso di uso circolare della materia e la produttività delle risorse. Sono i dati che emergono dalla quinta edizione del Rapporto nazionale sull’Economia circolare, realizzato dal Circular Economy Network in collaborazione con Enea, e presentato a Roma.

Il tasso di utilizzo circolare dei materiali in Italia è al 18,4%, resta più alto della media Ue (11,7%) nel 2021 – ultimo dato disponibile – ma eravamo al 20,6% nel 2020 e al 19,5% nel 2019. Per la produttività delle risorse siamo, assieme alla Francia, davanti alle altre principali economie europee con 3,2 euro generati per ogni kg di materiale consumato e anche nella percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, speciali e urbani, siamo in testa con il 72%. Nella classifica complessiva della circolarità delle cinque principali economie dell’Unione Europea (Italia, Germania, Francia, Spagna e Polonia) restiamo dunque leader ma nella tendenza degli ultimi cinque anni perdiamo posizioni: la Spagna ci segue a ruota e sta tenendo un ritmo di cambiamento più veloce dell’Italia. “Occorre accelerare, anche per combattere l’inflazione: se il costo delle materie prime e delle risorse aumenta, la circolarità è una risposta concreta alla crisi. Per questo è fondamentale dotarci di tutti gli strumenti utili per sviluppare pienamente l’economia circolare”, ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network (CEN).

L’interesse degli italiani sul tema esiste, come ha dimostrato un’indagine, realizzata da CEN e Legacoop in collaborazione con Ipsos: negli ultimi 3 anni, infatti, quasi un italiano su 2 (il 45% degli intervistati) ha acquistato un prodotto usato e uno su 3 (il 36% del campione) un prodotto ricondizionato o rigenerato.

E proprio sull’economia circolare, ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, nel Pnrr ci sono “un miliardo e mezzo di euro” destinati “alla realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti, anche per ridurre differenze regionali nei tassi di raccolta differenziata” e a “bonificare almeno il 90% le discariche oggetto delle procedure di infrazione Ue“. Altri “seicentomila euro saranno investiti in ‘Progetti Faro di Economia Circolare’, puntando soprattutto su settori quali i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche; l’industria della carta e del cartone; il riciclaggio dei rifiuti plastici e del settore tessile“. L’obiettivo del governo è raggiungere importanti target nei tassi di riciclaggio: in particolare, almeno il 55 % per i rifiuti urbani; almeno il 65% in peso per i rifiuti di imballaggio; almeno il 25% per gli imballaggi in legno; almeno il 70% in peso degli imballaggi di metalli ferrosi; almeno il 50% degli imballaggi in alluminio; almeno il 70% degli imballaggi di vetro; almeno il 75% in peso per carta e cartone; almeno il 50% in peso degli imballaggi di plastica. “Questi progetti – ha concluso Pichetto – vanno inseriti in un sistema normativo e regolamentare nuovo, che sia informato dei principi dell’economia circolare ed a cui il Pnrr dedica tre riforme: la ‘Strategia nazionale per l’economia circolare’, il ‘Programma nazionale per la gestione dei rifiuti’ e il ‘Supporto tecnico del Governo alle autorità locali’“.

Per questo, forte delle sue best practices, l’Italia ritiene non opportuno il meccanismo uniforme del regolamento Ue sugli imballaggi: soprattutto, ha spiegato il ministro Pichetto, “il divieto di imbustamento verdure sotto 1,5 kg mette fuori legge le confezioni del banco. Ma così non alimentiamo lo spreco alimentare? Ci va equilibrio, l’analisi deve essere scevra da deformazioni eccessivamente ideologizzate e specialistiche. Perché così per evitare di riciclare plastica sprechiamo cibo“.

Sul tema delle materie prime invece, l’Italia ne importa oltre il 99% “mostrando una dipendenza dall’estero ancora più drammatica di quella europea”, come ha illustrato Roberto Morabito, direttore del Dipartimento ENEA di Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali. “Per un Paese come l’Italia – ha precisato – decisamente più povero di materie prime rispetto ai principali competitor, è ineludibile puntare sulla circolarità, dall’eco-design dei prodotti al recupero e riciclo, sfruttando le nostre miniere urbane, che sono la fonte potenziale di materie prime critiche più prontamente accessibile”.

Lo smart working fa bene all’ambiente: 600 chili di CO2 in meno all’anno per lavoratore

Il lavoro a distanza permette di evitare l’emissione di circa 600 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per lavoratore (-40%) con notevoli risparmi in termini di tempo (circa 150 ore), distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 litri di gasolio). È quanto emerge dallo studio ENEA sull’impatto ambientale dello smart working a Roma, Torino, Bologna e Trento nel quadriennio 2015-2018, pubblicato sulla rivista internazionale Applied Sciences. “Nel nostro Paese circa una persona su due possiede un’autovettura, vale a dire 666 auto ogni 1000 abitanti, un dato che pone l’Italia al secondo posto in Europa per il più alto tasso di motorizzazione, dopo il Lussemburgo”, spiega Roberta Roberto, ricercatrice ENEA del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e co-autrice dell’indagine, insieme ai colleghi di altri settori dell’Agenzia Bruna Felici, Alessandro Zini e Marco Rao.

In Italia i trasporti sono responsabili di oltre il 25% delle emissioni totali nazionali di gas ad effetto serra e quasi tutte (93%) provengono dal trasporto su gomma, con le automobili a fare la parte del ‘leone’ (70%). “Il lavoro agile e tutte le altre forme di lavoro a distanza, tra cui lo smart working, hanno dimostrato di poter essere un importante strumento di cambiamento in grado non solo di migliorare la qualità di vita professionale e personale, ma anche di ridurre il traffico e l’inquinamento cittadino e di rivitalizzare intere aree periferiche e quartieri considerati dormitorio”, aggiunge Roberto.

In base alle risposte di un campione di 1.269 lavoratori agili di PA nelle quattro città prese in esame, che negli spostamenti casa-lavoro usano il mezzo privato a combustione interna, ogni giorno di lavoro a distanza permetterebbe di evitare 6 kg di emissioni dirette in atmosfera di CO2 e risparmiare 85 megajoule (MJ) di carburante pro capite. Ma i benefici ambientali non si fermano qui: l’analisi ha evidenziato una riduzione anche di ossidi di azoto a persona al giorno (dai 14,8 g di Trento ai 7,9 g di Torino), monossido di carbonio (da 38,9 g di Roma a 18,7 g di Trento) e PM10 (da 1,6 g di Roma a 0,9 g di Torino), PM2,5 (da 1,1 g di Roma e Trento a 0,6 g di Torino). Inoltre, per gli spostamenti extra-lavorativi nei giorni di smart working il 24,8% del campione dichiara di aver optato per modalità più sostenibili (mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta), l’8,7% ha modificato le proprie scelte in favore del mezzo privato, mentre il 66,5% non ha cambiato le proprie opzioni di mobilità.

Abbiamo scelto queste quattro città per due motivi: il primo riguarda le loro peculiarità legate al territorio e al profilo storico che fanno supporre impatti diversificati sulla mobilità urbana, mentre il secondo – e anche il più pratico – risiede nell’alto numero di risposte al questionario che abbiamo ricevuto dai dipendenti pubblici di queste quattro città che in media lavorano da casa 2 giorni a settimana”, sottolinea Bruna Felici, ricercatrice ENEA dell’Unità Studi, Analisi e Valutazioni. Dai dati raccolti emerge che in media il campione percorre 35 km al giorno per una durata di 1 ora e 20 minuti. Roma si conferma la città più critica, con un tempo di percorrenza medio di 2 ore, probabilmente a causa delle maggiori distanze (1 lavoratore romano su 5 percorre più di 100 km al giorno) e del traffico più intenso. Infatti, nella capitale gli spostamenti giornalieri per motivi di lavoro e studio sono circa 420 mila mentre ogni persona trascorre nel traffico 82 ore all’anno.

Circa la metà del campione dichiara di viaggiare esclusivamente con mezzi di trasporto privati a motore ​(47% in auto e 2% su due ruote), mentre il 17% viaggia esclusivamente con i mezzi pubblici e il 16% con un mix di trasporto pubblico/privato. Trento risulta la città con il maggior ricorso a mezzi privati a combustione interna negli spostamenti casa-lavoro (62,9%), seguita da Roma (54,4%), Bologna (44,9%) e Torino (38,2%).

La mobilità privata offre soluzioni flessibili in termini di risparmio di tempo e autonomia di movimento, soprattutto per chi ha figli in età scolare. Il trasporto pubblico, invece, viene scelto principalmente in un’ottica di risparmio denaro o in caso di mancanza di parcheggi”, conclude Alessandro Zini, ricercatore ENEA dell’Unità Studi, Analisi e Valutazioni.