Conti Eni migliori delle attese nonostante calo prezzi energia: Bene gas e rinnovabili

L’utile netto del primo semestre cala del 32% e quello del secondo trimestre del 49% per il crollo del prezzo del gas e per il ridimensionamento delle quotazioni del petrolio rispetto a un anno fa, eppure i conti di Eni battono le attese. E dovrebbero essere ancora meglio nei prossimi mesi. Il Cane a sei zampe migliora infatti la guidance, ovvero la stima di previsione, del settore Ggp (gas e gas naturale liquefatto) sull’Ebit rettificato – margine lordo – nell’intervallo 2,7 e 3 miliardi nell’anno, rispetto alla precedente previsione di 2- 2,2 miliardi, e per Plenitude & Power: in particolare l’Ebitda proforma rettificato di Plenitude è rivisto al rialzo a circa 0,8 miliardi rispetto alla precedente guidance superiore a 0,7 miliardi.

Non a caso l’amministratore delegato Claudio Descalzi si è mostrato soddisfatto di fronte ai conti: “Nel secondo trimestre 2023 Eni ha ottenuto eccellenti risultati operativi e finanziari in un contesto di mercato meno favorevole. Sottolineiamo questa resilienza dopo che Eni, nel precedente e ben più positivo scenario, era stata in grado di coglierne al meglio le opportunità. Oltre ad aver raggiunto traguardi finanziari positivi, Eni ha realizzato importanti progressi nella attuazione della propria strategia in tutti i settori di attività. L’utile operativo adjusted del secondo trimestre, pari a 3,4 miliardi e che sale a 4,2 miliardi includendo il contributo delle JV/collegate, è stato trainato dai solidi risultati di una E&P in crescita e da un’altra eccellente performance di Ggp. Mentre lo scenario di mercato ha condizionato la raffinazione e la chimica, Sustainable Mobility e Plenitude – ha precisato il numero uno di Eni – continuano a registrare crescita di utili e di capacità in linea con il piano e nonostante le volatili condizioni esterne. Il flusso di cassa adjusted è stato rilevante, 4,2 miliardi, ben superiore alle esigenze di finanziamento degli investimenti di 2,6 miliardi. Nel primo semestre 2023, anche scontando il fabbisogno del capitale circolante, abbiamo ottenuto circa 3 miliardi di flusso di cassa discrezionale, in grado di coprire quasi per intero l’esborso per il dividendo 2023”.

Descalzi ha rimarcato che “le iniziative di trasformazione strategica che stiamo implementando stanno portando benefici ai nostri risultati, e il 2023 ha registrato ulteriori significativi avanzamenti. Oltre a espandere la nostra capacità di bioraffinazione con la JV di Chalmette negli Stati Uniti e all’acquisizione di Novamont nella chimica verde, a giugno abbiamo annunciato l’acquisizione di Neptune Energy. Il portafoglio di Neptune, focalizzato sul gas, complementare a livello geografico/operativo a quello Eni e a ridotto profilo di emissioni operative, rappresenta una eccezionale combinazione rispetto ai nostri obiettivi di medio/lungo termine, e comporterà significativi benefici operativi e finanziari”.

Sul fronte green, tra aprile e giugno i volumi di lavorazione bio pari a 140 mila tonnellate registrano un decremento del 3% rispetto all’analogo periodo del 2022: i maggiori volumi lavorati presso la bioraffineria di Gela, a seguito della fermata nel 2022, sono stati più che compensati dalle minori lavorazioni della bioraffineria di Venezia a seguito di fermate programmate. Nel primo semestre tuttavia i volumi di lavorazioni bio aumentano del 17% rispetto al periodo di confronto, beneficiando dei maggiori volumi lavorati presso la bioraffineria di Gela. Poi la capacità installata da fonti rinnovabili è pari a 2,5 GW, in aumento di circa 1 GW rispetto al 30 giugno 2022, mentre la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata pari a 980 GWh nel secondo trimestre, +318 GWh rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno. E i punti di ricarica dei veicoli elettrici installati sono 16.600, raddoppiati rispetto al giugno 2022, in linea con il piano di potenziamento dell’infrastruttura di rete. Plenitude ha così conseguito l’utile operativo adjusted di 133 milioni di euro, in aumento del 19%.

Ora, ha concluso Descalzi, “considerando l’andamento del primo semestre e il chiaro progresso dei nostri settori di attività, che porta a un miglioramento nella previsione dei risultati ad anno intero, si confermano i solidi fondamentali sulla cui base corrispondere a settembre la prima rata trimestrale del dividendo annuo di 0,94 euro per azione, aumentato rispetto all’esercizio precedente, nonché proseguire il programma di riacquisto di azioni da 2,2 miliardi avviato a maggio”. Il titolo, partito al rialzo dopo i conti, alla fine arretra e chiude in rosso a -0,52%, ma a pesare sull’andamento è anche l’andamento del prezzo del petrolio, in calo durante il pomeriggio prima di passare in verde attorno alle 18 dopo la chiusura di Piazza Affari.

Claudio Descalzi

Eni e Var Energi acquisiscono Neptune Energy Group. Descalzi: “Portafoglio di elevata qualità e a bassa intensità carbonica”

Eni S.p.A annuncia che insieme a Vår Energi ASA ha raggiunto un accordo per l’acquisizione di Neptune Energy Group Limited. Neptune è una società indipendente, leader nell’esplorazione e produzione, con un portafoglio globale di asset prevalentemente a gas e attività in Europa occidentale, Nord Africa, Indonesia e Australia. La produzione di Neptune è competitiva in termini di costo e ha un basso livello di emissioni. Neptune è stata fondata nel 2015 da Sam Laidlaw e attualmente è controllata da China Investment Corporation, da fondi gestiti da Carlyle Group e CVC Capital Partners e da alcuni manager della società. Eni acquisirà l’intero portafoglio di Neptune con esclusione delle attività in Germania e in Norvegia. Le attività in Germania saranno scorporate dal perimetro prima dell’operazione, mentre le attività in Norvegia saranno acquisite da Vår direttamente da Neptune ai sensi di uno share purchase agreement separato. L’Acquisizione Vår si perfezionerà immediatamente prima dell’Acquisizione Eni, e i proventi derivanti dalla vendita del Neptune Norway Business rimarranno nel Neptune Global Business, acquisito da Eni. Vår è una società quotata alla Borsa di Oslo e detenuta al 63% da Eni.

Attraverso questa operazione Eni acquisisce un portafoglio di elevata qualità e a bassa intensità carbonica, con un’eccezionale complementarità a livello strategico e operativo. Riteniamo che il gas sia una fonte energetica ponte cruciale per la transizione energetica globale, e siamo impegnati ad aumentare la nostra quota di produzione di gas naturale al 60% entro il 2030. Neptune contribuirà al nostro portafoglio prevalentemente con risorse gas”. Così l’Amministratore Delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha commentato l’acquisizione, insieme a Var Energi, di Neptune Energy Group Limited. “Inoltre – aggiunge -, la sovrapposizione geografica e operativa è sorprendente: aumenta la dimensione di Vår Energi, società di cui Eni detiene la maggioranza; apporta una maggiore produzione di gas e ulteriori opportunità CCUS nel Mare del Nord; consolida la posizione di Eni come prima compagnia internazionale in Algeria, fornitore chiave di gas per i mercati europei; incrementa la presenza di Eni nell’offshore dell’Indonesia, con forniture all’impianto di GNL di Bontang e ai mercati nazionali. Ci aspettiamo inoltre che questi volumi addizionali di gas garantiscano ulteriori opportunità di ottimizzazione per le attività GGP di Eni. L’operazione aggiungerà circa 4 miliardi di metri cubi di gas da destinare ai consumatori europei. Un ulteriore aspetto cruciale dell’operazione è il basso costo delle nuove forniture e l’incremento di flusso di cassa che porta a Eni. Questo supporta il nostro impegno nell’offrire un dividendo attraente e solido e il programma di buyback a sostegno della distribuzione del 25-30% del CFFO ai nostri azionisti. La natura e le sfide della transizione energetica richiedono una risposta focalizzata, e questa operazione evidenzia in particolare due aspetti importanti della strategia finanziaria di Eni: la flessibilità e l’opzionalità che la nostra elevata liquidità e il nostro basso leverage offrono, e il nostro innovativo modello satellitare che contribuisce ad accedere a capitali dedicati“.

Secondo i termini concordati, Neptune Global Business avrà un Enterprise Value pari a $2,6 miliardi, mentre Neptune Norway Business avrà un Enterprise Value pari a circa $2,3 miliardi. Al 31 dicembre 2022, il debito netto del Neptune Global Business (pro-forma per la vendita del Neptune Norway Business) era pari a circa $0,5 miliardi. Il corrispettivo netto finale per le operazioni di Eni e Vår sarà pagato in contanti al momento del loro completamento. L’Acquisizione Eni sarà finanziata attraverso la liquidità disponibile. L’operazione rappresenta un’opportunità eccezionale per Eni, consentendole di integrare le proprie attività in aree geografiche chiave, di sostenere l’obiettivo del 60% di produzione di gas naturale e di raggiungere un livello di zero emissioni nette (Scope 1 + 2) nel business Upstream entro il 2030. L’operazione è in linea con la strategia di Eni di fornire alla società energia accessibile, sicura e a basse emissioni, per la quale il gas naturale rimane una fonte importante. L’acquisizione di Neptune è coerente con il framework operativo e finanziario di Eni e con gli obiettivi definiti nel Piano 2023-2026, consentendo di incrementare gli utili e i flussi di cassa, nonché di creare valore addizionale per gli azionisti.

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È di Kenya Airways il primo volo dall’Africa con biocarburante Eni

La compagnia nazionale Kenya Airways (KQ) è la prima compagnia aerea a usare Saf (Sustainable Aviation Fuel) fornito da Eni per un volo di lungo raggio. KQ parteciperà all’iniziativa Sustainable Flight Challenge (Tsfc) di SkyTeam, una sfida amichevole tra le compagnie dell’alleanza SkyTeam. Il Boeing 787-800 (B787-8) Dreamliner, decollato oggi dall’aeroporto internazionale Jomo Kenyatta di Nairobi in direzione di Amsterdam Schipol, è il primo volo di Kenya Airways alimentato anche con il carburante sostenibile per l’aviazione di Eni Sustainable Mobility. Per questo volo, il JetA1 viene miscelato con Eni Biojet prodotto nella raffineria di Livorno distillando le bio-componenti prodotte nella bioraffineria di Gela.

“La collaborazione con Eni Sustainable Mobility per questo primo volo con il SAF ci mette sulla rotta per testare l’uso del carburante per l’aviazione sostenibile in Africa. I dati e le informazioni generati dal volo pilota saranno preziosi per le decisioni politiche, i quadri normativi e le best practice del settore relative al Saf. Si tratta di un’importante pietra miliare per Kenya Airways e per il più ampio settore dell’aviazione africana”, dichiara Allan Kilavuka, amministratore delegato di Kenya Airways.

Eni Biojet contiene il 100% di componente biogenica ed è idoneo ad essere utilizzato in miscela con il jet convenzionale (JetA1) fino al 50%. Per questo volo, l’Eni Biojet è stato miscelato da Kenya Airways con il jet fuel tradizionale a Nairobi. KQ collabora con Eni a un percorso per l’utilizzo di carburante avionico sostenibile per i suoi voli al di fuori del Paese: il volo Nairobi-Amsterdam alimentato con SAF permette a KQ di avere un vantaggio competitivo nel continente.

“La fornitura di Eni Biojet all’aeroporto di Nairobi è un passo importante per Eni Sustainable Mobility perché conferma come l’azienda possa sostenere, anche in ambito internazionale, compagnie aeree come Kenya Airways nel proprio percorso di decarbonizzazione”, dichiara Stefano Ballista, amministratore delegato di Eni Sustainable Mobility.

Dal 2025, per tutti i voli in partenza dagli aeroporti europei, una quota di Saf sarà obbligatoria. Per questo KQ sta lavorando per trarre vantaggio dall’attuale diffusione dei carburanti sostenibili per l’aviazione, in conformità con la direzione indicata dall’Unione Europea con il regolamento ReFuelEU Aviation che stabilisce obiettivi di miscelazione dei carburanti tradizionali con carburanti più sostenibili in quantità crescenti.

Eni commercializza anche un carburante per il settore avio contenente il 20% di componente biogenica, il JetA1+Eni Biojet, per la cui fornitura ha sottoscritto accordi con compagnie aeree nazionali e internazionali, oltre che con aeroporti e operatori del settore della logistica. Dal 2024 le bioraffinerie di Venezia e Gela inizieranno la produzione di Eni Biojet a partire da materie prime rinnovabili che arriverà a oltre 200 mila tonnellate/anno. Questo obiettivo richiede un’importante fornitura di materie prime per la quale Eni sta sviluppando sia una filiera in Kenya per la raccolta degli Uco (oli di cucina esausti), lavorando con aziende e operatori del settore food e contribuendo a gestire un rifiuto alimentare in un’ottica di economia circolare, sia una rete di agri-hub in Kenya e altri Paesi africani, per produrre oli vegetali da terreni marginali che non sono in competizione con la produzione alimentare.

Versalis si rafforza nel campo della chimica da fonti rinnovabili: acquisito il 100% di Novamont

Versalis, società chimica di Eni, acquisisce il 100% di Novamont, società leader a livello internazionale nel campo della chimica da fonti rinnovabili. Versalis deteneva già una quota del 36% e ha acquisito il restante 64% da Mater-Bi, società controllata da Investitori Associati II e NB Renaissance. L’acquisizione di Novamont, Benefit company certificata B Corp protagonista nel settore della bioeconomia circolare e nel mercato per lo sviluppo e la produzione di bioplastiche e biochemicals biodegradabili e compostabili, rappresenta una grande opportunità di accelerazione della strategia attraverso l’integrazione di una piattaforma tecnologica unica e complementare, fornendo un rilevante contributo alla decarbonizzazione del portafoglio prodotti. L’operazione permetterà di rafforzare la piattaforma Novamont accelerando lo sviluppo di filiere multiprodotto ad alto valore aggiunto e i progetti di territorio per disaccoppiare l’utilizzo delle risorse naturali dalla crescita economica nella logica di fare di più con meno.

Intanto, nel giorno dell’annuncio dell’acquisizione, Eni pubblica i suoi risultati del primo trimestre 2023. L’utile operativo adjusted è a 4,641 miliardi di euro con una riduzione dell’11% rispetto al primo trimestre 2022 dovuta principalmente al settore E&P (-36% a 2,789 miliardi) per effetto dei minori prezzi di realizzo delle produzioni a causa della flessione dei prezzi di riferimento del petrolio e del gas naturale nonché del deconsolidamento delle società operative angolane conferite alla JV Azule nel terzo trimestre del 2022. I risultati di Gruppo sono stati sostenuti dalla performance di GGP (+47% a 1,372 miliardi) grazie alle attività di ottimizzazione e di trading, e dall’andamento di Sustainable Mobility & Refining (in aumento di 239 milioni). Nel primo trimestre 2023 l’utile netto adjusted di competenza degli azionisti Eni è stato di 2,907 miliardi in riduzione di 363 milioni rispetto al primo trimestre 2022 (-11%), a causa della flessione dello scenario energetico in parte compensato dal miglioramento della gestione industriale. Il tax rate consolidato adjusted pari al 41% è aumentato di 4 punti percentuali, rispetto al primo trimestre 2022, per effetto del deconsolidamento delle società operative angolane, che registravano aliquote inferiori alla media del segmento E&P, della windfall tax sugli utili delle società del settore energia del Regno Unito, nonché dello scenario sfavorevole, in parte compensati dalla maggiore incidenza dell’utile imponibile conseguito dalle controllate italiane.

L’amministratore delegato Claudio Descalzi parla di “eccellenti risultati operativi e finanziari nonostante l’indebolimento dello scenario, grazie alla solidità del settore E&P che evidenzia il recupero della produzione d’idrocarburi, e al risultato di assoluto rilievo del settore Gas/LNG. Considerato anche il contributo delle bioraffinerie e della rete commerciale e la continua crescita del settore Plenitude & Power, il Gruppo ha realizzato €4,6 miliardi di utile operativo adjusted e €2,9 miliardi di profitti netti. Nel corso del trimestre abbiamo compiuto progressi sostanziali nell’attuazione della nostra strategia e del piano industriale”.

Extinction Rebellion ‘colpisce’ sede Rai pubblicità di Milano

Nuova azione del gruppo ambientalista Extinction Rebellion. Nella notte, gli attivisti hanno attaccato manifesti sulle vetrate della sede di Rai Pubblicità di Corso Sempione a Milano e scritto sull’asfalto, all’ingresso della sede, ‘No Eni, no greenwashing’.

I manifesti, che imitano quelli delle più famose trasmissioni Rai, incitano l’emittente pubblica ad impegnarsi sul serio nella comunicazione della crisi eco-climatica dove i media hanno un ruolo fondamentale. “Per dimostrare di fare sul serio la Rai deve subito smettere di fare pubblicità alle aziende fossili che sono i principali responsabili del surriscaldamento globale e della crisi ecologica, Eni su tutte”, spiegano gli attivisti in una nota.

“Da poche settimane è uscito il nuovo report della IPCC sulla crisi eco-climatica” afferma Skar, attivista di Extinction Rebellion, “purtroppo ciò che emerge da questo documento importantissimo non sta ricevendo l’attenzione che merita, mentre invece viene lasciato molto spazio alle pubblicità delle aziende dei combustibili fossili che invece ne sono responsabili. Siamo sempre più vicini al punto di non ritorno, superato il quale gli effetti dell’aumento della temperatura della Terra saranno irreversibili. Questo vorrà dire che ci saranno sempre maggiori catastrofi naturali che sarà molto difficile gestire e che costeranno la vita a migliaia e forse milioni di persone!”

Gli attivisti denunciano in particolare le responsabilità della RAI nella comunicazione della crisi eco-climatica: “Abbiamo cercato sul sito della RAI se da qualche parte comparissero dei dati sui suoi finanziatori, ma non abbiamo trovato nulla” spiega Valeria. “Riteniamo che sia inaccettabile vedere in prima serata, durante il Festival di Sanremo, gli spot di Eni Plenitude, che altro non sono se non greenwashing. ENI ancora oggi e per i prossimi decenni ricaverà enormi profitti e manterrà al centro delle sue attività l’estrazione di combustibili fossili, nonostante voglia farci credere il contrario”.

“Al centro della nostra campagna, DiRAI La Verità, c’è la convinzione che i media abbiano un grandissimo potere ed una grandissima responsabilità nel parlare di crisi eco-climatica ed informare la popolazione” dice Sara. “Riteniamo che non la stiano raccontando in maniera corretta a causa della presenza di interessi fossili nel mondo dell’informazione. Quello che chiediamo alla RAI è di essere da esempio per il mondo della comunicazione italiana e rinunciare ai finanziamenti fossili, perché è possibile farlo ed è già stato fatto altrove!”.

 

photo credit: Extinction Rebellion (Instagram)

Descalzi resta a Eni, Cattaneo-Scaroni alla guida di Enel e Cingolani ad Leonardo

Non è stato facile, ma alla fine le forze di maggioranza una quadra sulle nomine dei nuovi board delle società partecipate la trovano.

Si parte dall’unica certezza che ha accompagnato queste settimane di discussione: Claudio Descalzi resta amministratore delegato di Eni. Per proseguire il lavoro di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, non solo per liberare l’Italia della dipendenza russa, ma soprattutto per costruire quel progetto che la premier, Giorgia Meloni, ha chiamato ‘Piano Mattei‘, che nelle intenzione di Palazzo Chigi dovrebbe trasformare l’Italia nell’hub di riferimento per l’Europa, facendo leva sulla posizione geografica (e geopolitica) del nostro Paese rispetto all’area del Mediterraneo.

Alla presidenza del Cane a sei zampe, invece, arriva Giuseppe Zafarana, in uscita dalla Guardia di finanza, dove ha svolto il ruolo di comandante generale. Il Mef, titolare del 4,34% del capitale e per il tramite della Cassa depositi e prestiti (partecipata all’82,77% dal Mef) di un ulteriore 25,76%, comunica, poi, che il nuovo collegio sindacale di Eni sarà composto dagli effettivi Giulio Palazzo, Andrea Parolini e Marcella Caradonna e dai supplenti Giulia de Martino e Riccardo Bonuccelli. L’assemblea degli azionisti di Eni è convocata per il 10 maggio prossimo.

La vera sorpresa di questa partita è Enel. Flavio Cattaneo è infatti il nuovo ad, mentre Paolo Scaroni torna, ma nel ruolo di presidente. In vista dell’assemblea degli azionisti (10 maggio prossimo), il ministero dell’Economia, titolare del 23,59% del capitale, indica per il Consiglio di amministrazione i consiglieri Alessandro Zehenter, Johanna Arbib Perugia, Fiammetta Salmoni e Olga Cuccurullo.

Confermate, invece, le indiscrezioni sul board di Leonardo, che avrà come ad l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e come presidente Stefano Pontecorvo. Nella lista del Mef (titolare del 30,2% del capitale), per l’assemblea degli azionisti del 9 maggio, ci sono anche Elena Vasco, Enrica Giorgetti, Francesco Macrì, Trifone Altieri, Cristina Manara e Marcello Sala come consiglieri.

Nessuna ‘sorpresa’ nemmeno al timone di Poste Italiane, perché Matteo Del Fante resta amministratore delegato, ma con Silvia Rovere come presidente. Il dicastero di via XX Settembre, titolare del 29,26% del capitale e per il tramite di Cdp di un ulteriore 35%, nomina anche consiglieri Wanda Ternau, Matteo Petrella, Paolo Marchioni e Valentina Gemignani.

Le nomine dei nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze. È un ottimo risultato del lavoro di squadra del governo“, commenta Meloni. Che ringrazia “chi ha servito l’Italia con passione in queste aziende“, mentre augura “ai prossimi amministratori buon lavoro. Il loro compito è quello di ottenere risultati economici solidi e duraturi nell’interesse della nazione che rappresentano in tutto il mondo“.

Resta ora da sciogliere il nodo di Terna. L’attuale ad, Stefano Donnarumma, per mesi dato in procinto di assumere la guida di Enel, al momento non si muove. Anche se i rumors indicano che al suo posto, nella società che gestisce la rete di trasmissione nazionale dell’energia, potrebbe arrivare Giuseppina Di Foggia, oggi ceo e vice presidente di Nokia Italia. Sarebbe la prima donna a capo di una società partecipata, un primato che Giorgia Meloni pare proprio voglia realizzare nella sua esperienza da presidente del Consiglio.

Biocarburanti, Descalzi: “Una menzogna dire che affamiamo l’Africa”

Sovranità energetica e autonomia passano da tre macrofattori: diversificazione delle fonti di approvvigionamento, infrastrutture e mix di gas e tecnologie di proprietà. La ricetta è firmata dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, da un anno è impegnato anche nel difficile compito di aiutare l’Italia e il governo a liberarsi dalle forniture russe (Mosca “non sta dando più nulla all’Italia e molto poco all’Europa, siamo al 5-6% rispetto alla domanda“) creando una indipendenza per il nostro Paese. Il manager ne ha parlato alla cena sociale dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti del Lazio per l’apertura dell’anno sociale 2023, che si è svolta la sera del 28 marzo, a Roma (qui nella foto di GEA accanto al presidente dell’Ucid regionale, Riccardo Pedrizzi).

Un ragionamento molto articolato, che parte dallo scenario in cui si trovano l’Europa e, di conseguenza, l’Italia: “Siamo un grande complesso di trasformazione industriale” ma senza “energia propria, quindi siamo in una grande macchina che però non ha energia. Come se avessimo comprato una Ferrari ma non abbiamo la benzina. Questa è la situazione”, spiega. Dunque, “quando si parla di sovranità o autonomia, vuol dire riuscire ad avere l’energia necessaria per far muovere la propria macchina, le proprie imprese”.

Per ovviare al problema, però, Descalzi richiama tutti alla realtà del momento: “Prima di tutto bisogna mettere i piedi per terra: il gas non può scomparire domani”. Anche perché, spiega, “da vent’anni le previsioni dicono che il gas in Europa sarà sempre meno presente: nel 2000 ne consumavamo 400 miliardi di metri cubi, nel 2022 abbiamo consumato 400 miliardi di metri cubi. Le stesse quantità. Nel mondo, nel 2000 si consumavano 2mila miliardi di metri cubi, oggi se ne consumano più di 4mila miliardi. Il gas, quindi, sta crescendo”.

In chiave futura, però, servono idrogeno verde e soprattutto rinnovabili, “che sono una parte fondamentale ma hanno avuto una penetrazione debole“. Dunque, serve “continuità“. Fino a quando tutto questo non sarà una realtà consolidata, però, serve il gas. Che “prima ci arrivava via tubo, via pipeline, mentre ora deve arrivare con i rigassificatori”, quindi, “oltre alla diversificazione” delle fonti di approvvigionamento “sono necessarie anche le infrastrutture”.

Fondamentale per la sovranità energetica, avvisa Descalzi, è che “il gas non deve essere di un terzo” come è accaduto con la Russia. “Dobbiamo importare gas nostro, per cui abbiamo investito e sviluppato, che nessuno può portarci via” perché questo “ci può dare continuità. E così stiamo facendo con il gas che Eni ha scoperto, trovato e che mette a disposizione”.

C’è anche il capitolo biocombustibili nel ragionamento del ceo del Cane a sei zampe. Vede il bicchiere mezzo pieno sulla battaglia del governo in Europa “vinta in parte”, ma è soprattutto sulle polemiche legate alla produzione che sente il bisogno di togliersi il sassolino dalle scarpe. “Ho sentito in televisione qualcuno che raccontava che noi di Eni stiamo affamando l’Africa perché produciamo olio vegetale. Possiamo dire che questa è una menzogna”, tuona. “Gli arbusti oleosi che coltiviamo in Africa sono in zone desertiche, quindi quasi senza acqua – spiega -. In 7 Stati africani produrremo circa 700-800mila tonnellate all’anno” creando “un totale di 2 milioni di posti di lavoro. Agricoltori. Formati, con Coldiretti, in Italia e in Ruanda”.

Infine, Descalzi parla anche dell’Europa agli imprenditori cristiani del Lazio. “Ci pone degli obiettivi sacrosanti, ma i percorsi e le tecnologie per raggiungerli dobbiamo lasciarli ai singoli Paesi, perché ognuno ha un proprio sistema e una propria storia: la Francia ha il nucleare, noi il gas, le rinnovabili e anche tecnologie su economia circolare o biocarburanti, che sono di nostra proprietà”. A suo modo di vedere, infatti, “questi sono i concetti che ci portano ad avere un’autonomia e una sovranità nel campo energetico e dobbiamo difendere le nostre tecnologie e la libertà di poterle scegliere e sviluppare per le nostre industrie“.

Eni spinge sulla fusione nucleare con il Mit: accordo per accelerare

Eni spinge sulla fusione nucleare e lo fa in collaborazione con il Mit. O meglio, con il Csf (Commonwealth Fusion Systems), spin-out del Massachusetts Institute of Technology. L’obiettivo dell’accordo è quello di accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione. Eni ha investito per la prima volta in Cfs nel 2018 e ne è azionista strategico. Questo accordo rafforza la partnership tra le due società, unendo l’esperienza ingegneristica e di project management di Eni ad una serie di progetti a supporto di CFS, e lo sviluppo e distribuzione dell’energia da fusione su scala industriale.

Intanto, i progetti vanno avanti. E Sparc, che punta ad essere il primo impianto pilota a confinamento magnetico al mondo a produzione netta di energia da fusione, è in costruzione e sarà operativo entro il 2025. Si prevede che Sparc, a sua volta, farà da banco di prova per lo sviluppo di Arc: la prima centrale elettrica industriale da fusione in grado di immettere elettricità in rete, che dovrebbe essere operativa nei primi anni del 2030. Proprio Arc è al centro dell’accordo siglato, con l’obiettivo di lavorare insieme per accelerare lo sviluppo industriale, una serie di progetti attualmente in fase di sviluppo che includono supporto operativo e tecnologico, esecuzione progettuale attraverso la condivisione di metodologie mutuate dall’industria energetica, nonché rapporti con gli stakeholder. Per Eni la fusione a confinamento magnetico occupa un ruolo centrale tra le tecnologie per la decarbonizzazione in quanto potrà in prospettiva consentire all’umanità di disporre di grandi quantità di energia a zero emissioni e con un processo sicuro e virtualmente illimitato, cambiando per sempre il paradigma della generazione energetica.

Vedremo realizzata la prima centrale elettrica di CFS basata sulla fusione a confinamento magnetico all’inizio del prossimo decennio, avendo poi davanti a noi quasi vent’anni per diffondere la tecnologia e raggiungere gli obiettivi di transizione energetica al 2050. Questo vorrà dire disporre a livello industriale di una tecnologia in grado di fornire grandi quantità di energia senza alcuna emissione di gas serra prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile fornendo un contributo sostanziale alla transizione energetica. Per questo siamo di fronte a una potenziale svolta tecnologica epocale”, ha commentato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi. “Da diversi anni – ha aggiunto – Eni sta ponendo la leadership tecnologica, con un approccio di neutralità e diversificazione, alla base del proprio percorso di decarbonizzazione. Consapevoli del grande valore strategico di questa tecnologia e della solidità di CFS, fin dal 2018 Eni ha investito nella società ed è stata la prima azienda energetica ad impegnarsi concretamente in questo settore. Oggi rafforziamo ulteriormente questa collaborazione con le nostre competenze ed esperienza con l’obiettivo di accelerare il più possibile il percorso di industrializzazione della fusione”.

Nel Piano strategico 2023-2026 di Eni sicurezza energetica, transizione e meno emissioni

Sicurezza energetica, riduzione delle emissioni e investimenti nella tecnologia più “rivoluzionaria. Sono alcuni dei pilastri su cui si fonda il Piano strategico 2023-2026 di Eni, presentato oggi dall’amministratore delegato, Claudio Descalzi, e dalla presidente, Lucia Calvosa. Per raggiungere gli obiettivi l’azienda mette sul piatto 37 miliardi di euro nel quadriennio (di cui 9,5 miliardi solo nel 2023), ben il 15% in più rispetto al Piano precedente. Con una spesa destinata alle attività zero e low carbon pari a circa il 25% degli investimenti. Perché l’attenzione alla transizione ecologica è palpabile, al punto che Eni conferma gli obiettivi di riduzione delle emissioni: -35% entro il 2030, -80% al 2040, per poi arrivare a net zero entro il 2050.

Non solo, perché le stime sulle nuove fonti di energia prevedono che la capacità di generazione rinnovabile di Plenitude aumenterà a oltre 7 Gigawatt entro il 2026, per poi superare i 15 Gw entro il 2030. Nel frattempo, tra i target c’è anche quello di raddoppiare i punti di ricarica entro il 2026. Non a caso la previsione è che l’Ebitda di Plenitude aumenti per il 2026 di tre volte rispetto al 2022. Restando sulle stime, in base allo scenario delineato, la società genererà un flusso di cassa prima del capitale circolante di oltre 17 miliardi di euro nel 2023 e di oltre 69 miliardi di euro nel corso del Piano, con un aumento del 25% nel 2026 rispetto al 2023. Questo consentirà di finanziare gli investimenti e potenziare la remunerazione agli azionisti, mantenendo il leverage tra il 10-20%.

Numeri ambiziosi che guardano in prospettiva. Ma anche il recente passato non è affatto male, visto che l’utile netto realizzato nel 2022 è di 13,3 miliardi di euro: un aumento di 9 miliardi rispetto all’anno precedente. Mentre l’utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 è addirittura di 20,4 miliardi, raddoppiato rispetto al 2021. Risultati che fanno esultare Descalzi: “Quelli operativi e finanziari che abbiamo raggiunto sono stati eccellenti”, con un occhio attento al green. “Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche”. Restando sul tema, l’ad sottolinea anche “il progresso nei piani di decarbonizzazione”, con Plenitude che ha raggiunto “2,2 Gw di capacità rinnovabile, il doppio dello scorso anno, e sarà affiancata dalla neo costituita Eni Sustainable Mobility nel portare avanti il piano di azzeramento delle emissioni dei clienti”.

La base di lavoro è fatta, ora però va risolto il nodo del rinnovo dei board. Perché Eni è in scadenza questa primavera, ma ancora non c’è un’indicazione precisa da parte del governo, azionista di riferimento col Mef, sul futuro di Descalzi. Il manager glissa: “Quello che voglio io non conta nulla, perché non sono io a decidere”. Incalzato dai cronisti, l’ad fa un piccolissimo passo in più: “Il Piano l’ho fatto io, ma nessuno è indispensabile. Eni è forte. Può fare anche senza di me? Sì. A tutti piacerebbe guidare la macchina, ma se ciò non accade va avanti lo stesso”. Non risponde nemmeno alle fonti leghiste che a inizio settimana chiedevano un cambio di passo nella governance delle due principali partecipate: “Non ho commenti, non li voglio fare attraverso i giornali. Parlerò con chi lo ha detto o mi parleranno loro”, taglia corto Descalzi.

Che preferisce piuttosto concentrarsi sulle sfide di Eni. “L’urgenza di raggiungere la sostenibilità ambientale e il mix energetico sono sempre più priorità”, ma questo deve camminare di pari passo con “sicurezza energetica e sostenibilità economica”. Inoltre sono fondamentali la “diversificazione geografica delle fonti e il mix energetico diverso nel tempo, mettendo in campo tecnologie all’avanguardia”. Anzi, l’amministratore delegato puntualizza: “La nostra strategia si basa su una incessante attenzione alle nuove tecnologie”, anche in chiave decarbonizzazione.

Sul gas, poi, spiega che “la situazione degli stoccaggi è migliore di quello che si poteva aspettare, perché siamo partiti da oltre il 94%: questo ha fatto sì che si arrivasse ora al 64% circa”, dunque “la probabilità è che, se il clima continuasse così, avremo il doppio del gas stoccato rispetto all’anno scorso, forse potremmo finire anche sopra il 50%, ma queste sono tutte probabilità”. Di una cosa è sicuro Descalzi: “Tutti stiamo monitorando cosa accadrà a marzo, aprile, maggio, giugno e luglio: vogliamo vedere se abbiamo tutte le infrastrutture per riempire le riserve. Del rigassificatore di Piombino ne abbiamo bisogno, è essenziale, non c’è scelta altrimenti non arriverà il gas in Italia”.

Sul piano del governo di fare dell’Italia l’hub europeo del gas, poi, ha un’idea precisa. E’ fattibile, ma con “omogeneità di tariffe e regole per il gas in tutta Europa” e infrastrutture che colleghino il sud al nord, ma prima di tutto “bisogna capire se effettivamente l’Europa ci sta, se ci sono capitali da mettere nelle infrastrutture e che tempi ci sono per queste infrastrutture”. Restando in campo continentale, alla domanda se il price cap sia il motivo per cui è calato il prezzo del gas risponde positivamente: “Dà un segnale agli speculatori che esiste un limite, andava fatto molto prima”. Anzi, “doveva essere fatto subito”.

In 50 stazioni di servizio arriva il primo biodiesel di Eni: è prodotto da scarti vegetali

Si chiama HVOlution, il primo diesel di Eni Sustainable Mobility prodotto con 100% di materie prime rinnovabili, è in vendita in 50 stazioni di servizio Eni e sarà disponibile a breve, entro marzo 2023, in 150 punti vendita in Italia. HVOlution è un biocarburante che viene prodotto da materie prime di scarto e residui vegetali, e da olii generati da colture non in competizione con la filiera alimentare. “HVOlution – si legge in una nota – può contribuire all’immediata decarbonizzazione del settore dei trasporti anche pesanti, tenuto conto delle emissioni allo scarico, perché utilizzabile con le attuali infrastrutture e in tutte le motorizzazioni omologate, di cui mantiene invariate le prestazioni”.

Eni è in grado di offrire ai propri clienti questo innovativo biocarburante grazie all’investimento realizzato sin dal 2014 con la trasformazione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie, che dalla fine del 2022 sono palm oil free. La tecnologia proprietaria Ecofining consente, infatti, di trattare materie prime vegetali di scarto e olii non edibili per produrre biocarburante HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato) di cui Eni Sustainable Mobility è il secondo produttore in Europa. HVOlution è un biocarburante composto al 100% da HVO puro. Prima della commercializzazione nelle stazioni di servizio Eni, l’HVO in purezza è stato utilizzato da diversi clienti, i quali hanno movimentato dai mezzi per la movimentazione dei passeggeri a ridotta mobilità in ambito aeroportuale fino ai veicoli commerciali della logistica; inoltre, addizionato al gasolio, dal 2016 il biocarburante HVO è presente al 15% nel prodotto Eni Diesel +, disponibile in oltre 3.500 stazioni di servizio in Italia.

Per Stefano Ballista, amministratore delegato di Eni Sustainable Mobility, “il biocarburante puro HVOlution ha un ruolo fondamentale perché già da oggi può dare un contributo importante alla decarbonizzazione della mobilità, anche del trasporto pesante. Questo prodotto arricchisce l’offerta nelle stazioni di servizio, affiancandosi all’attuale proposta di prodotti low-carbon, come le ricariche elettriche, e di servizi per le persone in mobilità: obiettivo di Eni Sustainable Mobility è integrare gli asset industriali e commerciali lungo tutta la catena del valore, dalla disponibilità della materia prima fino alla vendita di prodotti decarbonizzati al cliente finale”.

Eni ha siglato accordi e partnership che permettono di valorizzare gli scarti e i rifiuti utilizzandoli come feedstock per la produzione di biocarburanti come HVOlution. In diversi paesi dell’Africa tra i quali Kenya, Mozambico e Congo, Eni sta sviluppando una rete di agri-hub in cui verranno prodotti olii vegetali in grado di crescere in terreni marginali e aree degradate e non in competizione con la filiera alimentare e, al tempo stesso, di creare opportunità di lavoro sul territorio. L’obiettivo è di coprire il 35% dell’approvvigionamento delle bioraffinerie Eni entro il 2025.