Meloni a Baku: “Al momento no alternativa a fossili”. Pichetto: “Nodo contribuzioni”

L’Italia è in prima linea per raggiungere gli obiettivi climatici fissati a Dubai, ma al momento “non c’è alternativa ai combustibili fossili”. Giorgia Meloni non lancia il cuore oltre l’ostacolo dal palco della Cop29 di Baku, in Azerbaigian, dove fa una ‘toccata e fuga’ per intervenire in presenza, prima di riprendere l’aereo per Roma.

Dalla Cop la premier rilancia la necessità di adottare un approccio pragmatico e “non ideologico” per la decarbonizzazione, sfruttando tutte le tecnologie a disposizione. Anche per questo, gli sforzi di Roma si concentrano sulla fusione nucleare, che potrà fornire in futuro energia illimitata a una popolazione mondiale in continua espansione.

I negoziati non saranno semplici, ricorda in radio il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Quella di Baku è destinata a essere considerala una Cop delle assenze. Non ci saranno il presidente americano uscente Joe Biden, la presidente della Commissione europea Von der Leyen, il francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, il presidente cinese Xi Jinping, il presidente indiano Modi e il brasiliano Lula, nonostante riceva il testimone della prossima conferenza delle parti, che si terrà proprio in Brasile.
Per Pichetto, che sarà a Baku da lunedì 18, pesa non poco “il cambio al governo negli Stati Uniti“. Uno dei temi è determinare le regole per le contribuzioni sui Paesi in via di sviluppo, che al momento, ricorda, “è su base volontaria“. Essendo un meccanismo volontaristico, osserva, non è “completamente equilibrato“, in questi dieci giorni serviranno “confronti serrati” per arrivare al documento finale.

La premier richiama tutti alla cooperazione per raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, “a partire dai maggiori emettitori” e avendo a disposizione un “supporto finanziario adeguato”. Si lavora per raggiungere nuovi obiettivi finanziari, un compromesso efficace, ma, insiste, “c’è bisogno di responsabilità condivise, c’è bisogno di superare le divisioni, le divergenze tra i paesi emergenti e quelli già sviluppati”.

Come tutte le altre Cop, il successo dipenderà dai governatori dei singoli Paesi: “Sappiamo che potremmo non trarre dei benefici personali dagli sforzi che stiamo facendo – ammette Meloni -, ma questa non è la cosa importante”. La leader italiana torna sul tema della maternità: “Io sono una madre e come madre nulla mi dà più soddisfazione di quando lavoro per delle politiche che permetteranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un mondo migliore”, scandisce. E prende in prestito le parole del filosofo statunitense William James: “L’azione è quello che fa la differenza, perché lo farà”.

Scoperta la più antica foresta fossile: risale a 390 milioni di anni fa

Photo credit: Neil Davies

La più antica foresta fossile sulla Terra – risalente a 390 milioni di anni fa – è stata rinvenuta nelle alte scogliere di arenaria lungo la costa del Devon e del Somerset, nell’Inghilterra sud-occidentale. I fossili, scoperti e identificati dai ricercatori delle Università di Cambridge e Cardiff, sono i più antichi alberi mai trovati in Gran Bretagna e la più antica foresta fossile conosciuta sulla Terra. E’ più vecchia di circa quattro milioni di anni rispetto al precedente record, trovato nello Stato di New York. I fossili sono stati rinvenuti vicino a Minehead, sulla sponda meridionale del Canale di Bristol, nei pressi di quello che oggi è un campeggio Butlin’s. Gli alberi, noti come Calamophyton, a prima vista assomigliano a palme, ma erano un “prototipo” dei tipi di piante che conosciamo oggi. Invece di essere di legno massiccio, i loro tronchi erano sottili e cavi al centro. Mancavano anche di foglie e i loro rami erano ricoperti da centinaia di strutture simili a ramoscelli. Questi alberi erano anche molto più corti dei loro discendenti: i più grandi erano alti tra i due e i quattro metri. Man mano che gli alberi crescevano, si liberavano dei rami, che sostenevano gli invertebrati sul suolo della foresta.

In precedenza gli scienziati ritenevano che questo tratto di costa inglese non contenesse fossili vegetali significativi, ma questo particolare reperto, oltre alla sua età, mostra anche come i primi alberi abbiano contribuito a modellare i paesaggi e a stabilizzare gli argini dei fiumi e le coste centinaia di milioni di anni fa. I risultati sono riportati nel Journal of the Geological Society.
La foresta risale al periodo Devoniano, tra 419 milioni e 358 milioni di anni fa, quando la vita iniziò la sua prima grande espansione sulla terraferma: alla fine del periodo, apparvero le prime piante portatrici di semi e i primi animali terrestri, per lo più artropodi, erano ben radicati. “Il periodo Devoniano ha cambiato radicalmente la vita sulla Terra“, dice il professor Neil Davies del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge, primo autore dello studio. “Ha anche cambiato il modo in cui l’acqua e la terra hanno interagito tra loro, dal momento che gli alberi e le altre piante hanno contribuito a stabilizzare i sedimenti attraverso i loro sistemi di radici, ma poco si sa delle primissime foreste“.

La foresta fossile identificata dai ricercatori è stata trovata nella Formazione Hangman Sandstone, lungo le coste del Devon settentrionale e del Somerset occidentale. Durante il periodo Devoniano, questa regione non era collegata al resto dell’Inghilterra, ma si trovava più a sud, collegata a parti della Germania e del Belgio, dove sono stati trovati fossili Devoniani simili.
Quando ho visto per la prima volta le immagini dei tronchi ho capito subito di cosa si trattava, grazie a 30 anni di studi su questo tipo di alberi in tutto il mondo“, ha dichiarato il coautore Christopher Berry della School of Earth and Environmental Sciences di Cardiff. Il lavoro sul campo è stato intrapreso lungo le scogliere più alte dell’Inghilterra, alcune delle quali sono accessibili solo in barca, e ha rivelato che questa formazione di arenaria è in realtà ricca di materiale vegetale fossile del periodo Devoniano. I ricercatori hanno identificato piante fossili e detriti vegetali, tronchi d’albero fossilizzati, tracce di radici e strutture sedimentarie. Durante il Devoniano, il sito era una pianura semi-arida, attraversata da piccoli canali fluviali che fuoriuscivano dalle montagne a nord-ovest. “Le prove contenute in questi fossili conservano una fase chiave dello sviluppo della Terra, quando i fiumi hanno iniziato a operare in modo fondamentalmente diverso rispetto al passato, diventando la grande forza erosiva che sono oggi“, dice Davies. “A volte si pensa che le rocce britanniche siano state analizzate a sufficienza, ma questo dimostra che rivisitarle può portare a nuove importanti scoperte“.

Cop28, raggiunto “storico” accordo. Neutralità dal carbonio dal 2050

Un accordo “storico”, “guidato dalla scienza”, “equo” e raggiunto grazie “allo spirito di collaborazione” di tutte le parti. È “orgoglioso” Sultan Al Jaber, presidente emiratino della Cop28, nell’annunciare che alla fine l’intesa è stata trovata e che a Dubai si è seguita la “stella polare” per trovare una nuova strada comune per combattere il riscaldamento globale. Un accordo, ha spiegato in seduta plenaria, che per la prima volta cita esplicitamente i combustibili fossili, anche se la parola “uscita” è stata sostituita da “transizione”.

“Transitare dai combustibili fossili” e accelerare l’azione “in questo decennio cruciale, al fine di raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050,  in linea con le raccomandazioni scientifiche” è quanto prevede l’accordo, che esclude quindi l’uscita da petrolio, gas e carbone, ma punta a un percorso più lento verso l’eliminazione di queste fonti di energia inquinanti, proprio come richiesto dai Paesi produttori, guidati dall’Arabia Saudita. Passa quindi la linea più morbida, ma si riconosce “la necessità di riduzioni forti, rapide e sostenute delle emissioni di gas a effetto serra, coerenti con le traiettorie di 1,5°C, e invita le Parti a contribuire ai successivi sforzi globali”. 

Il documento propone la triplicazione delle energie rinnovabili entro il 2030, lo sviluppo dell’energia nucleare e dell’idrogeno “a basse emissioni di carbonio”, nonché le incipienti tecnologie di cattura del carbonio favorite dai Paesi produttori di petrolio. Una fonte vicina alla presidenza emiratina ritiene che il testo sia stato finemente “calibrato” per cercare di conciliare i punti di vista opposti, e in particolare per evitare che l’Arabia Saudita lo bloccasse. Pur lasciando deliberatamente un po’ di ambiguità nella formulazione, in modo che ci sia qualcosa per tutti…

Transizione in “modo giusto, ordinato ed equo” significa assicurare un ritmo diverso per i vari Paesi, a seconda delle loro esigenze di sviluppo e della loro responsabilità storica nel riscaldamento globale.

“Dal profondo del mio cuore – ha detto Al Jaber – grazie. Siamo arrivati molto lontano insieme in poco tempo, abbiamo lavorato duramente perché ci fosse un futuro migliore per il pianeta e dovremmo essere orgogliosi di questo accordo storico”. “Il mio Paese”, cioè gli Emirati Arabi Uniti, ha aggiunto, “è orgoglioso del ruolo che ha avuto nell’aiutarvi ad andare avanti”. “Ora, però – è l’invito – dobbiamo agire, perché siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo”.

“Che vi piaccia o no, l’eliminazione dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi”, ribadisce su X il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’accordo è “una buona notizia per il mondo intero” perché consentirà di accelerare “la transizione verso un’economia più pulita e più sana”. Soddisfatto anche l’invisto Usa per il Clima, John Kerry, secondo cui il via libera al testo è “motivo di ottimismo” in un mondo pieno di conflitti.

Anche il nostro Paese guarda all’accordo con il sorriso. “L’intesa raggiunta a Dubai – dice il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin – tiene conto di tutti gli aspetti più rilevanti dell’accordo di Parigi e delle istanze, profondamente diverse tra loro, dei vari Stati, che tuttavia riconoscono un terreno e un obiettivo comune, con la guida della scienza. Per questo, riteniamo il compromesso raggiunto come bilanciato e accettabile per questa fase storica, caratterizzata da forti tensioni internazionali che pesano sul processo di transizione. L’Italia, nella cornice dell’impegno europeo, è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile”.

Cop28, Pichetto chiede uno sforzo per risultati ambiziosi. Le opposizioni attaccano

L’Italia chiede alla Cop28soluzioni costruttive che non siano ostaggio di posizioni estreme e ideologiche”. Mentre i negoziati sul documento finale è ancora work in progress, il nostro Paese, assieme ai partner europei e internazionali, spinge “perché prevalga un approccio concreto e pragmatico che consenta di giungere a una soluzione condivisa sull’obiettivo della decarbonizzazione, che tenga conto a livello globale delle esigenze legate alla sicurezza energetica e alla sostenibilità economica e sociale“, trapela da fonti del Mase.

A capo della delegazione italiana ci sono il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, con il suo vice ministro, Vannia Gava. “Si può e si deve fare di più. Stiamo lavorando con i partner europei per migliorare la proposta della Presidenza emiratina”, dice il responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo al termine della riunione di coordinamento dei ministri dell’Unione europea. Sottolineando, però, che rispetto alla bozza circolata a Dubai “serve uno sforzo ulteriore per un testo più ambizioso”.

L’obiettivo italiano è, infatti, quello di far prevalere un approccio concreto e pragmatico che consenta di giungere a una soluzione condivisa sull’obiettivo della decarbonizzazione, che tenga conto a livello globale delle esigenze legate alla sicurezza energetica e alla sostenibilità economica e sociale. Mentre negli Emirati Arabi si continua a lavorare su un compromesso, non mancano le reazioni nel dibattito politico italiano. Soprattutto dopo le notizie circolate sul documento finale, che non menziona l’uscita dalle fonti fossili. “E’ la vittoria dei petrolieri che, con oltre 2500 lobbisti, hanno invaso la conferenza sul clima, ma principalmente è la vittoria di Putin, che pur non avendo partecipato alla Cop28, il 6 dicembre si è recato ad Abu Dhabi e Riad per concordare con i sauditi il fallimento della conferenza“, commenta Angelo Bonelli (Europa Verde). Che poi accusa: “In questo contesto è imbarazzante la posizione dell’Italia: a parole si dice allineata con la Ue, ma nella pratica ha dimostrato di sostenere le posizioni dei paesi produttori di petrolio”. Dal M5S è il vicepresidente della Camera, Sergio Costa, ad augurarsi che il nostro Paese “non si discosti dall’ambizione europea, e non remi contro. Non possono esserci compromessi – ribadisce l’ex ministro dell’Ambiente – quando è in gioco il futuro dell’umanità. Il Pianeta senza i Sapiens sopravvive, ma il genere umano senza il Pianeta no“. Negativa anche la reazione delle associazioni, come il Wwf: “La nuova bozza di testo è deludente e molto meno ambiziosa di quelle precedenti, se passasse com’è sarebbe un disastro, un fallimento per i Governi chiamati ad affrontare, finalmente, la causa della crisi climatica, i combustibili fossili“, dice la Responsabile Clima ed Energia, Mariagrazia Midulla. Che avvisa: “Nessuno pensi di tornare a casa con un testo del genere, bisogna fare gli straordinari. Anche per la presidenza sarebbe uno smacco, visto che cercava risultati ambiziosi“.

Europarlamento

Cop28, Creecy (Sudafrica): “Circostanze nazionali chiave per accordo sui fossili”

Alla COP28, qualsiasi impegno per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili dovrà riconoscere “le differenze nelle circostanze nazionali“, spiega all’AFP la ministra sudafricana dell’Ambiente Barbara Creecy, nominata dalla presidenza degli Emirati Arabi Uniti per svolgere un importante ruolo di intermediario nei negoziati.

In che modo il Sudafrica è interessato dalla crisi climatica?

“Il continente africano si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto alla media globale. Nel nostro Paese il clima è già più caldo di 2,2 gradi in media e stiamo vivendo fenomeni meteorologici estremi come inondazioni, siccità, incendi, tempeste e innalzamento del livello del mare. Siamo determinati a dare il miglior contributo possibile alla riduzione delle emissioni di gas serra, tenendo conto delle circostanze nazionali. Ma chiediamo anche alla comunità internazionale, e in particolare ai Paesi sviluppati, di aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi di riduzione delle emissioni e a costruire la nostra resilienza ai cambiamenti climatici”.

Quali sono le sfide che il Sudafrica deve affrontare per il successo della sua transizione energetica?

“Il Sudafrica sta attualmente affrontando l’insicurezza energetica e la carenza di energia. Dipendiamo per il 90% dalla produzione di energia elettrica a carbone e, a causa delle scarse prestazioni di queste centrali, è molto difficile rispettare il calendario per il loro smantellamento. Ciononostante, rimaniamo impegnati nella transizione energetica, ma sarà molto importante garantire che ci siano più megawatt di energia sulla rete prima di poter chiudere le centrali. È un equilibrio complesso da raggiungere, per assicurarci di raggiungere gli obiettivi climatici mantenendo la sicurezza energetica”.

Il mondo dovrebbe accettare di eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili alla COP28?

“Il problema che affrontiamo come Paesi in via di sviluppo è quello delle circostanze nazionali: abbiamo una responsabilità comune, ma abbiamo circostanze nazionali diverse e capacità diverse. I Paesi in via di sviluppo non devono scegliere tra la costruzione della loro resilienza climatica e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Dobbiamo fare entrambe le cose. E abbiamo bisogno di aiuto per farlo. Ma non ci sono finanziamenti nuovi, prevedibili e su larga scala. Quindi continuiamo a spingere affinché gli impegni di finanziamento pubblico per il clima siano rispettati”.

Lei e il suo omologo danese siete stati incaricati di facilitare i negoziati tra i ministri di quasi 200 Paesi. Quale sarà il vostro ruolo?

“Da venerdì dovremo consultare i diversi Paesi e i diversi gruppi negoziali sul loro approccio alla valutazione globale dell’Accordo di Parigi (che costituisce la bozza di accordo per la COP28, ndr). Tutti concordano sulla necessità di guardare sia indietro che avanti. Dobbiamo tenere conto della migliore scienza disponibile e dell’equità. Come in ogni COP, il diavolo si nasconde nei dettagli. Dovremo sederci insieme e ascoltare molto attentamente, per identificare la forma finale di un accordo che sia estremamente ambizioso ma che promuova anche la massima equità per i Paesi in via di sviluppo”.

Attivisti bloccano traffico a Milano: “Stop a combustibili fossili”

Questa mattina intorno alle 9 cinque esponenti di Ultima Generazione hanno bloccato il traffico in Via Luigi Sturzo a Milano, sedendosi sull’asfalto e reggendo due striscioni con scritto ‘Non paghiamo il fossile’ e ‘Stop sussidi ai fossili’. Per tutta la durata dell’azione hanno dialogato con gli automobilisti presenti, discutendo della gravità della situazione climatica corrente e “dell’inaccettabilità dell’inazione della Politica per contenerne i danni”. Il blocco è stato sciolto per fare passare un’ambulanza a sirene spente, coi soli lampeggianti accesi. Alle 9.30 è arrivata sul posto la prima auto dei carabinieri, poi i manifestati sono stati portati via. “Scendo in azione, rischiando la mia fedina penale – ha detto Martina, una dei manifestanti – perché non è normale accettare la crisi climatica ed ecologica come qualcosa di certo e inevitabile, quando sappiamo bene che è causata dalle attività umane, e dal continuo investimento dei nostri governi nelle fonti fossili di energia. Insieme abbiamo la possibilità di arrestare questa ingiustizia”.

Per Ultima Generazione “non è più rinviabile una svolta radicale di metodo e di merito: è necessario dirottare queste risorse pubbliche in investimenti per energie rinnovabili e in piani strategici di riassetto e salvaguardia del territorio, prevenzione e mitigazione idraulica ed idrogeologica”. 

Ho deciso di prendere parte alla campagna Non paghiamo il fossile’ e di partecipare alle loro azioni, per dare il mio piccolo contributo alla causa ambientale nei metodi che ritengo più giusti.  Ho capito che potevo fare di più ed è stata la mia coscienza a guidarmi”, ha detto Gaetano, 20 anni, oggi alla sua prima azione per la campagna di disobbedienza civile.

 

rinnovabili

Rinnovabili, gli Stati della Ue divisi sull’ambizioso target del 45% entro il 2030

Bruxelles si appresta ad aggiornare i target di energia rinnovabile nel mix energetico dell’Unione, ma è ancora divisa sulle cifre. Il Consiglio Ue dell’energia che si è tenuto a inizio settimana a Bruxelles ha infatti finalizzato la posizione negoziale degli Stati membri sulla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (risalente al 2018), proposta dalla Commissione Ue nel quadro del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio scorso per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi. Per dire addio alla dipendenza dall’energia russa, il piano della Commissione Ue è strutturato anche su una proposta per accelerare l’espansione delle rinnovabili, aumentare il target e contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti di energia pulita, con un emendamento mirato alla direttiva del 2018 per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prevalente”. Neanche un anno prima, a luglio 2021, Bruxelles aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della vecchia normativa per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32,5% di energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%.

Alla luce della crisi energetica in atto, la Commissione stessa ha riconosciuto il target come già insufficiente per ridurre l’energia prodotta da combustibili fossili (in particolare quelli russi), e ha proposto quindi a maggio di portare l’obiettivo al 45% entro il 2030. Il mandato del Consiglio in tema di rinnovabili ha però mantenuto il 19 dicembre l’obiettivo generale di una quota di energia da fonti pulite pari al 40% del consumo finale lordo dell’Unione nel 2030 senza alzare l’ambizione. A quel punto non si è fatta attendere una dichiarazione congiunta da parte di Austria, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna che hanno chiesto un aumento dell’obiettivo dal 40 al 45% durante i negoziati che inizieranno il prossimo anno con l’Europarlamento sul piano ‘REPowerEU’. L’Eurocamera – quasi sempre l’istituzione più ambiziosa sul clima – ha sposato la linea rivista della Commissione europea ritenendo importante alzare il target per l’energia verde, una necessità accentuata dalla crisi energetica in atto e dalla necessità di ridurre i consumi di gas.

Quanto ai permessi per i progetti, il mandato del Consiglio prevede che entro 18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva, gli Stati membri mappino le aree necessarie per i contributi nazionali verso l’obiettivo 2030 per le energie rinnovabili, mentre entro 30 mesi adottino uno o più piani per individuare le ‘aree di destinazione delle energie rinnovabili’, ovvero aree destinate alle energie rinnovabili e che riguarderanno la terraferma, il mare o le acque interne che sono individuate perché “particolarmente adatte a specifiche tecnologie di energia rinnovabile e presentano rischi minori per l’ambiente”. Ad esempio, dovrebbero essere evitate le aree protette. Nei loro piani che designano le aree di riferimento per le energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero adottare anche misure di mitigazione per contrastare le potenziali conseguenze ambientali negative delle attività di sviluppo dei progetti situati in ciascuna area di riferimento. L’intero piano – puntualizza il Consiglio – sarebbe quindi soggetto a una valutazione di impatto ambientale semplificata, invece di una valutazione effettuata per ogni progetto. Quanto ai processi di rilascio delle autorizzazioni, per le aree di accesso alle rinnovabili, il Consiglio ha deciso che i processi di rilascio delle autorizzazioni non dovrebbero richiedere più di un anno per i progetti di energie rinnovabili e di due anni per i progetti di energie rinnovabili offshore. In attesa di un accordo tra colegislatori e che le modifiche alla direttiva siano applicate, la Commissione europea ha proposto lo scorso 9 novembre un regolamento di emergenza per accelerare i permessi alle rinnovabili, sui cui i ministri hanno dato il via libera al Consiglio energia.

fossili

Danise (UniFi): “Così ho trovato il plancton fossile anti-climate change”

E se la paleontologia ci aiutasse a rileggere il futuro climatico del nostro pianeta? La rivista scientifica americana ‘Science‘ ha pubblicato in copertina una ricerca capace di riscrivere la storia degli oceani, e che propone una rilettura della resilienza del plancton marino ai cambiamenti climatici del passato. Uno studio internazionale, con una partecipazione tutta italiana. Silvia Danise, fra i firmatari del lavoro, è un esempio di ‘cervello di ritorno’: dopo 7 anni all’estero per studiare estinzioni e riscaldamento globale dal punto di vista della paleontologia, è oggi docente all’Università di Firenze. Insieme ai colleghi e alle colleghe del Museo Svedese di Storia Naturale, del Museo di Storia Naturale di Londra e dell’University College di Londra ha documentato (inizialmente per caso) le impronte microscopiche lasciate dal plancton nei fondali marini di milioni di anni fa. E le ha individuate in corrispondenza di un lasso di tempo geologico in cui non avrebbero dovuto esserci. O almeno così si era creduto fino ad ora.

Gli organismi fossili individuati sono coccolitoforidi. Un plancton unicellulare che abbonda, oggi come allora, negli oceani. La loro importanza è fondamentale per gli ecosistemi marini: “Stanno al mare come gli alberi stanno alla terraferma – spiega Silvia Danise a GEA -, forniscono la gran parte dell’ossigeno che respiriamo, sono alla base delle catene alimentari marine e aiutano a immagazzinare carbonio nei sedimenti del fondo oceanico“.

unifi_coccolitoforidiI classici metodi di osservazione avevano fino a oggi sempre documentato un calo nella presenza di coccolitoforidi fossili in corrispondenza di eventi di riscaldamento globale del passato. Suggerendo che i cambiamenti climatici e la conseguente acidificazione degli oceani avessero gravemente condizionato lo sviluppo di questo plancton negli intervalli geologici presi in considerazione. Attraverso l’uso del microscopio elettronico a scansione, la loro presenza è stata ora documentata da microscopiche impronte (“15 volte più piccole dello spessore di un capello“) rinvenute su pollini e altre sostanze organiche fossilizzate nei fondali. “Testimoniano che anche durante intervalli di riscaldamento globale del passato, i coccolitoforidi proliferavano nell’oceano“, spiega Silvia Danise.

Professoressa, possiamo dire che la paleontologia può aiutarci a comprendere come anche il nanoplancton di oggi possa resistere o meno a cambiamenti climatici importanti?
“Sicuramente abbiamo una prova che, almeno nel passato, il nanoplancton è stato più resiliente di quanto si credesse. Non significa che gli oceani risponderanno bene al riscaldamento climatico. Ma è un elemento che apre nuove discussioni. Del resto, gli esperimenti dei biologi che hanno provato a misurare in laboratorio la resistenza del nanoplancton sottoponendoli a particolari temperature o condizioni di pH non arrivano a risultati unanimi”.

Certo, non è semplice paragonare i cambiamenti climatici del passato a quelli attuali.
“Questa è una premessa importante. E non tanto perché i processi siano molto diversi, parliamo sempre di riscaldamento globale e aumento di CO2. A cambiare però è la scala temporale. I processi che studiamo da paleontologi avvengono in centinaia di migliaia di anni. Quando facciamo previsioni sul futuro del pianeta parliamo di decine, o al massimo centinaia, di anni. Serve cautela insomma”.

fossiliQuale potrebbe essere allora un prossimo passo per avvicinarci a ipotizzare il futuro dei nostri oceani partendo dai risultati di questa ricerca?
“Uno step successivo può essere andare a studiare eventi di global warming più recenti. Noi abbiamo osservato tre momenti di riscaldamento del pianeta nel Giurassico e nel Cretaceo. Ma la Terra era più calda di oggi anche ‘solo’ 3 milioni di anni fa: studiare periodi più vicini, oltre che con una fauna più simile alla nostra, può restituire informazioni più dettagliate. Il tutto utilizzando le stesse tecniche della nostra ricerca”.

A proposito di tecniche. Come avete scoperto la presenza di plancton fossile in un intervallo di tempo geologico in cui si credeva fosse assente?
“È accaduto in modo fortuito. Il primo autore della ricerca non si occupa di plancton. Ma di pollini. Mentre osservava al microscopio elettronico dei granuli di polline fossile ha notato sulla loro superficie delle impronte particolari, che poi abbiamo riconosciuto come i segni lasciati dalle placchette calcaree che costituiscono i coccolitoforidi. Dei fossili ‘fantasma’ insomma”.

Che teoricamente non dovevano esserci, visto che non sono mai stati rintracciati in quei sedimenti fossili.
“Esatto. Si è sempre pensato che l’assenza di fossili fosse dovuta all’assenza stessa degli organismi, che verosimilmente non sarebbero riusciti a calcificare il proprio guscio a causa dall’acidità elevata degli oceani. E invece i plancton c’erano. A mancare sono soltanto i loro esoscheletri fossili, deteriorati troppo presto per essere conservati come fossili nella roccia, ma non prima di lasciare una traccia su altri resti di materia organica in diverse parti del mondo”.

Qual è il risultato più importante per lei?
“Dal punto di vista della ricerca è importante ricordarsi che interpretare i dati in modo nuovo può sempre portarci a un cambio di paradigma. Io spero che, leggendo questa ricerca, qualche collega abbia magari lo spunto per riprendere in mano un lavoro o un risultato, e abbia lo spunto per provare a reinterpretarlo”.