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Al via prima asta europea per la produzione di idrogeno: pronti 800 milioni di euro

Prende il via oggi la prima asta – lanciata dalla Commissione Ue – nell’ambito della Banca europea dell’Idrogeno per sostenere la produzione di questa fonte rinnovabile nel Vecchio continente. L’importo iniziale è di 800 milioni di euro: si tratta di proventi derivanti dallo scambio di emissioni, convogliati attraverso il Fondo per l’innovazione. I produttori di idrogeno rinnovabile possono presentare domanda per ottenere un sostegno sotto forma di un premio fisso per chilogrammo di prodotto che ha lo scopo di colmare il divario tra il prezzo di produzione e quello che i consumatori sono attualmente disposti a pagare, in un mercato in cui l’idrogeno non rinnovabile è ancora più economico da produrre.

Con il piano per l’indipendenza energetica ‘REPowerEU’ l’Unione europea ha fissato l’obiettivo di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno a livello nazionale entro il 2030.  Una nota dell’Esecutivo comunitario spiega che le offerte dovrebbero basarsi su un sovrapprezzo proposto per chilogrammo di idrogeno rinnovabile prodotto, fino a un tetto di 4,5 euro/kg. Le offerte fino a questo prezzo, e che soddisfano anche altri requisiti di qualificazione, verranno classificate dal prezzo di offerta più basso a quello più alto e riceveranno il supporto in questo ordine, fino all’esaurimento del budget dell’asta. I progetti selezionati riceveranno il sussidio concesso in aggiunta ai ricavi di mercato generati dalla vendita di idrogeno, per un massimo di 10 anni. Una volta firmati gli accordi di sovvenzione, i progetti dovranno iniziare a produrre idrogeno rinnovabile entro cinque anni. Bruxelles precisa ancora che non sarà possibile accumulare i sussidi con altri tipi di aiuti provenienti dagli Stati membri partecipanti.

“La Banca europea dell’idrogeno – dice il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Maros Sefcovicrappresenta una grande opportunità per sostenere la transizione a zero emissioni nette dell’industria europea”. “Il lancio di oggi riguarda il collegamento tra domanda e offerta di idrogeno rinnovabile. Si tratta di creare trasparenza sui prezzi, il che aiuterà a rilanciare un mercato europeo dell’idrogeno”, spiega, aggiungendo di sperare in “una risposta positiva da parte del mercato”.

Per il commissario europeo per l’azione per il clima, Wopke Hoekstra “l’idrogeno sarà una tecnologia chiave per decarbonizzare l’industria europea e contribuire a raggiungere i nostri obiettivi climatici per il 2030 e il 2050. La prima asta europea di oggi per la produzione di idrogeno rinnovabile invia un chiaro segnale che l’Europa è il luogo dove investire nella produzione di idrogeno rinnovabile e nelle industrie basate sull’idrogeno. Lo sviluppo di un solido mercato dell’idrogeno nell’UE ci renderà più competitivi, offrirà nuove opportunità di crescita all’industria e fornirà posti di lavoro di qualità alle aziende e ai cittadini europei”. 

Nella Ruhr tedesca l’industria pesante si affida all’idrogeno per la decarbonizzazione

Nel cuore di un complesso chimico nella regione tedesca della Ruhr, due dozzine di moduli elettrolitici scintillanti sono pronti a entrare in funzione. Il loro scopo: produrre idrogeno verde per l’industria pesante, che sta cercando di disintossicarsi dal carbone e di ridurre la sua dipendenza dal gas fossile. Le sottili membrane impilate che compongono ogni modulo formeranno il più grande elettrolizzatore d’Europa, che entrerà in funzione a Oberhausen tra pochi giorni per decarbonizzare gli impianti circostanti. In questa apparecchiatura, acqua ed elettricità si incontreranno: sotto l’effetto della corrente, gli atomi dell’acqua – idrogeno e ossigeno – si separeranno, consentendo la produzione di quantità industriali di idrogeno cosiddetto ‘verde’. A condizione che l’elettricità utilizzata sia a sua volta derivata da fonti energetiche non fossili, non verrà emessa praticamente nessuna CO2, il che è esattamente il contrario delle attuali tecniche di produzione dell’idrogeno, dette ‘grigie’ perché basate sul metano.

Nella regione del carbone e dell’acciaio della Ruhr, nella Germania occidentale, la vecchia industria renana sta cercando di decarbonizzarsi per sopravvivere, avendo contribuito in modo determinante al riscaldamento globale fin dall’inizio dell’era industriale. L’idrogeno verde è uno degli strumenti utilizzati dall’industria siderurgica per ridurre la propria impronta di carbonio. L’acciaieria tedesca Thyssenkrupp, seconda in Europa dopo ArcelorMittal, intende trasformare i suoi quattro storici altiforni a Duisburg. L’idrogeno sarà utilizzato per disossidare il minerale di ferro necessario per produrre acciaio, sostituendo il carbone che ha svolto questo ruolo per un secolo e mezzo. Questo primo sito di produzione di acciaio verde a ‘riduzione diretta’ lungo il Reno dovrebbe entrare in funzione alla fine del 2026. La decisione finale di investimento è stata presa “a settembre”, spiega Marie Jaroni, direttore della decarbonizzazione del produttore di acciaio. Thyssenkrupp, che ammette di essere responsabile da sola del “2,5% delle emissioni di CO2 della Germania“, ha ottenuto una sovvenzione europea di 2 miliardi di euro sui 3 miliardi di euro di investimento per questa prima unità. La potenza e il numero di elettrolizzatori di cui avrà bisogno non sono ancora stati resi noti. “Si tratta di un cambiamento totale nel modo di produrre l’acciaio”, sottolinea la signora Jaroni.

Tutti questi cambiamenti di processo equivalgono a una “rivoluzione industriale“, concorda il ministro dell’Industria francese Roland Lescure. La settimana scorsa era a Berlino per tenere a battesimo una società franco-tedesca di elettrolisi costituita da Siemens Energy e Air Liquide. La nuova gigafactory di Siemens Energy produrrà moduli di elettrolisi che Air Liquide utilizzerà per costruire elettrolizzatori. Il prossimo cliente sarà la raffineria TotalEnergies in Normandia. Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha partecipato all’inaugurazione della fabbrica, questo sviluppo è una “favola industriale”. In effetti, 12 elettrolizzatori hanno lo stesso beneficio climatico di 25 milioni di alberi, ha calcolato.

Abbiamo un’industria basata sull’energia e sulle risorse, ma molto basata sul carbone“, ammette Samir Khayat, direttore generale dell’agenzia responsabile dell’organizzazione della decarbonizzazione nello Stato della Renania Settentrionale-Vestfalia, dove si trova la Ruhr. Basato anch’esso sul gas, il 30% dell’industria chimica tedesca, uno dei principali consumatori, ha sede in questo Stato industriale, responsabile del 6% delle emissioni di gas serra del Paese. Ma la transizione è “una corsa contro il tempo“, ammette. “Non abbiamo molto tempo. Se non lo facciamo, siamo perduti“, aggiunge il funzionario. Ciò che resta da fare è trovare gli ingenti finanziamenti necessari per acquistare gli elettrolizzatori e aumentare la produzione di elettricità a zero emissioni di carbonio necessaria per farli funzionare. La situazione è resa ancora più delicata dal fatto che, con l’impennata dei prezzi dell’energia in Europa dall’inizio della guerra in Ucraina, alcuni produttori, come l’azienda chimica tedesca BASF, hanno abbandonato gli investimenti in Germania a favore della produzione negli Stati Uniti o in Cina, dove l’energia costa meno. “La disponibilità di elettricità diventerà un fattore chiave“, sottolinea Khayat. ThyssenKrupp afferma di aver già firmato contratti di fornitura di elettricità per il suo primo impianto di elettrolizzatori. “Ma ce ne sono altri tre in cantiere“, si preoccupa la signora Jaroni. In totale, l’acciaieria avrà bisogno di 140.000 tonnellate di idrogeno all’anno per ogni impianto di riduzione diretta del ferro installato, vale a dire più di 500.000 tonnellate alla fine. Proporzioni sproporzionate. A titolo di confronto, l’elettrolizzatore di Oberhausen, attualmente il più grande d’Europa, sarà in grado di produrre solo tra le 3.000 e le 6.000 tonnellate all’anno. “L’importante è testare la tecnologia, rifornire rapidamente i clienti e raccogliere dati operativi in modo da poter aumentare rapidamente la capacità“, afferma Gille Le Van, vicepresidente per le industrie pesanti e la transizione energetica di Air Liquide in Europa centrale. Per Anne-Laure de Chammard, una francese che dirige il ramo idrogeno di Siemens Energy, “i prossimi tre anni saranno decisivi” per determinare il decollo del mercato dell’idrogeno.

Autocarri a idrogeno: una via d’uscita incerta dal diesel

Mentre un camion attraversa il cuore di Berlino, il rumore del motore non copre gli applausi: il veicolo è alimentato a idrogeno e ha battuto un record di autonomia che evidenzia il potenziale di questa tecnologia a basse emissioni di carbonio. Daimler Truck, il principale produttore di autocarri al mondo, ha dato una dimostrazione di forza questa settimana guidando il suo prototipo ‘GenH2’ per 1.047 chilometri. Tra lo stabilimento del gruppo a Wörth am Rhein, vicino al confine francese, e la capitale tedesca, il veicolo ha compiuto il viaggio con una sola carica di idrogeno, un record di autonomia, secondo il produttore tedesco.

State dimostrando che un carico pesante può essere trasportato su una lunga distanza in modo sostenibile“, ha lodato Petra Dick-Walther, segretario di Stato del ministero dell’Economia, alla partenza del camion. Ma ci sono ancora molti ostacoli da superare prima che il trasporto su strada si converta a questa tecnologia, tra cui la mancanza di infrastrutture, di risorse di idrogeno, di costi e di sfide tecniche.

La produzione di massa è prevista “nella seconda metà del decennio“, spiega Andreas Gorbach, responsabile della tecnologia per autocarri di Daimler Truck. È necessario soddisfare una serie di condizioni, ammette: “La prima è l’infrastruttura per le stazioni di ricarica dell’idrogeno e la seconda è la redditività economica per i nostri clienti, grazie alla disponibilità di energia verde a un costo competitivo“.

Le celle a combustibile a idrogeno hanno un impatto ambientale ridotto, in quanto emettono solo vapore acqueo, mentre il gasolio utilizzato dai veicoli commerciali pesanti provoca un forte inquinamento. Tuttavia, l’idrogeno deve essere verde – prodotto da fonti di energia rinnovabili – e la produzione è attualmente marginale. Lo sviluppo degli autocarri a idrogeno è meno avanzato di quello dei veicoli pesanti a batteria, di cui Daimler e la svedese Volvo stanno già producendo esempi. Dal punto di vista del costruttore tedesco, le due tecnologie sono complementari. Le batterie sono preferite per i carichi più leggeri e le distanze più brevi, mentre l’idrogeno è riservato alle distanze più lunghe e offre tempi di ricarica molto più brevi. “Per decarbonizzare i trasporti, avremo bisogno di entrambe“, afferma Andreas Gorbach.

Le case automobilistiche europee sono sotto pressione per l’inasprimento degli standard, anche se gli obiettivi sono meno severi rispetto alle autovetture. Un regolamento della Commissione europea del 2019 prevede una riduzione del 30% delle emissioni inquinanti dei camion entro il 2030. Una nuova proposta suggerisce una riduzione del 90%, rispetto ai livelli del 2019, per i nuovi camion entro il 2040. Secondo un recente studio della Federazione europea per i trasporti e l’ambiente (T&E), i produttori europei “potrebbero perdere l’11% della quota di mercato dei veicoli commerciali pesanti entro il 2035” nel Vecchio Continente se non renderanno più ecologiche le loro gamme abbastanza rapidamente.

La start-up americana Nikola, cliente del produttore tedesco di attrezzature Bosch, ha già avviato la produzione di massa del suo modello di veicolo commerciale pesante alimentato a idrogeno dall’altra parte dell’Atlantico, sfruttando le sovvenzioni per l’acquisto pubblico previste dall’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden. Ad agosto, l’azienda vantava un totale di 202 ordini da parte di 18 clienti. Gli esperti avvertono che l’idrogeno farà breccia solo se i suoi costi diminuiranno. Per il momento, Daimler Truck stima il costo dei suoi modelli elettrici a batteria a circa 2,5 volte quello di un modello diesel equivalente. Per quanto riguarda l’idrogeno, è impossibile fare un calcolo perché l’infrastruttura di ricarica è inesistente.

Daimler ha unito le forze con diversi produttori di camion e fornitori di energia (Shell, BP, Total) in Europa e Nord America per sviluppare una rete di stazioni di ricarica per l’idrogeno. La rete dovrebbe essere pronta “entro la fine del decennio“. Rainer Müller, responsabile di Mercedes Benz Trucks, uno dei marchi del Gruppo Daimler, ci assicura che il costo di utilizzo di un camion a idrogeno sarà “simile” a quello di un camion diesel. Ma altri sono meno ottimisti. Secondo le proiezioni di T&E, l’idrogeno non diventerà competitivo fino al 2040, e solo a determinate condizioni.

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Il Piemonte punta alla Hydrogen valley: sul piatto 20 mln del Pnrr

Bisogna fare in fretta, questo è certo, perché i tempi del Pnrr stringono. Ma bisogna anche fare bene, per sfruttare al meglio le risorse – che sono tante – e spingere il territorio nel futuro. E una delle sfide più impegnative è quella dell’idrogeno green e di tutte le sue applicazioni, sulla quale il Piemonte – insieme a Puglia, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Basilicata – ha puntato molto. Perché investire in una delle fonti pulite che nei prossimi anni rivoluzionerà il settore energetico significa recuperare aree industriali dismesse, creare nuova occupazione (anche per chi perderà il lavoro con la transizione dal motore termico a quello elettrico), rispettare l’ambiente e ridare alla regione e alla sua vocazione industriale un ruolo da protagonista. 

A fine marzo 2023 – dopo la firma del protocollo d’intesa con Palazzo Chigi di giugno 2022 – il Piemonte ha completato la procedura di selezione delle candidature arrivate per il bando lanciato dal ministero dell’Ambiente a fine dicembre, sulla missione 2 del Pnrr, ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’, e ha approvato la graduatoria. Sette progetti sono risultati idonei e tre sono stati immediatamente finanziati per un importo complessivo di 19,5 milioni di euro. Tutti produrranno idrogeno per uso industriale, aprendo ufficialmente le danze della Hydrogen Valley piemontese. 

Un milione e 200mila euro sono andati a RF-Idra srl, società del gruppo Redfield. Il progetto prevede la realizzazione di un impianto di generazione di idrogeno verde da 1 MW alimentato da un impianto fotovoltaico contiguo di nuova costruzione. Verrà utilizzata, come previsto, l’area industriale dismessa di una ex fornace nel comune di Gattinara, in provincia di Vercelli, e l’idrogeno prodotto potrà essere utilizzato per alimentare i moderni forni di cottura per mattoni delle fabbriche di laterizi nelle vicinanze. Il gruppo bresciano Redfield, guidato dall’Ad Paolo Candusso, è attivo in Piemonte e nel resto del Nord Italia, con numerose iniziative nel settore del fotovoltaico utility-scale per oltre 150 MWp di potenza in avanzata fase di sviluppo.

Il secondo progetto è quello proposto da Films Spa, che a fronte di un investimento complessivo di 3.5 milioni di euro, si è vista assegnare 1.5 milioni di euro dei fondi messi a disposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La nuova realtà nascerà all’interno di un’area industriale dismessa a Premosello Chiovenda, una zona acquisita anni fa dal Gruppo Omcd e che è già stata soggetta negli ultimi anni a diversi interventi di riqualificazione ambientale, tra cui lo smaltimento delle coperture in amianto.

Ma la fetta più sostanziosa del pacchetto, pari a 16,8 milioni di euro, è andata alla raffineria Sarpom Spa di Trecate, nel Novarese, che utilizzerà un’area dismessa dell’attuale impianto per la costruzione di un parco fotovoltaico da 6,7 MW di potenza di picco e per l’installazione di un elettrolizzatore da 4 MW con cui produrre idrogeno rinnovabile. L’impianto entrerà in funzione entro prima metà del 2026

I tre progetti prevedono l’installazione di elettrolizzatori per complessivi 6 megawatt e utilizzeranno impianti fotovoltaici di nuova realizzazione, per una potenza complessiva di circa 9 megawatt per produrre l’idrogeno rinnovabile che sarà utilizzato in processi industriali di realtà produttive piemontesi, ma in prospettiva l’utilizzo potrà essere esteso ad altri settori in cui il vettore green sarà richiesto, ad esempio per i trasporti.

I tre progetti si aggiungono a quelli per la realizzazione delle cinque stazioni di rifornimento per i veicoli che si sono aggiudicati un finanziamento sul bando nazionale. “Il Piemonte – dice il governatore Alberto Cirio –  conferma una vivacità imprenditoriale capace di raccogliere le sfide della transizione energetica”.

Intanto la Regione, fa sapere l’assessore all’Ambiente Matteo Marnati, “ha già chiesto al governo ulteriori fondi per poter potenziare la strategia del Piemonte sull’idrogeno”.

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Idrogeno green, Cina pronta a controllare 50% degli elettrolizzatori mondiali

Entro la fine del 2023, la Cina controllerà la metà della capacità mondiale installata di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio. E’ quanto emerge dall’ultima edizione della Global Hydrogen Review 2023 dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), nel quale si fa il punto sul settore. “Dopo un inizio lento, la Cina ha assunto un ruolo guida nella diffusione degli elettrolizzatori: entro la fine dell’anno, la capacità installata di elettrolizzatori in Cina dovrebbe raggiungere 1,2 Gigawatt, ovvero il 50% della capacità produttiva globale”, afferma l’Aie. 

Gli elettrolizzatori sono le apparecchiature utilizzate per la separazione industriale dell’idrogeno e dell’ossigeno all’interno della molecola d’acqua (H20) utilizzando l’elettricità, che a sua volta proviene da fonti a bassa emissione di carbonio o prive di carbonio (energia solare, eolica, idroelettrica o nucleare). Con la transizione energetica in atto, gli elettrolizzatori stanno diventando essenziali per sostituire il metodo tradizionale di produzione dell’idrogeno industriale, finora basato sul gas metano fossile (CH4), un metodo spesso legato all’industria petrolchimica, che è economico ma emette alti livelli di CO2.

Secondo l’Aie, la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio potrebbe raggiungere i 38 milioni di tonnellate entro il 2030 se tutti i progetti annunciati saranno realizzati. Tuttavia, l’Agenzia teme che l’aumento dei costi delle attrezzature dovuto all’inflazione “metta a rischio i progetti” e “riduca l’impatto del sostegno governativo”. Alcuni progetti hanno rivisto le stime dei costi iniziali fino al 50%.

Nonostante i venti contrari dell’economia, la diffusione degli elettrolizzatori sta iniziando ad accelerare. Alla fine del 2022, stima l’Aie, la capacità degli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno ha raggiunto quasi 700 MW. Sulla base dei progetti che si trovano nelle fasi finali di finanziamento o che sono in fase di costruzione, la capacità totale potrebbe più che triplicare fino a raggiungere i 2GW entro la fine del 2023, con la Cina che, appunto, ne rappresenta la metà. Se tutti i progetti annunciati venissero realizzati, si potrebbe raggiungere un totale di 420GW entro il 2030, con un aumento del 75% rispetto alla revisione dell’Aie del 2022.

“Nel 2022, i progressi nell’uso dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio sono molto lenti e copriranno solo lo 0,7% della domanda globale di idrogeno”, sottolinea il rapporto, “il che implica che la produzione e l’uso di idrogeno nel 2022 emetteranno 900 milioni di tonnellate di CO2 equivalente”.

La produzione annuale di idrogeno a basse emissioni potrebbe raggiungere i 38 milioni di tonnellate all’anno nel 2030, se tutti i progetti annunciati venissero realizzati, con quasi tre quarti provenienti da elettrolizzatori alimentati da energia rinnovabile e il resto da combustibili fossili con cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio. 

L’Aie chiede inoltre una maggiore cooperazione internazionale per “evitare la frammentazione del mercato”.

Marocco, re Mohammed VI presenta la prima auto a idrogeno

Il re del Marocco, Mohammed VI, ha presieduto la cerimonia di presentazione della prima automobile realizzata dalla prima casa automobilistica marocchina e del prototipo di veicolo alimentato a idrogeno. L’evento è avvenuto lunedì scorso nel Palazzo Reale di Rabat, come riportano i media locali.

I progetti, sviluppati da imprenditori marocchini, rappresentano una pietra miliare significativa per il Paese e rafforzeranno l’etichetta ‘Made in Morocco’ , oltre a consolidare il ruolo del Regno come piattaforma competitiva per la produzione automobilistica.

Nel dettaglio, si tratta dell’auto prodotta da ‘Neo Motors’, società di capitale marocchino e del prototipo di veicolo a idrogeno della società NamX, denominato HUV (Hydrogen Utility Vehicle). Neo Motors sta attualmente aprendo un’unità industriale ad Ain Aouda, situato nella regione di Rabat-Sale-Kenitra, per la produzione di autoveicoli per il mercato locale e per l’esportazione, con una capacità annua prevista di 27 mila unità e un tasso di integrazione locale del 65%. L’impianto è stato costruito con un budget di 156 milioni di Mad (15 milioni di dollari) e dovrebbe creare 580 posti di lavoro. Nel febbraio 2023, l’Agenzia nazionale per la sicurezza stradale ha concesso l’approvazione definitiva al primo veicolo di Neo Motors. L’azienda ha avviato la pre-produzione, con l’inaugurazione dello stabilimento prevista per giugno 2023.

Per quanto riguarda il veicolo a idrogeno di NamX, l’auto è stata progettata in collaborazione con l’ufficio di design e carrozziere italiano Pininfarina. Il design degli interni del veicolo è marocchino. Il modello HUV sarà rifornito di idrogeno da un serbatoio centrale che sarà integrato da sei capsule estraibili, garantendo una notevole autonomia e facilitando il rifornimento di idrogeno in pochi minuti. Previsto per essere rilasciato nel 2025, NamX risponde alla crescente domanda di auto a idrogeno e ibride in mezzo a uno spostamento sempre più prevalente verso fonti di energia pulita e decarbonizzazione in tutto il mondo.

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Mobilità, Stellantis acquisisce 33,3% di Symbio per lo sviluppo di tecnologia a idrogeno

Faurecia, società del gruppo Forvia, Michelin e Stellantis annunciano oggi la firma di un accordo vincolante per l’acquisizione da parte di Stellantis del 33,3% delle azioni di Symbio, leader nel settore della mobilità a idrogeno a zero emissioni. Faurecia e Michelin manterranno ciascuna il 33,3% di quote di partecipazione. L’annuncio, si legge in una nota, “rappresenta un passo significativo nella decarbonizzazione del settore della mobilità ed è una dimostrazione dell’eccellenza tecnologica di Symbio nel campo delle innovazioni relative alle celle a combustibile a idrogeno. L’ingresso di Stellantis tra gli azionisti favorirà lo sviluppo di Symbio in Europa e negli Stati Uniti”.

“L’acquisizione di una partecipazione paritaria in Symbio rafforzerà la nostra posizione di leadership nei veicoli a idrogeno, a supporto della nostra produzione di furgoni a celle a combustibile in Francia, e rappresenta un perfetto complemento alla nostra crescente offerta di veicoli elettrici a batteria”, ha dichiarato Carlos Tavares, ceo di Stellantis. “In un momento in cui procediamo con il nostro piano strategico Dare Forward 2030 e siamo impegnati ad azzerare le emissioni nette di carbonio entro il 2038 – ha aggiunto – stiamo considerando ogni strumento tecnologico a nostra disposizione per combattere il riscaldamento globale. Le celle a combustibile a idrogeno sono essenziali e Symbio diventerà un attore di rilievo nella battaglia per proteggere le generazioni future”.

Symbio ha pianificato di produrre 50.000 celle a combustibile all’anno entro il 2025, sfruttando la modernissima gigafactory di Saint-Fons, che inizierà la produzione nella seconda metà del 2023. Nel 2022 Symbio ha annunciato l’attuazione del suo progetto HyMotive, volto a dare slancio alla propria industrializzazione e allo sviluppo di innovazioni dirompenti, consentendo all’azienda di raggiungere una capacità produttiva totale in Francia di 100.000 sistemi all’anno entro il 2028, con la creazione di 1.000 posti di lavoro nel paese transalpino.

“Siamo lieti di questa transazione, che consente a Symbio di aumentare le proprie capacità e darà ulteriore slancio alla joint venture. Symbio è ora perfettamente in grado di crescere ed estendere la propria leadership fuori dall’Europa in un’epoca in cui il settore automotive si muove a grandi passi verso l’azzeramento delle emissioni”, ha dichiarato Patrick Koller, Chief Executive Officer di Faurecia. “Questo accordo – ha aggiunto – porta vantaggi a tutte le parti e consente a Forvia di confermare la propria posizione di leader mondiale nella mobilità pulita”.

“L’ingresso di Stellantis nel capitale di Symbio rappresenta uno straordinario volano per lo sviluppo della nostra consociata”, ha affermato Florent Menegaux, ceo di Michelin. “Inoltre – ha aggiunto – è un’eccellente dimostrazione del fatto che la tecnologia delle celle a combustibile è essenziale affinché l’industria automobilistica raggiunga l’obiettivo dell’elettrificazione della mobilità, in particolare per uso professionale. Stellantis è già un partner di riferimento e in futuro avrà un ruolo fondamentale nella nostra collaborazione. Infine, questa transazione rafforza la convinzione che Michelin sostiene da anni, ovvero che l’idrogeno costituirà una delle soluzioni imprescindibili per la decarbonizzazione”. La chiusura è prevista per il terzo trimestre del 2023.

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Fermento per idrogeno verde: ma mancano leggi chiare, fondi e personale qualificato

La filiera dell’idrogeno verde sarà protagonista, sulla carta, della transizione energetica dell’Europa. L’obiettivo è arrivare il primo elemento chimico della tavola periodica e il più leggero fino alla quota del 13-14% nel mix energetico dall’attuale 2%. Il Pnrr ha stanziato finora oltre 3,5 miliardi per promuoverne la produzione, la distribuzione e gli usi finali. E il fermento tra gli operatori è notevole, considerando che il 65% delle aziende del settore ha chiuso il 2022 con una crescita degli investimenti. Il 70% degli investimenti però è autofinanziato attraverso risorse proprie delle imprese, mentre il 22% è coperto da fondi europei, nazionali o regionali. Sulle criticità che ostacolano una solida crescita dell’idrogeno si è concentrato l’osservatorio realizzato da H2IT, l’Associazione italiana delle imprese operative nell’ambito dell’idrogeno, insieme alla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che hanno condotto una indagine tra ottobre e dicembre 2022 sulle imprese associate e rappresentative di tutta la catena del valore dell’idrogeno, dalla produzione fino agli usi finali. Da notare che le imprese del campione in esame hanno dichiarato di realizzare il 63% del fatturato dalla filiera dell’idrogeno grazie a commesse all’estero. In tutte le classi dimensionali prevalgono i mercati internazionali, fatta eccezione per le grandissime imprese (che però molto spesso fanno parte di gruppi internazionali e che hanno risposto solo per la partecipata italiana), tra cui figurano alcune attive nella produzione di idrogeno come feedstock (es. ammoniaca, metanolo, idrogenazione carburi e riduzione diretta dei minerali ferrosi nelle acciaierie) per il mercato interno.

Metà delle imprese – emerge dall’osservatorio – dichiara di avere dei progetti pronti per la commercializzazione, soprattutto nell’ambito della produzione e della mobilità sia di infrastrutture che di veicoli. Tre però sono gli ostacoli da superare affinché l’idrogeno verde venga utilizzato come vettore energetico nel settore della mobilità: legislativo, finanziario e lavorativo.
Rimangono degli ostacoli allo sviluppo della produzione di idrogeno verde in Italia, ovvero ottenuto da fonti rinnovabili, che riguardano criticità trasversali comuni anche per altri settori economici come il difficile ottenimento di autorizzazioni che si accompagna ad una burocrazia pesante e lenta. I problemi maggiori – si legge nell’osservatorio H2It-Intesa – riguardano però un quadro normativo poco chiaro e l’incertezza per la bassa maturità del mercato, seguiti da costi troppo elevati delle tecnologie per gli elettrolizzatori e l’enorme sforzo in nuove fonti rinnovabili da installare per poter raggiungere gli obiettivi europei, per i quali i finanziamenti pubblici sono ritenuti ancora scarsi, nonostante il massiccio apporto previsto dal Pnrr per lo sviluppo di progetti nei prossimi tre anni”.

Inoltre per il 68% delle aziende intervistate “è prioritaria la definizione di normative e regolamenti chiari a livello nazionale che garantiscano un orizzonte temporale di medio lungo periodo, con adeguati piani strategici. Le imprese chiedono inoltre un’accelerazione della definizione dei regolamenti a livello europeo che impatteranno fortemente sullo sviluppo del settore idrogeno nei Paesi membri. Quasi la metà delle imprese ritiene che sia necessario un sostegno da parte dello Stato per accrescere la domanda di idrogeno nella mobilità e nell’industria, finanziando progetti di conversione e decarbonizzazione di scala diversa, dal dimostrativo alle grandi taglie. Una parte consistente di imprese (42%) chiede maggiori investimenti in infrastrutture nazionali”.

Infine c’è un tema competenze. “Per sostenere l’accelerazione tecnologica richiesta dalla filiera dell’idrogeno sono inoltre necessarie competenze specifiche per le quali le imprese incontrano problemi di reperimento: quasi la metà di imprese cerca tecnici specializzati, ma gran parte di queste incontra delle difficoltà. Quasi una impresa su due cerca dei giovani da inserire in azienda come figure junior da formare e più della metà di queste incontra difficoltà di reperimento: certamente il settore promette uno sviluppo importante nei prossimi anni e sarà compito delle istituzioni formative attivarsi da subito per la messa a punto di programmi di istruzione idonei a formare le risorse che verranno impiegate, con il contributo importante dello Stato e delle aziende stesse”, conclude il rapporto nato dalla collaborazione tra H2IT e la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

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Idrogeno verde, ecco la soluzione per immagazzinarlo e trasportarlo

L’idrogeno verde, almeno sulla carta, è una buona soluzione per rendere stabili le fonti di energia rinnovabile: collegare un elettrolizzatore a una pala eolica, per fare un esempio, permette di utilizzare l’energia in eccesso per produrre in modo pulito idrogeno dall’acqua. Sì, ma, una volta prodotto, come fare a immagazzinarlo e trasportarlo?

Lo si può comprimere in forma gassosa o liquida. Con problemi di spazio nel primo caso. E con la necessità di mantenere bassissime temperature nel secondo. In entrambe le situazioni: con costi elevati.

C’è poi una terza via (e, fino a qui, non è una novità), ovvero stoccarlo allo stato solido. In particolare, in una delle tecnologie oggi studiate, è possibile far reagire le molecole di idrogeno a contatto con una polvere di lega metallica, in modo che vengano assorbite. Tecnicamente, viene così a prodursi un nuovo composto, un idruro, che potrà quindi essere immagazzinato all’interno di speciali contenitori e quindi trasportato come un solido.

Anche qui, però, con un limite importante: la reazione chimica che porta all’assorbimento dell’idrogeno genera calore. Che viene disperso. Mentre per ri-estrarre poi l’idrogeno dal composto, e poterlo quindi impiegare come combustibile, deve essere immesso nel sistema del nuovo calore. Con una gestione termica tutt’altro che efficiente.

L’università di Torino, nell’ambito del progetto Hycare (finanziato da Horizon 2020) ha appena dimostrato sul campo una soluzione a questo problema, con la possibilità di accoppiare al sistema di immagazzinamento dell’idrogeno, anche una tecnologia per conservare il calore generato. E poterlo poi riutilizzare senza sprechi. Il tutto con un esperimento su larga scala, che ha testato 40 kg di idrogeno – abbastanza per fare il pieno a 13 automobili, o per fornire energia a una casa per una settimana.

In questa dimostrazione, il calore generato dalla reazione idrogeno-metallo viene accumulato in una batteria termica. All’interno della batteria è presente infatti un materiale “a cambiamento di fase”. Sostanza, cioè, capace di ricevere e conservare energia termica passando da stato solido a stato liquido. E di tornare poi allo stato solido svuotandosi del calore accumulato per permettere all’idruro di liberare idrogeno pronto all’uso. Il progetto dimostra per la prima volta che la combinazione di idruri metallici con i materiali a cambiamento di fase per la gestione termica di un sistema di stoccaggio a idrogeno è una realtà”, spiega Marcello Baricco, professore all’università di Torino e coordinatore del progetto. Un passo avanti, insomma, “per migliorare l’efficienza energetica del processo e ridurre l’impatto ambientale dell’intero sistema”.

Ora sarà il mercato a premiare o meno l’applicazione di questa innovazione. Che sconta – va detto – il limite di essere un sistema di stoccaggio particolarmente pesante (la differenza di peso fra il serbatoio pieno e vuoto di idrogeno è dell’1%). Ma che proprio per questo potrebbe trovare impiego in applicazioni fisse: stazioni di rifornimento, condomini. Oppure dove una zavorra è addirittura utile, come nel caso di navi o yacht.

La Camera (Irena): “Golfo pronto a rifornire Europa di idrogeno verde. Italia sia hub”

Investire sulle rinnovabili in maniera massiccia (fino a 10mila gigawatt di potenza installata nel mondo al 2030) per liberarsi dal giogo delle energie fossili e non far saltare l’accordo di Parigi, puntare molto sull’idrogeno verde, ridisegnare completamente le reti elettriche, per terra e per mare, non escludere i Paesi in via di sviluppo nella transizione energetica. Al suo primo giorno del secondo mandato da Dg di Irena, l’agenzia internazionale delle energie rinnovabili, Francesco La Camera lascia Abu Dhabi per un giro di incontri istituzionali a Roma e fa il punto della situazione energetica mondiale con Gea. A partire dalle ricadute della guerra in Ucraina: “Nessuno si sarebbe aspettato, tre anni fa, che le rinnovabili sarebbero diventate la soluzione per la sicurezza energetica”, osserva.

La decentralizzazione dell’offerta, chiarisce, “è diventata il modo attraverso il quale si può assicurare più resilienza al sistema nel suo complesso ed evitare che l’offerta di energia possa essere cartellizzata o usata geopoliticamente”. Questo può avvenire solo attraverso le rinnovabili, ribadisce il DG, che “creano un mercato più libero, meno soggetto ad avere una caratterizzazione forte dal punto di vista geopolitico”. Lo sguardo è già rivolto alla Cop28 di Dubai, il 12 dicembre: “Dirà che i governi non hanno mantenuto le promesse degli accordi di Parigi e dovrà anche dire come rimetterci in rotta, chiudere il gap tra dove dovremmo essere e dove siamo adesso”.

In quanto tempo e come, verosimilmente, ci libereremo dal gas?

“A Irena stiamo cercando, nel disegnare il futuro, di dare la possibilità ai governi di individuare dei target precisi da raggiungere. Il primo che abbiamo messo a punto è 1000 GW di energia rinnovabile installata ogni anno. In questo momento, la domanda è soddisfatta per il 75-80% da Oil&gas e per il 20% dalle rinnovabili. Per aumentare la quota di rinnovabili nel sistema occorre avere almeno 10mila GW di rinnovabili installate al 2030, questo vuol dire avere 1000 GW l’anno di capacità installata. Questo sta già avvenendo, sono 8-9 anni ormai che la capacità installata di rinnovabili supera quella tradizionale, con nuovi record, l’ultimo anno 295 GW ed è l’84% della nuova capacità installata”.

Come dovrebbero essere distribuite le nuove installazioni di rinnovabili nel mondo?

“Bisogna riequilibrare il rapporto con i Paesi in via di sviluppo. Nello scorso anno, di tutta la capacità di rinnovabili installate, solo l’1% è stata in Africa. Se non acceleriamo la transizione energetica, con la crescita economica dell’Africa e del Sud Est asiatico dovremo abbandonare l’accordo di Parigi”.

L’Italia in questo percorso di transizione avrà un ruolo centrale, dettato dalla sua posizione geografica?

“Mi sembra evidente, dal punto di vista della collocazione naturale dell’Italia, un ponte naturale dell’Europa verso l’Africa, è che l’Africa ha il più grosso potenziale di idrogeno verde al mondo. L’Italia potrebbe sfruttare questa sua caratteristica geografica per diventare la piattaforma dell’idrogeno verde in Europa. Il problema delle infrastrutture sarà cruciale per accelerare il passo della transizione energetica”.

Come lo facciamo viaggiare questo idrogeno, se i tubi per il gas non vanno ancora bene?

“La Snam dice che con poche correzioni le pipeline esistenti possono essere adattate per trasportare idrogeno. C’è poi il progetto di un elettrodotto sottomarino che attraverso Cipro raggiunga l’Italia. E’ un altro modo per prendere energia prodotta in Africa e portarla in Europa. Ritengo che i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita, gli Emirati siano prontissimi a dare all’Europa tutto l’idrogeno verde di cui hanno bisogno ma occorre la logistica e l’Italia è in una posizione straordinaria per svolgere questo ruolo”.

In un futuro in cui l’energia solare coprirà una percentuale importante dei mix energetici, assisteremo a una inversione di polarità negli investimenti, nella ricchezza e nelle migrazioni, dal Nord al Sud del mondo? Possiamo immaginare nuovi migranti economici verso l’Africa?

“Il riequilibrio fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo è importante. Se si crea ricchezza e capacità di vivere in maniera decente il problema delle migrazioni può essere attenuato o addirittura invertito. Bisogna riscrivere le regole della cooperazione. Abbandonare l’approccio predatorio nei confronti dei Paesi in via di sviluppo e riuscire a costruire una industria verde in quei Paesi. Anche per la catena di offerta per la transizione energetica sarebbe importante ridurre la dipendenza da una sola fonte, ma si riesca a decentralizzare in modo che ci sia più mercato e che si crei sviluppo per l’Africa e il Sud Est asiatico, in modo che si traduca in un bilanciamento tra Paesi ricchi e poveri. Come l’Europa ha ricostruito la propria economia grazie al Piano Mashall, l’Africa avrebbe bisogno di un Piano, un intervento importante, noi diciamo del sistema multilaterale e bancario, per costruire le infrastrutture di cui hanno bisogno. L’Africa è una power house dell’idrogeno verde, ma ha pochissimi porti che possono consentire lo smercio sotto forma di ammonio, anche il mercato regionale non può essere alimentato. Occorre costruire tutte le strutture”.

Nucleare, sì o no?

“Il nucleare non è una tecnologia che serve a combattere il cambiamento climatico. Quello che è molto importante nella tradizione energetica, e non mi sembra chiaro, è che la variabile più importante è il tempo. Se la scienza e i Paesi concordano nel dire che questi sette anni sono decisivi nella lotta al cambiamento climatico, che bisogna raggiungere dei risultati al 2030, le nuove centrali potranno portare energia elettrica non prima del 2035-2038. A quel punto le sorti dell’accordo di Parigi saranno già decise”.

Una buona quota di energia, quella dell’idroelettrico, lavora a scartamento ridotto a causa della siccità, che è uno dei tanti effetti del cambiamento climatico.

“Il problema dell’idroelettrico non è solo l’aumento delle temperature, che sicuramente esiste, ma c’è un problema di rinnovo di impianti esistenti. Chi ce l’ha è fortunato perché è la più grande batteria esistente. Chi ce l’ha ha una capacità di bilanciamento del sistema estremamente forte”.

Esiste una necessità di modificare le reti, per poter far viaggiare più facilmente l’energia da una parte all’altra della Terra?

“Sì. Occorre ridisegnare l’intera struttura delle reti, sia le reti a terra che le rotte del mare. Tutta l’infrastruttura fisica deve essere rivista e potenziata. Per dare un’idea di quanto sia importante, non riusciamo in Europa a utilizzare tutta l’energia eolica che viene dall’offshore wind del Mare del Nord, non abbiamo la logistica per portare quell’elettricità nelle nostre reti. Uno sforzo l’Europa lo sta facendo col connettore Portogallo-Spagna- Francia-Centro Europa ma questo dev’essere fatto in maniera strutturale, forte e importante. Perché le reti devono essere interconnesse, assicurare flessibilità e bilanciamento. Questo elemento è particolarmente importante per l’Africa e per il Sud Est asiatico”.