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L’ambizione del Piemonte: “Saremo la ‘Hydrogen Valley’ europea”

Ricerca, produzione, consumo, trasporti e approvvigionamento: sono le parole chiave con cui la Regione intende trasformare il Piemonte nel punto di riferimento italiano ed europeo sull’idrogeno e in particolare idrogeno verde. Una sfida ambiziosa che rappresenta uno dei progetti bandiera, insieme al progetto Montagna e alla Città dell’Aerospazio, su cui il Piemonte punta per attrarre i fondi europei del Pnrr e in particolare 70 milioni di euro attraverso le diverse linee di finanziamento Ue che guardano all’idrogeno e alle fonti rinnovabili. Il punto è stato fatto oggi in occasione dell’avvio della consultazione pubblica per costruire insieme a enti locali, università, centri di ricerca e oltre 100 aziende la strategia regionale sull’idrogeno che in autunno verrà presentata a Bruxelles.

Il Piemonte – ha detto il presidente della Regione, Alberto Cirioha tutte le caratteristiche per diventare concretamente l’Idrogeno “valley” italiana ed europea. Abbiamo una posizione strategica dal punto di vista logistico per l’approvvigionamento, aree idonee in cui produrlo e competenze di innovazione per la ricerca, perché l’obiettivo non è soltanto produrre idrogeno, ma farlo ad un costo contenuto rispetto a quello attuale per renderlo alla portata di tutti“.

Sono 28 i siti industriali dismessi che in Piemonte si sono candidati a diventare centri di produzione di idrogeno nell’ambito del Censimento avviato nei mesi scorsi dalla Regione Piemonte: 12 a Torino, 8 a Novara, 4 a Cuneo, 3 nel Vco e 1 a Vercelli.

A questo si aggiungono l’ecosistema industriale di imprese interessate a riconvertire il proprio consumo energetico in chiave ibrida e maggiormente sostenibile, abbinando alle fonti tradizionali l’uso dell’idrogeno, e il fronte dei trasporti, con la possibilità di sperimentare l’idrogeno sul trasporto locale stradale e ferroviario, rinnovando il parco flotte con bus e treni verdi.

L’Europa – ha sottolineato l’assessore regionale all’Ambiente e all’Innovazione, Matteo Marnaticrede nell’idrogeno e noi, anticipando un po’ i tempi, siamo all’avanguardia. Abbiamo tantissime imprese e i risultati che riusciremo a raggiungere sono molteplici, in primo luogo sull’ambiente. L’idea dell’idrogeno era nell’aria dal 2006, ma non si è mai concretizzata. Noi abbiamo fin da subito creduto in quello che era un sogno e che oggi diventa realtà e porterà effetti non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia del nostro territorio. Su questo tema c’è molta attenzione e molta ‘vivacità’, con una moltitudine di imprese. Ci sono tanti incentivi e questo vuol dire grandi opportunità per il Piemonte, per i suoi centri di ricerca e il suo sistema industriale. Oggi diamo la scintilla come pubblica amministrazione, perché c’è bisogno di un supporto pubblico, ma poi ci sono le imprese che stanno lavorando su progetti unici“.

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ROBERTO CINGOLANI

Pnrr, 450 milioni per l’idrogeno verde: Cingolani firma il decreto

Il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il Decreto che dà attuazione all’Investimento 5.2 (M2C2) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La misura mette a disposizione 450 milioni di euro per finanziare progetti finalizzati allo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde, elemento fondamentale nel processo di decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti e del terziario. Il Decreto ripartisce le risorse del Pnrr tra le diverse linee progettuali individuate per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori, i macchinari che consentono di scomporre le molecole di acqua in ossigeno e idrogeno, utilizzando energia pulita da fonti rinnovabili.

L’obiettivo dell’Investimento 5.2 è di realizzare entro giugno 2026 una filiera tutta italiana con stabilimenti che producano elettrolizzatori e componenti associati, per una potenza complessiva annua di almeno 1 gigawatt, che consentirà di soddisfare la domanda di idrogeno verde. Dei 450 milioni complessivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Decreto assegna 250 milioni a progetti Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori e 200 milioni ad ulteriori progetti che saranno selezionati attraverso avvisi pubblici di prossima pubblicazione, finalizzati alla realizzazione sia di ulteriori impianti per la produzione di elettrolizzatori, sia di impianti per la produzione di componenti a servizi degli elettrolizzatori stessi.

Attraverso questo investimento l’Italia punta a espandere il mercato dell’idrogeno e a diventare leader in un settore altamente innovativo, creando nuove competenze e posti di lavoro.

Politecnico Milano

Hydrogen JRP: Nel 2050 l’idrogeno coprirà il 20% dei fabbisogni energetici

Nel 2050 l’idrogeno ricoprirà più del 20% dei fabbisogni energetici nei settori chiave dell’economia italiana. È il dato stimato dai primi studi promossi dall’Hydrogen JRP (Joint research platform) la piattaforma guidata dal Politecnico di Milano per promuovere la ricerca sugli aspetti di produzione, trasporto, accumulo e utilizzo dell’idrogeno come vettore di energia pulita. Ne ha parlato con GEA Stefano Campanari, professore al Dipartimento di Energia del Politecnico e presidente del comitato guida dell’Hydrogen JRP.

Il 20% del fabbisogno energetico italiano. Come siete arrivati a questo dato?
“È l’esito di una simulazione integrata del sistema energetico che indaga scenari di lungo termine di piena decarbonizzazione o ‘net zero CO2’. Nel nostro lavoro consideriamo diversi vettori energetici: energia elettrica, idrogeno, ma anche biometano e combustibili e-fuel. Teniamo conto poi della geografia dei flussi energetici nelle diverse regioni d’Italia e della stagionalità e variabilità temporale di produzione e domanda dell’energia rinnovabile. Infine, sovrapponiamo tutti i settori di destinazione. I risultati di questi primi studi sono quindi l’esito di un modello originale multi-vettore, multi-nodale, multi-settoriale, e time dependent”.

Si tratta di un risultato che vi sorprende?
“È un dato rilevante, ed è in linea con quanto ci attendiamo in tutti i Paesi impegnati nella piena decarbonizzazione. L’aspetto più importante è constatare come questi risultati, pur risentendo delle numerose ipotesi necessarie per svolgere queste simulazioni, si stiano continuando a consolidare su analisi sempre più affidabili e strutturate che stiamo via via svolgendo”.

Quale impatto corrisponde in termini di riduzione di emissioni?
“Abbiamo calcolato che l’utilizzo dell’idrogeno, sempre complementare ad altre tecnologie, può portare al risparmio di circa 80 milioni di tonnellate di CO2 di emissioni. Una quantità che corrisponde a oltre il 20% delle attuali emissioni”.

E in quali settori di destinazione prevede un maggiore impiego?
“Secondo il nostro modello il settore più coinvolto in termini di impatto sarà quello dei trasporti pesanti, seguito dall’industria e dagli altri settori della mobilità, fra cui aviazione e navigazione. Oltre ad un impatto significativo nella power generation, in parte della mobilità leggera e del riscaldamento domestico. Sono dati previsionali e di lungo termine, ma indicano come l’idrogeno sia in grado di collegare settori molto diversi fra loro, dove non sempre l’energia elettrica può essere un’alternativa completa”.

Stiamo parlando solo di idrogeno verde o immagina una commistione con idrogeno blu?
“Parliamo di una commistione di idrogeno verde (prodotta da elettrolisi dell’acqua alimentata da energie rinnovabili) e blu (prodotto da fonti fossili ma con cattura della CO2 di processo). Difficile azzardare una percentuale, ma possiamo immaginare nel lungo termine idrogeno verde per circa l’80% del totale, e una quota blu del 10-20%, che può derivare da volontà di diversificazione, opportunità di importazione e produzione nazionale, aspetti di minimizzazione dei costi; oltre allo sfruttamento di infrastrutture esistenti ed alla sinergia con lo sviluppo di una filiera di cattura di anidride carbonica che può risultare fondamentale in alcuni settori particolarmente ‘hard-to-abate’ e per consentire di chiudere il bilancio complessivo nazionale a zero emissioni nette di CO2”.

Non sarà tutto idrogeno prodotto in Italia.
“L’analisi punta a una produzione largamente prevalente sul suolo nazionale per ragioni strategiche. Ma ammette una quota di importazione per ragioni di flessibilità e ottimizzazione dei costi. Quindi, con alcune eccezioni, l’idea è studiare un sistema al 2050 che sia largamente basato sulla nostra produzione di idrogeno da energie rinnovabili”.

A proposito di produzione nazionale, come dobbiamo immaginare la filiera della produzione?
“Idrogeno verde significa elettrolisi. E l’elettrolisi può essere distribuita sul territorio tanto quanto lo sono gli impianti fotovoltaici ed eolici. Per cui dobbiamo immaginare un aumento massiccio del parco installato: la sfida è che dovremmo installare ogni anno 10 volte di più di quanto facciamo oggi. E in maniera il più possibile diffusa. Siccome, tuttavia, gran parte della domanda è concentrata nel Nord d’Italia, mentre sono al Sud le aree con maggiore disposizione di sole e vento, si deve tenere conto anche dei vincoli nel trasporto dell’energia a livello di flusso sull’intera penisola. Inoltre, sono necessari stoccaggi per sfruttare la possibilità di sfasare temporalmente la produzione e la domanda, una caratteristica offerta a costi particolarmente competitivi dall’idrogeno. La soluzione migliore è comunque una produzione diffusa con interconnessione tramite reti di trasporto”.

Ed è una soluzione percorribile?
“Dovemmo mettere in campo interventi regolatori, soprattutto volti a semplificare gli aspetti procedurali. Ma penso anche sia attuale un tema di incentivazione, sia nella filiera delle rinnovabili a monte dell’elettrolisi, sia nella produzione e stoccaggio idrogeno. Nel campo del fotovoltaico penso ad esempio a promuovere attraverso sistemi di defiscalizzazione l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle aree industriali, o recuperando aree che non creino problemi di impatto ambientale. Nel settore produzione e stoccaggio idrogeno si prevedono forti riduzioni di costi al crescere delle installazioni, ma nella fase iniziale di transizione sono necessari incentivi specifici per consentire la realizzazione di questi progetti”.

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Idrogeno per auto, bus, treni e aerei: a che punto siamo?

L’idrogeno è stato individuato come risorsa chiave per la decarbonizzazione: il target fissato dall’Europa è l’inserimento, nel mix energetico, dell’idrogeno verde fino al 13-14% entro il 2050. L’Italia si è allineata alla strategia europea e intende promuovere non solo l’utilizzo, ma anche la produzione di idrogeno. L’altro obiettivo del nostro Paese è di aumentarne l’impiego nel settore dei trasporti, per tendere a un modello di mobilità a zero emissioni.

L’idrogeno appare una soluzione molto interessante per il trasporto di lungo raggio, quindi per treni e aerei, ma anche per il trasporto pubblico locale. A livello ferroviario, il Pnrr ha già individuato alcune regioni in cui sperimentare: Abruzzo, Calabria, Lombardia, Puglia, Sicilia e Umbria. Si tratta di regioni che presentano ancora un ampio utilizzo di treni diesel su linee non elettrificate. Osservata speciale anche la Sardegna, la cui intera rete ferroviaria è non elettrificata, oltre a Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte e Toscana. L’idea dell’intervento sulla rete ferroviaria nasce dall’esigenza di rinnovare il parco treni: sostituire i convogli diesel con quelli a idrogeno consentirebbe di servire tutte quelle linee (circa un decimo dell’intera rete ferroviaria nazionale) che attualmente non possono essere elettrificate per problemi di varia natura. Gli studi di fattibilità hanno evidenziato come le aree della Valcamonica (la linea Brescia-Iseo-Edolo, con la prima consegna prevista a dicembre 2023) e del Salento (Lecce-Gallipoli-Leuca) siano ritenute le più idonee a sviluppare non solo la sperimentazione dei convogli, ma anche la produzione e la distribuzione dei treni a idrogeno. È atteso nel 2023 in Italia il convoglio a idrogeno Coradia iLint, un progetto sviluppato da Alstom, ideale per le tratte minori e già testato in Francia.

Il nostro Paese sta lavorando anche alla svolta nei cieli. Gli aeroporti di Milano hanno siglato un accordo con Airbus per sviluppare in futuro gli impianti che potranno occuparsi della ricarica non solo dei mezzi aeroportuali, ma anche degli aerei. Al momento sul mercato sono disponibili solamente dei prototipi, ma Airbus punta a lanciare entro il 2035 il primo jet commerciale a zero emissioni. Sea, che gestisce gli scali di Linate e Malpensa, ha siglato il memorandum d’intesa per lo studio e l’implementazione di progetti relativi alla distribuzione dell’idrogeno, con l’obiettivo finale di sviluppare un hub per il rifornimento per uso non aeronautico e di infrastrutture per l’uso di idrogeno nell’aviazione nel lungo periodo.

Per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, la Provincia Autonoma di Bolzano è in prima fila: dopo aver già dato il via negli anni scorsi all’utilizzo di alcuni prototipi per il trasporto cittadino, nel 2021 è arrivata una flotta di 12 mezzi totalmente alimentati a idrogeno non inquinante, prodotto interamente con fonti energetiche rinnovabili. Sono molte le città che si stanno adeguando a questa transizione, da Trieste a Venezia: quest’ultima ha già annunciato che si doterà di una flotta di 90 autobus a idrogeno, con il primo lotto in strada nel 2024.

Ancora lontano, invece, l’utilizzo su larga scala delle automobili a idrogeno. Queste vetture presentano vantaggi significativi – assenza di emissioni, comfort di guida simile alle auto elettriche, considerevole autonomia e non richiedono le lunghe ricariche alla colonnina – ma anche diversi svantaggi, dai costi proibitivi alla pressoché totale assenza di un’infrastruttura di rifornimento. Problematiche ancora tutte da risolvere: in primis, ovviamente, la produzione sostenibile di idrogeno, per il quale l’Italia è al lavoro con progetti a lungo termine.

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Puglia Green Hydrogen Valley, una grande sfida strategica

Nella Puglia che primeggia a livello nazionale per la diffusione di fonti rinnovabili, la produzione di H2 verde è la scommessa più grande. A guidare la transizione energetica il progetto denominato ‘Puglia Green Hydrogen Valley’, frutto del memorandum di intesa (MoU) firmato da Edison e Snam con Saipem e Alboran Hydrogen. La Regione punta a creare tre impianti di produzione di idrogeno verde a Brindisi, Taranto e Cerignola (Foggia). Coinvolti nell’iniziativa importanti partner regionali come l’Acquedotto Pugliese, le Ferrovie Appulo Lucane, i distretti tecnologici e produttivi pugliesi, il Politecnico di Bari, l’Università di Bari, di Foggia e del Salento.

L’H2 della valley sarà ottenuto tramite elettrolisi dell’acqua, processo che sarà a sua volta alimentato da energie rinnovabili. La capacità complessiva sarà di 220 MW per una potenza totale di 380 MW alimentati da una produzione fotovoltaica. Secondo le previsioni iniziali, a regime, la valley genererà ogni anno fino a 300 milioni di metri cubi di idrogeno rinnovabile. Il vettore energetico oltre ad essere impiegato nella mobilità sostenibile, arriverà al tessuto industriale limitrofo anche attraverso il blending – la miscelazione – con la rete gas locale del partner Snam. La rivoluzione energetica coinvolgerà parte delle industrie pugliesi. Un primo passo per la conversione sostenibile degli approvvigionamenti energetici. L’impatto del segmento industriale rientra, infatti, tra le categorie dei settori cosiddetti ‘hard to abate’. Nel contesto regionale sono presenti concentrazioni di industria pesante che, stando allo studio ‘Energia e competitività in Puglia’ del Politecnico di Milano in collaborazione con lo spinoff del Politecnico di Bari Ingenium, assorbono più energia della media nazionale (26% rispetto al 21%). Il comparto da solo è responsabile del 6,7% delle emissioni di tutto il settore industriale nazionale. “Con la partita dell’idrogeno, la Puglia può essere protagonista della transizione energetica, anche per quanto riguarda la riconversione dei grandi impianti a carbone, come l’Ilva” riferisce a Gea l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Puglia, Alessandro Delli Noci.

Per la Puglia l’idrogeno è soprattutto una sfida strategica. È l’opportunità di sviluppare competenze verticali per creare una filiera produttiva legata all’industria dell’H2 verde. La Regione che si è già candidata per diventare la sede del Centro Nazionale di Alta Tecnologia per l’Idrogeno, nell’ambito del Pnrr e della missione n. 2 ‘ Rivoluzione verde e transizione ecologica’, ha manifestato interesse anche per il bando del Mite che punta a riconvertire aree industriali dismesse in siti produttivi di idrogeno verde. Per ottenere i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, i centri di produzione, distribuzione e impiego su scala locale di idrogeno devono impiegare solamente fonti di energia rinnovabile. Un’occasione per la Puglia che ha sviluppato una forte presenza nell’eolico e nel fotovoltaico e che può contare sulla disponibilità di risorse naturali.

Vannia Gava

Gava: “Per indipendenza occorre investire su fonti pulite e nucleare”

Transizione ecologica, sostenibilità e Green new deal: sono le parole chiave per i prossimi 30 anni. L’Italia vuole stare in questa partita, ma a che punto è lo stato dell’arte nel nostro Paese? Gea, che ha tra i suoi obiettivi fare informazione e divulgazione su temi che caratterizzeranno la nostra vita e quella dei nostri figli, lo ha chiesto alla sottosegretaria al Mite, Vannia Gava.

Sottosegretaria, l’Italia è all’avanguardia in questo percorso?

“Sì. Anche se abbiamo questa cattiva abitudine di sminuirci, l’Italia e gli italiani hanno fatto e continuano a fare un grande lavoro: la sensibilità ambientale è così diffusa che siamo in vetta alle classifiche europee sulle percentuali di riciclo dei rifiuti col 79%, mentre la Francia è ferma al 56% e il Regno Unito al 50%. Anche nel riciclo industriale, quello di acciaio, alluminio, carta, vetro, plastica, legno, tessili siamo il Paese europeo con la maggiore capacità di riciclo. Siamo assolutamente all’avanguardia ma non siamo certo arrivati al traguardo. Per questo dobbiamo fare di più, investendo e procedendo passo dopo passo, per diffondere tra i cittadini una maggior cultura ecologica e accompagnando le imprese nei processi per le riconversioni e verso un’economia sempre più sostenibile. Con i bandi sull’economia circolare, chiusi proprio una settimana fa, daremo grande impulso alla realizzazione di impianti capaci di risolvere l’emergenza dei rifiuti urbani che, ancora oggi, in molte aree del paese vengono trasportati fuori regione per la carenza di impianti”.

L’Europa si è data il 2050 per arrivare alla neutralità climatica. Secondo lei è un traguardo davvero realizzabile? E a quali costi?

“L’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop 26 è stata contraddistinta da maggior realismo rispetto alle precedenti. Tutti i partecipanti hanno condiviso un obiettivo, ma riconosciuto che deve essere raggiunto con realismo, senza mortificare le economie o regalare vantaggi competitivi ad alcuni Paesi. Purtroppo, quella conferenza non poteva tener conto della guerra energetica scoppiata subito dopo il conflitto in Ucraina, che sta sconquassando i rapporti internazionali e i contratti per le forniture energetiche. Speriamo che gli effetti siano soltanto temporanei, che non ci si debba arrendere a qualche rinvio. Resta inteso che ovviamente l’obiettivo delle emissioni zero rimane”.

Attualmente il nostro sistema comprende 5 tipi di energia: petrolio, gas naturale, rinnovabili, nucleare e carbone. Il Green Deal punta a ridurre le emissioni di gas serra dal 55% entro il 2030 portando le rinnovabili al 40% del consumo energetico totale della Ue. Biometano e idrogeno sono le strade da percorrere?

“Cambiare velocemente il nostro mix energetico è fondamentale e questa crisi lo ha reso evidente a tutti. È necessario ridurre la dipendenza dell’Italia da fonti straniere e liberarsi dal giogo di un unico fornitore, o fornitore principale, che può minacciare di chiudere i rubinetti da un momento all’altro. Per farlo stiamo diversificando, ma bisogna soprattutto incentivare tutte le fonti energetiche ‘pulite’: biometano, idrogeno e anche nucleare di quarta generazione, che è stato incluso dalla tassonomia Ue, senza esaltare o demonizzare nulla a priori. Intanto continueremo, come abbiamo iniziato a fare in questi mesi e poi in ultimo col decreto energia, lungo la strada delle semplificazioni del ‘permitting’ per gli impianti di energia rinnovabile. Bisogna evitare che, come accadeva in passato, burocrazia, lentezze e sindrome Nimby scoraggino gli investimenti”.

camion e autobus a idrogeno

Mobilità sostenibile, in Germania 900 stazioni a idrogeno entro il 2030

La Germania amplierà la sua rete di stazioni di idrogeno per soddisfare la crescente domanda di camion e autobus che vogliono viaggiare senza usare petrolio, un progetto infrastrutturale finanziato da un fondo e da alcuni industriali che sperano di espanderlo in Europa. La Germania, che ha già una rete di 90 stazioni a idrogeno, la più densa d’Europa, dovrebbe triplicare le sue dimensioni a 300 stazioni entro il 2030, secondo il principale investitore nell’operazione, il fondo specializzato in idrogeno Hy24. Ciò dovrebbe consentire di “sostenere lo spiegamento di flotte commerciali a basse emissioni di carbonio in Europa”, ovvero camion, autobus a lunga percorrenza o altri trasporti pesanti o intensivi che avranno bisogno di idrogeno per sostituire i combustibili fossili responsabili del riscaldamento globale. Le batterie dei motori elettrici che sostituiscono i motori termici dei veicoli leggeri non sono attualmente considerate sufficientemente potenti per garantire la transizione energetica dei mezzi pesanti che richiedono tempi di ricarica rapidi e lunga autonomia.

Hy24, il fondo specializzato in idrogeno carbon free creato nel 2021 dagli industriali francesi Air Liquide, TotalEnergies e Vinci in collaborazione con il fondo Ardian, con l’obiettivo di sviluppare infrastrutture legate all’idrogeno in tutto il mondo, investirà 70 milioni di euro nella società H2 Mobility che gestisce la rete di stazioni tedesca. Diventerà così l’azionista di riferimento del progetto con circa il 40% del capitale. Anche gli azionisti storici di H2 Mobility – i produttori di gas, automobili ed energia Daimler Truck, Hyundai, Air Liquide, Linde, OMV, Shell e TotalEnergies – investiranno complessivamente circa 40 milioni di euro nello stesso progetto.

La Germania ha sviluppato una visione dell’idrogeno molto integrata da diverso tempo (…) e c’è già una buona rete di stazioni nella rete nazionale” sviluppata dal 2013, riferisce a AFP Pierre-Etienne Franc, direttore generale di Hy24, durante un’intervista telefonica. “Il nostro investimento – aggiunge – consentirà di aumentare la capacità di carico di alcune stazioni, che saranno adattate a camion o autobus a lunga percorrenza, per svilupparne di nuove in Germania, ma anche in Austria, Svizzera e in le zone di confine”.

L’idrogeno decarbonizzato sarà o ‘blu’, cioè con un processo produttivo in cui viene immagazzinata la Co2 emessa, oppure ‘verde’, cioè prodotto per elettrolisi dell’acqua da energia elettrica rinnovabile, fotovoltaica, eolica o idroelettrica.

Secondo Franc, ex senior manager di Air Liquide, questa strategia “sostiene gli sforzi della Commissione europea per attuare il regolamento sull’infrastruttura dei combustibili alternativi (AFIR)” che mira ad armonizzare la distribuzione di terminali elettrici e stazioni di idrogeno in tutto il continente europeo. Questo regolamento dovrebbe consentire “di essere pronti tra il 2025 e il 2027 in modo che i produttori possano schierare veicoli a basse emissioni di carbonio”, ha specificato. “Se vogliamo seriamente decarbonizzare il trasporto, il vettore non può essere solo elettrico, deve anche essere gassoso o liquido e l’idrogeno è l’unico vettore possibile”, ha affermato. Soprattutto per trasporti pesanti ad alta intensità energetica.

QUATTRO RETI NEL MONDO. Quella delle stazioni di idrogeno tedesca è una delle quattro grandi reti di questo tipo esistenti nel mondo, insieme a quelle di Giappone, Corea del Sud e California, a loro volta supportate da un’industria automobilistica in rapida evoluzione. “Oggi ci sono due case costruttrici che hanno una vera e propria strategia dell’idrogeno per le auto: la giapponese Toyota e la coreana Hyundai, che sono riuscite ad abbassare i costi e sviluppare filiere per componenti chiave, ad esempio per serbatoi, celle a combustibile, membrane”, sottolinea il Franc. “Tutti gli altri produttori hanno una strategia di supporto alla mobilità elettrica con la mobilità a idrogeno per usi molto specifici, intensivi e pesanti, auto commerciali, taxi, autobus, logistica”, perché per questi usi “la differenza con l’elettrico è più forte”. In Francia, ad esempio, “gli ultimi progetti presentati da Stellantis mostrano che avranno uno sviluppo di flotte commerciali a idrogeno”, ha osservato. E su questa svolta si sta muovendo anche Renault.